Audizione sul Ddl 2994 Giovedì 9 aprile 2015

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Audizione sul Ddl 2994 Giovedì 9 aprile 2015
_____________________________________Associazione Italiana Maestri Cattolici
Audizione sul Ddl 2994
Giovedì 9 aprile 2015
Onorevole Presidente,
Onorevoli componenti delle Commissioni VIIme di Camera e Senato, grazie per l’occasione
offertaci di presentare le nostre riflessioni sul Ddl in oggetto.
Doverosa premessa è che, per l’Associazione Italiana Maestri Cattolici, quella parlamentare
è la via più idonea per trattare e decidere su temi così complessi come quelli della scuola, che
direttamente e indirettamente interessano la gran parte dei cittadini della Repubblica nei diversi
ruoli di studenti, genitori, professionisti di scuola.
Riteniamo, infatti, che l’urgenza di alcuni provvedimenti presenti nel testo del Ddl, in
particolare il piano straordinario di assunzioni previsto all’art. 8, non possa e non debba
condizionare e contingentare il confronto e il dialogo necessari per un’auspicabile larga
convergenza sulle decisioni da assumere a livello normativo.
Il dibattito parlamentare andrà valorizzato anche nella prospettiva di un’eventuale
decretazione d’urgenza, finalizzata all’avvio dell’anno scolastico 2015-2016, che dovrà tener conto
di tutti gli aspetti problematici evidenziati.
Venendo al merito del testo in discussione, ci permettiamo di porre alla Vs. autorevole
attenzione alcune criticità che rischiano di invalidare i buoni propositi della legge.
Innanzitutto, all’art. 2 viene individuato, quale soluzione per dare piena attuazione al
processo di realizzazione dell’autonomia e, addirittura, di riorganizzazione dell’intero sistema di
istruzione, il “rafforzamento” della funzione del Dirigente scolastico. Tale affermazione, con le
conseguenti previsioni, sembra figlia di una concezione aziendalista, privatistica e monocratica
della scuola.
L’assioma “più potere a chi dirige uguale maggiore efficienza” non tiene conto che
l’istituzione scolastica statale è un’organizzazione a legami deboli in cui i risultati non dipendono
quasi mai, nel positivo come nel negativo, dai singoli individui ma dal lavoro comune improntato a
corresponsabilità e impegno condiviso.
Tutti sappiamo bene che una Buona Scuola non è fatta da un solo buon docente o da un
buon dirigente.
Imporre, inoltre, al Dirigente di operare scelte legate al futuro lavorativo del personale
docente (anno di prova, scelte dall’Albo, contratti triennali, rinnovi o non rinnovi di detti contratti),
al di fuori di parametri certi e oggettivi, rischia di rendere la funzione dirigenziale ancora più
schiacciata sulla dimensione burocratico-datoriale piuttosto che rafforzarne quella di leadership
educativa della comunità professionale della propria istituzione scolastica. Nell’attribuzione di
ulteriori responsabilità al Dirigente scolastico vi è anche quella sulle “scelte didattiche”dei propri
docenti che rappresenta una evidente lesione della costituzionale libertà di insegnamento.
Quella individuata, ci sembra una risposta errata alla reale richiesta della scuola
dell’autonomia che è quella di una coerente ripartizione di responsabilità nelle funzioni di
indirizzo, tecnico-professionali e gestionali. Ciò che può incidere sulla qualità della scuola non è il
poter scegliersi gli insegnanti, quanto averne in numero adeguato alla propria progettualità
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formativa, avere tutti i posti in organico coperti stabilmente con personale a tempo
indeterminato, avere risorse economiche congrue, certe ed erogate in tempi definiti, avere la
possibilità di organizzare ed utilizzare le risorse nell’interesse dell’apprendimento degli
alunni/studenti.
A tal proposito, come evidenziato dalle stesse associazioni degli studenti, ci sembra
necessario ricercare coerenza tra l’offerta curricolare, con riferimento alle Indicazioni nazionali e
alle Linee guida, e gli obiettivi previsti all’art. 2 comma 3.
Due i principali rischi: sovraccarico, rispetto a curricoli già corposi, dettato più dall’esigenza
di trovare spazi-cattedra ai nuovi assunti piuttosto che per pressanti esigenze formative;
secondarizzazione accentuata della scuola primaria, con il ritorno alla logica degli esperti
disciplinari che per anni il MIUR ha tentato di superare con notevoli investimenti, tuttora in corso,
di denaro pubblico. Per quanto riguarda questo secondo rischio, ci sia permesso ricordare che gli
alunni della scuola primaria si relazionerebbero, in futuro, con non meno di sei docenti. Questa
scelta contraddice le teorie pedagogiche che sostengono l’importanza, per quell’età, di figure di
riferimento e favorisce una forte frammentazione del progetto educativo unitario.
Preoccupa, inoltre, l’esplicita previsione, al comma 14, del ricorso alla “fornitura di appositi
servizi” per l’insegnamento della lingua inglese, che può configurarsi come un inaccettabile
delegare all’esterno quello che è un compito-dovere della scuola.
Per quanto riguarda le previsioni degli art. 3, 4 e 5, le meritorie finalità si scontrano con la
totale inadeguatezza dei fondi destinati a realizzarle, se si considera che tutti gli alunni e studenti,
di tutte le scuole su tutto il territorio nazionale, hanno il diritto di poter usufruire delle stesse
opportunità. La scarsità dei fondi, rispetto all’ampiezza degli obiettivi, fa intravedere forti ed
inaccettabili sperequazioni.
Sulla nuova definizione dell’organico delle scuole, in un’ottica di riduzione della
complessità, appare maggiormente promettente definire parametri di calcolo certi che
permettano a ciascun Dirigente e a ciascuna Istituzione scolastica di avere certezza delle risorse
professionali disponibili. La procedura del piano triennale si scontra con i criteri di fattibilità e con i
tempi e i modi della burocrazia amministrativa. Un principio della buona gestione è quello di
programmare con le risorse di cui si ha disponibilità certa, non con quelle che si desidererebbero,
come sarebbe con il piano triennale scritto a ottobre e, inevitabilmente, ridimensionato a
febbraio.
Veniamo, quindi, a quello che è considerato il cuore del Ddl: il piano di assunzioni. Non
volendo entrare troppo nello specifico, ci sembra che l’articolato vada emendato nel rispetto di
alcuni principi generali:
a) il supremo interesse degli studenti ad avere docenti preparati, competenti e motivati;
b) il rispetto dei diritti acquisiti dei colleghi docenti presenti nelle varie graduatorie
oggetto della norma (Gae, di Istituto, del concorso) e degli obblighi assunti dai vari
Governi nei loro confronti, non ultimo il Governo in carica che ha alimentato attese e
speranze;
c) la tutela di chi ha coperto posti vacanti per 36 mesi anche non continuativi per evitare
una penalizzazione contraria alla ratio della sentenza della Corte europea;
d) la tutela dei diritti degli insegnanti in servizio in altri ordini scolastici o su altre cattedre
e presenti nelle varie graduatorie. Escluderli significherebbe modificare le regole in
corso d’opera e realizzare disparità di trattamento.
Solo così si potrà ridurre al minimo il contenzioso amministrativo: parte di questo Ddl ne è
effetto e vorremmo non ne fosse causa per il futuro.
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Come Associazione Italiana Maestri Cattolici ci preme, inoltre, sottolineare un altro aspetto
che può condizionare negativamente la professione e le relazioni interne alla comunità
professionale. Il sistema dell’Albo, regionale e territoriale, rischia di determinare due figure: il
docente dell’Albo soggetto a chiamata e a contratti triennali e il docente fuori albo che non è
soggetto a contratti triennali. Non siamo molto lontani dal delineare un “precariato esistenziale
professionale”, dettato non più, come il precariato storico, dalla mancanza del contratto a tempo
indeterminato, ma dalla ridefinizione della stessa natura di tale contratto: triennale, soggetto alla
valutazione del Dirigente, legato non a scelte dello stesso docente ma di chi “lo” sceglie in base al
curriculum vitae. Non riteniamo che sia questo ciò che si intende per valorizzazione della
professione docente.
Ci permettiamo di evidenziare come questo Ddl faccia complessivamente molto poco in
questa direzione. Il Fondo previsto all’art. 11 è inadeguato. Se l’obiettivo è generare la spinta al
miglioramento all’interno delle comunità professionali, il budget necessario è sicuramente
maggiore, se, invece, è elargire un premio una tantum, non possiamo che esserne delusi. Si potrà
obiettare che è un primo passo da promuovere e che criticarlo significa entrare a far parte della
schiera dei qualunquisti e di quelli che vogliono l’ugualitarismo ad oltranza: troppo comoda una
tale interpretazione delle critiche!
Proprio perché poco si è fatto fino ad oggi, ci vuole maggiore coraggio che avremmo
desiderato fosse concretizzato nella prospettiva della definizione dei profili dei docenti e dei
dirigenti, in vista anche di un ruolo unico della docenza, e della valorizzazione delle professioni di
scuola.
All’interno del testo ci piace evidenziare un aspetto importante: il riconoscimento della
formazione in servizio dei docenti “obbligatoria, permanente e strutturale”. È una richiesta che
come associazione formuliamo da tempo e che nell’art. 10 comma 4 trova uno spazio che, però, va
ulteriormente determinato nei tempi e nei modi.
L’AIMC chiede, ai componenti delle Commissioni riunite, di porre particolare attenzione
nella valutazione dell’opportunità di affidare alla decretazione delegata quanto previsto all’art. 21:
si tratta della più ampia delega data ad un Governo nella storia della Repubblica su temi così ampi
e così importanti. Scorrendo gli argomenti soggetti a decretazione non sfugge che tutto il sistema
nazionale di istruzione e formazione è rimesso, potenzialmente, in discussione.
Riteniamo che, tranne alcuni temi che possono trovare nella forma della delega ex art. 76
Cost. giusta modalità realizzativa, sugli altri ci siano tempi adeguati per una doverosa assunzione di
protagonismo da parte del Parlamento, luogo istituzionale dove ricercare la maggiore condivisione
possibile su aspetti importanti che riguardano il futuro della scuola della Repubblica.
Va segnalato, inoltre, che, poiché il 28 aprile si voterà per il nuovo Consiglio Superiore della
Pubblica Istruzione, sarebbe poco corretto escluderne la funzione così come previsto dall’art. 22
comma 1.
Infine, alcune rapide precisazioni:
1) la scuola dell’infanzia è la grande assente, pur essendo pienamente inserita nel sistema
nazionale di istruzione. Tutto è fermo, in attesa dell’evoluzione della proposta 0-6. Ci
sembra un errore, soprattutto a danno delle bambine e dei bambini che la frequentano
e che in alcuni casi vorrebbero frequentarla;
2) altro assente è il contratto. Siamo tutti consapevoli che negarne ruolo e funzione
significa intraprendere un percorso viziato in partenza;
3) il piano di assunzioni dimentica il personale ATA e i docenti della scuola dell’infanzia:
entrambi gli organici vanno coperti e con urgenza;
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4) tutte le previsioni normative, in quanto compatibili e applicabili, dovrebbero riguardare
l’intero sistema di istruzione così, come definito dall’art. 1 della legge 62/2000.
Soprattutto per ciò che riguarda gli studenti non ci possono essere differenze. Alcune
previsioni, inoltre, come la Carta di cui all’art. 10, potrebbero essere estese ai docenti
del sistema paritario.
In conclusione, dopo quanto annunciato e dopo le attese suscitate dal documento “La
Buona Scuola” e dalla conseguente consultazione, ci si aspettava, inevitabilmente, molto di più.
Siamo convinti che, però, il Parlamento non abdicando al proprio fondamentale e insostituibile
ruolo di luogo in cui si legifera per il bene del Paese, e anche grazie alle audizioni di questi giorni,
possa essere in grado di migliorare il Ddl 2994.
Grazie.
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