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01 giugno 2016
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INDICE
CONFIMI WEB
31/05/2016 www.ilgazzettino.it 11:07
Giovani imprenditori, Berton nuovo presidente dà il cambio alla Beniero
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31/05/2016 www.lagazzettadelmezzogiorno.it_puglia 14:45
Associazioni insieme per vincere il mercato
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31/05/2016 informamolise.com 11:44
Le principali novità del codice appalti in un convegno dell'Acem
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SCENARIO ECONOMIA
01/06/2016 Corriere della Sera - Nazionale
Il rapporto di Francoforte
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01/06/2016 Corriere della Sera - Nazionale
QUELL'ITALIA ESITANTE
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01/06/2016 Corriere della Sera - Nazionale
Call center, accordo per Almaviva L'azienda ritira i tremila licenziamenti
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01/06/2016 Corriere della Sera - Nazionale
Bellanova: basta con le gare al massimo ribasso Così cambierà l'orario
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01/06/2016 Il Sole 24 Ore
L'acciaio resiste alla Cina Attese positive per il 2016
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01/06/2016 Il Sole 24 Ore
IL DETTO E IL NON DETTO
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01/06/2016 Il Sole 24 Ore
La lode (inaspettata) alle imprese e il nuovo esame per le banche
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01/06/2016 Il Sole 24 Ore
Se l'Europa «punisce» i giornali
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01/06/2016 Il Sole 24 Ore
«Sulla crescita si può e si deve fare di più»
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01/06/2016 Il Sole 24 Ore
Il made in Italy che vince la crisi
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01/06/2016 La Repubblica - Nazionale
Etruria, l'affare d'oro subito prima del crac
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01/06/2016 La Repubblica - Nazionale
Strappo con Bruxelles "Lo Stato intervenga se il mercato fallisce"
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01/06/2016 La Repubblica - Nazionale
Veneto, via all'aumento al prezzo di 10 centesimi entra il fondo Atlante
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01/06/2016 La Repubblica - Nazionale
Il fondo F2i decide il destino di Metroweb ma la via ormai sembra segnata
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01/06/2016 La Stampa - Nazionale
Gli inattivi tornano a cercare lavoro
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01/06/2016 Il Messaggero - Nazionale
L'Italia a due facce tra spinta a ripartire e sovranità perduta
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SCENARIO PMI
01/06/2016 Corriere della Sera - Nazionale
Più tempo ai Caf per presentare il 730 Autonomi, reddito medio a 28 mila euro
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01/06/2016 Il Sole 24 Ore
Far crescere le imprese
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01/06/2016 Il Sole 24 Ore
Boccia: molte convergenze con il governatore, grande sfida su produttività e
crescita delle imprese
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01/06/2016 Il Sole 24 Ore
La nuova manifattura chiede il «digital inside»
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01/06/2016 Il Sole 24 Ore
Anche per la manifattura l'ora del predictive analytics
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01/06/2016 Libero - Nazionale
Agli agricoltori arrivano i fondi previsti per le Pmi
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CONFIMI WEB
3 articoli
31/05/2016 11:07
Sito Web
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Giovani imprenditori, Berton nuovo presidente dà il cambio alla Beniero
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VICENZA - La guida del Gruppo Giovani Imprenditori passa di mano: il consiglio provinciale ha eletto
Alessandro Berton nuovo presidente, per tre anni di esperienza da vice della leader uscente Elisa Beniero,
responsabile tecnico della ditta Inn Med srl. L'elezione di Berton è arrivata in questi giorni dal consiglio
direttivo di Apindustria Confimi Vicenza in occasione dei primi rinnovi delle cariche dirigenziali dei gruppi e
dei mandamenti, che fanno seguito all'approvazione del nuovo Statuto e Regolamento.
«Con uno sguardo aperto all'innovazione e a nuove formule imprenditoriali e manageriali - commenta
Berton - continueremo a prestare attenzione alle tematiche del passaggio generazionale e della continuità
d'impresa. Intendiamo fornire ai nostri associati non solo nuovi strumenti di conoscenza del mondo
economico e politico nazionale ed internazionale, ma anche a proporre occasioni di confronto e
approfondimento sulle sfide e sulle problematiche che il mondo dell'impresa deve saper affrontare di giorno
in giorno».
Il presidente di Apindustria Confimi Vicenza, Flavio Lorenzin, ha mandato i suoi auguri di buon lavoro al
neo presidente dei giovani, perché contribuisca insieme all'intera associazione a rilanciare il ruolo
dell'impresa manifatturiera.
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31/05/2016 14:45
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Associazioni insieme per vincere il mercato
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Condividere per guardare il mercato con gli occhi di tutti e il sapere di tutti. La "visione condivisa" è il modo
più efficace per fare Rete, come più volte sottolineato nel seminario conclusosi poco fa Pmi: "Uniti si
cresce", promosso da Rete Puglia Imprese, il neonato "contratto" di rete che raggruppa al suo interno
intenti, competenze e professionalità di quattro associazioni di Piccole e Medie Imprese: Confimi Industria,
Aniem, Pmitalia e Laicasalento.
Hanno preso parte al focus sulle nuove organizzazioni di Pmi, esperti, professionisti, imprenditori. Tutti
fortemente convinti che le piccole imprese di cui è costituito in gran parte il tessuto produttivo del
Mezzogiorno, abbiano un bisogno "vitale" di aggregazione per meglio intercettare la domanda del mercato.
"Per rispondere a questo bisogno è nata Puglia rete imprese", - ha detto il suo portavoce Roberto Fatano,
presidente di Laicasalento. "Per la prima volta in Puglia un raggruppamento di associazioni e non di
imprese", - ha ribadito il suo vice, Sergio Ventricelli, presidente di Confimi Industria.
Con l'intento di rendere più competitive le imprese sono nate, qualche anno fa, le Reti di imprese.
L'obiettivo era appunto quello di offrire alle piccole realtà imprenditoriali, la possibilità di essere presenti sui
mercati internazionali in modo strutturato ed organizzato. Proprio di Reti di imprese per
l'internazionalizzazione ha parlato il Vicepresidente di Confimi Bari, Carlo Pellicola. "La rete - ha detto - ci
aiuta a ragionare con altre teste, a mettere in comune esperienze, conoscenze, fino a offrire il servizio
"chiavi in mano", come è accaduto con la Rete Clustech creata per l'internazionalizzazione dell'offerta nel
settore dell' impiantistica nell'agroalimentare".
Della necessità, poi di poter contare su una struttura che faccia per le aziende da centro di riferimento per
l'erogazione dei servizi, che le informi e le formi, che le assista nell'organizzazione, ha parlato Mina Emilio,
Presidente di Pmitalia Bari.
"Spesso le imprese non sanno come muoversi, conoscono la propria realtà e non sono mai andate al di là
di questa. Occorre che queste conoscano tutta la filiera del settore in cui sono specializzate - ha detto la
Emilio.
"Allo stato attuale, le piccole imprese - ha chiarito Raffaele Gianpetruzzi, presidente Aniem Puglia, incontrano molteplici ostacoli per accedere, per esempio, al mercato dei lavori pubblici. Mancanza di
conoscenza delle procedure di gara, valori di gara elevati, costi di partecipazione, ritardi dei pagamenti da
parte delle pubbliche amministrazioni sono solo alcuni degli ostacoli e dei problemi che le aziende
incontrano. Di qui la necessità di puntare sulle aggregazioni. Io credo molto - ha concluso Gianpetruzzi nella cooperazione pubblico-privato, come quella tra imprese, università e pubblica amministrazione, tre
mondi che non possono procedere ognuno per conto suo. Mi piace pensare che siano come vasi
comunicanti, strutture che si scambiano formazione, informazione, innovazione. Questa è la cooperazione
che ci serve. Che serve a tutti, direi".
Un lavoro su cui la Regione Puglia sta lavorando e scommettendo da anni. "Si dice che l'unione fa la forza
e io credo - ha detto Loredana Capone, assessore allo Sviluppo Economico - che quando più associazioni
si mettono insieme questo costituisce un valore aggiunto".
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31/05/2016 11:44
Sito Web
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Le principali novità del codice appalti in un convegno dell'Acem
Ha riscosso notevole interesse ed ha registrato ampia partecipazione sia da parte delle imprese che da
parte dei tecnici il seminario dal titolo "Le principali novità del codice appalti", organizzato dall'ACEM con il
patrocinio dell'UNITEL (Unione Nazionale Italiana Tecnici Enti Locali) e che si è svolto questa mattina
presso la sala convegni della Camera di Commercio del Molise a Campobasso.
Dopo i saluti istituzionali del presidente ACEM Corrado Di Niro, del Presidente UNITEL Bernardino Primiani
e del Vice Presidente ANIEM Nazionale Angelo Santoro, sono intervenuti Francesca Magliocchetti
dell'ufficio legislativo dell'ANIEM, Giuliano Di Pardo avvocato specializzato in diritto amministrativo e
Michele Coromano avvocato amministrativista, mentre le conclusioni sono state affidate all'Assessore
Regionale ai Lavori Pubblici Pierpaolo Nagni.
Tanti gli argomenti illustrati dagli autorevoli relatori, non senza sottolineare gli aspetti critici connessi
all'applicazione della nuova normativa. In particolare, sono stati approfonditi i criteri di aggiudicazione, le
procedure di scelta dei contraenti, la qualificazione delle imprese e degli enti appaltanti, le varianti, il
subappalto, le commissioni giudicatrici e gli aspetti più prettamente processuali ed attinenti ai contenziosi
legati agli appalti pubblici. Per l'occasione, l'ACEM ha fatto stampare un volume con il testo normativo del
nuovo codice e relativi allegati, che ha consegnato ai partecipanti ed alle imprese associate che hanno
preso parte al seminario.
"E' stata talmente elevata la partecipazione che stiamo già pensando ad ulteriori momenti seminariali da
tenersi nei prossimi mesi" dichiara il Presidente dell'ACEM Corrado Di Niro.
CONFIMI WEB - Rassegna Stampa 01/06/2016 - 01/06/2016
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SCENARIO ECONOMIA
16 articoli
01/06/2016
Pag. 1,3
diffusione:305863
tiratura:387811
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I Crediti dubbi
Il rapporto di Francoforte
Federico Fubini
Quest'estate la Bce presenterà un rapporto sui crediti a rischio o in default delle banche europee. Giudizio
atteso con apprensione.
a pagina 3
Per un governatore della Banca d'Italia la sintassi non è questione di forma. È messaggio. Così quando
Ignazio Visco fra i marmi del salone d'onore di Palazzo Koch sceglie un verbo al passivo, è la spia che ciò
di cui parla è abbastanza importante da sconsigliare di renderne esplicito il soggetto: la Banca centrale
europea. «Sarà valutata l'effettiva situazione delle singole banche e verranno individuate le misure di
supervisione più appropriate tenendo conto del contesto in cui esse operano», dice il governatore Visco.
Parole piatte e vaghe in apparenza. Nella platea di banchieri e dignitari dell'establishment finanziario
raccolti nel palazzo il ricordo dei crolli di Borsa di gennaio sugli istituti fa ancora male. All'epoca bastò a
innescarli la notizia di una «lettera», in realtà un questionario, che la Bce aveva mandato alle banche
italiane e nel resto dell'area euro sui crediti a rischio. Pier Carlo Padoan, il ministro dell'Economia, andò
persino su tutte le furie perché Francoforte lasciò passare tre giorni - non tre ore - prima di specificare che
quella «lettera» non era una stretta. Non era la richiesta alle banche di abbattere ancora di più i propri valori
in bilancio sui prestiti destinati a non essere mai rimborsati per intero.
Cos'era quella «lettera» lo si capisce meglio oggi, dopo quella frase di Visco al passivo. Era il primo passo
di un processo che ora sta arrivando al punto. Quest'estate la Bce presenterà un rapporto sui crediti a
rischio o in default delle banche europee: in proposito, informazioni convergenti arrivano da varie capitali.
Non è ancora deciso se la banca centrale nominerà uno per uno gli istituti in una sorta di pagella pubblica,
o se quei giudizi resteranno riservati. Se ne sta ancora discutendo a Francoforte. Di certo negli ultimi giorni
aveva accennato a un'iniziativa su questo tema Danièle Nouy, la presidente (francese) del consiglio unico
di vigilanza a Francoforte. E non si tratterà di una richiesta di abbattere i valori in bilancio, ma il passaggio
che si avvicina resta destinato a mettere pressione su banche italiane gravate da quasi 200 miliardi di
crediti in default (poco meno di 90 al netto delle risorse accantonate per coprire le perdite).
Agli istituti la Bce chiederà di darsi linee di indirizzo, organizzazione e soprattutto una tabella di marcia per
gestire al meglio o vendere quell'eredità della Grande recessione. Non subito, ma non alle calende greche.
«I responsabili della vigilanza europea sono consapevoli che la riduzione delle esposizioni deteriorate non
potrà che essere graduale», ha sottolineato ieri Visco, stavolta indicando chiaramente il soggetto. Non
dovrebbero dunque provenire da Francoforte vincoli a cedere le parti cattive dei bilanci bancari in tempi
brevi: sarebbe il modo migliore per costringere gli istituti a svendere, accumulando perdite ancora maggiori,
dunque creando ancora più bisogno di capitali freschi.
La Bce però vuole che le banche comincino, e in tempi certi. La richiesta è che si diano piani, manager e
mezzi specifici per gestire questi loro problemi. Ma non solo in Italia. Ignazio Visco ieri ha lasciato trasparire
che la vigilanza europea eserciterà più attenzione anche sulle grandi banche tedesche: «Ci adoperiamo
perché l'azione divenga più incisiva riguardo ad altri rischi sui bilanci bancari», ha detto il governatore,
«primi fra tutti quelli legati ad attività in prodotti strutturati». Appena coperto il riferimento del governatore, in
primo luogo, a Deutsche Bank. E di certo la Bce oggi sembra più pronta di prima a verificare in proprio il
valore reale dei derivati in cui investono alcuni grandi istituti nel Nord Europa.
Non che la posizione di Visco sia comoda. A Francoforte, che ormai ha l'ultima parola sulla vigilanza, gli
istituti del Paese sono oggetto di diffidenza aperta e la Banca d'Italia è sospettata di volerli difendere dopo
essersi fatta sorprendere da alcuni dei loro problemi. A Sud delle Alpi invece troppi manager bancari di
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 01/06/2016 - 01/06/2016
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01/06/2016
Pag. 1,3
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 01/06/2016 - 01/06/2016
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provincia hanno dimostrato di non aver capito che i tempi erano cambiati. Forse è per questo che ieri Visco
non ha fatto sconti né all'Unione bancaria europea, né al particolarismo bancario italiano: il governatore
trova sleale che si cerchi di prendere la Banca d'Italia fra l'incudine e il martello. Sull'Europa, Visco
sottolinea la contraddizione di aver tolto ai Paesi i loro vecchi strumenti nazionali per gestire le crisi
finanziarie, senza però aver pronti strumenti europei: per ora il fondo comune di garanzia sui depositi resta
bloccato dal veto di Berlino e il fondo di risoluzione di fatto non è operativo. «È una situazione di
vulnerabilità», nota il governatore. Quanto alle banche italiane, il messaggio non è meno fermo: per le
Popolari deve finire l'epoca di «autoreferenzialità dei vertici, scarsa trasparenza, resistenza al
cambiamento». E per tutte è ora di pensare a ridurre i costi, anche chiudendo parte degli attuali 30 mila
sportelli, e di puntare su tecnologia e fusioni. A un patto però, che è un programma: aggregazioni fra
banche sì, ma solo «secondo logiche strettamente industriali». Non di poltrone, né di clientele.
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Capitale e crediti deteriorati nelle banche IL PESO DEGLI NPL Fonte: relazione della Banca d'Italia 2015 *Scala di destra d'Arco Incidenza e tassi di copertura (in percentuale) IL PATRIMONIO DI VIGILANZA I
livelli di capitale (cet1) per categorie di banche (dati in %) sofferenze CET1 ratio tasso di copertura dei
crediti deteriorati* crediti deteriorati diversi da sofferenze tasso di copertura delle sofferenze* 30 35 40 45
50 55 60 65 0 3 6 9 12 15 18 21 dic. '08 giu. '09 dic. '09 giu. '10 dic. '10 giu. '11 dic. '11 giu. '12 '12 dic. giu.
'13 dic. '13 giu. '14 dic. '14 giu. '15 dic. '15 0 5 10 15 Primi 5 gruppi Altre banche grandi Banche piccole
Banche minori TOTALE
L'Abi
Per il presidente dell'Abi, Antonio Patuelli, le fusioni bancarie «devono andare avanti su progetti industriali».
A margine dell'assemblea della Banca d'Italia, Patuelli ha sottolineato che per favorire le fusioni «occorrono
due innovazioni che non dipendono dalla Banca d'Italia: la prima che la Bce, di fronte a disegni di fusione
con una strategia industriale da parte di due banche che hanno buoni indicatori patrimoniali, non pensi che
occorra sempre aumentare il capitale. È una contraddizione che frena le fusioni». L'altra innovazione - ha
spiegato - è una modifica fiscale: «In Italia c'è ancora l'Iva infragruppo che rappresenta un freno per le
fusioni». Questi temi - ha concluso Patuelli - saranno al centro dell'assemblea Abi l'8 luglio
Foto: Bce Danièle Nouy, presidente del Consiglio di vigilanza
01/06/2016
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QUELL'ITALIA ESITANTE
Daniele Manca
Una chiusura inusuale.
L'individuazione della crescita poco soddisfacente
(e alcune idee per facilitarla) come il vero nodo che l'Italia non riesce a sciogliere.
F ermi suggerimenti all'Europa con pungenti sottolineature sulle incertezze e i rischi che stiamo correndo
nella sua costruzione. E quelle banche nazionali che, mai come in questi mesi, sono e saranno poste di
fronte a scelte non prive di conseguenze per il Paese. Il sorriso di Ignazio Visco poteva ingannare ieri
mattina quando, a conclusione della lettura delle sue consuete considerazioni finali di maggio, sceso dal
podio, si è avvicinato al microfono al suo posto per parlare nuovamente.
Era il sorriso dello studioso più che il volto duro che ci si aspetta da colui che incarna l'istituto di vigilanza.
È rimasto in piedi, gli applausi si sono interrotti di colpo e, sorprendendo l'altrettanto consueta platea fatta
dalla rappresentanza delle massime autorità istituzionali, banchieri, imprenditori ed economisti, ha
pronunciato poche parole per rimandare a un'audizione in Parlamento del 19 aprile .
È a quell'audizione che il Visco «vigilante» rimanda e nella quale in 22 pagine ha radiografato il sistema
bancario italiano e ripercorso gli atti di controllo. Come a dire: le «considerazioni finali» non possono essere
luogo della difesa dell'attività dell'istituto. Pur non mancando di sottolineare con nettezza i rilievi fatti
all'Europa su come andavano configurandosi (male) le misure per i salvataggi bancari.
È in quel discorso di aprile ai senatori che puntigliosamente sono stati esaminati i casi passati del Monte
Paschi, della Carige, più attuali delle quattro banche finite in risoluzione, della Popolare Vicentina, Veneto
banca. L'azione di concerto con la magistratura. La definizione dei poteri che ha la Banca d'Italia, e di quelli
che non ha (a iniziare da quelli di polizia). Quei passaggi che nelle «considerazioni finali» sono stati
brevemente ricordati nel capitolo intitolato non a caso «gli ultimi difficili anni» .
B en altro peso viene dato alle preoccupazioni per l'economia italiana tra «ripresa e fragilità». Traspaiono
dalle parole del governatore della Banca d'Italia alcune delle riflessioni del suo libro «Perché i tempi stanno
cambiando», sull'incrocio perverso tra crisi finanziarie, dei debiti sovrani e delle conseguenze della rapida
innovazione tecnologica. Soprattutto sulla globalizzazione sicuramente motore della crescita mondiale
nell'ultimo paio di decenni. Ma che rende l'«economia dell'area euro esposta ai rischi provenienti dal
contesto globale» che si chiamano incertezza su Cina e Paesi emergenti. Ai quali aggiungere la fonte di
instabilità dovuta al referendum inglese sulla permanenza o meno in Europa.
Non è mancato nelle parole del governatore il sostegno all'argine rappresentato da Mario Draghi e dalla
Bce della quale la Banca d'Italia è parte attiva con misure senza le quali la crescita nell'area euro «sarebbe
stata di mezzo punto inferiore» tra il 2015 e il 2017. E addirittura: «Per l'Italia gli effetti stimati sono ancora
più pronunciati». Quell'Italia che esce dalla recessione in maniera «lenta ed esitante».
Le misure del governo sono state gradite in Via Nazionale. Le riforme sono quelle spesso citate da Palazzo
Chigi, dal Jobs act alla Pubblica amministrazione. Ma «i chiari segnali positivi» sull'economia «soprattutto
per la domanda interna» non possono far dimenticare che siamo ben lontani dai livelli precedenti la crisi. Le
risposte? Devono venire da maggiori investimenti anche pubblici; dalla spinta alla legge per la concorrenza
(attende dal 2015); dalla riduzione del cuneo fiscale; dal «sostegno al reddito dei meno abbienti»; dalle
agevolazioni per rendere le dimensioni delle aziende più adeguate a sostenere i momenti difficili.
Un pacchetto di misure per la crescita per evitare che quei piccoli segnali di miglioramento sul fronte della
disoccupazione si disperdano. E per fare sì che all'avviato «stretto controllo» sui conti pubblici si possa
giustapporre una seria azione di riduzione del debito. La palla non sta solo nel campo del governo o delle
imprese.
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 01/06/2016 - 01/06/2016
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Sviluppo & ricette
01/06/2016
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 01/06/2016 - 01/06/2016
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Le banche, da infrastrutture finanziarie essenziali per lo sviluppo, pur in presenza di crediti deteriorati (da
non sopravvalutare, tiene a precisare Visco), devono prepararsi a una stagione di aggregazioni e profonde
ristrutturazioni che potranno significare riduzioni dei costi anche del personale e del numero degli sportelli.
Ed è qui che Visco non vuole dimenticare come l'azione dell'Europa sia stata a dir poco incerta.
All'impegno necessario per far rispettare le regole e a limitare l'azione dei singoli Stati per evitare
violazioni, e quindi la cessione di pezzi di sovranità nazionale, non sono stati af-fiancati strumenti di
condivisione. È accaduto per i salvataggi bancari ma anche sul fronte dei conti pubblici nazionali senza
l'istituzione di strumenti di debito condiviso. È quella Europa che sognava Altiero Spinelli, scomparso 30
anni fa, che «spezzi decisamente le autarchie economiche». E con il ricordo del quale Visco chiude la sua
relazione. Prima dell'inusuale gesto .
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Solidarietà per sei mesi poi cassa integrazione. La mediazione del ministro Calenda
F. Sav.
Racconta Riccardo Saccone, di Slc Cgil, che la svolta è avvenuta in tarda serata, dopo 17 ore di trattative.
Carlo Calenda, neo-ministro dello Sviluppo, ha convocato nella sua stanza l'amministratore delegato di
Almaviva Contact, Andrea Antonelli. Quando il manager è uscito la "quadra" era stata trovata. Proprio al
fotofinish. Dopo mesi di rilanci e stop inattesi. Proprio allo scadere del periodo di solidarietà. Poco prima
che partissero 3mila lettere di mobilità. Per altrettante persone tra Palermo, Roma e Napoli. Nel verbale di
accordo, controfirmato dalle parti sociali, è messo nero su bianco il rinnovo della "solidarietà" per ulteriori
sei mesi a partire da oggi, con percentuali (in termini di riduzione di orario lavorativo) che variano dal 45%
nelle sedi di Roma e Palermo al 35% di Napoli. Certo molti di questi contratti sono part-time e quindi
l'erosione reddituale è importante perché incide su una base economica già piuttosto bassa. Ecco perché la
riduzione dell'orario sarà sottoposta a continua revisione (ogni 15 giorni) e dovrà prevedere interventi di
formazione per tutta la forza lavoro con l'ausilio dei finanziamenti delle regioni Lazio, Campania e Sicilia. Al
termine del periodo di solidarietà (il prossimo 31 dicembre) le parti hanno concordato di gestire eventuali
esuberi con il ricorso alla cassa integrazione straordinaria in deroga per ulteriori dodici mesi, ma Almaviva
s'impegnerà ad incrementare i volumi di lavoro sino al raggiungimento del 20% della riduzione oraria.
L'accordo quindi è su un periodo di un anno mezzo, anche se è previsto un ulteriore periodo di 18 mesi che
potrebbe servire come cuscinetto attingendo alle risorse del Fis, il fondo integrazione salariale dell'Inps
previsto dalla riforma Fornero. Si vedrà
Da registrare il commento del presidente del Consiglio, Matteo Renzi, che si è congratulato con il
viceministro dello Sviluppo, Teresa Bellanova, per le energie spese in questa vertenza: «La vicenda
Almaviva - ha scritto il premier su Facebook - è figlia delle inadempienze clamorose della classe politica del
passato». Unanime la lettura da parte dei sindacati. L'attenzione è anche sull'accordo, firmato sempre ieri
dalle associazioni datoriali di settore e i confederali, che prevede l'adozione nel contratto collettivo della
clausola sociale contenuta nel codice degli appalti. Mancava l'ultima approvazione delle parti sociali
affinché, anche nei call center, le aziende subentranti nei bandi di gara s'impegnassero a riassumere il
personale in eccesso delle società perdenti. Una clausola realtà da tempo in altri settori, ad esempio nelle
autostrade, dove gli operatori della ristorazione devono ottemperarla. Susanna Camusso, segretario
generale Cgil, parla di necessità di «introdurre delle normali regole di attività in un settore in cui si è
praticata sia la delocalizzazione, sia il dumping». Annamaria Furlan, segretario generale Cisl, pone
l'attenzione sul prossimo tavolo di settore convocato per il 17 giugno. In filigrana è da registrare soprattutto
l'impegno di Almaviva. L'azienda ha scommesso sul suo rilancio, nonostante non vinca commesse da un
po'. Una sfida per il management e per la proprietà Tripi.
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I costi di settore Il conto per lo Stato 2012 2013 2014 Dipendenti in Cig Assunti con Lg. 407/90 e FSE
Mobilità Fonte: Ufficio studi Cgil e Assocontact d'Arco 80 mila Da 200 a 2 mila I lavoratori dei call center 45
mila in in-bound (la gran parte a tempo indeterminato) 35 mila in out-bound con contratto di collaborazione
le aziende, a seconda del codice Ateco 4 mila Gli addetti a rischio esubero Commesse PERSE - 5.000
dipendenti Commesse VINTE + 5.000 dipendenti Passaggio delle commesse da Azienda 1 ad Azienda 2
I termini
L'accordo prevede
un nuovo contratto di solidarietà di sei mesi, con percentuali del 45% nelle sedi di Palermo e Roma e del
35% a Napoli. Ammortizzato-ri sociali per 18 mesi e verifica mensile della situazione produttiva ed
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 01/06/2016 - 01/06/2016
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Call center, accordo per Almaviva L'azienda ritira i tremila licenziamenti
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 01/06/2016 - 01/06/2016
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occupazionale dell'azienda
Foto: Carlo Calenda, 43 anni, neoministro dello Sviluppo economico. Era stato nominato da Renzi
rappresentante permanente dell'Italia alla Ue
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Bellanova: basta con le gare al massimo ribasso Così cambierà l'orario
Il viceministro: la lente sui committenti
Fabio Savelli
«Ho visto sfilare sotto i miei uffici persone disperate che vivono con poche centinaia di euro al mese. Con
figli a carico e un futuro incerto. Non potevamo non farcene carico. Al di fuori di ogni ideologia la politica
serve a dare risposte reali».
Teresa Bellanova, 57 anni, è viceministro dello Sviluppo. Proviene dal dicastero del Lavoro, dove ricopriva
la carica di sottosegretario. Ha cominciato ventenne come sindacalista nel settore dei braccianti,
combattendo contro la piaga del caporalato nella sua Puglia. Ha recitato una parte fondamentale nella
ricomposizione della vertenza Almaviva.
Ha pensato che 3 mila persone potessero perdere il lavoro?
«Dal primo momento ho invitato tutti a non confondere il tavolo di trattativa con l'azienda con quello di
settore. I malintesi, le preoccupazioni sono nati lì. Ma sono sempre stata fiduciosa che potessimo trovare
un'intesa che potesse salvaguardare i posti di lavoro».
Sorpresa da quel referendum in azienda con il quale i lavoratori bocciarono sonoramente il piano che
prevedeva tre anni di sussidi?
«Parzialmente. Mi è parso subito chiaro che l'elemento centrale fosse la dignità di queste persone che non
chiedevano forme di sostegno al reddito ma di continuare a lavorare. Sono in gran parte giovani, in città
socialmente complicate in termini occupazionali come Napoli e Palermo».
Ammetterà che, al netto della soddisfazione contingente, i nodi di settore restano, come quelli che
riguardano Almaviva
«L'azienda ha dato ampia disponibilità a venire incontro alle nostre richieste. Dopo una forzatura iniziale,
con l'ipotesi della mobilità per 3 mila dipendenti, il confronto con i vertici di Almaviva è stato sempre molto
aperto e costruttivo. Pur con una perdita di commesse molto rilevante».
L'azienda non vince gare da un po', ora ha deciso di intraprendere una «sfida» per dirla con le parole del
management. Ci riuscirà?
«Si sono impegnati a ridurre al 20% il monte orario in eccesso entro 18 mesi, con lo strumento
compensativo della cassa integrazione straordinaria in deroga. La aiuteremo in questo percorso, d'altronde
nel verbale d'accordo è scritto chiaro e tondo che sono previste verifiche mensili per non lasciare soli
azienda e lavoratori».
Delocalizzazioni e gare al massimo ribasso, come impedirle per evitare altre Almaviva?
«Abbiamo riconvocato il tavolo di settore dopo una vacatio di 15 mesi. Ieri, le assicuro, è arrivata un'altra
importante vittoria. Le parti sociali hanno firmato un accordo che serve a normare anche nel settore dei call
center la clausola sociale, già inserita nel codice degli appalti. Le aziende subentranti nei bandi di gara
s'impegneranno a riassumere il personale in eccesso. Da ora in poi si cambia registro».
C'è un articolo, il 24 bis, di un decreto del 2012, sostanzialmente inattuato. Dà la facoltà al cliente di farsi
rispondere a un operatore basato in Italia. Come renderlo realtà?
«È una questione complessa. Ma cresceranno i controlli per chi delocalizza all'estero. Deve comunicarlo
120 giorni prima. Chi ometterà di comunicarlo verrà sanzionato con 10 mila euro per ogni inadempienza.
L'ispettorato del lavoro intensificherà le verifiche».
Converrebbe anche una moral suasion governativa sui committenti, spesso a controllo pubblico, per
impedire gare al massimo ribasso.
«Sta avvenendo. I contatti sono frequenti. Anche con colossi come Enel e Poste».
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 01/06/2016 - 01/06/2016
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L'intervista
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La vicenda
Il settore
dei call center vive da tempo sotto tensione per le continue richieste di ammortizzatori sociali a causa delle
perdite
di commesse da parte di alcune società Gare al massimo ribasso e delocalizzazio-ni: sono circa
4 mila
gli addetti a rischio esubero
Foto: Teresa Bellanova, 57 anni, pugliese, viceministro allo Sviluppo economico dal gennaio 2016. In
precedenza, è stata sottosegretario al Lavoro, sempre nel governo Renzi. Sindacalista,
è deputato
dal 2006
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BOCCIA: REGOLE UGUALI PER TUTTI
L'acciaio resiste alla Cina Attese positive per il 2016
Matteo Meneghello
L'acciaio resiste alla Cina Attese positive per il 2016 pagina 17 pL'acciaio italiano contiene, razionalizza ma
prova anche a reagire, nonostante la crisi e il dumping cinese. Nonostante, soprattutto, ferite aperte come
quelle dell'Ilva, cuore manifatturiero del paese, ancora ad un bivio. Un bilancio per certi aspetti
moderatamente positivo, quello emerso nell'assemblea di Federacciai, che ha confermato Antonio Gozzi
alla guida per altri 2 anni. Nei primi 4 mesi l'output italiano (7,9 milioni di tonnellate) cresce del 4,4% sul
2015. «Il 2016 - ha detto -, sta dando segnali discordanti: il sentiment resta prudente, ma la congiuntura non
è negativa e a fine anno è possibile prevedere un incremento di qualche decimale». I nodi da sciogliere
sono numerosi e intricati, a partire dal destino di Ilva.«Mai più un altro caso del genere - ha detto ieri il
presidente di Confindustria Vincenzo Boccia -: speriamo che la situazione, ferita ancora aperta, si risolva
velocemente. L'acciaio è un asset fondamentale per la manifattura italiana». Altra questione sul tavolo è la
concessione del Mes alla Cina. «Il tema è banale nella sua semplicità- ha detto Antonio Gozzi -: è un grande
paese» e, come tale, «deve rispettare le regole del commercio internazionale». L'Ue, nel giudizio di Gozzi,
ha reagito al dumping cinese «con lentezza. Solo a fine 2015 si sono decise alcune misure di prote- zione,
non ancora attuate oggi». Gli industriali attendono per settembre i dazi per i coils a caldo. Nel frattempo,
però, anchea causa dell'aumento della domanda interna e in concomitanza con la frenata di Ilva, nel 2015
l'import italianoè cresciuto del 23%.E ora si teme anche per i flussi di Russia, Bielorussia, Ucraina, Iran,
Serbia, sui quali Eurofer ha chiesto un'indagine (anche se Gozzi è prudente: «Sono competitor più corretti»
rispetto ai cinesi). Il rischio è chiudersi in un fortino. Alla siderurgia serve invece, secondo Gozzi, una
visione: oltre alla consapevolezza della centralità dell'acciaio e agli strumenti di difesa commerciale, serve
anche innovazione per creare un futuro di sostenibilità. Sul piano energetico, Federacciai si è impegnata in
un progetto per creare un'interconnessione con la Francia: 400 milioni di investimento, i cantieri saranno
avviati nel 2017. «La sovracapacità - ha detto Gozzi - non è un problema solo cinese -: serve un governo
intelligente delle capacità produttive, e supporti sociali per accompagnare le ristrutturazioni». L'Italia ha
dato suo malgrado in questi mesi un contributo su questo piano (con Ilva, Piombino, Stefana e qualche
realtà minore), guidato però da un «brutale spontaneismo di mercato», che rischia di essere il tema
dominante anche in futuro, se non saranno messi in atto «interventi profondi e accordi non più
procrastinabili». Per quanto riguarda Ilva, per Gozzi «è stato un errore mandare via i Riva e sostituirli con
commissari». Giudizio positivo, invece, sulla «decisione del Governo di ricorrere rapidamente al mercato»e
sull'iniziativa di Leonardo Del Vecchio, interessato al bando «solo per orgoglio. Se in Italia ci fossero altri
imprenditori così, avremmo meno problemi e più attività». Temi, quelli proposti da Antonio Gozzi, condivisi
dall'ex commissario Ue Antonio Tajani («senza una politica industriale l'Europa rischia di andare in
frantumi», dal sottosegretario allo Sviluppo Ivan Scalfarotto («i fenomeni che oggi osserviamo nella
siderurgia rischiano di essere gli stessi che vedremo in futuro nel resto della manifattura»), ma soprattutto
dal presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia, che ha puntato il dito contro la «concorrenza» ambientale
(sia della Cina che per effetto del «carbon leakage»). «Oggi- ha detto- affrontiamo per l'acciaio un tema di
sovracapacità che riguarda la Cina, ma che investe tutta l'Europa, e per questo bisogna creare assetti
adeguati a queste sfide». Il rapporto con l'Europa è un aspetto sensibile nella gestione del dossier Ilva. Per
il presidente, gli imprenditori italiani sono «pronti ad affrontare il problema, ma i rischi regolatori esulano dal
nostro controllo. Bisogna superare il quadro di incertezza», in riferimento in particolare all'indagine aperta a
Bruxelles per sospetti aiuti di stato, nonchè nel rapporto tra economia e giustizia. Su questo aspetto Boccia
ha sottolineato «l'incapacità di far coesistere la tutela dei diritti con tempi e ragioni dell'economia. È
fondamentale che il sistema giudiziario cali nel contesto dell'economia le conseguenze delle proprie
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decisioni». Boccia ha poi messo in guardia dalle conseguenze derivanti dalla «conflittualità tra diversi livelli
di governo: serve ha affermato- una riforma del Titolo V della Costituzione ».
I trend della siderurgia italiana
22.018
25.750 838 679 27500 22500 2015 2016 2015 2016 2015 2016 2015 2016 30000 25000 20000 Import
Export Import Export 2010 3.201 3.525 2.512 2.599 1.612 1.906 +10,1% +3,5% +18,2% -19,0% 2010 2011
2012 2013 2014 2015 2016 +11,0% -3,9% -11,6% -4,2% -9,9% +14,5% 2.242 2.489 2.392 2.027 2.115
1.826 2.090 +50,6%
Fonte: Federacciai 28.735 27.251 24.091 23.715 Dati in migliaia di tonnellate LA PRODUZIONE ANNUA
LA PRODUZIONE AD APRILE Dati in migliaia di tonnellate INTERSCAMBIO CON I PAESI EXTRA UE Dati
in migliaia di tonnellate LA PRODUZIONE A GENNAIO-FEBBRAIO 2011 2012 2013 2014 2015
Foto: LAPRESSE Confermato. Antonio Gozzi
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Guido Gentili
Europa incompiuta e vulnerabile, stabilità dell'Eurozona garantita dalla Bce, Italia tra ripresa e fragilità,
sistema bancario al bivio. Con questo sfondo, la relazione di Ignazio Visco non poteva che essere
improntata alla requisitoria e alla prudenza insieme. Tra cose dette e non dette. Continua u pagina 26 u
Continua da pagina 1 All'Europa (e sottotraccia alla Germania) Visco dedica l'analisi più dura. Il processo di
costruzione anna- spa in acque agitate, i fatti non seguono le promesse, a partire dal bilancio per
l'eurozona, l'emissione del debito comune, gli strumenti sovranazionali di pronto soccorso. Si rischia il
collasso: i governi nazionali e le istituzioni europee possono non essere «in grado di reagire
adeguatamente a shock di ampia portata» e possono avere difficoltà anche nel contrasto di «tensioni
circoscritte». Nel caso del sistema bancario è stata annullata la possibilità di utilizzare risorse pubbliche,
nazionali o comuni, per prevenire e gestire le crisi. Non bastasse, la Commissione, sul fronte degli aiuti di
Stato, «esclude l'utilizzo degli schemi di assicurazione dei depositi sebbene siano di natura privata».
L'Italia, sul punto, è rimasta però sola, e per di più nell'imbuto di un'unione bancaria zoppa. Insisterà, certo,
per far valere le sue ragioni, ma - stando alle parole e ai toni usati dal Governatore- non c'è da essere
ottimisti e prima di tutto dobbiamo pensare a come cavarcela da soli nelle condizioni date. Sulla vigilanza
della Banca centrale sugli istituti di credito sprofondati in crisi, uno dei punti più attesi, nessuna autocritica o
spunto di novità: Visco ha rimandato a quanto già detto, soprattutto in Parlamento. Tra le condizioni date
per il Paese ci sono l'estrema incertezza del quadro internazionale e i rischi geopolitici che contribuiscono a
punteggiare di incognite il cammino dell'economia verso una ripresa più forte e stabile. Ripresa «da
consolidare», dice Visco. In che modo? Il riavvio dell'accumulazione di capitale è un dato di partenza
importante, il rilancio degli investimenti può innestare un circolo virtuoso, compresa la valorizzazione della
straordinaria ricchezza naturale e artistica di cui l'Italia dispone. Tema che dopo essere stato sollevato dal
neo presidente degli industriali, Vincenzo Boccia, approda nell'assemblea di Bankitalia dimostrandosi un
terreno fertile di confronto. E di condivisione, tenuto anche conto che Visco vede nella presenza di molte
imprese sui mercati internazionali le «potenzialità per l'Italia di colmare il ritardo di crescita dell'ultimo
ventennio». Di qui il pas- so è breve e dichiarato: rimuovere tutti gli ostacoli all'attività d'impresa, dai
fenomeni dell'illegalità alle inefficienze della Pa e della giustizia civile, dalle limitazioni alla concorrenza (a
proposito: il Governatore chiede l'approvazione rapida della legge annuale) allo sblocco di maggiori
incentivi per gli investimenti nell'innovazione. E le riforme? Sul terreno in definitiva più sensibile, quello del
giudizio sul Governo, Visco osserva che «i risultati ottenuti sul mercato del lavoro, la diminuzione degli
arretrati nella giustizia civile sono esempi che segnalano come le riforme intraprese possono essere efficaci
anche se i loro effetti si esplicano soprattutto nel medio periodo». Così come la riforma della Pa è «un
passo importante», e che alla ripresa della domanda di lavoro «hanno influito la nuova disciplina dei
rapporti di lavoro e, in misura ad oggi più ampia, gli sgravi contributivi». Parole chiare - ad ascoltarlo con
attenzione c'è anche il nuovo procuratore di Milano, Francesco Greco - anche sulla «legalità condizione
cruciale per lo sviluppo»e sulla necessità «di contrasto all'evasione fiscale». Ma nessun richiamo al tema
delle riforme istituzionali volute da Renzi che saranno oggetto del referendum costituzionale in ottobre:
evidentemente un silenzio voluto - pure su una problematica che fa parte storicamente dell'analisi
pro-riforme della Banca d'Italia - alla vigilia di importanti elezioni comunali e per sottrarre comunque la
Banca centrale alle polemiche politiche. Niente richiami diretti per una più vigorosa spending review,
nessuna requisitoria generale sul livello della pressione fiscale né allarmi particolari per un debito pubblico
al 133% visto come «portato della crisi» e come frutto, soprattutto, del cattivo andamento del Pil. Resta
quella ripresa «da consolidare» con «investimenti pubblici mirati, anche in infrastrutture immateriali» e sono
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IL DETTO E IL NON DETTO
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«importanti un'ulteriore riduzione del cuneo fiscale gravante sul lavoro, il rafforzamento di incentivi per
l'innovazione, il sostegno dei meno abbienti». E se i margini di bilancio sono limitati? «È possibile
programmarne l'attuazione su un orizzonte temporale più ampio», dice Visco. Sono le prime indicazioni di
rotta verso la Legge di stabilità per il 2017, e la partita è appena cominciata.
Foto: @guidogentili1
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La lode (inaspettata) alle imprese e il nuovo esame per le banche
Roberto Napoletano
La sorpresa più significativa riguarda l'esplicito riconoscimento alla vitalità di pezzi rilevanti del made in
Italy. Sono più di quanto si pensi le imprese che innovano e investono in tecnologia, manifatturiere e di
servizi, e la riprova viene dalla crescita delle esportazioni in una misura superiore a quella della domanda
potenziale, proveniente dai mercati di sbocco. Parola di Ignazio Visco. Per chi ricorda le arcigne e ripetute
reprimende della Banca d'Italia a un sistema imprenditoriale strutturalmente chiuso, con forti tentazioni
corporative, forse, è la presa d'atto che non sempre le statistiche colgono l'essenza delle cose. Per un
giornale come Il Sole 24 Ore che ha promosso il "Viaggio nell'Italia che innova" con lo scopo manifesto di
sfatare il luogo comune che le imprese italiane non fanno innovazione, è una piccola-grande soddisfazione.
Il sistema di medie imprese italiane, poco meno di 400 aziende tra 0,5 e 10 miliardi di fatturato, una rete
imponente di micro-imprese che ruota intorno ai player energetici, di telecomunicazioni e trasporti, alle
multinazionali tascabili e alle filiere-chiave di quell'unicum fatto di meccanica di precisione e strumentale,
farmaceuticochimico e martoriato acciaio, arredo-moda, agro-alimentare e molto altro, investono, eccome se
investono, in innovazione. Magari non risulta perché non c'è un vero credito d'imposta che incentivi la
comunicazione puntuale della spesa in ricerca e quella stessa spesa finisce per essere indicata in bilancio
tra i costi generali, ma la sostanza per la parte più sana di questo sistema è che non ha mai smesso di fare
innovazione. Altrimenti non si spiegherebbero i primati globali in termini di esportazioni e di brevetti. Il punto
dirimente, e qui la sintonia tra la relazione del governatore della Banca d'Italia Visco e quella del presidente
di Confindustria, Vincenzo Boccia, di giovedì scorso appare totale, è fare in modo che le piccole imprese
crescano dimensionalmente, escano dal "monopolio bancario" del credito per entrare nel mercato dei
capitali, acquisiscano la soglia necessaria perché la rete tra medio-grandi e piccole valorizzi nel mondo il
capitale comune di innovazione. Nella consapevolezza che questo unicum manifatturiero e di servizi è il
capitale più importante che il Paese ha e costituisce l'unica speranza per rendere concreta la prospettiva,
ancora complicata, di tornare a dare occasioni qualificate di occupazione ai nostri giovani. Il futuro, checché
se ne dica, passa da qui. Cogliere le opportunità offerte dalla politica monetaria, per aumentare la qualità
delle riforme strutturali italiane, favorire il recupero di produttività, creare maggiori e migliori opportunità di
lavoro. Uscire dallo "sguardo limitato" e rompere le "autarchie economiche" in Europa. Si deve, e si può
fare di più. In casa e fuori. Questo è il secondo, duplice messaggio, della relazione che si rivolge alla classe
dirigente italiana e, ancora con maggiore forza, a quella europea. Vale qui ciò che abbiamo detto appena
qualche giorno fa. Dobbiamo recuperare la capacità, tutti ma proprio tutti, di fare le cose difficili. Continua u
pagina 3 Non è vero che non è stato fatto niente in casa, il punto è che non è sufficiente perché si deve
percepire, alla prova dei fatti, che la pubblica amministrazione è cambiata, che i tempi già ridotti della
giustizia civile raggiungano gli standard minimi necessari per competere alla pari in un'arena globale
sempre più agguerrita, bisogna rendere sistemica la riduzione dei prelievi fiscali e contributivi incidendo in
modo oculato, efficace, sulle aree di spesa pubblica improduttiva, occorre aprire i mercati con regole certe
e trasparenti e assicurarsi che ci sia chi queste regole le faccia rispettare. Così come aveva sostenuto il
presidente della Confindustria Boccia (editore di questo giornale) nella sua assemblea di insediamento, il
governatore Visco ha posto il tema cruciale della produttività. Non può sfuggire a nessuno che su questo
dato incide la capacità di legare i salari sempre più a criteri effettivamente meritocratici e, allo stesso tempo,
di abbassare il peso dei fardelli fiscali e contributivi proprio per riuscire a dare più lavoro e più salario. Un
contributo determinante, però, per migliorare la produttività, può, anzi deve, arrivare da un "ambiente" che
torni ad essere competitivo: recuperare, cioè, un'apprezzabile quantità e qualità di investimenti, estirpando
la mala pianta della corruzione e della illegalità e incidendo sui gangli vitali della pubblica amministrazione e
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CASO ITALIA E "AUTARCHIE" EUROPEE
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della giustizia, incentivare fiscalmente la ricerca e investire nelle università, anche qui dentro un quadro
sistemico. Fare in casa le cose difficili ci legittima a chiedere e ottenere dall'Europa che faccia l'Europa per
davvero e onori gli impegni già assunti e dimenticati sotto la spinta di evidenti egoismi nazionali. Che cosa
impedisce di varare la garanzia unica sui depositi che è l'altra gamba di quella Unione bancaria che, più di
tutto il resto, si è voluta, bail in compreso? Quanta miopia c'è nella ostinazione con la quale si continua a
non voler mettere insieme i debiti pubblici nazionali e a far partire in contemporanea un piano europeo di
investimenti che torni a dare slancio all'economia, recuperi le ragioni fondanti di solidarietà, e restituisca un
futuro di benessere e di prosperità alla vecchia, cara Europa e, soprattutto, le permetta di tornare a parlare
ai suoi giovani? Quanta poca lungimiranza c'è in chi ostacola il disegno di un'Europa federale che metta in
comune difesa e politiche di bilancio e, soprattutto, recuperi un cuore e un'anima attraverso una politica
economica espansiva finalmente europea e finalmente coerente con l'azione monetaria della Bce? Nel
riferimento esplicito del Governatore al Manifesto di Ventotene e ad Altiero Spinelli si sono sentite la
passione e la cifra morale dei Fondatori, penso a De Gasperi, Adenauer, Schuman, e si colgono la
consapevolezza e l'urgenza di tornare a fare sognare i cittadini europei, soprattutto quelli del Sud, usciti
stremati da una crisi prima finanziaria e poi dei debiti sovrani più lunga e pesante di quella degli anni
Trenta. * * * Sulla questione banche e sui recenti scandali, come ovvio, Bankitalia ha difeso il suo operato e
ha rivendicato puntigliosamente la soluzione delle crisi di 125 intermediari di cui 56 negli ultimi sette anni e,
soprattutto, ha chiarito che, salvo limitate eccezioni, le notizie in possesso della banca d'Italia in materia di
vigilanza sono coperte dal segreto d'ufficio (traduco: arrivano nei casi più gravi in Procura non all'opinione
pubblica) anche per evitare «effetti destabilizzanti con gravi danni per la collettività». Soprattutto sulle
quattro banche poste in risoluzione (Etruria, Banca Marche, CariFerrara, CariChieti) per le quali il
governatore ha fatto esplicito riferimento alla testimonianza resa in Senato ci si poteva, forse, attendere
qualcosa di più se non altro per evitare che si perpetuino dubbi e sospetti. C'è, però, un passaggio della
relazione sulle quattro banche che merita di essere segnalato: «Rappresentavano complessivamente l'1%
delle attività di sistema: le ripercussioni del loro dissesto confermano come anche nel caso di intermediari
di piccola dimensione, la perdita di fiducia da parte del pubblico possa propagarsi velocemente e rischiare
di generare effetti sistemici permanenti». Se tanto mi dà tanto, è facile comprendere quanto sia importante
che arrivino in porto gli aumenti di capitale in corso e che il Fondo Atlante svolga il suo ruolo con tutte le
risorse necessarie. Nella crisi bancaria italiana c'è il conto della recessione che ha falcidiato un quarto della
produzione industriale e ha fatto svanire dieci punti di pil ma a tutto ciò «in non pochi casi» si sono sommati
«comportamenti imprudenti e a volte fraudolenti» da parte di amministratori e dirigenti. Anche questo
giudizio, molto duro, del Governatore ci convince sempre di più che, per chi ha sbagliato, e questo giornale
lo ha denunciato in tempi non sospetti, occorre la durezza di pene esemplari, proprio perché errori e ruberie
di singoli non arrivino a compromettere la fiducia su un sistema complessivamente sano che si deve
preparare a un cambio di mentalità. Non spaventa più di tanto la gestione delle sofferenze perché ci sono
garanzie reali importanti e si stanno affinando gli strumenti operativi, ma soprattutto perché siamo a un
punto di svolta, insomma, non aumentano più. Quello che, però, serve sono intermediari finanziari con una
testa nuova (intanto più fusioni) che sappiano tornare a fare utili anche con i tassi a zero e sappiano aiutare
le imprese italiane a superare l'esame dimensionale per i più piccoli e gli altri a riunirsi e a riorganizzarsi su
scala globale intorno ai primati e alle eccellenze che ci sono. A ben pensarci, non sappiamo se il nuovo
esame per le banche italiane sia più o meno impegnativo di quello con cui hanno dovuto fare i conti negli
anni della grande crisi.
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Se l'Europa «punisce» i giornali
Carlo De Benedetti
Sono buoni, finanche ottimi i propositi che motivano l'aggiornamento dell'AVMSD, la direttiva che regola il
settore audiovisivo europeo: creare un ecosistema equo per tutti gli operatori, promuovere i film prodotti
nella Ue, proteggere i bambini, contrastare l'uso dei media per propagandare idee imbastite di odio di
genere, xenofobo e quant'altro. Continua u pagina 26 u Continua da pagina 1 La prima versione della
direttiva è del 1989, l'ultima del 2010. Nel frattempo la realtà tecnologica, economica e sociale dell'Unione è
profondamente mutata, dunque Andrus Ansip e Gunther Oettinger con l'intera Commissione devono
adeguare gli strumenti di analisi e intervento ai quali ciascun paese si conformerà. La proposta legislativa di
modifica dell'Audiovisual Media Services Directive (che nasce nell'ambito del Single Digital Market, forse
l'impresa più rilevante lanciata da Claude Juncker) è stata adottata il 25 maggio al termine di una laboriosa
consultazione pubblica che ha coinvolto gli stakeholder dei 28 paesi membri dell'Unione. La Commissione
non può che agire così: individua un tema, raccoglie le opinioni e le proposte, definisce un testo che
soddisfi gli interessi della maggioranza dei popoli e dei governi. Metodo corretto ma talvolta fallace: è
accaduto che un paese con formidabili diversità biologiche e alimentari come l'Italia si sia visto imporre
regole perfette in remote regioni dove i prodotti agricoli si contano sulle dita di due mani. Il pericolo è lo
stesso nel caso della "nuova" Avmsd, con effetti - lo dico subito potenzialmente disastrosi per l'industria
dell'informazione e il pluralismo. Mi riferisco al passaggio dell'aggiornamento della direttiva che si concentra
sull'«affollamento pubblicitario», come viene definita dai tecnici la quota di spot trasmessi in un determinato
periodo di tempo. La Commissione parte bene quando osserva che oggi «il telespettatore infastidito da un
numero eccessivo di pubblicità può passare alle offerte online senza pubblicità. Questa opportunità non
esisteva un decennio fa». Il rimedio individuato è tuttavia contradditorio: «La direttiva riveduta consente alle
emittenti televisive una maggiore flessibilità su quando gli annunci possono essere visualizzati. Il limite del
20% totale viene mantenuto nella fascia oraria dalle 7 del mattino alle 23 ma, invece degli attuali 12 minuti
massimi all'ora, le emittenti possono scegliere più liberamente i momenti in cui mostrare gli spot nel corso
della giornata». L'evidente obiettivo della misura è dirottare alle tv flussi di investimenti che vanno agli
operatori Internet, soprattutto a Google e Facebook. Per riuscirci, si inzeppano di spot i programmi con gli
spot più cari. Così ciascun telespettatore sarà meglio monetizzato dalle emittenti ma si penalizzerà la sua
esperienza; gli capiterà di rado di godersi in pace, tutto di filato, un film o un talk show. La conseguenza più
grave sta però altrove: l'editoria quotidiana e periodica di molti paesi sarà danneggiata dalla direttiva, se
confermata. Lo dicono i numeri. Se la Commissione ha preso spunto dalla situazione tedesca, sappia che lì
c'è l'eccezione: in Germania ai giornali finisce il 32 per cento degli investimenti (in continuo calo), alla rete il
31 (in crescita), alla tv il 26 (in calo), alla radio il 5. In Italia, invece, Mediaset, Rai, Sky, La7, Discovery e gli
altri si prendono la metà di ogni euro messo a disposizione dagli inserzionisti, contro i 26 centesimi che
vanno a Internet, i miseri 18 ai giornali e i 5 alla radio. Nei fatti, la proposta legislativa dell'Avmsd
garantirebbe un ulteriore vantaggio competitivo solo al mezzo dominante nel nostro paese: con qualche
approssimazione, le reti tv si spartirebbero altri 250 milioni di euro l'anno. A scapito degli altri mezzi. Un
colpo mortale per i giornalisti e gli editori della carta stampata, costretti da anni a sacrifici e politiche di
risparmi che, oltre un certo limite, rischiano di impoverire il prodotto e congelare ogni innovazione. Il 2016 è
il nono anno consecutivo senza segnali di inversione di tendenza. In Italia i giornali vendono meno copie, i
prezzi della pubblicità sulla carta scendono: dal 2007 siamo passati da 4,4 a 2,4 milioni di copie medie
giornaliere, da una raccolta pubblicitaria pari a 1,7 miliardi di euro a una sotto i 700 milioni. Così si rischia di
togliere acqua al mulino della democrazia dove e quando ce n'è più bisogno. Mi chiedo: perché l'Europa,
pur di rispondere positivamente alle richieste dei membri più ricchi e influenti, va progressivamente
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LA DIRETTIVA EUROPEA SUL SETTORE AUDIOVISIVO
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disinteressandosi delle buone ragioni degli altri?
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«Sulla crescita si può e si deve fare di più»
La lenta uscita dalla crisi Segnali positivi per domanda interna, lavoro e investimenti delle imprese
Incertezza su domanda estera e «deludenti» valutazioni su potenziale di crescita Visco: ora tagli al cuneo
fiscale e più investimenti - Vigilanza: in sette anni 56 commissariamenti, ma anomalie non sempre agevoli
da individuare LE ISPEZIONI «Aperti alle critiche costruttive, impegnatia dare conto del nostro operato ma
siamo tenuti al segreto d'ufficioe trasferiamo gli atti alle Procure»
Rossella Bocciarelli
PL'Italia sta uscendo lentamente da un lungo periodo di crisi; la ripresaè ancora da consolidareei partner ci
assegnano ancora valutazioni deludenti per il potenziale di crescita. Si puòe si deve fare di più, dice il
governatore della Banca d'Italia. Nelle sue quinte considerazioni annuali, Ignazio Visco racconta le buonee
le cattive notizie per l'economia italiana, per il sistema finanziario, per la costruzione dell'Europa, che deve
misurarsi con scelte rapide e ineludibili, se vi si crede davvero.E in tutti questi campi spiega cheè possibilee
doveroso migliorare. Per l'economia italiana, le good news stanno nei segnali positivi per la domanda
interna, perché il miglioramento del mercato del lavoro e le misure di sostegno varate dal governo «si
stanno riflettendo favorevolmente sui consumi». Secondo Bankitalia circa il 40% della crescita dei consumi
è attribuibile ai bonus fiscali e un ruolo positivo è stato svolto per l'occupazione da incentivi fiscalie Jobs
act. Non basta. La ripresa si sta diffondendo, gli investi- menti ripartono anche tra le imprese più orientate al
mercato interno, la contrazione del credito si sta fermando, anche per effetto di una politica monetaria
ultra-accomodante, senza la quale per l'Italia il tasso di crescita sarebbe stato inferiore di circa un punto
percentuale nell'arco di un triennio. Accanto a tutti questi aspetti positivi, Visco ha ricordato però che «in
prospettiva la domanda esteraè il principale fattore d'incertezza», che la disoccupazione è ancora troppo
elevatae che l'obiettivo di innalzare il ritmo di crescita dell'economia è imprescindibile. È anche possibile,
alla nostra portata: «Il tasso di crescita potenziale nonè un dato immutabile, replica di deludenti andamenti
passati: può essere stimolato con misure appropriate, dipende dalle decisioni di accumulazione, dai
meccanismi di allocazione delle risorse». Oggi, dunque, «per sostenere una ripresa più rapidae duraturaè
necessario il rilancio di investimenti pubblici mirati, anche in infrastrutture immateriali, a lungo differiti». E,
dice il Governatore, «sono importanti un'ulteriore riduzione del cuneo fiscale gravante sul lavoro, il
rafforzamento di incentivi per l'innovazione, il sostegno ai redditi dei meno abbienti». Poichéi margini del
bilancio pubblico sono limitati, Visco raccomanda di organizzare questi obiettivi all'interno di una coerente
strategia di medio termine. Come gli esperti del Fmi, anche Visco teme che la dinamica dell'economia non
permetta una riduzione del rapporto debito-Pil già da quest'anno. Sottolinea perciò che «uno stretto controllo
dei conti pubblicie la realizzazione del programma di privatizzazioni possono consentire di avvicinare il
rapporto fra debito e prodotto a quanto programmatoe garantirne una riduzione significativa nel 2017». Poi,
Visco affronta il capitolo Europa: preoccupato per la deriva opportunistica che il Continente sta vivendo,
evoca Altiero Spinellie il suo Manifesto di Ventotene per chiedere di ripartire dai valori fondamentali del
progetto europeo: «Pace, eguaglianza, promozione del benessere» per un'Unione che «spezzi
decisamente le autarchie economiche». Il governatore ha ricordato che «sarebbe illusorio credere di poter
governare l'economia e la finanza, le cui dimensioni globali sono manifeste, nel ristretto ambito dei singoli
paesi europei». Oggi, però la costruzione europeaè «irregolare, incompleta; richiede, per la sua stessa
sostenibilità di essere integrata con gli elementi mancanti». Tra questi, gli strumenti comuni per la
prevenzione delle crisi bancarie. Nella costruzione dell'Unione bancaria, spiega il governatore, ci si è privati
rapidamente di strumenti di stabilizzazione di cui le politiche nazionali disponevano, senza che i nuovi
strumenti fossero già pienamente disponibilia livello europeo. Nei casi di crisi bancarie, sottolinea
«l'esperienza internazionale mostra che,a fronte di un fallimento del mercato, un intervento pubblico
tempestivo può evitare una distruzione di ricchezza, senza necessariamente generare perdite per lo Stato,
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Banca d'Italia CONSIDERAZIONI FINALI DEL GOVERNATORE ROMA
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anzi spesso producendo guadagni. Andrebbero recuperati più ampi margini per interventi di questo tipo, per
quanto di natura eccezionale». Visco ha ribadito anche la critica alla rigidità mostrata dalla Commissione
Ue sull'applicazione delle regole sugli aiuti di Stato: «Non vi è motivo per considerare come impropri aiuti di
Stato iniziative che contribuiscono a correggere fallimenti del mercato senza ledere la concorrenza». Una
rigidità che ha impedito la nascita della bad bank italiana. Nelle Considerazioni nonè mancato il riferimento
all'attività di vigilanza svolta negli ultimi «difficili» anni, nel quale Visco ha ricordato che, a fronte della
vicenda delle quattro banche con un fatturato pari all'1% del sistema, poste in risoluzionea novembre, per
le quali la procedura di cessione al mercatoè oramai in fase avanzata, sono state gestite senza problemi
peri risparmiatori le crisi di 56 intermediari negli ultimi7 anni. Ha aggiunto che tutti gli uomini di Bankitalia
sono «aperti alle critiche costruttive»e impegnatia dare conto del proprio operato, cosi come fatto dallo
stesso governatore nel corso della sua ultima audizione in Senato il 19 aprile. Quanto alle aziende di
credito, che oggi hanno crediti deteriorati per 200 miliardi (90 netti), Visco ha ricordato che è questo il
difficile lascito della recessione, anche se siamo a una svolta, perché entro fine anno il flusso dei nuovi Npl
dovrebbe normalizzarsi. Gli interventi per far fronte alle situazioni difficili sono stati messi in campo,
compreso il Fondo Atlante, ricorda il governatore. Intanto, però, le banche devono agire per cambiare in
profondità la governance, tagliare i costi e ridefinire un modello di attivitàa forte diffusione territorialee basso
sviluppo di e-banking. Insomma, con 30mila sportelli diffusi sul territorio, il sistema creditizio italiano soffre
certamente di "overbranching". LE REAZIONI DAL PARTERRE FABRIZIO VIOLA Ad Monte dei Paschi di
Siena «Credo che si possano e si debbano fare delle efficienze nelle banche. Noi siamo un buon esempio
perché abbiamo tagliato 800 milioni di costi in quattro anni su un totale di 3,5 miliardi» ANTONIO
PATUELLI Presidente dell'Abi «Il 2015 e il 2016 sono stati di grande complessità ma il clima oggi è
assolutamente di cambio di pagina. Siamo a un punto di svolta per le banche che hanno smesso di
restringere il credito e sono alla ricerca di nuovi impieghi» GIAN MARIA GROSPIETRO Presidente Intesa
Sanpaolo «Relazione molto meditata: da un lato sidifende l'azione della Bce mentre dall'altro si sottolinea
come non sono stati realizzati gli strumenti sovranazionali per affrontare le crisi che facevano parte del
disegno del 2012» ALESSANDRO AZZI Presidente Federcasse «Sulla riforma tutto il credito cooperativo
condivide l'auspicio di fare presto. I lavori sono in pieno svolgimento e dovranno poter contare su
disposizioni attuative coerenti con la riforma delle Bcc» Prezzi da stabilizzare con gli strumenti del Qe «La
sfida principale resta il permanere dell'inflazione su livelli eccezionalmente bassi». Visco ha ricordato che la
dinamica dei prezzi è tornata negativa nei primi mesi del 2016. Il rischiodeflazione non riguarda solo l'area
euro, è connesso in buona parte con la discesa del prezzo del petrolio. Per l'Eurozona contano anche le
dinamiche interne e la disoccupazione. I «margini inutilizzati di capacità produttiva e di forza lavoro sono
più ampi che tra le altre economie avanzate ». Intanto, il Qe funziona, sottolinea il governatore. È sceso il
costo del credito, si è ridotta la frammentazione finanziaria, sono stati sostenuti i prezzi di molte attività
finanziare ed è stata sostenuta la fiducia di famiglie e imprese. Secondo Banca d'Italia «in assenza delle
misure di politica monetaria introdotte fra 2014 e 2015 il tasso di crescita dei prezzi e quello del prodotto
sarebbero stati inferiori nell'area di circa mezzo punto nel triennio 20152017 ». Per l'Italia la percentuale di
mancata crescita, secondo la stima controfattuale di via Nazionale, sarebbe stata pari a circa l'1%.
POLITICA MONETARIA La ripresa fragile sostenuta da Bce e politiche «espansive» L'economia nazionale
è tornarnata sulla strada della crescita nel 2015 e prosegue nel suo consolidamento quest'anno. Anche se
resta lontana dai livelli precrisi e, soprattutto, resta esposta alle incognite che gravano sull'economia
globale ed europea. Nelle sue Considerazioni finali il Governatore ha indicato diversi segnali del
rafforzamento in corso, a partire dalla graduale ripresa dell'accumulazione di capitale produttivo (sono
previsti investimenti in crescita del 2,5% nel biennio), all'allentamento del credit crunch, alla tenuta del
mercato del lavoro nei primi mesi dell'anno, nonostante i minori sgravi contributivi previsti rispetto alle
assunzioni a tempo indeterminato. A sostenere la ripresa sono la politica monetaria espansiva della Bce e
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la politica di bilancio a sua volta espansiva impostata dal Governo. Due leve che controbilanciano le spinte
deflattive internazionali e le pressioni al ribasso che arrivano dal commercio estero. ECONOMIA ITALIANA
L'occupazione ha tenuto anche con gli incentivi ridotti Nei primi mesi dell'anno «l'occupazione ha tenuto»,
sebbene molte assunzioni sono state anticipate all'ultima parte del 2015 in vista della riduzione degli
incentivi da gennaio. Per il governatore Visco, il Jobs act, e «in misura a oggi più ampia» gli sgravi
contributivi, hanno dato una scossa positiva al mercato del lavoro: la domanda di impiego è tornata a
crescere a un ritmo superiore rispetto alle attese di un anno fa. L'espansione dell'occupazione si è stesa ai
rapporti stabili, toccando anche il Sud, ha aggiunto Visco. Dopo tre anni di contrazione sono aumentate le
ore lavorate, anche se lievemente nell'industria (alle prese ancora con complessi processi di
ristrutturazione). La disoccupazione rimane però elevata (anche se quella giovanile è scesa per la prima
volta dal 2007 di oltre due punti percentuali). Il riassorbimento della disoccupazione, specie quella di lunga
durata, resta un obiettivo prioritario da raggiungere, considerato che a una riduzione di un punto del tasso
di disoccupazione corrisponderebbe una maggiore crescita salariale di poco meno di un punto nel triennio
successivo. OCCUPAZIONE Ripartite le imprese, funzionano gli incentivi Il Governatore segnala la ripresa
degli investimenti, con segnali di un'ulteriore espansione nei piani delle imprese. Certo, in rapporto al Pil, si
resta «su livelli minimi nel confronto storico» (16,6%), ma lo scorso anno per gli investimenti fissi lordi si è
registrato un aumento dello 0,8% dopo il 3,4% del 2014 e il 6,6% del 2013. Per il 2016, si legge nella
relazione, le aziende pianificano un'ulteriore espansione del 2% sia nell'industria sia nel terziario. Un effetto
leva importante, sottolinea Visco, è arrivato dagli «incentivi fiscali temporanei in vigore dalla fine del 2015»,
che potrebbero innalzare l'investimento in capitale produttivo di 2,5 punti percentuali nel biennio 20162017.
Il riferimento è ai superammortamenti al 140%, che scadranno a fine anno e che il governo intenderebbe
rinnovare con la prossima legge di stabilità. Circa un quarto delle imprese intervistate nell'indagine Invind di
Banca d'Italia, soprattutto tra quelle manifatturiere più innovative, segnala un impatto positivo di questo
incentivo. INVESTIMENTI PRIVATI Arretrati Pa, i tempi scendono ma l'obiettivo Ue è lontano Itempi di
pagamento delle fatture da parte della Pubblica amministrazione scendono, ma l'obiettivo fissato dalle
regole Ue rimane lontano. Secondo le analisi di Bankitalia, fondate sulle indagini statistiche condotte
direttamente verso le imprese, i tempi medi di pagamento si attestano nel 2015 a 115 giorni, contro i 200
raggiunti nel 2010, all'apice del problema. Il dato rappresenta la media di situazioni molto differenziate tra le
pubbliche amministrazioni, ma la mole delle fatture arretrate in modo «patologico», cioè in ritardo rispetto
alla regola dei 3060 giorni, ammonta intorno a 35 miliardi, cioè poco più del 2% di Pil. Il quadro è quello
successivo ai decreti sbloccadebiti, che in tutto hanno offerto 50 miliardi di prestiti (utilizzati al 70%) per
abbattere la montagna degli arretrati, e l'evoluzione delle regole di finanza pubblica ha contribuito a tagliare
il tempo medio di liquidazione delle fatture. Ma senza un'accelerazione è a rischio l'impatto effettivo delle
regole che liberano gli investimenti locali. CREDITI DELLE IMPRESE Costruzione incompleta, Ue
vulnerabile e a rischio shock Nelle sue considerazioni finali, il governatore Visco dedica un capitolo ai
«progressi e alle incertezze» della «costruzione europea». La stessa crisi dei debiti sovrani ha «trovato
alimento nell'incompletezza della Unione economica e monetaria». È stato avviato un processo di riforma a
partire dall'estate 2012, ma «il nuovo disegno istituzionale e molte delle decisioni che ne sono scaturite
sono stati soprattutto indirizzati a ridurre i rischi propri di ciascuno Stato o dei singoli intermediari bancari,
anche prescindendo da possibili implicazioni sistemiche. È, questa - sottolinea il governatore - una
situazione di vulnerabilità: vi è il pericolo non solo che le autorità nazionali ed europee non siano in grado di
reagire adeguatamente a shock di ampia portata, ma che abbiano anche difficoltà a evitare effetti di
contagio originati da tensioni di carattere circoscritto». Per questo «una effettiva riduzione dei rischi
complessivi richiede che adeguate reti di sicurezza basate su strumenti sovranazionali affianchino le misure
pensate per ridurre fragilità specifiche. UNIONE EUROPEA Per evitare discrezionalità serve una politica di
bilancio unica «La moneta unica ha bisogno di confrontarsi con una politica di bilancio unica», ha
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sintetizzato Visco. L'analisti del governato parte dalla costatazione che «lo scarso rispetto delle regole di
finanza pubblica nel periodo precedente la crisi ha giustificato il loro rafforzamento, ma questi ultimi anni ci
hanno mostrato come sia importante applicarle tenendo conto, come previsto, della presenza di circostanze
eccezionali e della concomitante attuazione di interventi di più lungo periodo. All'inizio dello scorso anno la
Commissione europea ha definito le condizioni per l'applicazione delle clausole di flessibilità». Ma poiché,
sottolinea Visco, «non è possibile pensare di prevedere tutte le contingenze, la Commissione si trova a
dover interpretare, in maniera inevitabilmente discrezionale, i margini di flessibilità. Un bilancio condiviso »,
con «ulteriori cessioni di sovranità nazionale e un adeguato rafforzamento della funzione legislativa
europea, garantirebbe la possibilità di attuare politiche coerenti con le condizioni cicliche delle diverse
economie e dell'area nel suo complesso, tempestivamente e senza incertezze sulla loro legittimità».
FLESSIBILITÀ Cala lo stock dei nuovi Npl Gestione a un punto di svolta Sulla gestione dei crediti deteriorati
«siamo ora a un punto di svolta». Perché a dare segnali confortanti è il flusso in ingresso di nuovi crediti
deteriorati. La «moderata» ripresa economica in atto dallo scorso anno si sta riflettendo infatti in un calo
«significativo» dello stock di nuovi crediti "malati". «Nel 2015 dice Visco sono stati pari al 3,7% del totale dei
prestiti, contro il 4,9 del 2014». Basti pensare che per il settore delle famiglie «il flusso è ridisceso sui livelli
precrisi ». L'onda che si genera all'orizzonte, insomma, sembra essere più bassa di quanto accaduto nel
passato. E la tendenza alla normalizzazione «sta proseguendo ». Al netto delle svalutazioni già apportate
dalle banche, il valore dei crediti deteriorati è di «poco inferiore a 200 miliardi», dice Visco. E più della metà
si riferisce a situazioni in cui la difficoltà dei debitori è temporanea. Se ci si concentra sulle sole sofferenze,
«il valore netto è pari a meno di 90 miliardi». Si tratta di un peso rilevante, ma in larga parte è coperto da
garanzie reali. SOFFERENZE Diversificazione dei ricavi e taglio dei costi per salvarsi Un recupero della
redditività «passa necessariamente attraverso un aumento dell'efficienza, un contenimento dei costi, un
ampliamento delle fonti di ricavo; mirate operazioni di aggregazione, condotte secondo logiche strettamente
industriali, possono stimolare e favorire questo processo», ha detto ieri il Governatore. Solo così le banche
potranno riconquistare la redditività perduta, dice il governatore: negli ultimi cinque anni, tra il 2012 e 2015,
i profitti sono stati soffocati da 120 miliardi di rettifiche sui crediti, e ora che il costo del rischio si sta
ridimensionando ecco profilarsi i tassi negativi con «i bassi margini di interessi, il calo dei prezzi di alcuni
servizi connesso con le innovazioni tecnologiche e la maggiore concorrenza », mette in guardia Visco. Che
però ricorda la necessità di salvaguardare l'utile: «Per finanziare l'economia una banca deve essere stabile
e ben capitalizzata; deve poter generare un'adeguata redditività », ha sottolineato Visco. BANCHE E
EFFICIENZA Tempi rapidi per l'attuazione Riassetto con logiche industriali «Ènecessario dare al più presto
piena attuazione alla riforma delle banche di credito cooperativo, condizione indispensabile per rafforzare il
comparto e aggiornare il modello di attività a tecnologie e mercati in evoluzione. La Banca d'Italia emanerà
in tempi rapidi la normativa secondaria, in coordinamento con la Bce; ci attendiamo un'attuazione
altrettanto veloce da parte del sistema». Il governatore sollecita dunque rapidità di una riforma che delega
molta parte della sua attuazione all'iniziativa delle Bcc. «Nel definire l'assetto del gruppo e i rapporti tra le
varie componenti, occorre seguire logiche strettamente industriali, mediante un patto di coesione che dia
effettivi poteri di governo alla capogruppo, e perseguire con determinazione razionalizzazioni e guadagni di
efficienza. La componente associativa può mantenere un ruolo di rappresentanza a livello nazionale e
territoriale, senza indebite interferenze sulla pianificazione strategica, sulla gestione operativa e sulle
funzioni di controllo del gruppo». RIFORMA BCC
LE REAZIONI DAL PARTERRE VINCENZO BOCCIA Presidente Confindustria «Sono molti i punti di
convergenza con le nostre idee. In particolare sui temi della produttività, della crescita delle imprese e della
questione europea. Tutti fronti su cui dobbiamo lavorare» EMMA MARCEGAGLIA Presidente Eni «Il
governatore ha riconosciuto che le imprese in questi anni hanno esportato in pieno e fatto investimenti. C'è
un tema della dimensione d'impresa che va affrontato, ma ci sono tutte le potenzialità per recuperare»
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MAURO MORETTI Ad Finmeccanica «Mi pare positivo il fatto che nella relazione del Governatore emerga
un clima di ripresa, e noi lo confermiamo, che getta le condizioni per fare da un lato l'innovazione e dall'altro
gli investimenti» CARLO MESSINA Ad di Intesa Sanpaolo «Sulle sofferenze la situazione migliora perché il
ciclo economico porta delle riduzioni significative dei crediti deteriorati. Bene l'enfasi sul ruolo di Atlantee
sulla sua capacità di stabilizzare l'Italia»
RIFORME
Da legalità a concorrenza, rimuovere ostacoli all'impresa Serve più spinta per la semplificazione
amministrativa, ma la riforma della Pubblica amministrazione e le iniziative per facilitare l'identificazione
dell'utente e il pagamento dei servizi via Internet «daranno un contributo alla digitalizzazione del Paese».
Nelle sue considerazioni finali il governatore della Banca d'Italia torna in più di un'occasione sulla «strada
obbligata delle riforme strutturali». L'obiettivo è quello di cogliere la finestra di opportunità creata dalle
condizioni favorevoli che derivano dalla politica monetaria. In questa fase, secondo le indicazioni del
Governatore, occorre portare avanti le riforme anche per «influire sulla fiducia e sulle aspettative» di
cittadini e imprese. Questi gli ostacoli da combattere secondo le priorità indicate da Visco: illegalità,
inefficienza della Pubblica amministrazione, limitazioni alla concorrenza e insufficienza degli incentivi per gli
investimenti in innovazione, ricerca e capitale umano.
DEBITO
L'aumento dal 2007 per il basso Pil Accelerare sulle privatizzazioni Un'impennata dell'incidenza del
debito pubblico sul prodotto, da poco meno il 100% del 2007a quasi il 133% dello scorso anno, dovuta alla
lunga recessione innescata dalla crisi. E la necessità di accelerare sulle privatizzazioni per centrarei target
di riduzione del debito indicati dal Def per quest'annoe per il 2017. Le indicazioni che arrivano dal
Governatore della Banca d'Italia sono chiare. «Nel 2016, uno stretto controllo dei conti pubblicie la
realizzazione del programma di privatizzazioni possono consentire di avvicinare il più possibile il rapporto
tra debitoe prodottoa quanto programmatoe garantirne una riduzione significativa nel 2017», si afferma
nelle Considerazioni finali. In proposito Visco mette in guardia il Governo evidenziando che «l'evoluzione
del contesto macroeconomico rischia di ostacolare il conseguimento» dell'obiettivo fissato per il 2016.Il
Governatore sottolinea anche che per quanto riguarda il nostro Paese gli indicatori di sostenibilità del debito
nel lungo periodo «sono trai migliori anche grazie agli interventi di riforma delle pensioni».
FISCO
Pressione fiscale: tra Italia e Uem divario di 1,6 punti Per sostenere una ripresa più rapida e duratura
«sono importanti un'ulteriore riduzione del cuneo fiscale gravante sul lavoro, il rafforzamento di incentivi per
l'innovazione, il sostegno ai redditi dei meno abbienti, particolarmente colpiti dalla crisi». Lo dice a chiere
lettere il Governatore in chiusura del capitolo delle Considerazioni dedicato all'analisi dell'economia italiana
e dei supporti alla sua crescita. «Se i margini oggi disponibili nel bilancio sono limitati, è comunque
possibile programmare l'attuazione di questi interventi su un orizzonte temporale più ampio» ha sottolineato
Ignazio Visco. Nel nostro paese la pressione fiscale resta più elevata di circa 1,6 punti rispetto alla media
degli altri paesi dell'area euro, si legge del testo della Relazione, nonostante il calo di un punto registrato
nell'ultimo triennio. Il differenziale considera come minori entrate gli effetti dei crediti di imposta, altrimenti
sarebbe del 2,4 per cento.
INVESTIMENTI PUBBLICI
Serve un rilancio mirato in infrastrutture ed edilizia Per sostenere una ripresa più rapida e duratura
sottolinea Visco - è necessario, tra le altre priorità, il rilancio di investimenti pubblici mirati, anche in
infrastrutture immateriali, a lungo differiti. Per Visco un rilancio degli investimenti in costruzioni, «indirizzato
soprattutto alla ristrutturazione del patrimonio esistente, alla valorizzazione delle strutture pubbliche e alla
prevenzione dei rischi idrogeologici», avrebbe effetti importanti sull'occupazione e sull'attività economi- ca.
In Italia, è la tesi, è ancora troppo ampia la presenza di immobili e infrastrutture degradati, così come
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modesti sono i progressi sinora conseguiti nella tutela dell'ambiente e nell'efficienza energetica.
«L'ammodernamento del patrimonio urbanistico passa anche attraverso iniziative legislative, che puntino a
un più efficace raccordo tra il quadro normativo nazionale e quello locale e alla creazione di condizioni più
favorevoli per gli investimenti di operatori privati».
VIGILANZA
Duecento accertamenti condotti ogni anno Non c'è solo il caso delle quattro bancheposte in risoluzione
lo scorso mese di novembre nel passaggio delle Considerazioni finali dedicato ai temi della Vigilanza.
Ignazio Visco ha ricordato che le crisi bancarie costituiscono sempre, per le autorità di supervisione, un
passaggio delicato. E la Vigilanza è chiamata a ridurre, per quanto possibile, la probabilità che i dissesti
siverifichino. Naturalmente nel pieno rispetto di ordinamenti che, sotto la spinta del Comitato di Basi- lea,
hanno valorizzato l'autonomia imprenditoriale degli istituti. Ogni anno la Banca d'Italia effettua circa 200
accertamenti ispettivi, eseguiti dalla Vigilanza che non ha gli stessi poteri dell'autorità giudiziaria. E una
volta individuata una situazione problematica si mira sempre al suo riequilibrio, mentre le ipotesi di reato
sono segnalate alle Procure competenti. Negli ultimi 20 anni, con il commissariamento, sono stati gestiti
125 casi di crisi di intermediari, 56 negli ultimi 7 anni.
UNIONE BANCARIA
Progetto da completare con la garanzia dei depositi L'Unione bancaria - ha osservato il Governatore
deve essere completata. Il fondo unico di risoluzione è stato costituito ma i contributi versati dalle banche,
suddivisi in comparti nazionali, verranno messi in comune in tempi lunghi. E non traspare una chiara
determinazione a farne effettivamente uso. Il sistema unico di garanzia dei depositi ha poi aggiunto - non è
ancora stato definito. Bruxelles ha presentato una proposta caratterizzata però da un lungo periodo di
transizione. «Man- ca in entrambi i casi un sostegno finanziario pubblico Ue, previsto fin dal Rapporto del
2012 e indispensabile per garantire la capacità dell'Unione bancaria di assicurare la stabilità sistemica».
Visco ha poi evocato il tema dei requisiti prudenziali sulle esposizioni verso debitori sovrani, spesso
collegato al completamento dell'Unione bancaria, argomentando che bisogna ridurre i rischi prima di poterli
condividere: «Va affrontato senza preconcetti, evitando di prendere decisioni affrettate».
Foto: ANSA
Foto: Bankitalia Il governatore Ignazio Visco
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Il made in Italy che vince la crisi
Eccellenze. Viene premiata l'Italia che esporta e crea lavoro Meccanica, tessile e arredo i settori più
rappresentati Il capo dello Stato ha nominato 25 nuovi Cavalieri del Lavoro - Tre di loro sono donne
Questo il profilo dei 25 nuovi Cavalieri del Lavoro nominati ieri per decreto dal Presidente della Repubblica
Sergio Mattarella, su proposta del Ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda. Guglielmo Bedeschi
(1936 - Padova) Industria meccanica Presidente dal 1982 di Bedeschi Spa, fondata nel 1908 dal nonno, e
attiva nella produzione di macchinarie impianti per cementifici, per l'industria delle costruzioni e per la
movimentazione di minerali. Fattura 130 milioni, realizzati per il 90% con l'export, soprattutto negli Usa,
doveè presente da dodici anni,e in Russia. Occupa circa 300 dipendenti. Sandro Boscaini (1938 - Verona)
Industria vitivinicola Presidente di Masi Agricola dal '78. L'azienda, radicata dal 1700 in Valpolicella,
produce e distribuisce vini di pregio ancorati ai valori del territorio delle Venezie. Massimo Bucci (1951 Ravenna) Industria meccanica Presidente di Bucci Industries Group, da lui fondato nel '99 e attivo nei
settori dell'automazione industriale, delle macchine utensili, della robotica per il packaginge nelle
lavorazioni di componenti in carbonioe di materiali compositi avanzati. Realizza il 75% dei ricavi con
l'export. Occupa 635 dipendenti in Italia e 215 all'estero. Alberto Armando Candela (1939 - Milano)
Industria cancelleria e Belle Arti Presidente onorario di Fila Group (Fabbrica Italiana Lapis e Affini).
L'azienda, fondata a Firenze nel 1920 e guidata dalla famiglia Candela dal 1956, siè affermata per la
produzione di matite da disegno. Fattura circa 250 milioni e occupa 2.600 dipendenti, di cui 227 in Italia.
Ettore Caselli (1942 - Modena) Servizi finanziari/credito Presidente della Banca Popolare dell'Emilia
Romagna. Inizia la carriera nel 1964 al Banco di San Geminiano e San Prospero e nel 1987 entra in Bper.
Sotto la sua guida l'istituto affronta un'importante fase di semplificazione, razionalizzazione e aggregazione.
Il Gruppo ha oltre 102mila soci, 12 mila dipendenti e 2 milioni di clienti. Alvaro Cesaroni (1948 - Fermo)
Industria meccatronica Fondatore e presidente di Sigma Spa, attiva nella produzione di stampanti a lettura
ottica e apparati self service per cambio di valuta, per biglietteria ferroviaria e parcheggi. Ha realizzato un
sistema per esazione pedaggi autostradalie nel '98 il primo Atm bancomat. È presente con sue unità in
Belgio, Francia e Russia. Gabriele Clementi (1951 - Firenze) Industria elettronica Fondatore e presidente di
El.En. Spa, azienda specializzata nella fabbricazione di sistemi laser, nata nel 1981 come spin-off
universitario. È presente in Germania, Francia, Usa, Brasile, Cina e Giappone con un export dell'82% del
fatturato. Occupa 965 dipendenti, di cui circa la metà in Italia. Roberto Colombo (1959 - Vercelli) Industria
tessile/abbigliamento Presidente di Lanificio Luigi Colombo, attivo nella filatura tessile e nell'abbigliamento
di lusso. È il maggiore tessitore mondiale di cashmere e fibre nobili, tessuti usati dalle più note griffe di
moda internazionali tra le quali Herme's, Dior, Gucci, Pradae Max Mara. È presente con proprio marchio
nell'abbigliamento di lusso per donna, uomo e accessori, realizzato esclusivamente con filati e tessuti
prodotti all'interno. Occupa 400 dipendenti. Pierluigi Coppo (1948 - Novara) Industria complementi d'arredo
Presidente di Sambonet Paderno Industrie Spa, storici marchi acquisiti nel 1979 e nel 1997, oggi leader
nella produzione di articoli di design di alta qualità per la tavola e la cucina, sia per la casa, che per il canale
professionale. Dal 2009 ha rilevato Rosenthal e Arzberg, prestigiosi marchi tedeschi del settore delle
porcellane da tavola e dei complementi d'arredo e la francese Raynaud di Limoges. Distribuisce in 95
nazioni e occupa 260 dipendenti. Francesca Cozzani (1957 - La Spezia) Industria manufatti in metallo
Amministratore unico di Officina Meccanica Cozzani Srl (in foto sopra), azienda di famiglia specializzata
nella progettazione e produzione di valvole automatiche ad alta tecnologia per compressori per gas e aria.
Detiene una podisizone di leadership sul mercato nazionale con una quota del 50%. Realizza il 61% del
fatturato all'export e impiega 110 addetti. Giampaolo Dallara (1936 - Parma) Industria automobilistica
Presidente di Dallara Automobili Spa. È fornitore del 95% delle vetture di Formula 3 e oltre 300 competono
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 01/06/2016 - 01/06/2016
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L'onore e il merito L'IMPEGNO PER RILANCIARE IL PAESE
01/06/2016
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 01/06/2016 - 01/06/2016
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nelle varie formule o classi nel mondo. Le sue vetture hanno vinto 8 edizioni della 500 Miglia di
Indianapolis. Fabrizio Di Amato (1963 - Roma) Servizi di ingegneria Presidente di Maire Tecnimont Spa,
holding di un gruppo che opera con 45 società in 30 paesi, per un fatturato di 1,5 miliardi di euro.È titolare
di 100 brevetti. Ha realizzato il più grande impianto di gas ad Abu Dhabi, 250 impianti per la produzione di
ureae 140 impianti di polipropilenee polietilene nel mondo. Occupa 4.300 dipendenti, di cui il 50% laureati.
Maria Bianca Farina (1941- Roma) Servizi finanziari/assicurazione Amministratore delegato di Poste Vita e
Poste Assicura Spa (in foto sopra), società del gruppo Poste Italiane. Dal dicembre 2015è presidente di
Ania, l'associazione tra le imprese assicurative. Paolo Fazioli (1944 - Prodenone) Artigianato/fabbrica di
pianoforti Fondatore e presidente di Fazioli Pianoforti, azienda leader nella costruzione di pianoforti a coda
e da concerto. I suoi pianoforti sono venduti in tutto il mondo e sono apprezzati dai più famosi artisti.
Occupa circa 50 addetti. Claudio Marenzi (1962 - Novara) Industria tessile/abbigliamento Presidentee
amministratore delegato di Herno Spa, azienda attiva nella produzione di capi di abbigliamento di alta
gamma, fondata dal padre nel 1948. Esporta il 65% della produzione in tutto il mondo e occupa 155
dipendenti. Carlo Molteni (1943- Como) Industria arredamento Presidente di Molteni Spa, holding di un
gruppo specializzato nell'arredo di design. È presente in 600 negozi nel mondo, di cui 40 monomarca.
Fulvio Montipò (1944 - Reggio Emilia) Industria meccanica Fondatoree presidente di Interpump Group, il
maggiore produttore mondiale di pompe a pistoni professionali ad alta pressione ed uno dei principali
gruppi operanti sui mercati internazionali nel settore dell'oleodinamica. Massimo Moschini (1954 - Napoli)
Industria metallurgica Amministratore delegato di Laminazione Sottile Spa, attiva nella lavorazione di
prodotti in alluminio da oltre 90 anni. Esporta metà della produzione e occupa circa 500 dipendenti. Paolo
Nocentini (1941- Firenze) Industria spedizioni/logistica Presidente e amministratore delegato di Savino Del
Bene Spa, specializzata nelle spedizioni per l'alta moda verso gli Stati Uniti. Nel 2015 ha movimentato via
mare merci per 430mila tonnellatee 57 milioni di chili per via aerea. Dispone di 148 uffici nel mondoe 67
uffici consociati, oltre a 8 filiali in Brasile, Singapore, Turchia, Malesiae Sud Africa. Occupa 3.250
dipendenti. Luca Pietro Guido Patanè (1961 - Milano) Industria turismo Amministratore delegato e
presidente dal 1996 del Gruppo Uvet, leader in Italia nella fornitura di servizie soluzioni innovative per il
turismoei viaggi. Occupa 915 dipendenti, di cui circa 650 in Italia. Pierino Persico (1947 - Bergamo)
Industria metallurgica Presidente di Persico Group, presente nell'automotive, nella nautica e nella
costruzione di satelliti con progettazione e costruzione di componenti in alluminio e carbonio ad alta
tecnologia ed elevate prestazioni. Tra le sue realizzazioni, lo scafo di Luna Rossa per l'American's Cup.
Fattura circa 100 milioni, con un export dell'80%. Impiega 300 addetti. Alberto Peyrani (1952 - Torino)
Industria elettromeccanica Presidente dal 1990 di Olsa Spa, attiva da oltre 60 anni nell'automotive con la
produzione di fanaleria ed elementi di illuminazione per autoveicoli ed autocarri. Fattura circa 200 milioni e
occupa oltre 1.600 dipendenti. Nicola Giorgio Pino (1949 - Caserta) Attrezzature da trasporto Presidente di
Proma Spa, attiva nella produzione di componenti per l'industria automobilistica. Occupa 2.700 dipendenti,
di cui oltre 1.100 in Italia. Ermenegildo Dino Tabacchi (1945 - Padova) Industria occhialeria e ottica
Presidente di Salmoiraghi & Viganò Spa, da lui acquisita nel 2002 e operante nel settore della produzionee
della vendita di occhialeria ed ottica. Con 1.850 dipendenti, fattura 190 milioni. Daniela Villa (1953 - Lodi)
Industria chimica/cosmetica Consigliere delegato di L'Erbolario Srl (in foto sopra), leader di mercato in Italia
nella cosmesi di derivazione vegetale, nasce a Lodi nel 1978 come Premiata Erboristeria Artigiana. Oggiè
in grado di fornire 5.500 erboristerie e farmacie. Riserva grande attenzione all'etica e alla sostenibilità
ambientale, con una filiera cortissimae una produzione interamente realizzata in Italia. Occupa 160
dipendenti.
Foto: La storia. L'Ordine al Merito del Lavoro fu istituito nel 1901 da Vittorio Emanuele III, su proposta di
Giuseppe Zanardelli, allora presidente del Consiglio
01/06/2016
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Etruria, l'affare d'oro subito prima del crac
FABIO TONACCI
MENTRE l'Etruria sprofondava nell'abisso del fallimento, e le obbligazioni in mano a migliaia di risparmiatori
diventavano cenere, un piccolo istituto controllato dai vip dell'alta finanza, il Credito Fondiario spa, faceva
l'affare del decennio. Ha comprato più di trecento milioni di euro di crediti vantati dalla Popolare aretina al
prezzo "di saldo" di 49 milioni. Con l'autorizzazione della Banca d'Italia, emessa poco prima che l'Etruria
venisse dichiarata insolvente dal Tribunale fallimentare di Arezzo. A PAGINA 9 ROMA. Mentre l'Etruria
sprofondava nell'abisso del fallimento, e le obbligazioni in mano a migliaia di risparmiatori diventavano
cenere, un piccolo istituto controllato dai vip dell'alta finanza, il Credito Fondiario spa, faceva l'affare del
decennio. Ha comprato più di trecento milioni di euro di crediti vantati dalla Popolare aretina al prezzo "di
saldo" di 49 milioni. Con l'autorizzazione della Banca d'Italia, emessa poco prima che l'Etruria venisse
dichiarata insolvente dal Tribunale fallimentare di Arezzo.
Un'operazione fatta con tempistica e criteri quantomeno singolari, che hanno spinto il pool di magistrati
guidati da Roberto Rossi a disporre alcuni accertamenti per ricostruirne i passaggi. La storia dell'affare di
Fonspa è riassunta nella relazione finale del commissario liquidatore Giuseppe Santoni, inserita negli atti
dell'indagine per bancarotta fraudolenta. Torniamo dunque al novembre di un anno fa. Al comando della
vecchia Etruria ci sono da qualche mese i due commissari inviati da Palazzo Koch, Sora e Pironti, i quali
stanno toccando con mano il disastro dei conti già segnalato nelle relazioni ispettive di Bankitalia. Il
portafoglio dei crediti in sofferenza (cioè difficili da recuperare) ammonta a 1,9 miliardi, e per qualcuno sono
una torta da mordere prima che la procedura di fallimento - a quel punto assai probabile - congeli il
patrimonio. Si è fatto avanti il fondo Algebris di Davide Serra, l'imprenditore vicino al premier Matteo Renzi,
ma non si è concluso niente. Sul tavolo c'è anche offerta del Credito Fondiario, che secondo alcune fonti
finanziarie era stata presentata ai vecchi manager quando l'Etruria non era in amministrazione controllata.
Fonspa è un salotto esclusivo.
È controllato dalla Tages Holding di Panfilo Tarantelli, manager del colosso finanziario americano
Citigroup. Ai vertici del gruppo ci sono, o sono passati, Piero Gnudi (ex presidente Enel, ora commissario
dell'Ilva), l'ex Bce Lorenzo Bini Smaghi e Jean Baptiste de Franssu, presidente dello Ior. Tra i soci,
Alessandro Benetton, la famiglia De Agostini e Umberto Quadrino, ex Fiat e ora presidente di Edison. «Il 16
novembre - scrive Santoni - la banca perfezionava la cessione di un portafoglio di crediti a Sallustio srl,
società veicolo di Credito Fondiario: 1.860 posizioni cedute per un valore di 302 milioni, riferiti per due terzi
a esposizioni chirografarie (cioè senza nessuna garanzia reale o personale, ndr) e un terzo a esposizioni
con garanzia ipotecaria.
Il corrispettivo è di 49,2 milioni». Un sesto del valore. Con quale criterio sono stati scelti i crediti? Difficile
pensare che Fonspa abbia acquistato quelli impossibili da recuperare, e comunque Santoni non lo
specifica.
L'operazione si conclude con un tempismo perfetto: sei giorni prima del decreto Salva-Banche.
«Era condizionata - sottolinea però Santoni - all'ottenimento della autorizzazione della Banca d'Italia».
Anche quella arriva in extremis, pochi giorni prima della sentenza di fallimento dell'11 febbraio 2016.
Foto: PROCURATORE Roberto Rossi, procuratore capo ad Arezzo
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 01/06/2016 - 01/06/2016
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INCHIESTA SUI CREDITI
01/06/2016
Pag. 7
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tiratura:339543
Strappo con Bruxelles "Lo Stato intervenga se il mercato fallisce"
Un'interpretazione della normativa sugli aiuti di Stato "poco attenta alla stabilità finanziaria" Annullata la
possibilità di "usare fondi pubblici per gestire crisi bancarie e creare una bad bank"
ANDREA GRECO
MILANO. È il Visco che ti aspetti, quello che avversa il modo in cui l'Europa sta gestendo la costruzione
dell'Unione bancaria, fin qui «irregolare e incompleta».
Dal pulpito delle Considerazioni finali il governatore della Banca d'Italia ha sfoderato l'armamentario di
critiche e di caveat che produce da qualche anno: contro il modo in cui è stato applicato il principio del
"salvataggio interno" (bail in), che sposta dai contribuenti a soci e obbligazionisti bancari il suo costo; contro
il crescente e occhiuto ruolo della Commissione europea in materia di aiuti di Stato, che ha impedito - nel
2015 horribilis delle banche italiane - sia il salvataggio senza traumi dei quattro istituti del Centro Italia
(Banca Marche, Etruria, Cariferrara, Carichieti), sia «l'ipotesi di istituire una società per la gestione dei
crediti deteriorati delle banche italiane». La bad bank.
A qualche osservatore non ufficiale Visco è sembrato come quei generali che si ostinano a cercare di
vincere la battaglia precedente. Ma i tempi che corrono per le banche non sono più facili di quelli passati.
Con i dissesti ordinati delle due ex popolari Vicenza e Veneto Banca in corso, e con il dossier Mps tutto da
squadernare, è possibile che il governatore abbia anche cercato di mettere in guardia Bruxelles,
Francoforte o altri avversari dell'Italia creditizia da altri "sgambetti" al sistema domestico. Tra l'altro, le
norme del 2015 (Unione bancaria e vigilanza diretta della Bce, direttiva Brrd sul bail in, e il sempre più
implacabile controllo preventivo delle norme sugli aiuti di Stato) hanno ridotto grandemente il ruolo di "moral
suasion" di Via Nazionale sul risiko bancario, in un momento topico. E pochi sul mercato credono che Mps
possa essere "sistemata" senza un intervento, se non pubblico, almeno "corale". «Si è pressoché annullata
la possibilità di utilizzare risorse pubbliche, nazionali o comuni, come strumento di prevenzione e gestione
delle crisi bancarie», ha detto Visco. «L'esperienza internazionale mostra invece che, a fronte di un
fallimento del mercato, un intervento pubblico tempestivo può evitare una distruzione di ricchezza, senza
necessariamente generare perdite per lo Stato, spesso producendo guadagni. Andrebbero recuperati più
ampi margini per interventi di questo tipo, per quanto di natura eccezionale». È antica la polemica sui
salvataggi bancari in Germania, Olanda, Spagna, Irlanda, Gran Bretagna, con dispendio pubblico di
centinaia di miliardi poco prima che le direttive Ue lo vietasse. Anche se va aggiunto (è il senso di
quell'avverbio "pressoché") che la Brrd contiene un articolo che consente di derogare al bail in per limitare il
rischio sistemico, previa liquidazione di una banca e intervento di uno Stato che sovverte l'ordine degli
stakeholder chiamati a pagare il primo 8% di perdite sul passivo. Una revisione della Brrd, norma che pure
l'Italia ha votato, non sembra invece prevista, come disse Mario Draghi a febbraio. Viceversa, una
nazionalizzazione bancaria costerebbe bei miliardi che l'Italia oggi non ha. A "salvare" le due banche
venete - utilizzando almeno metà dei 4,25 miliardi stanziati sarà il fondo consortile privato Atlante; ma
difficilmente avrà capienza adeguata per i prossimi casi, o per giocare un ruolo forte nello smaltimento degli
83 miliardi di insolvenze che le banche italiane faticano a ridurre malgrado le molte cure del governo, tra cui
l'istituzione delle garanzie del Tesoro (Gacs) per le sofferenze da impacchettare e rivendere a operatori
istituzionali. «Un'interpretazione rigida della normativa sugli aiuti di Stato, poco attenta alla stabilità
finanziaria - ha detto Visco sul tema - ha ostacolato l'ipotesi di istituire una società per la gestione dei crediti
deteriorati delle banche italiane». Quella trattativa, durata un anno e conclusa partorendo il topolino delle
Gacs, accomuna nel critico ricordo Tesoro e Bankitalia. Non è l'unico rilievo per la commissaria danese
Margrethe Vestager e la sua Direzione generale della concorrenza, che con l'ossessione degli aiuti di Stato
dai tempi dei Monti bond Mps ha fatto penare vari banchieri domestici. Compreso Roberto Nicastro,
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 01/06/2016 - 01/06/2016
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L'analisi. Visco sfida l'Unione ma sono poche le chance di cambiare il bail in. Lo spauracchio del caso Mps
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 01/06/2016 - 01/06/2016
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presidente delle quattro "good bank" salvate a novembre con intervento pasticciato che ha riportato
l'instabilità nel sistema. Così ieri Visco a riguardo: «La posizione assunta dalla Commissione esclude l'uso,
a fini preventivi e di ordinata gestione delle crisi, degli schemi di assicurazione obbligatoria dei depositi,
sebbene tali fondi siano di natura privata; l'efficace conduzione dei processi di risanamento richiederebbe
invece l'utilizzo di tutti gli strumenti a disposizione. Non vi è motivo per considerare come impropri aiuti di
Stato iniziative che contribuiscono a correggere fallimenti del mercato senza ledere la concorrenza».
Salvare le quattro banche con il Fondo obbligatorio era l'idea iniziale del ceto bancario italiano: ma la
natura obbligatoria di quel prelievo ha creato veti a Bruxelles, e forzato a una soluzione in extremis, che
ebbe i due torti di azzerare 340 milioni di bond di piccoli clienti, e di accettare di svalutare dell'82% di 8,5
miliardi di sofferenze. Quel precedente scoraggia ora le altre banche dal cedere 83 miliardi di loro
insolvenze.
www.bancaditalia.it www.abi.it PER SAPERNE DI PIÙ
Foto: IL CASO BANCHE La sede del Monte dei Paschi a Siena, la grande banca in difficoltà. Il governatore
della Banca d'Italia, Ignazio Visco (in foto nell'altra pagina) nelle sue Considerazioni finali ha fatto
riferimento ai salvataggi bancari
01/06/2016
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Veneto, via all'aumento al prezzo di 10 centesimi entra il fondo Atlante
Il cda approva l'operazione. Così la quota dei vecchi soci vale 12 milioni contro i 5 miliardi dei tempi d'oro.
Penati punta al 50,1% Atteso oggi l'ok Consob alla ricapitalizzazione del Banco Popolare per le nozze con
Bpm
VITTORIA PULEDDA
MILANO. Il consiglio fiume di due notti fa e la lunghissima attesa per la comunicazione ufficiale, che si è
protratta per tutta la giornata di ieri, non hanno portato nessuna sorpresa positiva per gli 88 mila soci di
Veneto Banca: le nuove azioni in sede di aumento di capitale verranno offerte tra un minimo di 0,10 euro ad
un massimo di 0,50 euro. Ma il minimo in questo caso coincide con il massimo (0,10 è il prezzo cui
sottoscriverà le azioni il fondo Atlante e varrà per tutti gli altri potenziali azionisti); ed è persino ancora
troppo, rispetto a quanto valgono in Borsa le altre banche. «L'operazione spiega il comunicato della banca risponde al precipuo fine di evitare un possibile rischio sistemico e di limitare al massimo l'impatto per le
economie dei territori nei quali opera l'istituto».
Magra consolazione, per chi aveva sottoscritto le azioni ai tempi d'oro, quando imperava Vincenzo Consoli
e i titoli di Veneto Banca valevano 40,75 euro.
Era l'epoca in cui tutto l'istituto valeva pochi spicci meno di 5 miliardi, mentre adesso la quota dei vecchi
soci si è ridotta a poco più di 12 milioni. Si leccano le ferite gli attuali soci, come hanno fatto poche
settimane fa i "cugini" della Vicenza, che di miliardi ne hanno bruciati 6, mentre pochi mesi fa gli
obbligazionisti, spesso ignari, dei bond subordinati di Banca Marche, Popolare Etruria, CariFerrara e
CariChieti avevano in mano (solo al retail) circa 330 milioni di titoli travolti dallo tsunami della risoluzione.
Anche per Veneto Banca, come per la Vicenza, il Fondo Atlante ha firmato il contratto di subentro nella
garanzia agli istituti del consorzio di collocamento (e proprio le dieci firme necessarie sembrano aver
rallentato il processo di ufficializzazione dell'accordo). Atlante ha subordinato la garanzia al raggiungimento
del 50,1% della banca: non dovrebbe aver difficoltà a raggiungere il numero sufficiente di azioni. A questo
punto tutto dovrebbe essere pronto per tentare comunque di collocare una parte della banca, magari ai
grandi soci del passato (che sembrano puntare ad una quota vicina al 15-25%). Anche su questo fronte il
clima è avvelenato: ieri il vice presidente Giovanni Schiavon (oggetto a sua volta di polemiche nei giorni
scorsi, per due presunti regali di pregio ricevuti da Consoli) a proposito della banca ha parlato di «livello
reputazionale, fiducia, raccolta e liquidità in continua discesa e di un ambiente pesante da tagliare col
coltello». Parole cui ha risposto per le rime il presidente della banca, Stefano Ambrosini, secondo cui
Schiavon «parla a titolo personale, quando in realtà sarebbe assai opportuno non parlare affatto, specie in
un momento così delicato».
L'aumento partirà l'8 giugno (sempre che arrivi nel frattempo l'ok della Consob) per concludersi entro fine
mese.
Quasi la stessa tempistica prevista per il Banco Popolare. L'istituto guidato da Pier Francesco Saviotti, alla
vigilia delle nozze con la Bpm, deve realizzare infatti un aumento di capitale da un miliardo. L'ok della
Consob potrebbe arrivare oggi: in questo caso l'obiettivo è di partire con il collocamento il 6 giugno.
Oggi invece si riunirà il comitato nomine di Unicredit, per scegliere il cacciatore di teste (può darsi che
siano due) per individuare il nuovo amministratore delegato. Per il presidente, ammesso che venga a sua
volta sostituito, i tempi sono invece più lunghi (di mesi) e comunque ieri c'è stato il passo indietro di
Lucrezia Reichlin, che ha escluso di essere candidata a sostituire Giuseppe Vita. Si sono invece dimessi
due consiglieri della banca: Manfred Bischoff e Helga Jung. Per sostituire quest'ultima Allianz ha
comunicato l'intenzione di proporre Sergio Balbinot (in passato ad di Generali).
I PUNTI 1 SOCI Sono 88mila gli attuali soci di Veneto Banca: il loro capitale è stato di fatto azzerato. Una
parte di loro potrebbe sottoscrivere una quota del nuovo aumento 2 L'AUMENTO E' di un miliardo
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 01/06/2016 - 01/06/2016
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Le banche
01/06/2016
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l'aumento di capitale che partirà nei prossimi giorni: il Fondo Atlante ha posto come condizione di avere
almeno il 50,1%. E' altamente probabile che avrà molto più IL FLOTTANTE La quota minima per potersi
quotare in Borsa è del 25% (anche se possono essere autorizzate deroghe): l'obiettivo per Veneto Banca è
lo sbarco al listino ma non è detto che ce la faccia IL COLLOCAMENTO E' previsto che il collocamento
prenda il via l'8 giugno, sempre che nel frattempo arrivi l'ok della Consob.
L'Ipo dovrebbe poi concludersi entro la fine dello stesso mese
Gran parte del sistema bancario ha affrontato la crisi con coraggio e trasparenza, ma in non pochi
casi ci sono stati comportamenti imprudenti e fraudolenti da parte di amministratori e dirigenti
IGNAZIO VISCO Dalle Considerazioni Finali del governatore della Banca d'Italia www.mef.gov.it
www.venetobanca.it PER SAPERNE DI PIÙ
Foto: L'ASSEMBLEA A dicembre i soci Veneto Banca hanno deciso il passaggio a Spa e l'aumento
Foto: FOTO: ©AGF
01/06/2016
Pag. 24
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Il fondo F2i decide il destino di Metroweb ma la via ormai sembra
segnata
Oggi il cda che dovrebbe decidere la vendita della società della rete a Enel
GIOVANNI PONS
MILANO. Con la decisione del fondo F2i, che ha convocato il suo consiglio di amministrazione per oggi, si
capirà definitivamente quale sarà la strada futura che prenderà Metroweb, la società che controlla le reti in
fibra ottica di Milano, Genova, Bologna e Torino. Sul tavolo del cda del fondo ci sono le due offerte fatte
arrivare da Telecom Italia e Enel Open Fiber (Eop), più o meno equivalenti nella valutazione, 814 milioni di
euro, ma differenti nella sostanza. F2i deve capire se uscire dall'investimento effettuato nel giugno 2011
quando Metroweb fu valutata nella sua interezza 436 milioni, oppure se continuare a credere nello sviluppo
della società entrando a far parte di Eop attraverso un concambio azionario o un aumento di capitale
riservato.
L'altro azionista forte di Metroweb, Cdp Equity, che possiede il 46%, ha già deciso per l'opzione Enel ed è
molto probabile che F2i non si discosti da tale orientamento. L'unica incertezza riguarda la modalità con cui
aderirà alla proposta Enel. Il fondo, che ha tra i suoi azionisti anche la stessa Cdp Equity, potrebbe
decidere di monetizzare in parte il suo investimento restando comunque con una quota in Eop. Oppure
potrebbe scegliere di concambiare in toto la propria partecipazione. Alcune voci di mercato indicano che il
capitale di Eop a tendere potrebbe essere posseduto da Enel per il 40% e da Cdp Equity e F2i con il 20% a
testa. Oggi se ne dovrebbe sapere qualcosa di più. Sembra infatti superato anche lo scoglio del diritto di
veto che ha Fastweb sul cambio di controllo di Metroweb Milano di cui è azionista all'11%. La società
controllata da Swisscom avrebbe dato il suo benestare alla proposta Enel e anzi non si esclude possa
partecipare anch'essa con una piccola quota in Eop. Tra l'altro Fastweb potrebbe tra non molto beneficiare
dei probabili "rimedi" che il commissario Ue alla concorrenza chiederà a Wind e 3 in cambio del via libera
alla loro fusione. Fastweb potrebbe acquistare delle frequenze e diventare il quarto operatore integrato del
panorama italiano.
Foto: AL VERTICE Renato Ravanelli, amministratore delegato di F2i
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 01/06/2016 - 01/06/2016
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IL PUNTO
01/06/2016
Pag. 1
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Gli inattivi tornano a cercare lavoro
WALTER PASSERINI
A PAGINA 21 Roberto Giovannini A PAGINA 17 Un mercato del lavoro segnato dal paradosso, in perfetto
equilibrio tra un'opinione e un fatto e il suo contrario. Resta così in bilico l'esame dei dati Istat
sull'occupazione e sul Jobs Act, ma la stessa sorte tocca ai voucher, che il rinvio al prossimo Consiglio dei
ministri correggerà, ma non risolverà. E' il paradosso dell'altalena. Si colpiranno quei buoni lavoro che,
usciti da ogni controllo, sono stati distrutti da inaccettabili abusi: nel 2015 sono stati venduti 115 milioni di
voucher, nel 2010 erano meno di 10 milioni. Qui il paradosso diventa teorema. I voucher sono scappati di
mano non all'origine (2008) ma dal 2012 con la legge 92, che ne ha allargato l'uso a tutti i settori, privati e
pubblici. Così siamo arrivati a superare i 300 milioni di buoni, per un controvalore di oltre 3 miliardi e più di
1,7 milioni di lavoratori coinvolti; un canale alternativo e pericoloso, infiltrato non solo da usi distorti ma
ridotto a foglia di fico da mafie e camorre. Lo si coglie dalla differenza tra voucher acquistati e voucher
riscossi, che si discosta almeno di un terzo (il 63,8% nel 2015), un giochetto che usa lo strumento in zona
Cesarini, poche ore prima che gli ispettori del lavoro scoprano il trucco. Ora il paradosso: con il probabile
ripristino di controlli rigidi e tracciabilità immediata, i voucher, nati per stroncare il lavoro nero ed estesi a
tutti, rischiano di bloccarsi, rialimentando nuove sacche di lavoro nero e irregolare. La soluzione sarà forse
la riduzione dell'erga omnes e il ritorno alla selettività di settori e percettori. Il secondo paradosso si annida
nei dati Istat sull'occupazione, dove si scopre che ad aprile su marzo sono aumentati sia gli occupati (51
mila in più) sia i disoccupati (50 mila in più). Come è possibile? La risposta è nel calo degli inattivi (coloro
che non lavorano e non cercano lavoro), ridottisi in un mese di 113 mila unità. Significa che è in aumento
l'offerta di lavoro da parte di persone scoraggiate, che avvertono una maggiore fiducia nella possibilità di
trovare un'occupazione a cui avevano rinunciato. Il fenomeno è ancor più evidente nell'arco di un anno: da
aprile 2015 ad aprile 2016 il bacino degli inattivi si è svuotato di 292 mila persone, quasi lo stesso numero
di posti di lavoro permanenti creati nello stesso periodo di tempo (279 mila). Se la speranza è l'ultima a
morire, non lo è per le donne senza lavoro, che da marzo ad aprile hanno visto crescere il loro esercito di
altre 56 mila disoccupate, e non lo è neanche per i giovani: qui il paradosso è duplice, perché da marzo ad
aprile sale il tasso di disoccupazione tra 15 e 24 anni (che torna al 36,9%), ma negli ultimi tre mesi sale il
tasso di occupazione (+ 0,4% rispetto ai tre mesi precedenti) e scende quello di disoccupazione (-1,3%). A
complicare l'apparente rebus si può dire che in un mese i giovani perdono, soprattutto tra 25 e 34 anni (0,3%), mentre gli over 50 vincono, registrando un +0,7% di tasso di occupazione. Dovrebbe essere il
contrario, ma sappiamo che tutto dipende dall'ultima riforma previdenziale, che trattiene le persone più
anziane sui luoghi di lavoro e di fatto ne tiene fuori i giovani. L'ultimo paradosso sta in un'altra
contemporaneità: l'accordo positivo per Almaviva, che salva 3 mila posti di lavoro nei call center con nuovi
ammortizzatori per i prossimi 18 mesi, in cui si cercheranno commesse o ricollocazioni; oscurato dai ritardi
dell'Anpal, l'agenzia per le nuove politiche attive del lavoro, che deve proprio coordinare ammortizzatori e
ricollocazioni, alla quale vengono assegnati nuovi poteri sulla carta, ma che è ancora lontana dal decollo e
dall'operatività. c
SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 01/06/2016 - 01/06/2016
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OCCUPAZIONE
01/06/2016
Pag. 1
diffusione:113520
tiratura:152577
L'Italia a due facce tra spinta a ripartire e sovranità perduta
Rosario Dimito
Quale Italia ci ha voluto rappresentare il governatore Ignazio Visco nelle sue Considerazioni Finali?
Un'Italia a due facce, si potrebbe rispondere. Continua a pag. 24 segue dalla prima pagina Da una parte un
Paese che nel processo di realizzazione dell'Unione monetaria ha perduto la sovranità economica e
finanziaria in cambio, almeno per ora, di un impoverimento della trama dei flussi tra banche e imprese, di
una maggiore esposizione ai rischi esterni e soprattutto di veti al limite del paradosso allo sviluppo del
bilancio dello Stato. È Visco medesimo che lo riconosce per la prima volta in modo esplicito, sia pure nel
linguaggio temperato di Via Nazionale. D'altra parte, lascia intuire il governatore, l'Italia è anche un Paese
che esprime valori economici che non pochi partner europei ci invidiano. Basti ricordare che da noi
l'incidenza del debito privato sul Pil è sensibilmente inferiore alla media europea; inoltre, sebbene il debito
pubblico sia in proporzione tra i più pesanti (133% sul Pil), gli indicatori di sostenibilità di lungo periodo sono
tra i migliori anche grazie agli interventi di riforma delle pensioni. In altre parole, basterebbe che le
valutazioni sullo stato dell'economia fossero estese a un arco temporale più lungo e che le posizioni
assunte dalla Commissione europea in materia di aiuti di Stato - che arriva a definire tali persino fondi di
natura privata - fossero ricondotte alla ragionevolezza, per consentire alle aree produttive che ancora sono
a metà del guado di superare la lunga fase di ristagno, stimolando così un nuovo ciclo di investimenti senza
il quale difficilmente potremo avere la crescita equilibrata che stiamo inseguendo faticosamente. Con parole
diverse, Visco ha ribadito un concetto che il neoministro dello Sviluppo Economico, Caro Calenda, aveva
efficacemente sintetizzato qualche giorno fa di fronte agli industriali italiani. «Ripresina sì ripresina no, tutte
chiacchiere da bar - aveva detto a gran voce Calenda, segnalando un risentimento a malapena trattenuto
verso tutte le burocrazie - Il punto è che non siamo dove dovremmo essere». Ciò significa che le
potenzialità non mancano per tornare a crescere, ma che non riusciamo a sciogliere il groviglio di veti e
controveti che stanno facendo dell'Eurozona un'area a sviluppo modesto cui i mercati guardano con
qualche preoccupazione. Ma, Brexit permettendo, Visco resta comunque possibilista, e non esita a
descrivere la sua ricetta, che in verità non è molto diversa da quella suggerita nelle Considerazioni Finali
dello scorso anno, ma che oggi poggia su un terreno meno franoso. Spiega Visco: «Per sostenere una
ripresa più rapida e duratura è necessario il rilancio di investimenti pubblici mirati, anche in infrastrutture
immateriali; sono importanti un'ulteriore riduzione del cuneo fiscale gravante sul lavoro, il rafforzamento di
incentivi per l'innovazione, il sostegno ai redditi dei meno abbienti». E qui arriva la novità, una sorta di
incoraggiamento al governo a procedere ugualmente nonostante i paletti infilati nelle ruote della locomotiva
italiana. Sicché così conclude, pensando probabilmente che ora il Paese è più coscio delle proprie
potenzialità: «Se i margini oggi disponibili nel bilancio sono limitati, è comunque possibile programmare
l'attuazione di questi interventi su un orizzonte temporale più ampio». Se questa è la faccia del Paese che
suggerisce sfumature di ottimismo per il futuro, nella relazione letta ieri da Visco è sembrato però di
percepire in non poche pagine un senso di frustrazione profonda per una battaglia che probabilmente l'Italia
non ha combattuto, quando ancora poteva, con la grinta necessaria. La perdita di sovranità economico e
finanziaria denunciata a chiare lettere dal governatore, che avrebbe dovuto avere quale contropartita
l'immediata condivisione dei rischi e strumenti comunitari adeguati per interventi rapidi di risanamento, non
è infatti solo la risultante dell'attivismo di euroburocrati particolarmente aggressivi sostenuti da una
Germania assai poco illuminata; è anche il prodotto dell'inadeguatezza con la quale i governi allora in
carica hanno affrontato sia il trattato di Maastricht sia il tema della Vigilanza Unica Bancaria sia, infine, i
tempi di introduzione del bail-in e la questione delle obbligazioni subordinate. Commenta amaro il
governatore della Banca d'Italia, che pure porta le sue responsabilità: «Diversamente da quanto proposto
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L'analisi
01/06/2016
Pag. 1
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SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 01/06/2016 - 01/06/2016
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dalla delegazione italiana nelle sedi ufficiali, non è stato previsto un sufficiente periodo transitorio che
consentisse a tutti i soggetti coinvolti di acquisire piena consapevolezza del nuovo regime, né si è esclusa
l'applicazione delle norme agli strumenti di debito già collocati, anche al dettaglio». Come dire, noi ci
abbiamo provato ma ci hanno sbattuto la porta in faccia. Davvero è stato fatto quanto era possibile?
SCENARIO PMI
6 articoli
01/06/2016
Pag. 4
diffusione:305863
tiratura:387811
Più tempo ai Caf per presentare il 730 Autonomi, reddito medio a 28 mila
euro
I dati 2014 sui contribuenti soggetti agli studi di settore. Dichiarazioni, si va al 22 luglio
Enrico Marro
ROMA Il prodotto interno lordo nel 2014 è diminuito dello 0,3% ma, nonostante la recessione, il reddito
medio dichiarato da 3,6 milioni di contribuenti soggetti agli studi di settore (- 0,8% sul 2013) è aumentato
del 3,1% rispetto all'anno prima. Lo spiega il Dipartimento delle Finanze del ministero dell'Economia, che
ieri ha pubblicato sul sito i dati sugli studi di settore, il meccanismo che stima i ricavi dei lavoratori autonomi
e dei professionisti. A causa della crisi, per 193 studi di settore si è tenuto conto dell'impatto negativo della
congiuntura sui ricavi mentre 68 studi sono stati oggetto di vera e propria revisione. Il dicastero ha messo
online anche le statistiche relative alle dichiarazioni Iva, sempre riferite al periodo d'imposta 2014, e la
rielaborazione dei dati Irpef per reddito prevalente.
Proroga del 730
Nel frattempo, la presidenza del Consiglio, ha firmato il dpcm che concede più tempo ai Caf virtuosi per la
trasmissione delle dichiarazioni dei redditi. In particolare, Caf e professionisti abilitati che, al 7 luglio
(scadenza originaria) avranno trasmesso all'Agenzia delle Entrate almeno 80% dei modelli presi in carico,
potranno smaltire il resto entro il 22 luglio. Anche l'anno scorso c'era stata una proroga simile e l'Agenzia
delle entrate aveva esteso il termine a lavoratori dipendenti e pensionati che inviano la precompilata
autonomamente. Resta da vedere se anche quest'anno sarà così.
Studi di settore
Nel 2014, dai 3,6 milioni di contribuenti soggetti a studi di settore (65% persone fisiche) sono stati dichiarati
ricavi medi di 197.500 euro a testa, con un calo dell'1,3% rispetto all'ano precedente. Il reddito medio è
invece risultato in aumento, pari a 25.900 euro per le persone fisiche (+ 2,2%), a 37 mila euro per le società
di persone (+ 4,1%) e a 26.700 euro per le società di capitali ed enti (+ 12,3%). In media per tutti i soggetti
a studi di settore è stato di 27.947 euro.
Professionisti al top
Guardando all'attività esercitata, la classifica dei redditi è guidata dai professionisti, con 41.600 euro, anche
se in calo dell'1,2% sul 2013. Al secondo posto il settore manifatturiero (32.400 euro con un aumento
dell'11,7%), seguito dai servizi, con 24.400 euro (+ 3,9%). Il reddito più basso risulta quello del commercio
con appena 19.100 euro nonostante sia cresciuto del 9% rispetto al 2013.
Altro dato che risalta riguarda le società di capitali, che pur dichiarando la metà del totale dei ricami
assoggettati agli studi di settore, registrano solo il 16% del totali dei redditi. Al contrario, le persone fisiche,
pur dichiarando solo il 27% dei ricavi o compensi totali, risultano con il 61% dei redditi. «Queste quote
percentuali - osserva in una nota il Dipartimento delle Finanze - riflettendo la specifica struttura produttiva
delle diverse forme giuridiche dei contribuenti, sono in linea» con quanto evidenziato l'anno precedente.
Congrui e non
Il confronto tra i livelli di reddito medio dei soggetti congrui e non congrui mostra differenze molto forti. I
contribuenti congrui sono quelli i cui ricavi sono uguali o superiori a quelli stimati dagli studi di settore e
hanno dichiarato in media un reddito di 44.560. Quelli non congrui sono invece risultati in perdita in media
per 730 euro.
Lavoratori dipendenti
La rielaborazione dei redditi Irpef mostra invece un'elevata variabilità rispetto al datore di lavoro. Quelli che
lavorano per una persona fisica hanno dichiarato il reddito più basso: 9.700 euro. I dipendenti di società di
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 01/06/2016 - 01/06/2016
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Il Fisco
01/06/2016
Pag. 4
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tiratura:387811
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 01/06/2016 - 01/06/2016
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persone hanno invece avuto un reddito medio di 13.890 euro, che sale a 21.040 euro per chi è alle
dipendenze della pubblica amministrazione. Il reddito medio più alto si registra per i dipendenti delle società
di capitali , con 23.630 euro. Un'ulteriore conferma che, in genere, si guadagna di più nelle grandi aziende.
Iva
Sono 5,3 milioni i contribuenti che hanno presentato la dichiarazione Iva per l'anno d'imposta 2014, che ha
risentito dell'aumento dell'aliquota dal 21 al 22% scattato nell'ottobre del 2013. L'Iva di competenza è infatti
salita dell'1,7%.
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Il lavoro e la crescita TASSO DI DISOCCUPAZIONE PIL TRIMESTRALE Fonte: Istat d'Arco OCCUPATI
PREZZI AL CONSUMO Variazioni mensili congiunturali in percentuale Variazioni percentuali tendenziali in
percentuale 22.200 22.300 22.400 22.500 22.600 22.700 22.800 Apr Mag Giu Lug Ago Set Ott Nov Dic
Gen Feb Mar Apr Apr Mag Giu Lug Ago Set Ott Nov Dic Gen Feb Mar Apr 11,7% +0,2% 10.7 11.2 11.7
12.2 12.7 I trim. 2010 I trim. 2011 I trim. 2012 I trim. 2013 I trim. 2014 I trim. 2015 I trim. 2016 -1.0 -0.5 0.0
0.5 1.0 +0,3% 0,1 0,2 -0,1 0,2 -0,4 0,2 -0,4 0,0 -0,2 -0,2 0,2 0,3 -0,1 Mag Giu Lug Ago Set Ott Nov Dic Gen
Feb Mar Apr Mag Mag Giu Lug Ago Set Ott Nov Dic Gen Feb Mar Apr Mag -0,1 0,2 0,2 0,2 0,2 0,3 0,1 0,1
0,3 -0,3 -0,2 -0,5 -0,3
I numeri
Gli studi
di settore nel 2014 hanno riguardato 3,614 milioni di soggetti, in calo (-0,8%) rispetto al 2013.
Il reddito totale dichiarato, pari a 101 miliardi di euro, mostra invece un andamento positivo (+3,1%) rispetto
all'anno prima Il reddito medio dichiarato è risultato pari a 25.900 euro per le persone fisiche (+2,2%),
37.000 euro per le società di persone (+4,1%) e 26.700 euro per le società di capitali ed enti (+12,3%)
01/06/2016
Pag. 1
diffusione:155874
tiratura:211650
Giorgio Barba Navaretti
Perché il Paese riprenda a crescere davvero, il sistema produttivo deve cambiare pelle. Una frase molto
forte, «l'Italia ha la potenzialità per colmare il ritardo di crescita dell'ultimo ventennio» precede una
valutazione molto chiara che il piccolo non è bello. Continua u pagina 5 E`alta incidenza delle aziende di
piccola dimensione nel nostro sistema produttivo resta però un elemento di debolezza». In questo
accostamento ci sono due riflessioni fondamentali. La prima è la centralità del sistema produttivo e delle
imprese per il nostro sviluppo futuro. La seconda è che il sistema produttivo deve accelerare la sua
trasformazione, cambiare la sua pelle profondamente dualistica, con uno zoccolo duro di troppe imprese
troppo piccole e inefficienti per essere competitive sui mercati globali e un gruppo di imprese medie e
grandi che trainano la nostra crescita, soprattutto attraverso le esportazioni. È una storia nota. Ma in realtà
nella lettura che ne dà la Banca d'Italia, soprattutto nella corposa relazione annuale, l'analisi contiene
sfumature nuove e tutt'altro che pessimistiche. In primo luogo le ripetute revisioni delle statistiche Istat
riportano finalmente che la produttività del lavoro del settore manifatturiero ha continuato a crescere dal
2004, a parte la drammatica caduta tra il 2008 e il 2011. Il problema del Paese è invece la stagnazione
della produttività dei servizi privati che, pesando per una quota ben maggiore della manifattura sul Pil
totale, atterra anche la produttività per il totale del sistema produttivo. Insomma, dal 2004 la nostra
manifattura ha generato guadagni di produttività cumulati del 15,6%. Certo è meno della Germania. Ma se
si guardano le Business Statistics di Eurostat, si può vedere che in verità solo le imprese piccole, con meno
di 10 addetti hanno produttività che cresce meno ed è strutturalmente più bassa in livelli di quella tedesca
(questo è un dato medio, tra le piccole ci sono ovviamente imprese efficienti e dinamiche). Le nostre
imprese da più di 10 addetti fino a 250 hanno dinamica e livelli di produttività allineati se non migliori di
quelle tedesche. Le grandi (oltre 250) hanno dinamica simile alle tedesche, anche se un livello leggermente
più basso. Tutto questo significa che la produttività del manifatturiero italiano è più bassa di quella tedesca,
primo perché abbiamo troppe imprese piccole (che per quanto ci siano molte eccezioni, strutturalmente
hanno produttività inferiori delle medio-grandi), secondo perché il gap di produttività tra medio-grandi (250) e
piccole (meno di 10) è maggiore che in Germania (200% contro 48%). Terzo, perché la transizione verso la
maggiore dimensione e livelli più elevati di produttività (la cosiddetta efficienza allocativa) è molto più
debole che in Germania. Insomma, se avessimo una struttura dimensionale delle imprese simile alla
Germania, la produttività italiana non sarebbe un problema. «Se mia nonna avesse le ruote......», penserà
qualcuno: ognuno ha «il sistema produttivo che si ritrova». Meglio forse ragionare sul "che si merita", più
che sul "che si ritrova". Perché ci sono ragioni precise che aiutano a spiegare la drammatica staticità
dimensionale di buona parte del sistema produttivo. Ne considero due. Una è la transizione troppo lenta
verso un meccanismo decentrato di relazioni industriali. In questa luce il richiamo di qualche giorno fa del
neo presidente di Confindustria Vincenzo Boccia, a legare salari e produttività dovrebbe essere visto con
favore da tutti compresi i sindacati. Perché significa che nelle aziende produttive i salari possono
aumentare, così motivando i propri addetti a lavorare per la crescita. Una seconda, che viene approfondita
nella Relazione Annuale, è l'evasione fiscale. Questo spiega anche il fortissimo richiamo del Governatore
alla legalità. L'evasione fiscale non è solo un problema morale ma anche una iattura per la crescita. E non
solo per i motivi consueti (carenza di risorse fiscali ed elevata tassazione). Ma anche perché abbatte
l'incentivo per le imprese a innovare e a crescere. Un'impresa mediogrande è obbligata ad un livello di
trasparenza molto maggiore di una piccola. Dunque molte piccole sono poco incentivate a crescere perché
così perderebbero la loro vantaggiosa zona d'ombra fiscale. E siccome questa zona d'ombra garantisce un
margine competitivo sleale, riduce anche l'incentivo all'innovazione e alla crescita per chi le tasse le
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 01/06/2016 - 01/06/2016
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Far crescere le imprese
01/06/2016
Pag. 1
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tiratura:211650
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 01/06/2016 - 01/06/2016
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pagherebbe comunque. Quando si giustifica l'evasione fiscale dicendo che le piccole imprese non
sopravvivrebbero altrimenti, si dimentica che questa è una sopravvivenza precaria, che fa male a tutto il
sistema. Soprattutto fa male a quelle piccole imprese che le tasse le pagano ed hanno capacità e
potenzialità per crescere. La ricetta è allora combinare un'intransigente lotta all'evasione con la progressiva
riduzione della tassazione sulle attività produttive. Il Governatore è stato ancora una volta molto chiaro su
questo. Insomma, l'Italia e le sue imprese possono crescere più di quanto fatto finora. Il dualismo del nostro
sistema produttivo è spesso figlio di distorsioni indotte da politiche sbagliate. La lucida analisi della Banca
d'Italia ci aiuta a capire come raddrizzare la rotta.
01/06/2016
Pag. 2
diffusione:155874
tiratura:211650
Boccia: molte convergenze con il governatore, grande sfida su
produttività e crescita delle imprese
IL LAVORO «Per recuperare occupazione bisogna puntare sulla crescita». È una questione «interna ed
esterna alle nostre fabbriche»
Nicoletta Picchio
pSottolinea i «molti punti di convergenza» con la relazione del Governatore della Banca d'Italia. In
particolare «produttività e crescita delle imprese». Il presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia, ha
apprezzato il discorso di Vincenzo Visco: «Ci sembra molto in sintonia con il nostro pensiero, una relazione
bellissima». Produttività e dimensioni delle imprese sono stati due temi centrali anche nell'intervento di
Boccia all'assemblea di Confindustria: per il neo presidente degli industriali l'andamento della produttività è
la causa della lenta crescita italiana. E se ieri Visco ha indicato nella piccola dimensione delle imprese un
elemento di debolezza, Boccia è convinto, come ha detto all'assemblea, che «crescere deve diventare la
nostra ossessione» perché «l'industria del futuro richiede dimensioni adeguate». Tutti temi relativi alla
«grande questione italiana che deve essere risolta insieme alla grande questione europea». All'Europa
Visco ha dedicato ampio spazio della relazione. E sono piaciute a Boccia le riflessioni del Governatore sulla
Ue e la citazione finale su Altiero Spinelli, uno dei padri fondatori della Ue: «È la sfida da cui dobbiamo
ripartire», occorre «un'Europa delle soluzioni, non un'Europa dei problemi e delle paure. Su questo fronte
dobbiamo lavorare, costruire sulla crescita, non appiattirci sul presente». Boccia ha sottolineato la «grande
coerenza» di Visco nel porre «una questione rilevante» e cioè «una politica economica che sia coerente
con la politica monetaria espansiva della Bce». Ieri l'Istat ha diffuso i dati sull'andamento del mercato del
lavoro: «Per recuperare occupazione - ha commentato Boccia - dobbiamo puntare sulla crescita. È una
grande sfida interna ed esterna alle no- stre fabbriche». Temi su cui il presidente di Confindustria ha insistito
anche parlando all'assemblea di Federacciai, ieri pomeriggio a Milano. «Vogliamo e dobbiamo continuare
ad essere la seconda potenza manifatturiera europea. Per questo abbiamo bisogno di una politica
industriale che sappia guardare al futuro, ad un'industria innovativa, sostenibile e interconnessa. La
manifattura ha consentito all'Italia di diventare una grande potenza economica - ha ribadito il presidente - e
sempre la manifattura sarà la protagonista del nostro futuro». La convinzione di Boccia è che la crescita
passi dalla rinascita industriale del nostro Continente. Perché ciò accada sono necessarie azioni forti,
centrate su tre capisaldi: il primo, apertura dei mercatie libero scambio, basato su pari condizioni e
reciprocità. Secondo punto, occorre un'industria che deve diventare sempre più produttiva e competitiva,
innovando e investendo in tecnologie. Infine, le condizioni di contesto devono contribuire a rafforzarne
produttivi- tà e competitività, non ostacolarne la crescita e lo sviluppo. «Il nostro impegno ad essere più
competitivi rischia di non bastare se non lo è anche il contesto», ha sottolineato Boccia, facendo alcuni
esempi: bisogna affrontare rapidamente il quadro delle regole che governano le attività economiche e
industriali in Italia e in Europa, la Pa, la giustizia, le infrastrutture materiali e immateriali, il peso fiscale, il
costo dell'energia. Una serie di interventi che anche Visco ha citato nella relazione in Bankitalia. Boccia si è
soffermato in particolare sulla riforma del Titolo V della Costituzione, anche prendendo come esempio il
caso dell'Ilva, per normalizzare i rapporti tra Stato e Regioni e definire regole equilibrate e omogenee sul
territorio nazionale. «Questa riformaèa portata di mano - ha affermato il presidente di Confindustria - e non
possiamo che ribadire, proprio in riferimento a una delle più drammatiche vicende industriali degli ultimi
anni, l'auspicio che non sia il terreno per strumentalizzazioni politiche dal respiro corto».
SCENARIO PMI - Rassegna Stampa 01/06/2016 - 01/06/2016
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Confindustria. «Affrontare rapidamente il quadro delle regole che governano le attività economiche e
industriali» ROMA
01/06/2016
Pag. 16
NOVA24
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tiratura:211650
La nuova manifattura chiede il «digital inside»
Internet delle cose, big data, cloud computing si diffondono nei processi aziendali. Lo sviluppo va sostenuto
Antonio Larizza
a L'industria 4.0 darà una spinta alla digitalizzazione dei processi aziendali; e ne sarà sospinta. Alimenterà
un ecosistema di abilitatori digitali;e ne avrà bisogno per attuarsi pienamente. Offrirà l'occasione per
espandere la base industriale, in Europa e soprattutto in Italia. Ma sarà anche il treno da non perdere per
non rimanere inesorabilmente al palo. La quarta rivoluzione industriale conta elementi di continuità con il
passato. Non è nuovo, per esempio, l'impatto che la diffusione (o la non diffusione) dell'Ict promossoe
diffuso dalle nuove forme di manifattura digitale avrà sul Pil delle economie nazionali. Una ricerca Roland
Berger calcola che l'industria europea potrà aumentare il suo fatturato per oltre 250 miliardi di euro all'anno
(o perderne 605, se non digitalizzerannoi loro processi).È nuova, invece, la completa integrazione delle
tecnologie informatiche con tuttii processi economicie produttivi.È nuovo il "digital inside", ovvero il
confondersi dei confini tra quello cheè digitalee non-digitale. Le prime ondate del fenomeno sono già visibili
nei settori dell'automotive, della domoticae della sanità. In questi ambiti il "digital inside" è stato perseguito
per rispondere a specifiche richieste del mercato: prodotti più sicuri, più efficienti, più intelligenti. Una
ricerca dell'Osservatorio Smart Manufacturing del Politecnico di Milano («La competitività della manifattura
passa dal digitale») ha analizzato 192 applicazioni di smart manufacturing, per individuare le tecnologie e i
processi già oggi coinvolti dal "digital inside". Il merito della ricerca è quello di aver condotto un'analisi
empirica. Il processo più digitalizzato, con 75 applicazioni censite, è quello della "produzione". Seguono le
fasi relative a "processi logistici", "sviluppo di nuovi prodotti" e "manutenzione" (rispettivamente 27, 22e 20
applicazioni). Trai processi meno coinvolti, al momento, ci sono quelli realtivi alla gestione dell'inventario e
della pianificazione della produzione e della distribuzione. Le tecnologie più utilizzate e diffuse tra le
aziende monitorato riguardavano invece gli ambiti "internet delle cose", "big data", "interfaccia uomo
macchina di nuova generazione" e "cloud manufacturing". Tra le tecnologie emergenti l'automazione
avanzata. La matrice che emerge dallo studio dell'Osservatorio del Politecnico disegna una struttura
aziendale complessa e interconnessa. Appare chiaro come l'Industria 4.0 non porterà con se solo una
domanda di infrastrutture digitali. Ma farà esplodere anche un bisogno di competenze digitali avanzate.
L'Unione Europea calcola che entro il 2020 serviranno 800mila professionisti del digitali, e lancia l'allarme:
queste figure oggi non ci sono, e i sistemi nazionali non le stanno formando (si veda anche i dati del
rapporto Desi 2016, pubblicati nelle pagine precedenti). Nelle aziende sarà sempre più richiesta la figura
del "digital manufacturing architect". Persone capaci di ripensare l'organizzazione della fabbrica e dei suoi
processi, sia analogici che digitali. Tutto dovrà essere ripensato. Dagli spazi all'organizzazione del lavoro.
Dentro la fabbrica. Ma anche fuori: i confini dell'impresa risulteranno meno netti, il mondo esterno fatto di
clienti, fornitori, istituzioni sarà sempre più integrato. Cambierà il rapporto tra fabbrica e prodotto: l'internet
delle cose farà nascere oggetti capaci di comunicare con chi li ha fabbricati, per tutto il ciclo di vita.
L'impatto sarà dirompente, se si considera che la manifattura, da sola, genera il 77% della ricerca e
sviluppo e il 70% delle esportazioni globali. Il suo contributo al Pil mondiale è pari al 17%. Forse anche per
questo le proiezioni sugli effetti della rivoluzine del "digital indise" sono molto ottimistiche, in alcuni casi
forse eccessive. Anche perché la realtà in azienda è a ancora, per molto aspetti, analogica. Da un recente
sondaggio condotto tra le Pmi della stessa Germania, emerge per esempio che il 99% del campione
dichiara di aver incontrato difficoltà nel ricevere le innovazioni dell'industria 4.0, se pur con gradi diversi. Si
aggiunga che la materia è difficile da definire, anche perché l'innovazione dei processie dei prodotti che sta
guidando la nascita della smart factory non utilizza sempre nuove tecnologie: nella maggior parte dei casi è
piuttosto il risultato di combinazioni nuove di tecnologie esistenti. Parlando di industria 4.0 con gli
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01/06/2016
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imprenditori italiani, c'è una battuta che ricorre più delle altre: «Noi i sistemi cyber-fisici li abbiamo sempre
fatti. Solo non li abbiamo mai chiamati così». La sfida è duplice: da una parte c'è il rischio di creare una
"bolla". Dall'altra bisogna evitare l'errore di sottovalutare la trasformazione in atto, derubricandola a
semplice moda.
Foto: Il peso della manifattura. La manifattura è l'industria più grande del mondo: da sola, genera il 77%
della ricerca e sviluppo e il 70% delle esportazioni globali. Genera il 17% del Pil mondiale (dati Siemens).
Nella foto, un robot collaborativo in azione della TecFabrik di Mercedes, il laboratorio dove la casa di
stoccarda sviluppa applicazioni per l'industria 4.0
01/06/2016
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Anche per la manifattura l'ora del predictive analytics
Guido Romeo
milano Un simbolo manifatturiero come Ge si è rifocalizzato su una serie di settori industriali. Ma la sfida
vera che sta giocando è quella del software: oggi vale solo sei miliardi dei 150 totali di fatturato, ma per il
2002 Ge punta a essere uno dei primi dieci produttori mondiali di software. A partire dal predictive analytics
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Industria
01/06/2016
Pag. 17
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Agli agricoltori arrivano i fondi previsti per le Pmi
Nella prossima legge di stabilità il governo studierà l'introduzione di misure ad hoc che garantiscano anche
alle piccole aziende agricole l'accesso ai fondi del Ministero dello Sviluppo economico. Lo ha annunciato il
premier Matteo Renzi, intervenendo alla Giornata nazionale del latte organizzata da Coldiretti a Milano.
«Tra qualche mese avremo la legge di stabilità da approvare, c'è tempo per discutere, ma Regioni e Stato
possono intervenire insieme per finanziare dei progetti», aggiunge Renzi, che rivolto agli acricoltori
promette: «va creata una misura ad hoc, attingendo ai fondi di dotazione del Mise e bisogna far passare il
concetto che le vostre attività meritano di essere considerate alla pari delle piccole e medie imprese
manifatturiere». Il governatore della Lombardia Roberto Maroni ha assicurato la disponibilità della Regione
a impegnarsi sul finanziamento di progetti concreti. Renzi ha dato appuntamento a dopo il referendum per
fare il punto su un nuovo pacchetto a favore degli agricoltori.
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LEGGE DI STABILITÀ