Storia della Ursus Gomma (1931-1987)
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Storia della Ursus Gomma (1931-1987)
Storia della Ursus Gomma (1931-1987) di Antonio Savini 2 INDICE p. 5 La nascita e il Fascismo (1931-1939) p. 35 La Guerra e la caduta del Fascismo (1940-1945) p. 49 Il Dopoguerra e la Ricostruzione (1945-1953) p. 77 Tra crisi e Miracolo economico (1954-1968) p. 99 Il declino e il fallimento (1969-1987) p. 114 Elenco abbreviazioni 3 4 La nascita e il Fascismo (1931-1939) 1) Introduzione La Ursus Gomma nacque agli inizi degli anni ’30 in un contesto storico ed economico unico ed irripetibile per opera di tre importanti imprenditori vigevanesi: Pietro Bertolini (1887-1954), Pietro Magnoni (1872-1941) e Rinaldo Masseroni (1891-1957)1. L’impresa fin dalla fondazione operò principalmente nel settore delle calzature in gomma e della produzione di articoli tecnici in gomma. Per comprendere le ragioni che resero possibile la nascita e il successo della Ursus Gomma è indispensabile fare alcune riflessioni sulla congiuntura economica e sullo stato del settore gomma negli anni ’30. Studiare l’ambiente economico in cui un’impresa nasce e si sviluppa è fondamentale per mettere in luce l’insieme di vincoli ed opportunità esterne con cui gli industriali si devono confrontare e che sono variabili fondamentali delle decisioni imprenditoriali. 2) L’Italia e Vigevano negli anni ‘30 Gli anni 1931-32 furono, in Italia e a Vigevano, il periodo più duro della crisi economica iniziata nel 1929 negli Stati Uniti e poi diffusasi su scala mondiale2. L’impatto della recessione fu molto forte anche nel nostro paese e creò una serie di effetti a catena che rischiarono di travolgere completamente l’economica nazionale e costrinsero le autorità di politica economica a provvedimenti di natura straordinaria impensabili fino a qualche anno prima. Il primo effetto della crisi del ’29 fu la brusca interruzione del flusso di capitali statunitensi che, nel corso degli anni ’20, aveva finanziato una parte importante della modernizzazione della nostra industria, accompagnata da richieste di rimborso3. Molte grandi imprese si trovarono improvvisamente a corto di liquidità. La sostanziala situaziona di insolvenza della grande industria si trasferì velocemente alle principali banche nazionali portandole alla bancarotta e impedendo 1 AA.VV., Ursus Gomma, Vigevano, 1965, p. 1. Castronovo V., La storia economica, p. 294, in AA.VV., Storia d’Italia, Il Sole 24 Ore-Einaudi, Milano, 2005, Vol. 7. 3 Castronovo V., L’industria italiana dall’Ottocento a oggi, Mondadori, Milano, 1990, p. 189. 2 5 l’erogazione di nuovi ed indispensabili prestiti. Intanto, la caduta della domanda internazionale ridusse drasticamente le esportazioni che si contrassero di quasi la metà tra il 1929 e il 1932, mentre la riduzione dell’attività produttiva creava ampi fenomeni di disoccupazione e di sottoccupazione, perché gran parte delle fabbriche lavoravano ad orario ridotto4. La situazione fu ulteriormente aggravata dal sostanziale blocco dei flussi migratori causato dalle politiche di contenimento degli arrivi attuato dagli Stati Uniti e da altri paesi. Il risultato fu la formazione di un notevole surplus di manodopera agricola ed industriale che non riusciva a trovare occupazione e che favoriva la riduzione delle retribuzioni: l’indice dei salari nominali dell’industria si abbassò, a sua volta, fra il 1928 e il 1937 da 528 a 418. Dal 1932 in avanti, sino alla caduta del fascismo, il saggio medio delle retribuzioni reali, nonostante i miglioramenti salariali intervenuti dopo il 1936-37, non riuscì a raggiungere in alcun modo il livello del 1921-22, ad assicurare cioè alla classe lavoratrice lo stesso potere di conquistato prima dell’avvento del regime5. Ovviamente, la riduzione dei salari ebbe come effetto una caduta ulteriore della domanda di beni, che si sommava alla riduzione delle esportazioni e aggravava ulteriormente la situazione delle imprese. A sua volta le imprese che producevano beni di consumo riducevano l’attività e investimenti aumentando la disoccupazione e trasmettendo le difficoltà economiche anche a quelle industrie che producevano beni d’investimento. Nel 1931-32 la crisi aveva portato al completo sfacelo l’intero sistema economico costruito nel corso degli anni ’20. Proprio nel momento peggiore della recessione cominciarono mobilitarsi nuove forze economiche che riuscirono a salvare l’economica nazionale dalla bancarotta. Ma la ripresa non fu il risultato di un semplice risanamento finanziario, implicò anche la costruzione di un nuovo contesto istituzionale e di una nuova politica economica. In estrema sintesi la ripresa si basò su tre pilastri fondamentali: 1) salvataggio pubblico della grande impresa e del sistema bancario e forte dirigismo statale; 2) riorganizzazione del sistema bancario; 3) chiusura del mercato interno rispetto agli scambi con l’estero e ricerca del massimo grado di autosufficienza possibile. Il salvataggio della grande impresa e del sistema bancario venne portato avanti con la nazionalizzazione delle principali banche nazionali, che vennero liberate di tutte la passività attraverso l’attribuzione di queste a un apposito istituto, l’I.R.I., fondato nel 19336. Il settore bancario venne riorganizzato in modo radicale abolendo il precedente sistema della banca mista in cui gli istituti di credito ordinari si occupavano anche di credito industriale a lungo termine. 4 Ibidem, p. 190. Castronovo V., L’industria italiana dall’Ottocento a oggi, Mondadori, Milano, 1990, p. 295. 6 Candeloro G., Storia dell’Italia moderna, Feltrinelli, Milano, 1987, vol. IX, p. 277 5 6 Con il nuovo ordinamento, fortemente voluto da Beneduce7 ed ufficializzato dalla legge bancaria del 1936, le banche si dovevano limitare solo al credito ordinario e alla raccolta del risparmio, mentre il credito industriale veniva riservato ad opportuni istituti di mediocredito8. Tabella 1.1 – Commercio estero italiano negli anni ‘309 importazioni esportazioni Anni Milioni di lire correnti 1929 1930 1931 1932 1933 1934 1935 1936 1937 1938 1939 1940 21303 17347 11643 8268 7432 7675 7790 6039 13943 11273 10309 13320 14767 12119 10210 6812 5991 5224 5238 5542 10444 10497 10823 11519 Valori ass. -6538 -5228 -1433 -1456 -1441 -2451 -2552 -497 -3499 -776 +514 -1801 Perc. Delle esportazioni sulle importazioni 69,3 69,9 87,7 82,4 80,6 68,1 67,2 91,8 74,9 93,1 105 87,1 Infine, lo stato reagì al crollo del mercato internazionale adottando provvedimenti di controllo e riduzione degli scambi con l’estero ispirati a principi simili a quelli adottati da altri paesi industrializzati. Le specificità italiane in questo processo di chiusura verso l’esterno vanno ricercate nella forte propaganda fascista, che scandì ogni passaggio con il lancio di nuove battaglie autarchiche, e con la povertà di risorse dell’area di scambio italiana. Le politiche autarchiche italiane portarono ad una forte riduzione degli scambi con l’estero come evidenziato in tabella 1.1. Come si nota, la riduzione degli scambi con l’estero non riuscì, né poteva, eliminare il deficit della bilancia italiana. La riduzione degli scambi, però, creò una situazione estremamente favorevole per quelle imprese che producevano beni sostitutivi delle importazioni; il regime fascista le incoraggiò in tutti i modi e cercò di controllarle con la sua politica dirigistica dell’economia. 7 De Cecco M., Splendore e declino del sistema Beneduce: note sulla struttura finanziaria e industriale dell’Italia dagli anni venti fino agli anni sessanta, in a cura di di Barca F., Storia del Capitalismo Italiano dal Dopoguerra a oggi, Donzelli, Roma, 1997, p. 394. 8 Castronovo V La storia economica, p. 301, in AA.VV., Storia d’Italia, Il Sole 24 Ore-Einaudi, Milano, 2005, Vol. 7. 9 La tabella è tratta da Candeloro G., Storia dell’Italia moderna, Feltrinelli, Milano, 1987, vol. IX, p. 264 per gli anni 1929-1935 e da da Candeloro G., Storia dell’Italia moderna, Feltrinelli, Milano, 1984, vol. X, p. 107 per gli anni 19361940. 7 La crisi economica del ’29 ebbe un forte impatto anche sull’economia vigevanese colpendo fortemente sia il settore tessile che il settore calzaturiero. Il primo stava già attraversando un periodo di crisi iniziato nel 1927 con la rivalutazione della lira a quota 90 decisa da Mussolini10, che se favorì l’afflusso di capitali dall’estero colpì fortemente le industrie esportatrici, tra cui primeggiava il settore tessile11. La crisi del ’29 riducendo fortemente anche la domanda interna non fece altro che aggravare una situazione già difficile. Ancora più grave l’impatto della crisi nel settore calzaturiero, che già all’epoca era il principale settore industriale della città sia per numero di occupati che per numero di unità produttive. La caduta della domanda di scarpe, la crisi finanziaria e la carenza di credito si abbatterono sul settore costringendo alla chiusura numerose fabbriche. La crisi suscitò forti preoccupazioni in città e un vivace dibattito sulla stampa locale sulle cause e sui possibili rimedi alle difficoltà economiche. Il tenore della discussione può essere reso da alcuni stralci di un articolo del 1931, significativamente intitolato Avvoltoi nell’industria delle calzature, in cui l’autore osservava come: Il rischio dell’industriale oggi è enorme. Per lavorare e per affrontare la concorrenza, egli deve ribassare i prezzi di vendita della merce. In cambio si vede costretto ad andare incontro a rinnovi cambiali, tratte insolute in tutto o in parte; deve perciò portare un contributo finanziario, dopo aver fornito di merce il cliente. Costui poi paga, dopo innumerevoli dilazioni, dopo numerosi rinnovi o richieste di concorsi in pagamenti. Perché il cliente non paga? Per la mancata vendita, perché non può incassare12. Una situazione simile favoriva la speculazione di usurai e di intermediari che approfittavano delle difficoltà di produttori e distributori al dettaglio comprando merci sottocosto e rivendendole, oppure prestando somme di denaro a tassi d’interesse esorbitanti. Gli industriali, tranne i più grandi che avevano ampie risorse proprie e potevano accedere a quel poco credito che le banche riuscivano ancora a fare, si trovavano in una situazione difficilissima. Da un lato erano rovinati dalla deflazione che riduceva continuamente il valore delle merci che producevano, mentre dall’altro i lunghi tempi di attesa per realizzare le vendite potevano essere superate solo grazie a mezzi finanziari che la maggior parte degli imprenditori non aveva. La stampa locale era pienamente consapevole delle difficoltà finanziarie in cui si dibatteva il settore e osservava come: […] se da noi si vende troppo a buon mercato non è da farsi colpa a Tizio o a Caio perché portano l’acquirente dal fabbricante che stretto dal bisogno di fine mese o da altri impegni venderà la merce a 20 quando sa che a costi strettamente fatti costa 22. La causa va ricercata in un difetto di origine della nostra industria: la mancanza di capitali13. 10 Romeo G., Breve storia della grande industria in Italia 1861/1961, Universale Cappelli, Bologna, 1961, pp. 150-152. Ibidem, p. 112. 12 Il Corriere di Vigevano, anno XXIV, n. 7 del 15 febbraio 1931. 13 Ibidem, n. 15 del 26 aprile 1931. 11 8 Per altro le vendite al ribasso acceleravano il processo di deflazione dei prezzi della calzature e finivano per costringere a vendere sottocosto anche quegli imprenditori che disponevano di mezzi finanziari, ma che comunque non potevano permettersi di perdere quote di mercato proprio durante una crisi così grave. Dato che gli imprenditori dotati di una buona disponibilità di capitali erano solitamente quelli più grandi e con gli impianti produttivi più moderni ed avanzati, il settore calzaturiero di Vigevano correva un serio rischio di regresso industriale indotto dalla deflazione dei prezzi. La congiuntura economica paradossalmente svantaggiava le imprese più moderne ed era vista con grande preoccupazione, infatti si sottolineava come: Qualsiasi richiesta di calzature a buon mercato, per acrobatica che sia, viene soddisfatta. […] I calzaturifici meglio attrezzati ed organizzati sembrano relegati agli ultimi posti nella scala della concorrenza, che invece segna fra i primi, calzaturifici di nessuna importanza e privi di organizzazione14. La situazione era evidentemente insostenibile e portò rapidamente a numerosi fallimenti, alla concentrazione industriale e al ristagno della produzione quando non addirittura alla diminuzione. Qualche statistica è raccolta nella tabella 1.2 riporta i dati sull’andamento aggregato del settore delle calzature in cuoio vigevanese durante la crisi del ’29 e negli anni appena successivi. Tabella 1.2 – Andamento del settore della calzature di cuoio durante la crisi del ‘2915 anno N. fabbriche Produzione in migliaia di paia 1929 250 7250 1930 237 7345 1931 218 7736 1932 190 6680 1933 185 8125 1934 192 8627 1935 192 9060 I dati evidenziano come tra il 1929 e il 1932, anno di culmine della crisi, chiuse più di un quinto delle fabbriche cittadine, mentre il numero di paia prodotto prima ristagnò e poi si ridusse fortemente nel 1932. Solo a partire dal 1933 il settore delle calzature in cuoio ricominciò riprendersi non solo in termini di produzione, ma anche di nascita di nuove imprese. Alla ripresa dell’economia cittadina contribuirono sia la generale ripresa dell’economia nazionale che alcune iniziative locali. Proprio nel momento più grave della crisi, venne fondata l’Associazione pro Vigevano che si proponeva il rilanciare l’immagine e l’industria locale. La prima importante iniziativa presa dalla 14 Ibidem, numero del 19 aprile 1931. I dati sono frutto di una rielaborazione a partire da Il Popolo di Vigevano, supplemento de IlPopolo di Pavia, anno II, numero 41 del 17 ottobre 1935, p. 2. 15 9 neonata associazione fu l’organizzazione della I Settimana Vigevanese16. Fin dalla sua prima edizione questa manifestazione fu sostanzialmente una fiera dell’industria locale che prevedeva gare sportive e altri eventi soprattutto per attirare visitatori in città. Tra le numerose ditte espositrici si faceva notare la Ursus Cuoio, impresa calzaturiera specializzata nella produzione di calzature in cuoio controllata da due dei più importanti industriali locali, Bertolini Pietro e Magnoni Pietro17, che da lì a breve saranno tra i fondatori della Ursus Gomma. 3) L’intuizione imprenditoriale della Ursus Gomma La Ursus Gomma nacque come impresa produttrice di calzature in gomma proprio durante i momenti più duri della crisi economica italiana e in un certo senso ne è figlia. La scelta imprenditoriale di fondare l’azienda venne presa nel corso del 1931 da tre importanti imprenditori locali: Pietro Bertolini, Magnoni Pietro e Rinaldo Masseroni. La scelta di operare nel settore calzature in gomma appariva decisamente innovativa per l’epoca perché non esisteva ancora un’industria di massa di calzature in gomma vulcanizzata; o meglio stava proprio nascendo in quegli anni. A favorire la nascita di questa nuova branca industriale concorrevano numerosi elementi, primo fra tutti la fresca comparsa sul mercato di tecnologie e macchinari indispensabili per la produzione in massa a basso costo. Un secondo elemento da non dimenticare è che, all’inizio degli anni ’30, le scarpe con suola in gomma costituivano un bene nuovo sul mercato, ma già conosciuto ed apprezzato per la sua utilità e praticità. Da qui la domanda estremamente dinamica, pur in un contesto di sostanziale regresso del potere di acquisto della popolazione. Da un punto di vista imprenditoriale il mercato era estremamente promettente infatti: Il consumatore, dal canto suo, ha riservato trionfale accoglienza alla calzatura di gomma e ne è prova lo scarseggiare di manufatti sul mercato, per la qual cosa è evidente lo squilibrio naturale, fra domanda e offerta18. A rendere ancora più promettente le prospettive del settore concorreva anche la politica commerciale fascista tesa a scoraggiare l’importazione di merci straniere, come notava un giornalista dell’epoca: Non va neppure dimenticata l’alta aliquota di importazione di soprascarpe, stivali, stivaletti ecc…19 16 Il Corriere di Vigevano, anno XXXIV, n. 19 del 17 maggio 1931. Ibidem, anno XXXIV, n. 41 del 4 ottobre 1931. 18 Ibidem, anno XXXVI, n. 51 del 17 dicembre 1933. 19 Ibidem. 17 10 La tabella 1.3 riporta alcuni dati sulla produzione di scarpe in gomma a Vigevano negli anni immediatamente precedenti ed immediatamente successivi alla nascita della Ursus Gomma. Tabella 1.3 – Produzione di scarpe in gomma a Vigevano all’inizio degli anni ’3020. anno N. imprese Migliaia di paia di scarpe con suola di gomma 1929 1 15 1930 2 326 1931 3 1043 1932 5 2037 1933 5 3472 1934 5 4052 1935 9 6320 Il settore della calzatura in gomma nacque a Vigevano proprio durante la crisi del ’29 e conobbe subito un successo sorprendente soprattutto se confrontato con il contemporaneo andamento del resto dell’economia locale e nazionale. Da una produzione trascurabile nel 1929, gli industriali locali riuscirono in soli 5 anni a passare a una produzione di 4 milioni di paia annue, ben la metà dell’intera produzione locale di calzature in cuoio. La produzione in massa ebbe due conseguenze fondamentali. Da un lato provocò una caduta dei prezzi all’ingrosso dovuta non alle difficoltà di smercio, ma agli incrementi di produttività che permisero di ridurre il costo di un paio di tennis all’ingrosso da 20 a 5 lire nel periodo 1930-3521. Dall’altro mise completamente fuori mercato la produzione estera, già ostacolata dagli alti dazi, che scomparve totalmente dal mercato già nel 193622, mentre ancora nel 1933 l’Italia importava 748 mila paia di scarpe23. La principale difficoltà del settore calzature di gomma era costituito dalle alte barriere all’entrata causate dai consistenti investimenti in macchinari necessari all’inizio della produzione e dalla necessità di una dimensione aziendale minima piuttosto alta per poter essere competitivi. Per questo motivo mentre a Vigevano nel 1934 circa duecento fabbriche, tra grandi e piccole, producevano 8 milioni di calzature in cuoio, il settore gomma era composto da solo 9 imprese24 che però immettevano sul mercato 4 milioni di paia. In altre parole, mentre la fabbrica media del settore cuoio produceva circa 42 mila paia annue, la fabbrica media del settore gomma circa 810 mila paie annue cioè venti volte di più. 20 I dati sono frutto di una rielaborazione a partire da Il Popolo di Vigevano, supplemento de Il Popolo di Pavia, anno II, numero 41 del 17 ottobre 1935, p. 2. 21 Vigevano Illustrata, anno II, numero 5 del settembre 1936, p. 9. 22 L’Economia Nazionale, anno XXIX, 1937, speciale sulla provincia di Pavia 23 Vigevano Illustrata, anno II, numero 5 del settembre 1936, p. 11. 24 Ibidem, p. 9. 11 Questi ostacoli all’entrata nel settore, però, potevano essere superati solo da imprenditori già affermati e dotati di consistenti capitali propri, anche perché il sistema bancario difficilmente poteva offrire finanziamenti. Superati gli ostacoli si entrava in un settore caratterizzato dalla presenza di pochi concorrenti, da una domanda estremamente dinamica, in crescita esponenziale e da un mercato nazionale impenetrabile per la concorrenza estera. 4) Dalla Società Immobiliare San Giovanni della Paglia alla Ursus Gomma Nella storia della Ursus Gomma si deve distinguere la nascita giuridica della società da quella economica. La nascita giuridica ebbe luogo il 24 marzo del 1931 nell’ufficio del notaio Antonio Nussi di Milano quando venne costituita una società avente la denominazione di Società Immobiliare San Giovanni della Paglia25. La nuova impresa aveva come ragione sociale: l’acquisto, la vendita, la permuta, l’amministrazione, la conduzione e la locazione di beni immobili. Essa potrà prendere interessanze e partecipazioni in altre Società ed Imprese similari e compiere qualsiasi atto ed operazione per il raggiungimento dello scopo sociale26. Si trattava quindi di una società non industriale che doveva operare nel settore immobiliare e apparentemente non aveva alcun legame con la Ursus Gomma di Vigevano. In realtà questa vicenda consente di restringere a pochi mesi il periodo in cui il progetto industriale di creazione di un calzaturificio per la lavorazione della gomma venne elaborato. La Società Immobiliare San Giovanni della Paglia era un’impresa costituita in forma di società anonima, così venivano chiamate all’epoca le società per azioni. Il capitale complessivo era di 5000 lire suddiviso in 50 azioni da 100 lire cadauna. La società risulta controllata da Rinaldo Masseroni che sottoscrive 46 azioni, mentre due azioni a testa venivano sottoscritte da Angelo Corba e Mario Modugno 27. Gli ultimi due erano probabilmente dirigenti che lavoravano per Masseroni e che in questo modo venivano coinvolti e motivati alla buona riuscita economica dell’impresa. Il progetto imprenditoriale della Società Immobiliare San Giovanni della Paglia non riuscì a decollare e fu ben presto superato dal progetto imprenditoriale della produzione di calzature in 25 Archivio Camera di Commercio di Milano, Registro imprese, fasc. 177767, Denuncia di esercizio delle società in accomandita per azioni e anonime del 24 marzo 1931. 26 Ibidem, p. 2. 27 Ibidem, p. 3. 12 gomma. Questo cambiamento di prospettiva venne formalizzato dall’Assemblea straordinaria del 18 novembre del 1931 che deliberò: 1) il cambiamento del nome della società da Società Immobiliare San Giovanni della Paglia a Ursus Gomma; 2) il cambiamento della ragione sociale da immobiliare a industriale; 3) un consistente aumento di capitale con l’ingresso dei nuovi soci Pietro Bertolini e Pietro Magnoni28. Il progetto imprenditoriale della Ursus Gomma venne dunque delineato ed avviato nel periodo compreso tra il 24 marzo e il 18 novembre 1931, nell’arco di poco meno di sei mesi. L’idea di produrre calzature in gomma vulcanizzata era, però, già in gestazione da almeno due anni, infatti già nel 1929 la Ursus Cuoio aveva cominciato a produrre, a livello sperimentale, scarpe con suola in gomma vulcanizzata29. Nel nuovo progetto imprenditoriale la Società Immobiliare San Giovanni della Paglia, con tutte le sue attività, svolse il ruolo di involucro giuridico e di contributo economico di Rinaldo Masseroni alla costituzione della nuova impresa. La società assunse, con delibera dell’Assemblea straordinaria del 18 novembre 1931, il nome di Ursus Gomma società anonima manifattura prodotti gomma30. La nuova denominazione dell’impresa venne scelta con un preciso riferimento a Ursus, uno dei protagonisti del romanzo di Sinkiewicz Quo Vadis31. Il marchio della nuova impresa infatti si ispirava al famoso episodio del capitolo LXV in cui l’eroe, lottando nell’arena alla presenza di Nerone, affronta un toro e lo sconfigge prendendolo per le corna e piegandogli la testa a terra fino ad ucciderlo32. Con questo simbolo la Ursus Gomma entrò a far parte dell’immaginario collettivo 28 Archivio Camera di Commercio di Pavia, Registro imprese, fasc. 24351, denuncia ditte del 29 dicembre 1931. L’Informatore Vigevanese, anno IX, n. 3 del 22 gennaio 1953, p. 1. 30 Archivio Camera di Commercio di Pavia, Registro imprese, fasc. 24351, denuncia ditte del 29 dicembre 1931, Verbale di Assemblea straordinaria, p. 5. 31 Il romanzo di Sienkiewicz era all’epoca ampiamente noto in Italia. Pubblicato per la prima volta a puntate in appendice al Corriere di Napoli nel 1897-98, esso uscì contemporaneamente in volume in due edizioni, una per la casa editrice Detken e Rocholl di Napoli, nel 1898, e una della Baldini e Castoldi di Milano, nel 1899. Negli anni successivi il libro incontrò un tale successo che le due case portarono sul mercato ben settantasette ristampe di Quo Vadis?. Cfr. Sienkiewicz H., Quo Vadis?, Fratelli Fabbri Editore, Milano, 1964, p. 585. I fondatori dell’Ursus Gomma e della precedente Ursus Cuoio avevano conosciuto la vicenda leggendo il romanzo, perché le riduzioni cinematografiche sono posteriori alla nascita dell’Ursus Cuoio che avvenne nel 1906. Prima del 1931 erano già usciti un film polacco per la regia di Jan Stika del 1902, che difficilmente era stato proiettato anche in Italia, una produzione italiana diretta da Enrico Guazzoni del 1912 e una coproduzione italo-tedsca del 1924 sotto la regia congiunta di Arturo Ambrosio e Gerog Jacoby. Fonte http://www.cinekolossal.com/1/quo_vadis/. Molto probabilmente la scelta del nome Ursus Gomma venne effettuata non solo con riferimento al romanzo di Sinekiewicz, ma anche per precise ragioni di opportunità commerciale, ovvero per utilizzare la notorietà già raggiunta dal marchio Ursus Cuoio che apparteneva a Pietro Bertolini e Pietro Magnoni. Una strategia simile in seguito venne replicata anche per una manifattura di cappelli di proprieta di Rinaldo Masseroni e di Pietro Bertolini che si chiamava appunto Cappellificio Ursus di Alessandria. Cfr. ASBI, Consorzio Sovvenzioni su Valori Industriale, Pavia, scaf. 8-st. 2, ripiano 6, nr ingr. arch. 2/14, bollettino di informazioni del 13 maggio 1950. 32 Sienkiewicz H., Quo Vadis?, Fratelli Fabbri Editore, Milano, 1964, pp. 524-532. 29 13 italiano a tal punto che 30 anni dopo lo scrittore Luciano Bianciardi lo ricordava con le seguenti parole: Io intanto vagavo con l’occhio sulle ordinate cataste di scatole bianche, ciascuna con il suo marchio di fabbrica, la scritta svolazzi, talvolta un disegnino. Ce n’era uno che m’incantava: un uomo grande e muscoloso, con un perizoma ai fianchi, i bicipiti tesi nello sforzo, costringeva un toro più grosso di lui a toccare terra con le corna; dalle nari gli uscivano due fumetti, ma a qui tempi non c’era scritto nulla dentro i fumetti. Sopra il suo nome: Ursus. […] Ero tutto per Ursus, il mio eroe, chissà se sarei diventato forte come lui? Non ci sono diventato, però, quando vado a vedere uno degli infiniti film a colori con la storia dell’uomo fortissimo, ancora ripenso al quel lontano desiderio, e mi vien nostalgia. Capostipite dei giganti buoni del cinema, e forse inventore del culturismo, l’Ursus delle scarpe era nato, per me, a Vigevano, città lontana e quasi mitologica, strana con quel nome che sembra un verbo intransitivo, terza persona plurale, indicativo presente [sic] 33. Con l’assemblea del 18 novembre del 1931 la Ursus Gomma oltre al nome assume anche la ragione sociale che la caratterizzerà per tutta la sua esistenza, ovvero: l’industria e il commercio delle calzature in genare [sic], quelle di gomma ed i prodotti affini nonché i prodotti di gomma in genare [sic] ed ogni operazione finanziaria e commerciale inerente all’industria di cui è caso34. Contestualmente l’Assemblea Straordinaria dalla ormai ex Società immobiliare San Giovanni della Paglia deliberò un consistente incremento di capitale che venne aumentato da 5000 lire a 600 mila di lire attraverso l’emissione di 950 nuove azioni da 100 lire cadauna35. In questo modo veniva raggiunto un duplice obiettivo. Da un lato si raccoglievano le risorse finanziarie indispensabili per avviare l’attività produttiva, dall’altro si rendeva possibile l’ingresso nel capitale di Pietro Bertolini e di Pietro Magnoni. La ripartizione delle quote azionarie iniziali tra i tre fondatori non è nota anche per la presenza di un certo numero di azionisti minori. Un documento successivo del 1934, quando però la Ursus Gomma aveva già un capitale di 6 milioni e 300 mila, documenta un’assemblea in cui gli azionisti intervenuti erano portatori in proprio o per delega delle seguenti azioni: 1) Bertolino Pietro di 2100 azioni; 2) Magnoni Pietro 2100 azioni; 3) Corti Giuseppe di 1820 azioni; 4) Masseroni Rinaldo di 280 azioni36. E’ probabile che Giuseppe Corti, non meglio noto, rappresentasse per conto proprio e per delega la quota di capitale degli azionisti minori, mentre i tre fondatori fossero presenti con le proprie quote azionarie. Sotto questa ipotesi i contributi alla nascita della Ursus Gomma sarebbero stati 33 AA.VV., Ursus Gomma, Vigevano, 1965, p. 14-15. Archivio Camera di Commercio di Pavia, Registro imprese, fasc. 24351, denuncia ditte del 29 dicembre 1931, Verbale di Assemblea straordinaria, p. 5. 35 Ibidem, pp. 11-12. 36 Ibidem, estratto verbale di Assemblea Straordinaria del 23 maggio 1934. 34 14 soprattutto finanziari da parte di Pietro Magnoni e Pietro Bertolini e manageriale da parte di Rinaldo Masseroni. Non a caso fin dall’assemblea dal 18 novembre venne delegato a quest’ultimo il potere di: fare contratti di compra vendita di merci, di materiali ed ogni cosa mobile […], fare pagamenti, effettuare depositi e prelievi bancari, […] assumere e licenziare impiegati e salariati determinandone gli emolumento [sic], firmare la corrispondenza37. Questa soluzione è comprensibile se si pensa che comunque Pietro Bertolini e Pietro Magnoni aveva la responsabilità della direzione di una grande fabbrica come la Ursus Cuoio e delle loro altre numerose attività economiche. Inoltre, essendo presenti come consiglieri nel Consiglio di amministrazione, dove Bertolini rivestiva la carica di presidente, si trovavano nella posizione di sorvegliare l’andamento dell’azienda e di deciderne collettivamente gli indirizzi generali, che poi Masseroni si impegnava a realizzare praticamente. 5) I primi passi Costituita la Ursus Gomma come nuova impresa fornita di nuovo capitale e di una nuova ragione sociale, il primo problema era iniziare l’attività acquistando i macchinari, assumendo la manodopera e individuando una sede. L’attività produttiva iniziò nei primi mesi del 1932 all’interno dell’allora Calzaturificio Andrea Ghisio situato all’incrocio tra le vie San Giacomo e via Madonna degli Angeli in un edificio costruito nel 1910 su progetto dell’Ingegner Basletta38. L’edificio venne acquisito in seguito alla situazione di dissesto finanziario in cui si trovava la Società Anonima Calzaturificio Andrea Ghisio di cui i fondatori della Ursus Gomma prima acquisirono il controllo e poi deliberarono la fusione per incorporazione. L’acquisizione avvenne in modo molto sfavorevole per gli azionisti di minoranza della Ghisio, perché passò attraverso la svalutazione del capitale della società da 625 mila lire, ovvero più della Ursus Gomma a solo 30 mila lire. Successivamente le azioni vennero cambiate in azioni Ursus che aumentò il suo capitale fino a 630 mila lire39. In questo modo la Ursus Gomma assunse il controllo di una struttura produttiva già esistente, con una prima dotazione di macchinari e con i primi dipendenti. In origine lo stabilimento copriva 37 Ibidem, denuncia ditte del 29 dicembre 1931, Verbale di Assemblea straordinaria, p. 13. Canessa S., Ursus Gomma 1910-1994, storia di un degrado, p. 72, in Viglevanum, anno IV, febbraio 1994 39 Archivio Camera di Commercio di Pavia, Registro imprese, fasc. 24351, Assemblea straordinaria del 7 dicembre 1932. 38 15 un’area di 3000 mq40 ed era collocato in un’area all’epoca periferica e dove non sussistevano ostacoli rilevanti ad un eventuale ampliamento. Grazie a questa base di partenza la neonata società poté iniziare la produzione in larga scala e già alla fine del primo anno raggiungere la non indifferente produzione di 5000 paia di scarpe giornaliere41. I primi prodotti ad essere immessi sul mercato furono le allora ancora poco diffuse scarpe in tela e gomma, meglio note come tennis, e le pantofole con suola di gomma vulcanizzata Licia42. Il primo evento importante a cui la Ursus Gomma partecipò fu la seconda edizione della Settimana Vigevanese tenutasi nell’ottobre del 1932, dove veniva segnalata come impresa del gruppo controllato da Bertolini e Magnoni: Il calzaturificio Ursus palesa al visitatore le sue possibilità di grande azienda nell’esposizione dei suoi prodotti. Si va dalla calzatura da bambino, salendo per quelle da ragazza e donna, sino ai tipi da uomo, da passeggio ed articolo da montagna. Prodotti che attestano chiaramente la loro bontà. Quest’anno poi vi è una nuova aggiunta. Un virgulto piantato da soli nove mesi si è sviluppato in modo lusinghiero. Vogliamo alludere all’Ursus Gomma che presenta articoli assai perfezionati che fanno bene sperare per l’avvenire. Notate le pantofoline Ursus Gomma43. I primi cinque anni di attività della Ursus Gomma furono un periodo di intensa crescita in termini di capacità produttiva, occupati e dimensioni dell’impresa. Il dato sicuramente più impressionante è quello dell’aumento del numero di salariati che crebbe letteralmente in modo esponenziale seguendo da vicino i tassi di espansione della produzione di calzature in gomma. I dipendenti della Ursus Gomma passarono da 550 nel dicembre del 1933 a 960 nel dicembre del 193444 praticamente raddoppiando in un anno. In seguito il numero di dipendenti si stabilizzò attorno al migliaio, a causa della mancanza di spazio, cifra che rimase costante fino alla fine del 193645. Il massimo livello occupazionale venne raggiunto solo in seguito all’ampliamento delle dimensioni dello stabilimento di via San Giacomo e toccò alla fine degli anni ’30 i circa 1400 dipendenti46. Andamenti occupazionali simili ebbero anche le altre imprese vigevanesi del settore gomma che raggiunsero dimensioni considerevoli, pur restando sempre inferiori alla Ursus Gomma. Prendendo 40 ASBI, Consorzio Sovvenzioni su Valori Industriale, Pavia, scaf. 8-st. 2, ripiano 6, nr ingr. arch. 2/14, raccomandata del 18 dicembre 1946. 41 AA.VV., Ursus Gomma, Vigevano, 1965, p. 1. 42 Il nome delle pantofole è un riferimento alla protagonista femminile del romanzo di Sienkiewicz che, nelle prime traduzioni e anche nel doppiaggio della versione cinematografica del 1951, venne tradotto con Licia, mentre invece nella traduzioni successive è reso con Ligia. Quest’ultima denominazione è più coerente con le intenzioni orginarie dell’autore che aveva immaginato la sua protagonista come figlia del re dei Ligi. Si veda per esempio la prima traduzione Sienkievicz [sic] H., Quo vadis: racconto storico, Detken e Rocholl, Napoli, 1899. 43 Il Corriere di Vigevano, numero del 2 ottobre 1932, p. 1. 44 Il Popolo di Vigevano, anno I, n. 12 del 21 dicembre 1934, p. 1. 45 Consiglio Provinciale dell’economia Corporativa, L’industria nella provincia di Pavia, Pavia, 1936, p. 46. 46 ASCV, parte moderna, fasc. 1014, lettera del 20 novembre 1939. 16 come anno di riferimento il 1936, quando cioè la fase più tumultuosa di crescita era già terminata e il settore stava raggiungendo un certo equilibrio, le altre principali industrie del settore gomma erano la Ditta F.lli Rossanigo, che per prima aveva cominciato in città la produzione di scarpe con suola in gomma, che contava 700 dipendenti e la S.A Gibili con 450 operai. Più staccate, in termini di occupati, seguivano le ditte Dondé Remo, Eco Gomma, Gilardi e Moroni, Ilce Gomma, Mainardi F.lli, Masera Carlo e Ardito Carlo47. Sole le prime tre fabbriche del settore gomma cittadino occupavano nel 1936 più di duemila persone in un settore che solo 5 anni prima non esisteva e in una città di neanche 40 mila abitanti. Se a questi due elementi si aggiunge il fatto che a partire del 1933 anche il settore delle calzature in cuoio aveva cominciato a riprendersi sia in termini occupazionali che produttivi, si può comprendere come in città ci fosse una vera e propria carenza di manodopera specializzata. La concorrenza tra gli industriali locali era molto forte e probabilmente in una situazione diversa, senza la presenza del regime fascista, si sarebbe tradotta in sensibili aumenti salariali. Negli anni ’30, invece, alimentò solo le polemiche cittadine dato che i titolari delle principali fabbriche si lamentavano della carenza di manodopera e si accusavano a vicenda di “rubarsi” i dipendenti in modo poco leale. Significative a questo proposito sono le lamentele di Rinaldo Masseroni, nel 1934: Noi cerchiamo ancora circa 450 operai, e non sappiamo dove trovare le maestranze perché non appena sono diventate capaci i nostri colleghi industriali ce le rubano48. Anche se i dipendenti lavoravano su tre turni e, dunque, solo un terzo della manodopera era contemporaneamente presente nello stabilimento, la vecchia struttura del Calzaturificio Ghisio divenne presto insufficiente. Per questo alla dirigenza mise in atto un ambizioso progetto di ingrandimento acquistando tutti i terreni compresi tra via San Giacomo e via Madonna degli Angeli e commissionarono agli Ingg. Zanatti e Rota la progettazione degli ampliamenti che furono realizzati nel periodo 1935-3749. Con questi lavori venne portato a termine l’edificio che poi verrà sempre collegato, nell’immaginario collettivo dei vigevanesi, alla Ursus Gomma. Il nuovo stabilimento era sensibilmente più ampio del precedente e fu costruito secondo criteri all’avanguardia per l’epoca sia dal punto di vista dell’impiego del cemento, che dal punto di vista dell’edilizia industriale. Rispetto al vecchio Calzaturificio Ghisio, che venne inglobato nella nuova struttura, il nuovo edificio aveva una superficie di 20 mila metri quadri di cui ben 18 mila coperti. Il complesso si articolava in due parti distinte dal punto di vista architettonico. La prima era costituita 47 Consiglio Provinciale dell’economia Corporativa, L’industria nella provincia di Pavia, Pavia, 1936, p. 46. Il Popolo di Vigevano, anno I, n. 2 del 13 ottobre 1934, p. 2. 49 Galardini A. e Negri Massimo a cura di, I monumenti storico-industriali della Lombardia. Censimento Regionale, Quaderno di documentazione regionale (nuova serie), Tipografia Varese, 1984, p. 412. 48 17 dagli edifici immediatamente adiacenti a via San Giacomo che costituivano il lato monumentale dallo stabilimento in stile razionalista che culminava in un’alta torre50. Questa parte era stilisticamente un po’ eterogenea perché composta dall’accostamento di nuovi edifici con le precedenti strutture del Calzaturificio Ghisio. Il lato di via Madonna delle Grazie e la parte appena dietro gli edifici di via San Giacomo era, invece, occupato da ampi capannoni con copertura di tipo shed che ospitavano i reparti e i magazzini ed erano innovativamente collegati da ampi corridoi coperti. Dal punto di vista dell’edilizia industriale la scelta di realizzare spazi ampi costituiva un’innovazione e aveva lo scopo di favorire il ricambio dell’aria e di ridurre i rischi causati dall’inalazione di vapori e gas prodotti durante la lavorazione della gomma51. Stilisticamente l’intero complesso si caratterizzava per la tensione esistente tra la spinta orizzontale dei capannoni di tipo shed e la spinta verticale degli edifici adibiti ad ufficio e, soprattutto, dalla torre. La tensione veniva sottolineata e valorizzata dalle decorazioni stilizzate degli edifici52 che ben si adattavano all’uso massiccio del cemento come materiale da costruzione. Il complesso della Ursus Gomma venne completato dalla costruzione, sempre in via San Giacomo ma dall’altro lato della strada, di un apposito edificio destinato ad ospitare i gruppi aziendali, la nuova mensa e i circoli ricreativi e sportivi che durante il periodo fascista ogni grande impresa doveva avere. Altri edifici sempre in via San Giacomo erano di proprietà della Ursus Gomma che li utilizzava come alloggi per i dipendenti o sede dello spaccio aziendale, ma si trattava in gran parte di costruzioni precedenti acquisite un po’ per volta che non si caratterizzavano né per l’uniformità dello stile né per la coerenza architettonica con la vicina fabbrica. La dimensione e la monumentalità dell’edificio della Ursus Gomma sono una prova tangibile del successo dell’impresa, della sua ampia disponibilità di mezzi finanziari e delle ambizioni dei suoi dirigenti. Il nuovo stabilimento, che lavorava a ciclo continuo, aveva una capacità produttiva di 20 mila paia di calzature al giorno53 e non si limitava alla sola produzione di calzature tipo tennis e pantofole. La dirigenza dell’impresa accompagnò all’aumento delle dimensioni della Ursus Gomma una politica di differenziazione della produzione di merci in gomma. I nuovi prodotti messi sul mercato inizialmente riguardarono le componenti in gomma complementari dell’industria calzaturiera come le suole e la produzione di nuovi tipi di calzature. 50 Canessa S., Ursus Gomma 1910-1994, storia di un degrado, p. 72, in Viglevanum, anno IV, febbraio 1994. Il Popolo di Vigevano, anno I, n. 12 del 21 dicembre del 1934, p. 1. 52 Galardini A. e Negri Massimo a cura di, I monumenti storico-industriali della Lombardia. Censimento Regionale, Quaderno di documentazione regionale (nuova serie), Tipografia Varese, 1984, p. 412 53 Consiglio Provinciale dell’Economia Corporativa, L’industria nella provincia di Pavia, Pavia, 1936, p. 46. 51 18 Tra questi importante è l’inizio della commercializzazione di stivali, nel 1934, che diventeranno uno dei beni più noti e di successo della Ursus Gomma54. Lo stivale Ursus aveva un design particolare che lo rendeva facilmente riconoscibile e assolutamente particolare rispetto agli altri prodotti similari. La particolarità risiedeva nella parte superiore del calzare che non era liscia, ma presentava dei rilievi che erano ottenuti con un particolare processo industriale. La gomma grezza, assieme ai coloranti, veniva preparata all’interno dei mescolatori da cui uscivano dei fogli continui di materiale da lavorare. Successivamente questi semilavorati venivano riscaldati e calandrati, ovvero inseriti in una macchina speciale con dei cilindri che schiacciavano la gomma fino allo spessore voluto. La forma particolare degli stivali Ursus era data da un cilindro speciale, prodotto all’interno dello stabilimento, che aveva una superficie non liscia e lasciava una caratteristica impronta55. A metà degli anni ’30, la Ursus Gomma era già diventata, dopo rapidissima crescita, una delle principali imprese della città di Vigevano sia in termini di capacità produttiva che occupazionali. Data la sua importanza l’azienda ricevette parecchie attenzioni da parte delle autorità del regime fascista che proprio in quegli anni stava portando avanti le sue campagne ideologiche di promozione del corporativismo e che controllava con particolare attenzione le grosse concentrazioni operaie in quanto possibili focolai di dissenso. Tutte le autorità locali del regime ed alcune personalità di rilievo nazionale vistarono lo stabilimento in quegli anni. Tra queste possiamo ricordare la visita del Prefetto di Pavia il 28 maggio del 193556, del Segretario Federale del Fascio il 12 dicembre del 193557, del Ministro delle Corporazioni il 10 ottobre del 193658 e molte altre. Queste visite, che avvenivano tutte su uno schema simile, avevano la funzione di esaltare le politiche corporative del regime, di rinsaldare la fedeltà politica dei dipendenti e di creare e rafforzare i legami personali tra i proprietari della Ursus Gomma e i dirigenti fascisti che nell’ambito del regime avevano ampi poteri discrezionali che potevano utilizzare sia a favore che a sfavore dell’impresa. Tra queste è tipica la visita del prefetto all’inizio del 1935 che aveva come pretesto l’inaugurazione della nuova sede del Dopolavoro della Ursus Gomma e della Ursus Cuoio. L’intera giornata si svolse secondo un copione ben preciso estremamente standardizzato. I momenti salienti della cerimonia furono l’accoglienza del prefetto da parte dei tre proprietari, tutti rigorosamente vestiti di nero, la visita dei reparti in corteo preceduti da un gruppo di giovani fascisti recanti le insegne del 54 AA.VV., Ursus Gomma, Vigevano, 1965, p. 2. Testimonianza di Roberto Pavesi del 20 maggio 2006. 56 Il Popolo di Vigevano, anno II, n. 9 del 1 marzo 1935, p. 1. 57 Il Corriere di Vigevano, anno XXXVIII, n. 50 del 22 dicembre 1935. 58 Ibidem, anno XXXIX, n. 40 del 10 ottobre 1936. La visita avvenne nell’ambito delle celebrazioni per l’edizione annuale della VI Settimana Vigevanese. 55 19 regime poi i discorsi delle autorità e di Bertolini ai dipendenti, l’inaugurazione con rinfresco offerto dalla ditta e, infine, le continue acclamazioni del fascismo e del Duce59. L’azione era sempre estremamente standardizzata e tesa porre in risalto l’atteggiamento paternalistico del fascismo, che associava ai bassi salari alcune concessioni in termini di previdenza sociale, e l’orgoglio della dirigenza per il successo dell’impresa; significativi sono i discorsi di Pietro Bertolini che ricostruisce la sua vita da semplice operaio a grande industriale60. 6) Dall’autarchia all’inizio della Seconda Guerra Mondiale La seconda metà degli anni ’30, pose la dirigenza della Ursus Gomma di fronte a nuovi problemi e all’aumentata pressione della politica dirigistica del regime fascista. Nel 1935 la storia della Ursus Gomma si separò da quella di uno dei suoi fondatori, il Cav. Uff. Pietro Magnoni, che abbandonò il suo posto nel consiglio di amministrazione e cedette le sue quote azionarie a Pietro Bertolini e Rinaldo Masseroni61. I motivi di questo abbandono, proprio in un momento di così grande successo economico, non sono chiari. Nell’unica pubblicazione in cui la Ursus Gomma ricostruisce la propria vicenda e che, quindi, costituisce una sorta di storia “ufficiale” si parla di ritiro per motivi di salute62. La stampa locale dell’epoca parlò, invece, di “divisione amichevole”63. La seconda ipotesi appare più probabile anche perché dopo essere stato liquidato dalla Ursus Gomma e dalla Ursus Cuoio, impresa che aveva fondato assieme a Pietro Bertolini nel 190664, Pietro Magnoni fondò il calzaturificio Argo che poi guidò fino alla morte avvenuta all’età di 69 anni alla fine del 194165. Inoltre, una semplice malattia non basta a spiegare la vendita della quote azionarie, anche perché all’epoca Pietro Magnoni aveva già degli eredi in grado di prendere il suo posto e infatti solo pochi anni più tardi gli successe il figlio Mario Magnoni alla guida della Argo. La situazione di mercato che si presentava alla dirigenza della Ursus Gomma, ormai ridotta a Pietro Bertolini e Rinaldo Masseroni, non presentava grosse difficoltà. Superata la fase tumultuosa della nascita del settore delle calzature in gomma seguì un periodo di consolidamento in cui il mercato venne di fatto diviso tra le imprese produttrici. I profitti della vendita di scarpe in gomma erano 59 Il Popolo di Vigevano, anno II, n. 9 del 1 marzo 1935, p. 1. Ibidem. 61 ASBI, Consorzio Sovvenzioni su Valori Industriali, Pavia, Pavia, scaf. 8-st. 2, ripiano 6, nr ingr. arch. 2/14, raccomadata del 19 dicembre 1946. 62 AA.VV., Ursus Gomma, Vigevano, 1965, p. 2. 63 Il Corriere di Vigevano, anno XLV, n. 1 del 4 gennaio 1942. 64 Il Popolo di Pavia, n. 89 del 28 luglio 1939. 65 Il Corriere di Vigevano, anno XLV, n. 1 del 4 gennaio 1942. 60 20 abbastanza sicuri perché la concorrenza estera non esisteva a causa degli alti dazi e per entrare nel settore bisognava effettuare consistenti investimenti iniziali in termini di impianti, di manodopera e di rete distributiva. Inoltre, la domanda di calzature in gomma, anche se non più dinamica come i primi anni continuava, ancora ad aumentare anche grazie alle commesse militari causate dalla politica interventista del fascismo in Etiopia, Spagna ed Albania. I profitti venivano utilizzati anche per finanziare la differenziazione della produzione industriale nel settore gomma. In questi anni la Ursus Gomma iniziò la produzione su larga scala di coperture velo per biciclette, di tessuti gommati, di articoli tecnici per l’industria e di tubi66. I principali problemi industriali di questo periodo non provenivano, però, dal lato della domanda, ma da quello dell’offerta. I primi anni di esistenza della Ursus Gomma furono caratterizzati dalla carenza di manodopera, problema in parte risolto attirando dipendenti anche dai comuni vicini a Vigevano. A partire dalla guerra di Etiopia e con il lancio su grande scala delle politiche autarchiche del regime cominciò a presentarsi il ben più grave problema della carenza di gomma grezza da lavorare. Tabella 1.4 - Produzione mondiale di gomma naturale in migliaia di tonnellate67. paese 1932 1933 1934 1935 1936 1937 Malesia 405 445 468 417 354 470 Britannica Indie 211 283 380 283 310 432 Olandesi Ceylon 50 64 80 55 50 70 Altri 43 62 92 119 144 168 Totale 709 854 1020 874 858 1140 1938 373 300 50 172 895 Per capire la questione è necessario soffermarsi un attimo sul mercato mondiale della gomma negli anni ’30. All’epoca, nonostante i numerosi tentativi in questo senso, non esistevano produzioni economicamente rilevanti di gomma sintetica e l’industria dipendeva interamente dalla gomma naturale. Il mercato mondiale si distingueva per divisione in paesi in cui si praticava la coltivazione della pianta di caucciù e paesi importatori in cui era concentrata la quasi totalità dell’industria della gomma mondiale. I primi erano quasi tutti colonie inglesi o paesi in cui produttori inglesi detenevano quote rilevanti del raccolto complessivo68. Il mercato globale non era libero, ma controllato strettamente dell’Associazione Internazionale dei Produttori di Gomma, sotto predominio inglese, che stabiliva i livelli di produzione per paese al fine di evitare crisi da 66 AA.VV., Ursus Gomma, Vigevano, 1965, p. 4. I dati della tabella 4 sono tratti da Gomma, vol. IV, n. 1 gennaio-febbraio 1940, p. 20. 68 Ibidem, vol. 1, n. 1, gennaio-febbraio 1937, p. 27. 67 21 sovrapproduzione e mantenere alti i prezzi69. La gomma era quotata principalmente in sterline e per acquistarla era necessario disporre di valuta pregiata cosa non facile per un paese con gravi problemi di bilancia commerciale come l’Italia. Tabella 1.5 – Principali importatori di gomma naturale in migliaia di tonnellate paese 1932 1933 1934 1935 1936 1937 Francia 42 63 50 53 57 60 Germania 45 55 60 63 72 98 Inghilterra 78 80 90 95 100 115 URSS 30 30 48 37 31 30 Giappone 56 67 70 58 62 62 Canada 21 20 29 27 27 36 USA 337 413 460 490 575 545 Italia 15 19 22 25 16 25 1938 58 90 106 25 47 27 438 28 La tabella 1.5 riporta l’andamento delle importazioni di gomma nei principali paesi consumatori in un periodo compreso tra il 1932 e il 1938, ovvero prima degli sconvolgimenti causati dalla Seconda Guerra Mondiale. Il dato dell’Italia è particolarmente significativo. Il nostro paese manifestò una tendenza all’aumento del consumo di gomma naturale causato dallo sviluppo industriale che venne bruscamente invertito nel 1936, per poi riprendere poco prima dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale. La forte riduzione fu causata dal conflitto etiope che spinse la Società delle Nazioni a imporre delle sanzioni all’Italia e dalle politiche autarchiche del regime che miravano a ridurre per quanto possibile le importazioni. Come molte altre imprese del settore, la Ursus Gomma, si trovò di fronte al problema della carenza di gomma grezza e della difficoltà di procurarsi le valuta necessaria a comprarla. Negli anni ’30 procurarsi valuta estera era molto difficile, perché i mercati monetari internazionali non si erano ancora ripresi degli effetti della crisi del ’29 che avevano costretto tutti i paesi ad abbandonare la parità con l’oro e ad attuare svalutazioni competitive. In Italia, il governo, sfruttando una delega concessa con un regio decreto n. 1207 del 29 settembre 1931, impose il monopolio statale dei cambi70. A tal fine venne creata una Sovrintendenza allo Scambio delle Valute che poi sarà elevata, nel dicembre del 1935, a Sovrintendenza di Stato per gli Scambi e le Valute e nel 1937 addirittura a Ministero per gli Scambi e le Valute71. Qualsiasi impresa che desiderava importare beni o materie prime doveva obbligatoriamente richiedere il permesso statale per poter acquisire valuta estera. Erano soggette a rigorosi controlli 69 Ibidem, p. 28. Carli G., Cinquant’anni di vita italiana. In collaborazione con Paolo Peluffo, Economica Laterza, Roma-Bari, 1996, p. 37. 71 Ibidem. 70 22 anche le aziende che esportavano e quindi ricevevano in cambio valuta estera. Il governo voleva così regolare in modo amministrativo gli scambi con l’estero per evitare turbamenti monetari e non dover ricorrere a svalutazioni della lira. Queste le intenzioni, nei fatti il sistema era piuttosto farraginoso e dava ampio spazio ad abusi e corruzione in quanto le imprese erano spinte a ricorrere ad ogni mezzo pur di accaparrarsi una quota maggiore delle scarse importazioni autorizzate. La nuova situazione economica mise seriamente in difficoltà la Ursus Gomma, che si trovò costretta in più occasioni a fermare del tutto o parzialmente la produzione e a lasciare a casa parte dei suoi dipendenti. Anche altre imprese cittadine ebbero problemi simili, ma le difficoltà della Ursus Gomma avevano una particolare rilevanza a Vigevano. Infatti non solo veniva colpita una delle più grandi ed avanzate fabbriche della città, ma l’improvvisa disoccupazione di parecchie centinaia di lavoratori costituiva anche un potenziale problema di ordine pubblico e un forte danno d’immagine per il regime. Non sorprende dunque che sui giornali locali la notizia fosse censurata e che le autorità locali, podestà e prefetto, attivassero tutti i canali di cui potevano disporre per aiutare la Ursus Gomma. La prima interruzione di una certa entità della produzione di cui si ha notizia risale al 4 febbraio del 1937, quindi appena a ridosso della guerra di Etiopia. Le difficoltà erano già cominciate precedentemente perché, per quella data, la Ursus Gomma comunicava la sospensione degli ultimi 600 operai ancora in attività e l’interruzione completa della produzione, tranne che per i reparti tranceria e giunteria che non lavoravano la gomma72. Questi ultimi due però occupavano solamente un centinaio di dipendenti e, quindi, tenendo conto che meno di un anno prima l’azienda contava più di 1000 dipendenti73 si può avere un’idea dell’impatto della fermata. Non considerando i casi di arresto parziale della produzione, la Ursus Gomma conobbe un altro momento di blocco totale a causa di lentezze sia nell’assegnazione di valuta che di comunicazioni internazionali. L’impresa, in data 20 novembre 1939, si lamentava delle lentezze burocratiche osservando come: […] non abbiamo potuto importare prima perché non potevamo disporre della valuta necessaria che Roma non ci assegnava, adesso perché la Casa inglese venditrice si rifiuta di consegnarci i documenti mettendoci nell’impossibilità di poter ritirare la merce stessa, quantunque, fin dagli ultimi di Ottobre noi abbiamo la somma a disposizione della ditta venditrice presso una banca di Londra74. Vista l’inutilità degli sforzi, la Ursus Gomma si trovò quindi costretta a comunicare al podestà come: 72 ASCV, parte moderna, busta 1010, lettera del 6 febbraio 1937. Ibidem, lettera del 5 febbraio 1937. 74 ASCV, parte moderna, busta 1014, lettera del 29 novembre 1939. 73 23 non potendo disporre di ulteriore materia prima, abbiamo iniziato, in data odierna, il periodo di preavviso di licenziamento di tutte le ns maestranze attualmente in forza (circa 1400 operai)75. E’ interessante dare uno sguardo alla rete di rapporti, proteste e scambi epistolari tra le varie autorità che gli arresti dell’attività produttiva della Ursus Gomma provocavano, sia perché sono una testimonianza dell’importanza dell’impresa, sia perché esemplificano bene il dirigismo dell’epoca. Prendendo per esempio l’interruzione della produzione del 1937, si osserva come gli impianti furono fermati il 4 di febbraio e le autorità cittadine informate ufficialmente il 676; ma già il 5 il podestà scriveva al prefetto chiedendo un intervento77. Intanto, il 22 febbraio arrivavano a Vigevano 200 quintali di gomma greggia assegnati dal Sottosegretariato Scambi e Valute per l’ultimo trimestre del 1936 e la Ursus Gomma comunicava di poter riaprire lo stabilimento per 20 giorni e sollecitava nuove assegnazioni oltre a quelle stabilite per il primo semestre del 193778. L’8 marzo il prefetto comunicava al podestà i risultati dei suoi sforzi: In risposta alle premure da me fattegli, anche a mezzo del Ministero dell’Interno, il Sottosegretariato di Stato per gli Scambi e le Valute comunica che alla società in oggetto è stato consegnato per il corrente semestre una quota di contingente di gomma greggia per il valore di l. 729.000. Inoltre, ed in via del tutto eccezionale, è stata rimessa in termini e prorogata una licenza rilasciata alla Ditta stessa nell’anno 1935, valida per l’importazione di q.li 636 di gomma79. La Ursus Gomma rispondeva protestando e sostenendo che le quantità di gomma concesse in realtà le spettavano già di diritto80 e il podestà inoltrava una nuova richiesta di intervento al prefetto81, che sempre attraverso il Ministero dell’Interno, veniva a sapere che il Sottosegretariato Scambi e Valute non aveva alcuna intenzione di fare altre assegnazioni82. A questo punto, la crisi era già stata superata e la produzione regolare ripresa83. Questo episodio permette di evidenziare i limiti posti all’attività industriale dalla politica economica del fascismo che se da un lato garantiva bassi salari, pace sociale e una legislazione favorevole ai grandi industriali, dall’altro costringeva gli imprenditori a dipendere da un apparato statale dirigista e inefficiente. Inoltre, la politica di controllo delle importazioni, scelta come risposta ai turbamenti monetari successivi alla crisi del ’29, se da un lato proteggeva da una concorrenza estera più 75 Ibidem. ASCV, archivio parte moderna, busta 1010, lettera del 6 febbraio 1937. 77 Ibidem, lettera del 5 febbraio 1937. 78 Ibidem, lettera del 22 febbraio 1937. 79 Ibidem, lettera dell’8 marzo 1937. 80 Ibidem, lettera del 18 marzo 1937. 81 Ibdem, lettera del 23 marzo 1937. 82 Ibdem, lettera del 10 maggio 1937. 83 Ibidem. 76 24 progredita tecnicamente, dall’altro poneva seri problemi di approvvigionamento e non favoriva la ricerca dell’efficienza produttiva nel settore gomma come negli altri.84. La Ursus Gomma cercò di reagire alla penuria di materie prime attraverso tre strategie complementari e di diverso successo. La dirigenza tentò di sostituire la gomma greggia importata con dei surrogati, di diversificare la produzione verso le nuove resine sintetiche aprendo un nuovo stabilimento produttivo e di assorbire altre imprese per accrescere la propria dimensione e capacità di resistenza. La ricerca di surrogati alla gomma greggia si rivelò un fallimento, non solo per la Ursus Gomma, ma anche per tutta l’industria europea. Il problema venne risolto solo durante la Seconda Guerra Mondiale dagli statunitensi con l’invenzione del primo tipo di gomma artificiale contemporaneamente economica e con buone proprietà fisiche. La Ursus Gomma non aveva i capitali per svolgere ricerca ad alto livello in questo campo e adottò la tattica di utilizzare rigenerati di gomma. Aprì un nuovo reparto a Vigevano che aveva il compito di riciclare la gomma vecchia e di renderne possibile una nuova lavorazione85, anche se solo attraverso passaggi chimici piuttosto lunghi. La diversificazione si dimostrò, invece, una strategia di maggior successo perché l’impresa entrò nel settore delle resine sintetiche che si basava su materie prime diverse dalla gomma naturale e proprio allora cominciava a muovere i primi passi. Tra i tanti materiali disponibili, la dirigenza scelse, con grande lungimiranza e fortuna, di iniziare la lavorazione del cloruro di polivinile, meglio noto come PVC. La Ursus Gomma importò la licenza di fabbricazione del nuovo materiale dalla Solvay86 che ne aveva iniziata la produzione industriale già nel 1937 producendo il PVC per emulsione. Gli impianti per la lavorazione del nuovo materiale vennero collocati in una nuova sede appositamente approntata in via Santa Maria che iniziò la lavorazione nel 193987. Il PVC venne immesso sul mercato sotto il nome di Plastic o anche Ursuspla e sostenuto da una campagna pubblicitaria che lo presentava come: Plastic Nuovo geniale ritrovato di materiale autarchico sostituente in molte applicazioni la gomma. Impermeabile – Ininfiammabile- Ininvecchiabile e inattaccabile da ruggine o da acidi- Resistente basse temperature88. La produzione e la commercializzazione del PVC venne però subito fortemente ostacolata dallo scoppio della Seconda Guerra Mondiale e si dovette attendere il Dopoguerra per poter sviluppare le potenzialità di crescita che la dirigenza della Ursus Gomma aveva intuito già nel ’39. 84 ACS, Min Ind, b. 212, fasc. 177, Programma dell’attività industriale nel quadriennio 1949-1953, p. 2. ASCV, parte moderna, busta n. 1014, lettera del 16 ottobre 1939. 86 Testimonianza Roberto Pavesi del 20 maggio 2006 raccolta dall’autore. 87 AA.VV., Ursus Gomma, Vigevano, 1965, p. 5. 88 Gomma, vol 1, n. 1 gennaio febbraio 1941, p. 25. 85 25 L’ultima strategia posta in essere per reagire alle difficoltà economiche degli anni ’30 fu la razionalizzazione della produzione attraverso l’acquisizione di una nuova impresa operante nel settore della gomma e in particolare nella produzione di tessuti gommati: La Ligure Caucciù. Questa era un’azienda fondata nel 1931 ed operante inizialmente ad Albissola in provincia di Savona89 che in seguito aveva trasferito i suoi impianti produttivi a Vigevano90 ed era caduta sotto il controllo di Masseroni e Bertolini. Nel 1939, la Ursus Gomma decise di acquisirla anche formalmente attraverso una fusione per incorporazione anche perché La Ligure Caucciù stava accumulando perdite economiche. Seguendo lo stesso procedimento utilizzato per l’acquisizione del Calzaturificio Ghisio, il capitale della società venne prima svalutato da 1 milione di lire a 800 mila lire e poi acquisito. Contestualmente la Ursus Gomma aumentava il proprio capitale di un ammontare corrispondente arrivando a 15 milioni. 7) La condizione operaia La Ursus Gomma negli anni ’30 era una grande azienda con più di mille dipendenti in una città che già allora era caratterizzata dalla prevalenza della piccola impresa. La differenza di dimensioni poneva ai proprietari dei problemi e delle responsabilità nell’ambito della gestione delle relazioni industriali che altri non avevano. Inoltre, il rapporto con i dipendenti era anche complicato dall’intervento del regime fascista che imponeva particolari forme di inquadramento e indottrinamento della manodopera. L’effettiva condizione operaia alla Ursus Gomma era il risultato dell’interazione di tutti questi elementi: sensibilità personali, scelte dei proprietari e legislazione fascista, a cui non bisogna mancare di aggiungere gli effetti delle lavorazioni portate avanti e delle condizioni di lavoro. Partendo da quest’ultimo elemento bisogna osservare che la gomma naturale è una fibra vegetale e non è nociva di per sé alla salute di chi la lavora; nocivi sono invece gli additivi chimici utilizzati nella sua lavorazione. Negli anni ’30 non c’era comunque la sensibilità e le conoscenze scientifiche necessarie per affrontare con criteri moderni il problema della salute sui luoghi di lavoro. Anche se non in modo organico alcuni progressi vennero fatti nel campo della legislazione, dei regolamenti e della sicurezza in fabbrica. Tra questi possiamo ricordare la circolare applicativa di un provvedimento del Ministero delle Corporazioni che ordinava di sostituire, come solvente per la gomma, il benzolo con la benzina91. 89 Archivio Camera di Commercio di Milano, registro imprese, fasc. 177767, denuncia di modifica dell’11 ottobre 1939. ASCV, parte moderna, busta 1006, lettera del 19 giugno 1935. 91 Il Popolo di Vigevano, anno II n. 4 del 25 gennaio 1935, p. 3. 90 26 Dal punto di vista della sicurezza sul luogo di lavoro, negli anni ’30, la Ursus Gomma si poneva all’avanguardia92, anche per la personale sensibilità di Pietro Bertolini che era stato operaio e per questo molto attento alle problematiche sociali. Non solo, come già ricordato, gli ampliamenti degli anni ’30 erano stati portati avanti tenendo anche conto dei rischi connessi al ristagno dei fumi delle lavorazioni in luoghi troppo chiusi. I nuovi capannoni vennero costruiti in modo da essere ampi e luminosi e soprattutto con grandi finestre; inoltre la fabbrica possedeva un impianto di aerazione che d’inverno pompava aria calda, mentre d’estate aria fredda garantendo sia il ricambio che la stabilità della temperatura interna93. Retribuzioni ed orari di lavoro erano stabiliti negli anni ’30 non dalla contrattazione collettiva, ma di fatto da decisioni del governo che poi venivano formalmente presentate come accordi corporativi tra lavoratori e industriali. Tra le misure più importanti di questo periodo si possono ricordare la riduzione dell’orario lavorativo a 40 ore nel 193494 e i modesti aumenti salariali concessi alla fine degli anni ’30. Il primo provvedimento, accompagnato dall’istituzione del sabato fascista, venne motivato dalla necessità di ridurre la disoccupazione, ma arrivò proprio in un momento in cui la Ursus Gomma aveva difficoltà a trovare gli operai di cui aveva bisogno. Il secondo invece, più che un aumento, rappresentò il recupero di una parte del potere di acquisto perso in seguito alla crisi del ’29. Analizzando la condizione operaia sotto il fascismo si possono distinguere tre aspetti interessanti: le gite, il lavoro dei gruppi aziendali all’interno dello stabilimento e l’attività sportiva. Ogni anno la direzione della Ursus Gomma organizzava una gita per i suoi dipendenti della durata di una giornata in collaborazione con altre aziende o più spesso da sola. Queste iniziative sono estremamente rivelatrici del clima dell’epoca e del tipo di relazioni industriali vigenti alla Ursus Gomma. Le gite venivano organizzate a turno dai proprietari, infatti la destinazione fu, nel ’39, Salice con la partecipazione di Bertolini e Masseroni, mentre nel 1935, Stresa dove Magnoni ospitò i dipendenti in una sua villa95. Un esempio tipico è la gita del 21 aprile del 1939 a Salice Terme quando: […] di buonora 20 autocorriere tappezzate di grossi cartelli con scritte Gruppi aziendali formarono una lunga colonna trasportante oltre 900 operai da Vigevano e dai comuni circonvici a Salice Terme. A Salice, festosamente accolti dai dirigenti dell’O.N.D. […] fu formata una colonna che […] ha sfilato davanti al Monumento ai Caduti e indi al parco di Monte Alfeo posto riservato agli operai dell’Ursus. In testa alla colonna abbiamo notato il Cavaliere del Lavoro Bertolini, il Comm. Masseroni con la sua signora, i direttori […]. Nel parco […] il sign. Lovati ha comunicato la notizia che S.M. il Re d’Italia e di Albania, Imperatore di Etiopia aveva nominato Commendatore della Corona d’Italia il Sig. Masseroni. […] 92 Consiglio Provinciale dell’economia Corporativa, L’industria nella provincia di Pavia, Pavia, 1936, p. 46 Il Popolo di Vigevano, anno I, n. 12, 21 dicembre 1934, p. 1. 94 Ibidem. 95 Ibidem, anno II, n. 16 del 19 aprile 1935. 93 27 La colazione al cestino caldo è stata una esultante sorpresa in quanto i gitanti non aspettavano tanto di ben ordinato e somministrato. Al parco di Monte Alfeo sono state riservate le più alte manifestazioni della giornata, si che dopo la corsa delle carriole, dei sacchi, dell’albero della cuccagna e corsa podistica hanno cominciato ad affluire al parco i gruppi corali e folcloristici della montagna […] La festa termina con il saluto al Duce96. Questa lunga citazione permette di evidenziare alcuni elementi interessanti. Le gite della Ursus Gomma non erano semplici momenti di svago, ma erano momenti di aggregazione di una comunità gerarchizzata in cui tutti si riconoscevano e avevano il fine di rinsaldare i legami di appartenenza al gruppo e di esaltare l’azienda e la dirigenza. I proprietari dell’azienda si comportavano come i capi della comunità e non a caso aprivano il corteo seguiti, in ordine gerarchico, dai direttori, dagli impiegati e dagli operai. E come tali venivano esaltati di fronte alla manodopera, per esempio comunicando davanti a tutti il conferimento di una onorificenza. Dall’insieme della giornata emerge una forte connotazione paternalistica nelle relazioni tra proprietari e dipendenti, elemento particolarmente evidente nella “sorpresa” del pasto caldo offerto agli operai. La gita, che per molti versi ricorda una festa popolare, poi non mancava anche di esaltare il fascismo supremo garante dell’ordine sociale. Le lodi al regime erano sempre un elemento importante di queste gite che spesso vedevano la presenza anche di esponenti del fascio locale, oppure esprimevano un esplicito sostegno alle politiche autarchiche, come nella gita a Bardonecchia del 1936 in cui: I 150 del G.A «Ursus» portarono leggiadri copricapi, ed un cartellone raffigurante le sanzioni [causate dalla guerra di Etiopia N.d.R.] piegate dall’Italia, rappresentate dal toro piegato da Ursus, loro marca di fabbrica97. Un altro elemento importante per valutare le condizioni di vita operaia all’interno della Ursus Gomma è costituito dalla attività dei gruppi aziendali all’interno dello stabilimento. In un primo tempo questi avevano la loro sedi dentro la fabbrica nella palazzina principale dell’ex calzaturificio Ghisio, in un secondo momento vennero spostate in un edificio costruito appositamente in via San Giacomo. La Ursus Gomma aveva uno dei gruppi dopolavoristici meglio organizzati e dotati della città di Vigevano sia per la particolare sensibilità dei suoi proprietari che per questioni di prestigio aziendale. La struttura comprendeva una mensa per i dipendenti capace di fornire 500 pasti al giorno, uno spaccio, spogliatoi con armadietto personale, una radio e una biblioteca per il personale. In omaggio alle convenzioni morali dell’epoca vigeva una rigorosa separazione tra uomini e donne98. A completare il quadro veniva una serie di servizi approntati per far fronte alle necessità di 96 Il Corriere di Vigevano, anno XLII, n. 18 del 30 aprile 1939. Ibidem, anno XXXIV, n. 7 del 16 febbraio del 1936, p. 2. 98 Il Popolo di Vigevano, anno II, n. 23 del 23 maggio 1935, p. 1 97 28 una manodopera superante il migliaio di persone e composta in gran parte da lavoratrici: un ambulatorio medico e una sala per l’allattamento99. I gruppi aziendali se da un lato fornivano dei servizi utili soprattutto per chi veniva da fuori Vigevano, come la mensa, o svaghi allora poco diffusi, come la radio, dall’altro costituivano anche un mezzo di controllo della manodopera che poteva essere anche molto invasivo. A questo si aggiungeva la politica fascista che praticamente obbligava tutti i dipendenti delle grandi fabbriche ad iscriversi ai gruppi aziendali e la divisione tra spazi maschili e femminili che costringeva molti nuclei familiari a passare separati molto ore oltre a quelle lavorative. Ultimo elemento caratterizzante la condizione operaia alla Ursus Gomma negli anni ’30 è costituito dalle attività sportive. Anche in questo caso molto si deve alla politica fascista che voleva fare degli italiani un popolo di atleti e di guerrieri e che, quindi, incentivava fortemente la formazione di squadre aziendali. A questo primo elemento si deve aggiungere anche il fatto che il successo sportivo di questi gruppi era anche un importante fattore di prestigio e di pubblicità perché venivano organizzati tornei nazionali tra le principali fabbriche. Infine, non è da dimenticare che la partecipazione alle squadre aziendali garantiva qualche piccolo beneficio agli atleti e le partite erano un momento di svago e socializzazione per i dipendenti. La Ursus Gomma aveva negli anni ’30 una squadra ginnica maschile, una di calcio maschile e due di pallacanestro, una femminile e una maschile. L’azienda costruì anche un campo sportivo per gli allenamenti in un terreno dei Gruppi Aziendali in via Madonna degli Angeli100. Tra le squadre aziendali, quella con maggior successo sportivo era quella di pallacanestro femminile le cui componenti erano chiamate affettuosamente “ursine” dalla stampa locale101. La Ursus Gomma pallacanestro femminile partecipava, con alterne fortune, a dei campionati nazionali a cui erano iscritte le squadre dopolavoristiche di altre importanti imprese come la FIAT102, la Pirelli, la Caproni103 ecc., oppure addirittura in amichevoli con squadre estere come la GILE Lugano104. 99 Ibidem, anno II, n. 9 del 1 marzo 1935, p. 2. Il Corriere di Vigevano, anno XLIII, n. 10 marzo 1940, p. 2. 101 Ibidem, anno XLII, n. 12 del 19 marzo 1939, p. 2. 102 Ibidem. 103 Ibidem, anno XLI, n. 49 del 12 dicembre 1937, p. 2. 104 Ibidem, anno XLII, n. 15 del 9 aprile 1939, p. 2. 100 29 8) I dirigenti della Ursus Gomma negli anni ‘30 Parlare della proprietà della Ursus Gomma negli anni ’30 vuol dire discutere il ruolo di Pietro Magnoni, di Pietro Bertolini e di Rinaldo Masseroni nella vita cittadina e dei loro rapporti con il fascismo. Sotto il regime totalitario di Mussolini non si poteva intraprendere alcuna attività economica di qualche rilevanza senza essere sostenitori, più o meno convinti, del fascismo. Inoltre, i grandi industriali costituirono uno dei gruppi sociali più favoriti dal regime e, di conseguenza, uno di quelli che aderì in modo più compatto al blocco sociale che sostenne il fascismo. Nonostante ciò alcuni gruppi, come gli industriali tessili, sfavoriti da provvedimenti come la quota 90 non mancarono di criticare il governo e come già visto, la stessa Ursus Gomma polemizzò in più occasioni in merito alle assegnazioni di materie prime. Non era però possibile un atteggiamento di aperta critica al regime fascista e su questo punto si può citare un episodio particolarmente significativo riguardante la richiesta fatta dalla Ursus Gomma di diventare fornitore delle Ferrovie dello Stato. Ricevuta la domanda, l’ufficio Servizi di approvvigionamento scrisse al podestà di Vigevano chiedendo informazioni in merito all’affidabilità economica dell’impresa e, soprattutto, alla fede politica dei suoi proprietari e principali dirigenti. La risposta del podestà specificava dettagliatamente come: Alla direzione tecnica e amministrativa sono preposti i Sigg. Bertolini Cav. del Lavoro Pietro: Presidente; Masseroni Comm. Rinaldo: Consigliere Delegato, i quali sono iscritti al P.N.F. I dirigenti tecnici sono i Sig. Casolera Cav. Giuseppe, iscritto al P.N.F.; il dott Romani Egisto; Dott. Pelizzola Camillo e il Sig. Ozello Mario, i quali, pur non essendo iscritti al P.N.F., sono simpatizzanti per il Regime. I predetti sono di nazionalità italiani e di razza ariana105. Se una di queste persone non fosse stata iscritta o simpatizzante, oppure di religione ebraica probabilmente la richiesta di fornitura non sarebbe stata presa in considerazione. L’atteggiamento prevalente dei proprietari della Ursus Gomma fu quindi improntato alla collaborazione e al sostegno del fascismo, che ricambiò favorendo lo sviluppo dell’azienda e insignendo di onorificenze i suoi dirigenti106. Questo è particolarmente evidente per la figura di Pietro Magnoni che all’inizio degli anni ’30 rappresentava l’impresa e anche più in generale l’industria locale in seno alle istituzioni. Appena dopo la nascita della Ursus Gomma ricopriva la carica di presidente degli industriali di Vigevano107 105 ASCV, parte moderna, busta 1014, lettera del 2 settembre 1939. Sulla nomina di Rinaldo Masseroni a Commendatore della Corona d’Italia si è già detto, in questa sede basta aggiungere che Pietro Bertolini venne nominato Cavaliere del Lavoro su iniziativa del Ministero delle Corporazioni e l’onorifienza gli venne attribuita proprio durante la festività fascista del 21 aprile assieme ad altri importnti esponenti del mondo dell’economia, come l’editore Bemporand e l’amministratore delegato della Montecatini Donegani. Cfr. Economia Nazionale, anno XXVIII, n. 5 maggio 1936, p. 38. 107 Il Corriere di Vigevano, anno XXXV, n. 46 del 13 novembre del 1932. 106 30 e come tale venne designato a far parte della sezione industriale del Consiglio Provinciale dell’Economia Corporativa108. Inoltre, Pietro Magnoni ebbe importanti responsabilità nell’organizzazione delle prime edizioni della settimana vigevanese in cui collaborò nella parte industriale, che era anche quella più importante per il rilancio dell’economia locale. L’ispirazione ideologica ed etica di Pietro Magnoni e anche di Pietro Bertolini, suo socio già da anni nella Ursus Cuoio, era però di tipo cattolico, come dimostra la scelta di fondare imprese con denominazioni che facevano riferimento a personaggio del romanzo di Sienkiewicz. Quo vadis? che è un’opera interamente pervasa da un forte spirito cattolico. L’ispirazione religiosa sta anche alla base di molte iniziative sociali portate avanti da Pietro Bertolini e si riflette anche nel clima paternalistico che caratterizzava le relazioni industriali della Ursus Gomma. Tra le principali iniziative sociali di questo periodo spicca l’idea di costruzione di case popolari in via dei Mulini su progetto dell’ing. Rota. Purtroppo la realizzazione venne interrotta e rimandata a causa del razionamento dei materiali edili dovuto alle sanzioni della guerra etiope109. Il progetto era piuttosto avanzato per l’epoca con diverse tipologie, dal trilocale al monolocale, la presenza di riscaldamento con termosifone al posto della stufa, gas in ogni appartamento e locali comuni come lavanderie, depositi per le biciclette, ecc110. Per la modernità della concezione, l’iniziativa di Bertolini in piccolo ricorda il contemporaneo programma di costruzione degli imprenditori cattolici Falck111. L’ispirazione sociale cattolica e l’etica del lavoro erano anche elementi all’origine di molte altre iniziative come i premi offerti da Pietro Bertolini durante le varie edizioni della Settimana Vigevanesi per gare di abilità nella produzione di calzature, con lo scopo di incentivare la laboriosità e la qualità del lavoro112. Negli anni ’30, invece, fu meno appariscente il ruolo di Rinaldo Masseroni che concentrò la maggior parte delle sua attività in città alla direzione della Ursus Gomma e, pur essendo ampiamente conosciuto, non era ancora il personaggio pubblico che poi divenne nel Dopoguerra con la presidenza dell’Inter. Il suo ruolo pubblico si esplicò soprattutto attraverso il lavoro organizzativo nella preparazione della Settimana Vigevanese, in cui Masseroni si impegnò non poco, concentrando, ovviamente, la sua attenzione sulla parte industriale. 108 Ibidem, anno XXXV, n. 45 del 4 novembre 1932. Il Corriere di Vigevano, anno XLI, n. 36 dell’11 settembre 1938. 110 Ibidem. 111 Pozzobon M. e Mari R., Le Acciaierie e la ferrerie lombarde Falck, pp. 83-226, in AA.VV., La ricostruzione nella grande industria. Strategia padronale e organismi di fabbrica nel Triangolo 1945-1948, De Donato, Bari, 1978, p. 116. 112 Ibidem, anno XL, n. 22 del 29 maggio 1938. 109 31 Bibliografia: AA.VV., Ursus Gomma, Vigevano, 1965. Carli G., Cinquant’anni di vita italiana. In collaborazione con Paolo Peluffo, Economica Laterza, Roma-Bari, 1996 Candeloro G., Storia dell’Italia moderna, Feltrinelli, Milano, 1984, vol. X, p. 107 per gli anni 19361940. Candeloro G., Storia dell’Italia moderna, Feltrinelli, Milano, 1987, vol. IX. Castronovo V., L’industria italiana dall’Ottocento a oggi, Mondadori, Milano, 1990. Castronovo V., La storia economica, in AA.VV., Storia d’Italia, Il Sole 24 Ore-Einaudi, Milano, 2005, Vol. 7. Canessa S., Ursus Gomma 1910-1994, storia di un degrado, in Viglevanum, anno IV, febbraio 1994, pp. 72-79. Carli G., Cinquant’anni di vita italiana. In collaborazione con Paolo Peluffo, Economica Laterza, Roma-Bari, 1996. Consiglio Provinciale dell’economia Corporativa, L’industria nella provincia di Pavia, Pavia, 1936 De Cecco M., Splendore e declino del sistema Beneduce : note sulla struttura finanziaria e industriale dell’Italia dagli anni venti fino agli anni sessanta, in a cura di di Barca F., Storia del Capitalismo Italiano dal Dopoguerra a oggi, Donzelli, Roma, 1997, pp. 389-405. Galardini A. e Negri Massimo a cura di, I monumenti storico-industriali della Lombardia. Censimento Regionale, Quaderno di documentazione regionale (nuova serie), Tipografia Varese, 1984 32 Pozzobon M. e Mari R., Le Acciaierie e la ferrerie lombarde Falck, pp. 83-226, in AA.VV., La ricostruzione nella grande industria. Strategia padronale e organismi di fabbrica nel Triangolo 1945-1948, De Donato, Bari, 1978 Sienkievicz [sic] H., Quo vadis: racconto storico, Detken e Rocholl, Napoli, 1899 Sienkiewicz H., Quo Vadis?, Fratelli Fabbri Editore, Milano, 1964 33 34 La Guerra e la caduta del Fascismo (1940-1945) 1) Introduzione La Seconda Guerra Mondiale fu un momento decisivo della storia italiana che trasformò profondamente sia le coscienze che parte delle strutture istituzionali ed economiche. Gli aspetti politici della guerra e della resistenza sono ampiamente noti, sia a livello nazionale che rispetto alla città di Vigevano, meno invece quelli economici e sociali del conflitto. 2) Le conseguenze economiche della guerra in Italia e in provincia di Pavia. La Seconda Guerra Mondiale ebbe per l’Italia conseguenze economiche profondamente diverse rispetto alla Prima Guerra Mondiale. Entrambi i conflitti videro lo scontro delle più grandi potenze industriali e furono vinti dalla coalizione che riuscì a mobilitare in modo più efficace il proprio potenziale economico e a disporre del maggior quantitativo di materie prime. Durante la Prima Guerra Mondiale, l’Italia combatté a fianco delle potenze che controllavano le principali risorse minerarie ed agricole mondiali ed ebbe libero accesso ad esse. La disponibilità di materie prime assieme all’alta domanda bellica dello stato fecero da volano a uno sviluppo mai visto prima dell’apparato industriale italiano. Gli altissimi e sicuri profitti, la necessità di far fronte alle commesse belliche spinsero le imprese italiane a fare grandissimi investimenti produttivi e le banche a concedere liquidità in quantità mai viste prima113. La Seconda Guerra Mondiale ebbe caratteristiche del tutto opposte. L’Italia non solo entrò in guerra contro le più grandi potenze industriali dell’epoca, Gran Bretagna, Stati Uniti ed URSS, ma soprattutto contro i paesi che detenevano il controllo delle fonti di materie prime indispensabili per il funzionamento dell’industria. Tra queste principalmente il carbone, i rottami ferrosi e la gomma, 113 Romeo R. Breve storia della grande industria in Italia 1861/1961, Universale Cappelli, Bologna, 1961, p. 122. 35 che venivano importati, soprattutto via mare dall’Inghilterra, e che non potevano essere sostituiti da importazioni dalla Germania. Infatti questo paese doveva affrontare gravi problemi di carenza di materie prime ed era impegnato in un colossale sforzo bellico. A ciò poi va aggiunta anche la lentezza con cui il governo fascista provvide a mobilitare l’apparato produttivo e l’impreparazione generale con cui il paese entrò in guerra114. In questa condizione di difficoltà l’apparato industriale si dimostrò inefficiente e la produzione prendendo come base 100 l’anno 1938, salì di 10 punti nel 1940 e poi cominciò a precipitare toccando quota 89 già nel 1942115. Solo nel 1941, ben 729 stabilimenti dell’industria bellica dovettero arrestare la produzione per periodi più o meno lunghi a causa della mancanza di materie prime116. A partire dal 1942 si aggiunsero alla già grave situazione l’inizio dei bombardamenti degli Alleati, che colpirono molte infrastrutture disorganizzando la produzione, e il malcontento della manodopera verso la guerra. Inoltre, il regime fascista fu costretto a ridurre a più riprese le razioni alimentari, che arrivarono addirittura a meno di un migliaio di calorie giornaliere pro capite117. Con il 1943 ci fu una breve ripresa industriale appena dopo l’occupazione nazista che cercò di rianimare l’industria italiana e infine un arresto quasi completo dalla fine del 1944 alla Liberazione118. Una delle principali novità della Seconda Guerra Mondiale fu il rilancio in grande stile delle agitazioni operaie che, cominciate inizialmente per protesta contro la carenza di generi alimentari, cominciarono a poco a poco a politicizzarsi in senso antifascista portando ad un risveglio delle coscienza, ad una rinascita democratica e al superamento del paternalismo dell’epoca fascista. La situazione della provincia di Pavia non fu dissimile da quella del resto dell’Italia e Vigevano ebbe vicende simili a quelle di tutti gli altri centri industriali del Nord: rallentamento ed arresto della produzione, mobilitazione operaia in senso antifascista e sviluppo della resistenza sia in forma violenta che non violenta. Il lento degenerare della situazione industriale può essere seguito con precisione attraverso le relazioni sulla situazione politico economica della provincia preparate dalla Regia Questura di Pavia, che erano dei documenti che lo stato fascista richiedeva mensilmente per controllare più efficacemente la situazione e il morale del paese. La relazione del marzo del marzo del 1942 documenta in modo preciso le difficoltà dell’industria osservando come: 114 Ibidem, p. 195. Castronovo V., L’industria italiana dall’Ottocento a oggi, Mondadori, Milano, 1990, p. 242. 116 Romeo R. Breve storia della grande industria in Italia 1861/1961, Universale Cappelli, Bologna, 1961, p. 199. 117 Ibidem, p. 197. 118 Castronovo V., L’industria italiana dall’Ottocento a oggi, Mondadori, Milano, 1990, p. 244. 115 36 La limitazione del consumo dell’energia elettrica, la mancanza di combustibili, il divieto di utilizzare la legna da ardere per usi industriali – specie dopo che numerosi stabilimenti della provincia si erano attrezzati per sostituire la legna al combustibile fossile, nonostante l’onere del maggior costo – e, infine, le aumentate difficoltà nel rifornimento di materie prime hanno creato una situazione di disagio che si ripercuote gravemente sull’andamento della produzione119. In particolare, l’industria calzaturiera si trova in grandi difficoltà a causa della sostituzione delle materie prime con prodotti autarchici che, nonostante, la qualità inferiore e la minore resistenza, spesso costano di più delle materie prime classiche (cuoio e gomma)120. Scarsa qualità che si ripercuoteva anche sui beni prodotti e tendeva ridurne la domanda, perché i consumatori ritenevano il punteggio attribuito nell’ambito del razionamento dal governo troppo elevato rispetto alla qualità delle calzature121. In provincia il blocco quasi totale della lavorazione nel settore gomma arrivò nel novembre del 1942122. In seguitò ci fu un continuo alternarsi brevi riprese seguite da periodi di arresto o forte rallentamento della produzione che perdurò fino ai primi mesi dopo la caduta del fascismo. Con l’inizio dell’occupazione tedesca il sistema di assegnazione delle materie prime venne rivisto e razionalizzato attribuendo la maggior parte delle risorse alla produzione bellica con il risultato di deprimere ancora di più i consumi e aumentare il già vasto malcontento popolare e determinando una situazione in cui: Nel settore delle calzature per la produzione civile si lavora nei limiti dei contingenti di materia prime concessi, mentre la produzione militare negli stabilimenti è normale123. Il razionamento e la carenza di beni, assieme all’andamento sfavorevole delle vicende belliche provocarono una progressiva demoralizzazione della popolazione che spinse molti a distaccarsi al regime. La regia prefettura già nel 1942 osservava con preoccupazione come: Lo spirito pubblico risente principalmente delle limitazioni alimentari e dell’alto costo della vita […] Si avverte inoltre un senso di depressione per le sfortunate vicende belliche del fronte africano. Ma quelle che veramente hanno prostrato lo spirito pubblico sono le incursioni aere nemiche. La vicinanza , poi, con Milano – che si ritiene debba essere ancora e più seriamente colpita – fa vivere la popolazione in continuo e penoso orgasmo124. Se nel 1942 questa demoralizzazione non si esprimeva ancora in forma organizzata e restava un fenomeno ancora passivo, con la caduta del fascismo, la fuga del Re e l’occupazione militare 119 Archivio Istituto per la Storia del Movimento di Liberazione, Fondo Turri, n. 24, busta 1, serie 1, fasc. 2, Relazione sulla situazione politico-economica della Provincia di Pavia del 31 marzo 1942, p. 2. 120 Ibidem, p. 3. 121 Ibidem, Relazione sulla situazione politico-economica della Provincia di Pavia del 3° giugno 1942, p. 3. 122 Ibidem, Relazione sulla situazione politico-economica della Provincia di Pavia del 31 dicembre 1942, p. 2. 123 Ibidem, Relazione sulla situazione politico-economica della Provincia di Pavia, del 1 settembre 1944, p. 1. 124 Ibidem, Relazione sulla situazione politico-economica della Provincia di Pavia del 31 dicembre 1942, p. 4-5. 37 tedesca si ebbe una decisa inversione di tendenza e l’inizio di una serie di scioperi e agitazioni tra gli operai e i ceti popolari. 3) La Ursus Gomma durante la guerra: commesse belliche e stasi della produzione L’inizio della guerra trasformò profondamente le condizioni di lavoro e mercato in cui operava la Ursus Gomma nel senso di accentuare ulteriormente gli effetti negativi della carenza di materie prime e del dirigismo statale. La Ursus Gomma fu, come molte altre imprese italiane, coinvolta nello sforzo bellico italiano come stabilimento ausiliario125. Le commesse militari non erano però una novità per l’azienda che aveva già partecipato allo sforzo bellico italiano all’epoca della guerra di Etiopia e, probabilmente, anche durante il coinvolgimento delle truppe italiane nella guerra civile spagnola126. Il conflitto mondiale, ovviamente, determinò un salto di qualità notevole e la destinazione di gran parte della produzione alle esigenze belliche. Il lavoro della Ursus Gomma per l’esercito italiano non si limitò solo alle calzature in gomma o agli impermeabili, ma si concentrò anche nella produzione di articoli tecnici in gomma127. Le commesse belliche furono però ben presto ostacolate dalla mancanza di materie prime che costrinse lo stabilimento a rallentare il ritmo produttivo e poi a fermare le macchine. La scarsità riguardava sia la gomma, che venne sostituita con cascami, che la disponibilità di fonti energetiche che erano pure razionate. La prima interruzione completa delle lavorazioni avvenne già nel dicembre del 1941, la Ursus Gomma fu dunque una delle 729 imprese dell’industria militare a dover fermare le macchine, per due motivazioni: 1) scarsità di cascami mobili da rigenerare da impiegare per la lavorazione degli articoli in gomma e per la mancanza di resine gregge per non consegna da parte della Montecatini; 2) raggiunto limite di consumo di energia128. L’attività produttiva riprese dopo qualche giorno già il 7 di gennaio, ma solo per gli articoli estivi, perché per quelli invernali mancavano alcuni componenti indispensabili per la fabbricazione129. 125 AA.VV., Ursus Gomma, Vigevano, 1965, p. 5. Nel 1936 il prefetto di Pavia autorizzò la sospensione della festività del sabato fascista alla Ursus Gomma sino al 31 maggio per far fronte alle ordinazioni di calzature militari. Cfr. ASCV, parte moderna, busta 1006, lettera del 26 aprile 1936. 127 AA.VV., Ursus Gomma, Vigevano, 1965, p. 5. 128 ASCV, parte moderna, busta 1022, lettera del 20 dicembre 1941. 129 Ibidem. 126 38 Nonostante le difficoltà, la Ursus Gomma fu un’impresa privilegiata rispetto alle altre perché partecipava alla produzione bellica e occupava un elevato numero di persone. Le autorità fasciste cercarono per quanto possibile di evitare l’interruzioni delle lavorazioni belliche lasciando letteralmente a secco di materie prime le altre imprese e di evitare il dilagare dello scontento per la disoccupazione. A questo fine le autorità provinciali di Pavia riuscirono ad ottenere, nel settembre del 1942, una corsia preferenziale nell’assegnazione di materie prime a tutti i calzaturifici che occupavano più di 50 dipendenti permettendo il funzionamento di questi, che occupavano circa 4000 persone, a spese di tutti gli altri130. E la Ursus Gomma in questo gruppo di imprese “fortunate” aveva un peso rilevante in quanto, pur non raggiungendo più i livelli occupazionali dell’anteguerra, impiegava ancora più di 800 persone. Provvedimenti simili vennero presi anche dalle autorità della R.S.I. e dall’amministrazione germanica in Italia. Le autorità tedesche avevano ovviamente il controllo della maggior parte delle scarse risorse e le assegnavano solo per forniture militari. In questo modo Bertolini e Masseroni si troverono a dipendere sempre più dalle commesse militari delle forze occupanti che rappresentavano più metà delle vendite dell’impresa131. La Ursus Gomma beneficiò anche dell’attribuzione di un motore da sommergibile da utilizzare per produrre energia durante le interruzioni di corrente o i bombardamenti132. Motore che andava ad integrare gli altri generatori della fabbrica e che erano una caldaia a carbone e una a metano133. In tabella 2.1 sono raccolti le serie temporali di alcune voci patrimoniali durante la Seconda Guerra Mondiale al fine di valutare l’andamento economico della Ursus Gomma. La seconda colonna riporta la serie temporale del capitale fisso ottenuta aggregando le voci immobili ed impianti, macchinario ed attrezzi dell’attivo del bilancio. La seconda e la terza colonna riportano il fatturato e l’utile di esercizio rispettivamente. La penultima riporta il ROE (return on equity) che è un indice che misura la redditività effettivamente ottenuta dall’impresa rispetto al capitale investito dai soci, che all’epoca era di 15 milioni di lire134. Infine, l’ultima colonna presenta il rapporto tra capitale fisso e fatturato. I valori della serie temporale dicono poco se considerati in valore assoluto perché rispetto agli anni ’30 c’era stata un’ampia svalutazione della lira e non è neanche significativo convertirli in valuta attuale perché le dimensioni economiche delle imprese sono cambiate. A questo problema bisogna aggiungere quello dei criteri con cui venivano valutate le voci di bilancio. Alcune, come le voci 130 Archivio Istituto per la Storia del Movimento di Liberazione, Fondo Turri, n. 24, busta 1, serie 1, fasc. 2, Relazione sulla situazione politico-economica della Provincia di Pavia del 30 settembre 1942, p. 3. 131 ASBI, Consorzio Sovvenzioni su Valori Industriali, Pavia, scaf. 8-st. 2, ripiano 6, nr. ingr. Arch. 2/14, bilanci 1944 e 1945. 132 Testimonianza Pavesi Roberto del 30 maggio 2006 raccolta dall’autore. 133 ACS, Min Ind, b. 124, fasc. 7, Appendice alla Relazione sulla situazione industriale della Sezione gomma (1947) Archivio Camera di Commercio di Milano, Registro Imprese, fasc. 177767, denuncia di modifica dell’11 ottobre 1939. 39 relative al macchinario ed attrezzi, erano iscritte a bilancio per valori inferiori al loro valore reale per ragioni di prudenza. Questa sottostima, nel 1946, ammontava secondo i calcoli di funzionari della Banca d’Italia, a circa un terzo135. Tabella 2.1 – Andamento temporale di alcune voci anno 1939 1940 1941 1942 1943 1944 capitale fisso 6.811.330 8.642.379 8.945.979 9.489.548 9.592.719 10.135.590 Fatturato 21.386.471 28.456.435 24.817.826 31.479.521 23.501.492 72.557.302 utile/perdite di esercizio 271.057 529.783 852.675 912.430 905.772 1.148.284 ROE 1,8 3,5 5,6 6,0 6,1 7,7 cap. fisso su fatturato 31,84878 30,37056 36,04659 30,14515 40,81749 13,96908 1945 10.473.301 72.794.627 -3.807.453 -25,3 14,38747 Tenendo presente queste considerazioni si può osservare come la serie storica del capitale fisso della Ursus Gomma mostra un salto tra il 1939 e il 1940 e poi un andamento regolare. Questa discontinuità documenta vennero effettueti investimenti per convertire gli impianti alla produzione bellica, ma poi successivamente non si incrementarono più le capacità industriali a causa della carenza di materie prime e dell’andamento sfavorevole della guerra. L’esatto opposto di quanto accaduto durante la Prima Guerra Mondiale in cui le imprese continuarono ad investire e ad espandersi fino alla fine del conflitto. Anche il trend del fatturato complessivo dell’impresa mostra delle discontinuità che seguono da vicino l’andamento degli eventi bellici. Se si prende come pietra di paragone il dato del 1939, ultimo anno di pace, si può notare come la guerra portò a un’espansione del fatturato piuttosto discontinua con battute di arresto nel 1941 e nel 1943 a causa della mancanza di materie prime e dell’instabilità politica. A partire dal 1944 il dato presenta una forte discontinuità da attribuire all’aumento dei prezzi, che le autorità della R.S.I. nonostante i controlli amministrativi non riuscivano ad evitare. Nel complesso però la Ursus Gomma riuscì a mantenersi nonostante tutto un’impresa capace di produrre reddito, e quindi economicamente efficiente per quasi tutta la durata della guerra. Il ROE se confrontato con i valori del 1939, andò progressivamente aumentando pur non presentando gli extraprofitti che erano stati tipici della Prima Guerra Mondiale. Solo nel 1945 ci furono perdite rilevanti che sono spiegabili con l’arresto della produzione militare dovuto alla fine della guerra e alla disorganizzazione delle reti distributive dei manufatti. Anche il rapporto tra capitale fisso e 135 ASBI, Consorzio Sovvenzioni su Valori Industriali, Pavia, scaf. 8-st. 2, ripiano 6, nr. ingr. Arch. 2/14, raccomandata del 18 dicembre 1946. 40 fatturato registra i disordini economici causati dal periodo finale della guerra perché mostra un vero e proprio balzo a partire dal ’44. 4) La condizione operaia Dal punto di vista operaio, la Seconda Guerra Mondiale fu un momento di risveglio e protagonismo sociale che ruppe la cappa oppressiva imposta dal regime fascista. I principali episodi di questo nuovo attivismo furono gli scioperi della primavera del 43 e del 44 e l’insurrezione del 25 aprile. La mobilitazione operaia nata inizialmente come movimento di protesta contro la guerra e il razionamento dei generi alimentari acquisì ben presto un forte carattere antifascista e si radicalizzò in senso comunista. Il movimento fu particolarmente vivo nel triangolo industriale che concentrava circa metà dell’industria italiana dell’epoca136. Anche Vigevano, che all’epoca era un medio centro di provincia con una forte vocazione industriale, venne interessata da questo risveglio. Idealmente si può far cominciare questo processo di distacco degli operai dal fascismo dalla guerra di Etiopia e farlo finire con le prime elezioni sindacali del Dopoguerra. La vittoria contro il Negus abissino e la successiva proclamazione dell’Impero costituirono il momento di maggior consenso popolare per il regime fascista. A Vigevano, come in molte altre città italiane, si ebbero spontanee manifestazioni di giubilo popolare in cui: […] gli operai che al mattino avevano lavorato, vollero anche essi dimostrare il loro entusiasmo per la vittoria e, lasciati gli opifici, incolonnatosi con cartelli e bandiere si recarono in piazza Ducale. Da tutte le vie, che si conducono, la piazza fu invasa e le grida inneggianti al Duce e alla Vittoria s’alternarono cogli inni nazionali e della rivoluzione. L’industriale Bertolini, Cavaliere del Lavoro, acclamato dai suoi operai, disse brevi parole, ricordando che, nato operaio, egli, benché industriale, vuole essere con i suoi operai137. Le elezioni sindacali del febbraio 1946, che attribuirono più del 70% dei suffragi alla corrente sindacale comunista138 costituiscono idealmente la fine del processo di distacco del fascismo. Motore di questa trasformazione furono i bombardamenti del 1942, gli avvenimenti successivi al 25 luglio, la carenza di generi alimentari e l’attività antifascista svolta dalle cellule comuniste. In città queste ultime ebbero un ruolo fondamentale e furono di gran lunga il gruppo antifascista più attivo e con il più ampio seguito popolare139. Successo che dipese più che da una politicizzazione in senso 136 De Cecco M. e Giavazzi F., Inflation and Stabilization i Italy: 1946-1951, pag. 59, in a cura di Dornbusch R., Nölling W. e Layard R., Postwar Economy and Recostruction and Lesson for the East Today, MIT Press, Cambridge, 1992 137 Il Corriere di Vigevano, anno XXXIX, n. 20 del 17 maggio 1936, p. 1. 138 L’Indipendente vigevanese, anno II, n. 12 del 19 febbraio 1946, p. 1.. 139 Testimonianza di Ernesto Gusberti raccolta da Marco Savini. 41 comunista, che era propria solo di una minoranza, dal riconoscimento dell’efficacia della rete di resistenza, rivendicazioni salariali e solidarietà antifascista che i comunisti seppero costruire. La Ursus Gomma ebbe un ruolo molto importante nella presa di coscienza operai di Vigevano perché costituiva una delle principali concentrazioni di manodopera della città. Inoltre, non si possono dimenticare gli stretti legami esistenti tra le maestranze della Ursus Gomma e quelle della Ursus Cuoio che erano cementati non solo dalla comune proprietà, ma anche dalle relazioni personali costruite grazie all’azione dei gruppi aziendali fascisti delle due aziende. L’attività antifascista interna alla fabbrica si manifestò in tre modalità differenti: la diffusione di stampa antifascista, il sabotaggio della produzione e gli scioperi. La prima e, forse, la più importante modalità, fu certamente la diffusione della stampa antifascista, prevalentemente comunista. Attraverso canali attivi già prima dell’8 settembre del 1943 la diffusione di giornali e di volantini avveniva attraverso l’introduzione di alcune copie all’interno della fabbrica che poi venivano passata da operaio ad operaio negli spogliatoi o altri locali comuni140. La stampa antifascista ebbe un ruolo fondamentale nel distacco delle coscienze dal regime e nella nascita di una nuova coscienza democratica; perché rompeva anche simbolicamente con la propaganda fascista e proponeva una visione del mondo alternativa e forniva gli elementi basilari per una valutazione critica e consapevole della guerra e del Ventennio. Secondo elemento importante, anche se quasi impossibile da quantificare, fu costituito dal sabotaggio della produzione bellica attraverso la confezione di prodotti volutamente difettosi, il rallentamento della velocità di lavoro e, quando possibile, la messa a disposizione di parte della produzione alle forze di resistenza. Il sabotaggio non caratterizzò solo la Ursus Gomma, ma interessò anche la Ursus Cuoio e altre imprese vigevanesi e fu osteggiato dalla proprietà. Infatti, gli industriali delle fabbriche coinvolte nel boicottaggio temevano rappresaglie da parte delle autorità tedesche, addirittura, la confisca di tutti i macchinari e il loro trasferimento in Germania141. Infine, l’attività antifascista degli operai della Ursus Gomma si esprimeva anche attraverso l’arma dello sciopero, che in un paese occupato da una potenza straniera e sottoposto ad un regime totalitario aveva un significato speciale e comportava rischi estremamente elevati. Per questi motivi gli scioperi alla Ursus Gomma, come in altre realtà, erano sempre giustificati con motivazioni di ordine economico od annonario, anche se un elemento politico era presente142. Inoltre, costituendo l’impresa una delle principali concentrazioni operaie della città, questi scioperi creavano un forte danno d’immagine per il regime e tendevano a venir emulati anche nelle altre fabbriche cittadine. 140 Idem. Zimonti G., La liberazione di Vigevano,Tipografia Popolare, Pavia, 1983, p. 9. 142 Testimonianza di Ernesto Gusberti raccolta da Marco Savini. 141 42 Tutte le agitazioni erano organizzate e dirette dalle cellule antifasciste clandestine che scavalcavano i sindacati fascisti e le organizzazioni dopolavoristiche ed erano particolarmente ben radicate all’interno della Ursus Gomma. 5) Lo sciopero del dicembre del 1943 Durante il periodo bellico la Ursus Gomma fu interessata da tre principali scioperi che segnarono anche diversi stadi di evoluzione della lotta antifascista. La prima sospensione del lavoro, immediatamente successiva al 25 luglio del 1943, non interessò solo i dipendenti della Ursus Gomma, ma più in generale tutta la forza lavoro della città. Allo sciopero spontaneo seguirono manifestazioni di gioia popolare e manifestazioni di piazza143 che più che una presenza organizzata dell’antifascismo denotavano la volontà di pace e il rifiuto del fascismo. Gli altri due scioperi importanti della Ursus Gomma risalgono rispettivamente al dicembre del 1943 e al novembre del 1944 ed ebbero caratteristiche in parte differenti e meritano di essere esaminati separatamente. La prima agitazione in ordine temporale risale al 15 dicembre del 1943 e fu brevissima durando infatti solo dalle ore 14,30 fino alle ore 16 del pomeriggio144. All’interruzione del lavoro che riguardò praticamente tutti di dipendenti, seguì una breve trattativa che si concluse con l’accettazione di tutte le richieste avanzate dalle maestranze e la promessa di interventi contro il carovita e la scarsità di generi alimentari. Per la precisione gli operai della Ursus Gomma ottennero: 1) premi in denaro differenziati per operai con famiglia a carico oppure no. 2) l’erogazione di 2 kg di riso a testa oltre a quanto già previsto dalla tessere del razionamento alimentare145. Anche se le motivazione dello sciopero furono “ufficialmente” di ordine economico alle autorità fasciste non sfuggì il carattere politico che aveva la protesta e infatti notavano come: sembra che tale manifestazione abbia voluto avere un carattere di solidarietà con le maestranze di Milano e Pavia che da qualche giorno sono in sciopero, mentre gli operai vorrebbero far credere che la dimostrazione sarebbe stata fatta per ottenere un aumento di salario, aumento di razione viveri, calzature, gomme per le biciclette e premio di fine anno146. 143 Zimonti G., La liberazione di Vigevano,Tipografia Popolare, Pavia, 1983, p. 5. Archivio Istituto per la Storia del Movimento di Liberazione, Fondo Turri,, busta 1, cartella 5, fascicolo 21, lettera del 16 dicembre 1943 della Milizia Volontaria Sicurezza Nazionale, comando Vi legione, Vigevano. 145 Ibidem, lettera del 17 dicembre del 1943 della Legione Territoriale dei Carabinieri di Alessandria Compagnia di Vigevano. 146 Ibidem, lettera del 16 dicembre 1943 della Milizia Volontaria Sicurezza Nazionale, comando Vi legione, Vigevano. 144 43 Motivazione politica che è rinforzata anche dal fatto che lo sciopero venne iniziato proprio in occasione della visita a Vigevano del Segretario Generale del Sindacato Fascista dei Lavoratori dell’Industria, che svolse un ruolo importante nelle trattative. L’esito favorevole della vertenza spinse gli operai ad avanzare nuove richieste e ad astenersi nuovamente dal lavoro già il 17. I lavoratori presentarono un insieme di richieste articolate che costituiva di fatto una piattaforma di contrattazione sindacale completa, fatto impensabile fino a qualche mese prima. Le richieste riguardavano aumenti salariali, gratifiche natalizie sia in denaro che in natura e la distribuzione di razioni di latte per gli operai che lavoravano in reparti dannosi per la salute147. Con un forte elemento di novità rispetto al precedente periodo fascista, lo sciopero costrinse le autorità fasciste a trattare con la manodopera e il Presidente della Ursus Gomma, Pietro Bertolini, ad intervenire come mediatore tra le parti per evitare rappresaglie. La vertenza si concluse con la parziale accettazione della richieste delle maestranze e la promessa, da parte delle autorità, di ulteriori concessioni in futuro. Gli scioperi del dicembre del 1943, che poi in definitiva costituiscono momenti di una stessa vertenza, permettono di evidenziare alcune caratteristiche interessanti dell’attività antifascista alla Ursus Gomma. Un primo elemento importante è costituito dal grado di compattezza della protesta che interessò tutti i dipendenti dell’impresa, circa 800 persone in gran parte donne. Non si trattò di un elemento scontato perché la città era militarmente occupata dalle forze militari tedesche che seguirono attentamente la vertenza Ursus Gomma148. Fin dal loro insediamento a Vigevano l’esercito germanico adottò una politica intimidatoria nei confronti della popolazione sia imponendo il coprifuoco notturno sia attraverso una dura repressione del nascente movimento di resistenza. Solo poco più di un mese prima dello sciopero della Ursus Gomma soldati tedeschi avevano prelevato e fucilato in Castello, a scopo intimidatorio, l’antifascista Giovanni Leone e questo evento aveva suscitato una forte impressione in città149. In queste condizioni, lo sciopero di più di 800 persone costituiva un successo organizzativo e simbolico per tutto il movimento antifascista cittadino. Successo a cui il Capo della Provincia rispose ordinando una serrata punitiva a tempo indeterminato della Ursus Gomma150, provvedimento che dopo qualche giorno venne ritirato sia in seguito alle proteste dei proprietari che per non rallentare troppo la già scarsa produzione bellica. 147 Archivio Istituto per la Storia del Movimento di Liberazione, Fondo Turri, busta 1, cartella 5, fascicolo 21, lettera del comando di piazza di Pavia senza data. 148 Ibidem, lettera del 19 dicembre del 1943 della Legione Territoriale dei Carabinieri di Alessandria Compagnia di Vigevano. 149 Zimonti G., La liberazione di Vigevano,Tipografia Popolare, Pavia, 1983, p. 7. 150 Archivio Istituto per la Storia del Movimento di Liberazione, Fondo Turri, busta 1, cartella 5, fascicolo 21, lettera del 19 dicembre del 1943 della Legione Territoriale dei Carabinieri di Alessandria Compagnia di Vigevano. 44 Un secondo elemento molto importante è l’unione tra rivendicazioni economiche e sabotaggio antifascista dello sforzo bellico. Anche se spesso nel ricordare la Resistenza si mette l’accento sull’aspetto della lotta per la libertà e contro l’occupazione tedesca, bisogna ricordare che essa ebbe anche una forte componente di rivendicazioni sociali. Soprattutto negli ambienti popolari l’antifascismo fu alimentato, oltre che da rivendicazioni di principio, dalla volontà di riscatto sociale e di miglioramento delle proprie condizioni di vita. Appunto con questo spirito gli operai e le operaie della Ursus Gomma, mentre bloccavano la produzione bellica, avanzavano una serie di rivendicazione che andavano dalle gratifiche natalizie alla sicurezza sul luogo di lavoro. 6) Lo sciopero del novembre del 1944 Lo sciopero del novembre del 1944 che iniziato il 19, ebbe strascichi per più di due mesi, con nuove interruzioni del lavoro, dimostrazioni di donne151 e vide una stretta collaborazione tra i dipendenti della Ursus Gomma e della Ursus Cuoio. Le proteste ebbero una forte risonanza a livello provinciale e spinsero il Capo della Provincia Tuninetti a una reazione molto dura che giunse fino a rifiutare anche solo di ascoltare le richieste degli operai anche perché questi agivano scavalcando completamente il sindacato fascista che era rappresentato in tutte la aziende da una commissione di fabbrica.152. La dinamica della vertenza è particolarmente interessante, infatti dalla ricostruzione fattane dal sindacato fascista risulta come: Un gruppo di operai, che si era sostituito alla commissione di fabbrica, aveva richiesto alla Direzione della ditta Ursus Gomma […] la distribuzione di articoli prodotti dall’azienda e precisamente tovaglie di plastica nel quantitativo di 40 metri per ciascun dipendente[…]. Trattandosi di un prodotto la cui materia prima è bloccata la ditta si è riservata una decisione subordinatamente alla concessione dello sblocco da parte degli Uffici Economici Germanici competenti. […] Le riserve della ditta fornirono agli operai un pretesto per assumere un atteggiamento di protesta che sfociò nella sospensione del lavoro. […] Occorre rilevare che, purtroppo, una parte della maestranza occupata presso la Ursus Gomma è palesemente manovrata da elementi perturbatori esterni e presumibilmente anche interni, la cui opera sobbiliatrice ha effetto specialmente tra la maestranza femminile153. Gli operai della Ursus Gomma volevano essere retribuiti con tovaglie in PCV per procurarsi merci tramite baratto e riuscirono nel loro intento perché i comandi tedeschi decisero di sbloccare le 151 Ibidem, lettera del 12 dicembre 19434 Ibidem, fonogramma del 21 novembre 1944. 153 Ibidem, relazione della Confederazione Fascista Lavoratori dell’Industria del 9 dicembre 1944. 152 45 materie prime necessarie per soddisfare la richiesta sia pure limitato a solo 10 metri per dipendente154 di cui beneficiarono anche i lavoratori della Ursus Cuoio. In questo modo venne a crearsi un nuovo e particolarissimo sistema di retribuzione della manodopera perché: siccome gli ottocento operai dell’Ursus non avevano bisogno di quella merce [le tovaglie in PVC] e sarebbero stati in difficoltà a realizzarne un guadagno, hanno incaricato la loro commissione di fabbrica di venderla, come è avvenuto, ottenendo un così un ricavo per ogni 10 metri di £ 1500, ricavo che è stato messo a disposizione degli stessi operai. A sua volta la Ditta Ursus tratterrà dalla paga quindicinale dei propri operai la somma di £ 380, pari al prezzo della merce ceduta155. In pratica si veniva a creare un accordo tra i proprietari e dipendenti secondo cui la ditta forniva ai propri dipendenti le merci, che avrebbe dovuto vendere alle forze armate tedesche, e questi le vendevano, presumibilmente al mercato nero. Il ricavato dalla vendita veniva diviso tra le due parti. I dipendenti utilizzavano la loro parte per procurarsi collettivamente generi alimentari di prima necessità, mentre i proprietari ottenevano un profitto di £ 10 per metro venduto156. Si creava così di fatto un sistema che aggirava il dirigismo economico fascista, con evidenti vantaggi sia per i proprietari della Ursus Gomma che per i dipendenti. E’ interessante notare come la distribuzione dei teli di plastica fosse il frutto di un accordo paritario stretto tra i dipendenti e i proprietari e non il frutto di una concessione. Si tratta di un modello di relazioni industriali estremamente distante da quello paternalistico e corporativo a cui i dipendenti erano stati abituati durante il periodo fascista. Queste conquiste, immediatamente estese anche ai dipendenti della Ursus Cuoio, ebbero un forte effetto di trascinamento in città perché spinsero i dipendenti di altre fabbriche ad entrare in sciopero per rivendicare benefici simili e bloccando di fatto la produzione in tutta Vigevano157. La protesta assunse ben presto un evidente carattere antifascista che preoccupò le autorità anche perché i dipendenti della Ursus Gomma e della Ursus Cuoio avanzarono immediatamente nuove richieste. A questo punto le autorità decisero che la protesta era andata troppo oltre e stava cominciando a diventare pericolosa e decisero di reprimere le agitazioni operaie ordinando la chiusura a tempo indeterminato dei due stabilimenti158. Il successo dell’azione repressiva fu per altro puramente momentaneo poiché ormai la guerra stava volgendo al termine e con essa il regime fascista. 7) Conclusioni 154 Ibidem Ibidem, relazione al Capo della Provincia del 24 novembre 1944. 156 Ibidem. 157 Ibidem. 158 Ibidem, segnalazione al prefettto del 30 novembre 1944. 155 46 Dal novembre del 1944 fino alla Liberazione i dipendenti della Ursus Gomma non presero altre iniziative particolari, ma si mossero in sintonia con gli operai delle altre fabbriche di Vigevano partecipando all’insurrezione del 25 aprile e cercando di tirare avanti pur nelle difficoltà materiali del periodo. Appena dopo la fine delle ostilità ed esattamente come in molte altre imprese venne creato un Comitato di Liberazione Aziendale159 composto da 4 membri con compiti che, sia pure inizialmente non ben definiti, divennero ben presto solo sindacali. Subito dopo della Liberazione la dirigenza si trovava, invece, in una situazione in cui l’attività produttiva era sostanzialmente ferma a causa della carenza di materie prime e quel poco che veniva prodotto nel settore gomma si basava sull’uso di rigenerati di scarsa qualità. Indicativo dell’estrema penuria che caratterizza questo periodo è una lettera del Cancelliere delegato della Ursus Gomma, in data 30 ottobre 1945, alla Commissione di Epurazione del CLN locale. Nella missiva l’impresa dichiarava di non essere in grado di fornire le sei (sic) coperture velo richieste, avendo già distribuito agli operai come compenso il ridotto quantitativo precedentemente prodotto grazie all’aiuto di “una ditta concorrente che ci ha favorito il materiale semilavorato”160. La missiva si conclude significativamente con l’ammissione di non poter fissare una data per la ripresa della produzione e con la frase: Senza impegno, il sottoscritto vedrà di interessarsi se potrà avere le sei coperture presso qualche altro fabbricante amico […]161. Ma una situazione come questa non poteva che essere transitoria e ben presto l’attività produttiva riprese e la Ursus Gomma cominciò ad affrontare i problemi posti dalla ricostruzione lasciandosi alle spalle il periodo bellico e le sue difficoltà. Bibliografia AA.VV., Ursus Gomma, Vigevano, 1965; Castronovo V., L’industria italiana dall’Ottocento a oggi, Mondadori, Milano, 1990 De Cecco M. e Giavazzi F., Inflation and Stabilization i Italy: 1946-1951, pag. 57-81, in a cura di Dornbusch R., Nölling W. e Layard R., Postwar Economy and Recostruction and Lesson for the East Today, MIT Press, Cambridge, 1992. 159 ASCV, Arch. CLN, Cart 10, fasc. 6, lettera del 27 settembre 1945. ASCV, CLN, epurazione cart. 1, fasc. 25, f. 87, posta in arrivo. 161 Ibidem. 160 47 Romeo R. Breve storia della grande industria in Italia 1861/1961, Universale Cappelli, Bologna, 1961 Zimonti G., La liberazione di Vigevano,Tipografia Popolare, Pavia, 1983 48 Il Dopoguerra e la Ricostruzione (1945-1953) 1) Introduzione Il periodo che va dal 1945 al 1953 costituisce un momento di svolta nella storia non solo della Ursus Gomma, ma più in generale di tutta l’economia italiana. I pilastri istituzionali e produttivi su cui si era strutturata l’economia nazionale nel periodo tra le due guerre e, in particolare, negli anni ’30 cominciavano a cadere costringendo le imprese a muoversi in un nuovo ambiente che, pur presentando nuove possibilità, era molto più competitivo. Il nuovo ordine mondiale, imposto dagli Stati Uniti, spinse tutti i paesi del Blocco Occidentale ad abbandonare le politiche “autarchiche” adottate in seguito alla Crisi del ’29 ed a integrare le loro economie in un nuovo mercato globale trainato dalla domanda americana e dominato dal dollaro. La stabilita del sistema monetario di Bretton Woods consentì uno sviluppo senza precedenti degli scambi internazionali, il graduale superamento degli accordi commerciali bilaterali di scambio fra gli stati e l’affermarsi di mercato di scambi internazionali sempre più libero. Uno dei primi effetti del nuovo sistema internazionale fu la graduale scomparsa delle carenze di materie prime e di sbocchi commerciali. Il ribaltamento degli indirizzi di politica economica fu lento, incontrò numerose resistenze e per molti paesi fu in parte un’imposizione estera, ma nondimeno fu profondo e fino ad ora irreversibile. Così come gli anni ’30 erano stati caratterizzati dalla ricerca dell’autosufficienza sia in termini di capacità produttiva che di approvvigionamento delle risorse, gli anni del dopoguerra furono segnati dall’integrazione economica e dalla rimozione delle barriere verso l’estero. Proprio in questo periodo nacquero praticamente tutti gli organismi internazionali che ancora oggi regolano l’economia mondiale: Banca mondiale, Fondo Monetario Internazionale, Comunità Economica Europea. In Italia gli avvenimenti più importanti dal punto di vista economico furono la stabilizzazione della lira, l’European Recovery Program (meglio noto come Piano Marshall) e la liberalizzazione degli scambi del Ministro del Commercio Estero Ugo La Malfa. 49 La stabilizzazione della lira, attuata con una dura e costosa politica restrittiva, pose fine all’instabilità monetaria ereditata dalla Guerra e mise le basi per il reingresso del nostro paese nei mercati internazionali in una posizione favorevole perché riuscì a stabilire un cambio fisso tra dollaro e lira che sottovalutava la nostra moneta162. L’European Recovery Program, che fu per circa l’11 percento destinato in aiuti all’Italia163, forni alla nostra economia capitali e tecnologie indispensabili per l’ammodernamento del sistema produttivo. Infine, la scelta fatta dal Ministro del Commercio Estero La Malfa , nel novembre del ’51, di superare i problemi della bilancia commerciale revocando tutti i limiti quantitativi alle importazioni e tagliando tutti i dazi del 10% verso gli altri paesi europei164 pose fine al protezionismo. Contemporaneamente iniziava l’integrazione economica del nostro paese nei confronti di quelli che presto sarebbero diventati i nostri principali partner commerciali. In questa nuova e in gran parte imprevista situazione economica la Ursus Gomma riuscì a superare brillantemente le difficoltà e a riconfermarsi come impresa leader competitiva e in grado espandersi nei mercati internazionali. 2) La Ursus Gomma alla fine della 2a Guerra Mondiale Per comprendere adeguatamente il ruolo giocato dalla Ursus Gomma nell’ambito dell’economia cittadina bisogna partire dalla situazione di quasi completo arresto produttivo in cui si trovava l’impresa nell’aprile del ’45. Nonostante le difficoltà logistiche causate dalla disorganizzazione delle vie di comunicazione e dai danni causati dalla guerra la situazione economica si avviò ben presto alla normalizzazione sia in Italia che a Vigevano. Tra i principali passaggi a livello nazionale possiamo ricordare lo sblocco dei licenziamenti in tutto il nord d’Italia deciso dal Clnai per il 30 settembre del ’45165 e la ripresa più o meno regolare della produzione a partire dal primissimi mesi del 1946 con l’arrivo delle assegnazioni di gomma di provenienza UNRRA166. 162 De Cecco M. e Giavazzi F., Inflation and Stabilization in Italy: 1946-1951, p. 77, in a cura di Dornbusch R., Nölling W. e Layard R., Postwar Economy and Recostruction and Lesson for the East Today, MIT Press, Cambridge, 1992. 163 Castronovo V., La storia economica, pag. 383, in AA.VV., Storia d’Italia, Il Sole 24 Ore-Einaudi, Milano, 2005, Vol. 7. 164 Carli G., Cinquant’anni di vita italiana. In collaborazione con Paolo Peluffo, Economica Laterza, Roma-Bari, 1996, p. 116. 165 Ganapini L., Alle origini della normalizzazione: l’operato della Commissione centrale economica del Comitato di Liberazione nazionale Alta Italia, p. 79, in AA.VV., La ricostruzione nella grande industria. Strategia padronale e organismi di fabbrica nel Triangolo 1945-1948, De Donato, Bari, 1978. 166 ACS, Min Ind, b. 124, fasc. 7, Relazione sulla situazione industriale della sezione gomma, cap. 1, p. 1. L’UNRRA (United Nations Relief and Rehabilitation Administration, Ente delle Nazioni Unite per il soccorso e la ricostruzione) era un organismo creato dalle neonate Nazioni Unite per portare soccorso economico, alimentare e sanitario ai paesi più 50 A livello locale un primo segnale di miglioramento della condizione di vita operaia si ebbe già a partire dal giugno del 1945 con la fondazione della Cooperativa Operai Ursus, società cooperativa a responsabilità limitata167. La società di consumo nacque con il fine di fornire generi alimentari ai dipendenti delle due ditte, Ursus Gomma e Ursus Cuoio, e fu lo sviluppo e l’istituzionalizzazione di modelli di comportamento già esistenti nel periodo bellico. La cooperativa nacque per interessamento di tre dipendenti della Ursus Gomma e della Ursus Cuoio Silvio Gallina, Camillo Ferrari Trecate e Umberto Masini168 e per la lungimiranza dimostrata da Rinaldo Masseroni e Pietro Bertolini. Infatti i due proprietari accordarono: merci a prezzi ridotti e a lunghe scadenze per i pagamenti, oltre a tutti il materiale di impianto come mobili, attrezzi e scorte in regalo. Stivali pantofole, coperture, biciclette, materie plastiche ecc., che le ditte ci diedero, servirono come mezzi per acquistare granaglie, suini che una volta macellati e lavorati (gratuitamente) dai soci, il prodotto veniva distribuito agli stessi a prezzo di costo […]169. Masseroni e Bertolini nella situazione di incertezza monetaria e di perdita di valore reale della moneta fornivano ai loro dipendenti merci che poi questi barattavano, forse in parte al mercato nero, con generi alimentari di prima necessità. Esattamente come era avvenuto già durante il periodo della Repubblica di Salò, ma su una scala e con un’organizzazione molto maggiori. Valutare l’entità e l’importanza dell’aiuto alimentare prestato dalla Cooperativa Operaia Ursus è oggi estremamente difficile, anche per la perdita di gran parte della documentazione. Si può solo dare una vaga idea delle dimensioni che essa ebbe. Subito dopo la guerra la Ursus Gomma aveva più di un migliaio di dipendenti a cui vanno aggiunti i circa ottocento della Ursus Cuoio170, ovvero circa un paio di migliaia di persone. A queste andrebbero aggiunte le famiglie, operazione impossibile anche a livello approssimativo perché non si conosce il numero di nuclei familiari in cui tutti o parte dei membri trovavano occupazione nelle due ditte. Anche senza poter quantificare le dimensioni dell’aiuto si può però dire che esso fu molto vasto importante e di notevole sollievo a Vigevano e nei comuni limitrofi. Dopo i primi due anni di emergenza, la Cooperativa Operai Ursus si riorganizzò non più come ente di emergenza sovvenzionato da Bertolini e Masseroni, ma come società di consumo autosufficiente per i dipendenti delle due società e in questa veste entrò a far parte del panorama di Vigevano171. colpiti dalle distruzioni belliche. Creato nel novembre del 1943, operò dal 1944 al 1947 quando venne chiuso in seguito alla decisione degli Stati Uniti di non contribuire più al suo finanziamento per motivi politici. Dai suoi aiuti, ripartiti sulla base del criterio del maggiore bisogno, beneficiarono soprattutto Italia, Grecia e i paesi dell’Europa occupati dall’URSS. 167 L’IndipendenteVvigevanese, anno VII, n. 43 del 3 novembre del 1951, p. 1. 168 Ibidem. 169 Ibidem, p. 2. 170 ASBI, Consorzio Sovvenzioni su Valori Industriali, Pavia, scaf. 8-st. 2, ripiano 6, nr. ingr. Arch. 2/14, mod. 22 allegato a risposta a lettera 2123 del 18 dicembre 1946. 171 L’Indipendente Vigevanese, anno VII, n. 43 del 3 novembre del 1951, p. 2. 51 Risolta, almeno in parte, la questione alimentare, il secondo grave problema era quello di far ripartire la produzione per evitare il fallimento della Ursus Gomma e per questo bisognava procurarsi le materie prime e i semilavorati. Data la situazione di emergenza le materie prime potevano arrivare nel nostro paese solo attraverso il canale degli aiuti internazionali e per questo motivo non erano disponibili al mercato libero, ma accuratamente razionate da appositi organismi pubblici. Questa condizione, che tradisce la tragicità e la difficoltà di quel momento storico, rende però possibile l’accesso ad informazioni molto preziose sulla struttura dei vari settori economici e quindi anche sull’Ursus Gomma. 3) Il ruolo della Ursus Gomma nell’industria nazionale L’organismo preposto al razionamento delle materie prime, dei generi alimentari nel Nord d’Italia era il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia (Clnai) che a questo fine si dotò di un’apposita Commissione centrale economia costituita già nel febbraio del 1945172. In seguito allo svuotamento dei poteri del Clnai gli uffici preposti alla distribuzione delle materie prime vennero aggregati al Ministero dell’Industria e dell’Artigianato che costituì il 28 febbraio 1946 un’apposita Commissione Centrale Industria (CCI) con il compito di pianificare la produzione industriale controllando la distribuzione delle materie prime e la qualità dei prodotti finiti. Per motivi di funzionalità essa fu suddivisa in 4 sottocommissioni, di cui in questa sede interessa solo l’operato del sottocomitato Alta Italia che aveva competenza su Piemonte, Liguria, Lombardia, Emilia e Veneto. Regioni in cui all’epoca si concentrava la quasi totalità dell’industria della gomma. Il solo di pochi anni più tardo censimento industriale del 1951173 fotografò una situazione in cui nelle regioni di competenza del Sottocomitato Alta Italia si concentrava il 90,51% degli occupati e il 92,6% della potenza installata174 nel settore gomma elastica. L’archivio del Sottocomitato Alta Italia è andato in gran parte perduto. Tra le parti a noi pervenute sono da segnalare alcuni documenti della Sezione gomma relativi al 1947 e al 1948175, che 172 Ganapini L., Alle origini della normalizzazione: l’operato della Commissione centrale economica del Comitato di Liberazione nazionale Alta Italia, p. 28 in AA.VV., La ricostruzione nella grande industria. Strategia padronale e organismi di fabbrica nel Triangolo 1945-1948, De Donato, Bari, 1978. 173 Istituto Centrale di Statistica, III Censimento Generale dell’Industria e del Commercio, Tipografia Farilli, Roma, 1954, vol. I, risultati generali per comune, tomo I Italia Settentrionale. 174 Potenza installata – E’ la quantità di lavoro che il macchinario installato nelle unità locali è capace di produrre nell’unità di tempo facendo astrazione delle perdite dovute alle resistenze passive (attrito ecc.), alla trasformazione dell’energia nelle sue varie forme (meccanica, elettrica, ecc.) e al suo trasporto […]. I dati sulla potenza indicati nel presente lavoro sono espressi in cavalli a vapore. Cfr. Istituto Centrale di Statistica, III Censimento Generale dell’Industria e del Commercio, Tipografia Farilli, Roma, 1954, vol. I, risultati generali per comune, tomo I Italia settentrionale, p. 7. 175 ACS, Min Ind, b. 124, fasc. 7 52 permettono fortunatamente di ricavare un’istantanea della struttura e delle potenzialità dell’industria della gomma. Sfortunatamente non si sono salvati i documenti della Sezione chimica per cui non ci sono pervenute informazioni sul ruolo della Ursus Gomma nella lavorazione di materie plastiche, come il PVC. La Sezione gomma del Sottocomitato Alta Italia aveva due compiti fondamentali176: 1) assegnare alla imprese le materie prime necessarie per la lavorazione (dal carbone ai reagenti chimici); 2) ripartire tra gli enti distributori le merci prodotte e destinate al mercato Con potere esclusivo sia a monte che a valle della produzione, la Sezione gomma aveva una forte influenza sulle imprese che veniva utilizzata, tra gli altri scopi, per acquisire una conoscenza profonda e dettagliata non solo del settore nel suo complesso, ma anche di ogni singola impresa. Nella tabella 3.1 sono riassunti i dati relativi al grado di concentrazione del settore gomma nel 1947. La Ursus Gomma risulta da una lettera del Consorzio Sovvenzioni su Valori Industriale del 18 dicembre 1946 avere alle proprie dipendenze più di 1000 operai a cui si devono aggiungere i tecnici e il personale amministrativo177. Non si hanno dati occupazionali precisi sul 1947, ma non c’è motivo di ritenere che gli occupati siano stati ridotti radicalmente. La Ursus Gomma risulta, quindi, una delle prime tre imprese lombarde per numero di occupati, le altre sono la Pirelli e la Hutchinson. Nell’area sotto la giurisdizione Sottocomitato Alta Italia sono rilevate solo altre due imprese con più di mille dipendenti, la Superga e la Michelin Italiana, entrambe situate in Piemonte. Tabella 3.1178 - Occupati e imprese nel settore gomma nel 1947 Da 1 a 10 Da 11 a 50 Da 51 a 250 Da 251 a 1000 Lombardia 67 692 4556 2546 (11) (26) (36) (8) Piemonte 56 556 954 290 (9) (22) (8) (1) Emilia 13 30 438 1160 (2) (2) (3) (2) Veneto 7 51 230 (1) (2) (1) Liguria 30 93 142 (4) (3) (1) Totali 173 1422 6320 3996 (27) (55) (49) (11) Oltre 1000 Totali 16276 (3) 7174 (2) - 24137 (84) 9030 (42) 1641 (9) 288 (4) 265 (8) 35361 (147) 23450 (5) Tra parentesi il numero di aziende. 176 Ibidem, Relazione sulla situazione industriale della Sezione gomma (1947), cap. 7, p. 1. ASBI, Consorzio Sovvenzioni su Valori Industriale, Pavia, scaf. 8-st. 2, ripiano 6, nr ingr. arch. 2/14, lettera del 1812-1946. 178 I dati sono tratti da ACS, Min Ind, b. 124, fasc. 7, Appendice alla Relazione sulla situazione industriale della Sezione gomma (1947), allegato n. 11. 177 53 Se si tiene presente che di fatto Lombardia, Piemonte, Liguria, Emilia e Veneto raccoglievano a quell’epoca la quasi totalità dell’apparato industriale italiano si può affermare che la Ursus Gomma occupava all’interno del panorama produttivo italiano un posto di primo piano. Era una delle cinque imprese più importanti del paese anzi, ricordando come la Hutchinson e la Michelin Italiana in realtà erano filiali di multinazionali straniere, una delle tre più importanti imprese italiane assieme alla Pirelli e alla Superga. Al di là delle classifiche, la rilevanza della Ursus Gomma in ambito italiano spicca anche relativamente al grado di concentrazione del settore. Le prime cinque imprese raccolgono da sole ben il 66,3% di tutta la forza lavoro del settore gomma del Nord Italia e in sostanza una percentuale poco più piccola di tutta l’occupazione del settore a livello nazionale. Il grado di concentrazione è così alto, o se vogliamo la Pirelli è così grande rispetto a tutte le altre, che facendo la media risulta che l’impresa tipo del settore occupava 240 persone se si comprendono nel calcolo le prime 5, mentre solo 84 se non vengono inserite nel computo. Alla fine degli anni ’40, l’industria italiana si trovava in una situazione sostanzialmente invariata a quella descritta da Ettore Conti, nel 1939, quando osservava come: […] si è venuta formando un’oligarchia finanziaria che richiama, nel campo industriale, l’antico feudalesimo. La produzione è, in gran parte, controllata da pochi gruppi, ad ognuno dei quali presiede un uomo. Agnelli, Cini, Volpi, Pirelli, Donegani, pochissimi altri, dominano completamente i vari rami dell’industria179. Dai dati della Sezione gomma del Sottocomitato Alta Italia emerge la “fotografia” di un ramo industriale caratterizzato dal dominio di pochissime imprese a cui si affiancano un certo numero di medie aziende e in cui la presenza di piccole imprese è marginale, sia in termini numerici che occupazionali. Per l’Italia paese che siamo abituati ad associare alle piccole imprese e ai distretti industriali, si tratta di una situazione apparentemente anomala. In realtà, è un assetto settoriale che si può spiegare in termini storici e tecnologici. L’Italia, con la notevole eccezione della Pirelli che nasce già nel 1872180, comincia a sviluppare il settore gomma con un certo ritardo rispetto agli altri paesi europei. Manca, quindi, la fase pionieristica dello sviluppo e si inserisce in un momento in cui la tecnologia disponibile si caratterizza per il costo relativamente alto dei macchinari e la necessità di produrre con una certa scala minima per poter essere competitivi. Se a questi fattori si aggiunge la difficoltà di accesso ai capitali tipica dell’Italia dell’epoca si capisce come il settore gomma si fosse strutturato sulla base di una forte concentrazione e di una dimensione media per azienda abbastanza elevata. 179 180 54 Conti E., Dal taccuino di un borghese, Garzanti, Milano, 1946, p. 655. Castronovo V., L’industria italiana dall’Ottocento a oggi, Mondadori, Milano, 1990, p. 54. Se la concentrazione risulta estremamente ampia dal punto di vista occupazionale, lo è ancora di più dal punto di vista delle capacità produttive e dei capitali investiti. Un dato sulle capacità produttive delle singole aziende può venir ricavato grazie al lavoro della Sezione gomma del Sottocomitato Alta Italia. Infatti, essa decise di ripartire le materie prime sulla base delle capacità produttive potenziali delle singole imprese, costruendo un indice di potenzialità industriale (i.p.i.) suddiviso nei seguenti settori merceologici181: coperture a velo, foglia cruda, calzature, articoli tecnici e auto. Purtroppo non è possibile in alcun modo effettuare un controllo della verosimiglianza dei dati forniti utilizzando altre fonti e sono andate perdute le relazioni dei circa quaranta sopralluoghi tecnici compiuti della Sezione gomma182. Ciò nondimeno si può cautamente ritenere che questi siano abbastanza attendibili; infatti, avendo il compito sia di fornire le materie prime che di distribuire i prodotti finiti, i tecnici del Sottocomitato Alta Italia potevano controllare approssimativamente la veridicità delle informazioni fornite dalle imprese. I dati dell’indice di potenzialità industriale riguardano le capacità produttiva degli impianti e non l’utilizzo che di essi veniva fatto all’epoca e riflettono quindi dei rapporti di forza industriali maturati tra la fine degli anni ’30 e la 2° Guerra Mondiale. La tabella 3.2 riporta i dati dell’indice di potenzialità industriale delle prime 10 imprese in capacità complessiva assoluta, relativa e in relazione ai diversi settori merceologici. Il primo dato interessante da notare è che la concentrazione della capacità industriale risulti ancora maggiore di quella manodopera. Infatti, le prime cinque imprese del settore raccolgono ben il 71,45% della capacità industriale complessiva, mentre raccoglievano, come già visto “solo” il 66,3 percento della forza lavoro. Segno evidente che i vertici del settore si caratterizzavano anche per una maggiore efficienza degli impianti e quindi anche di una maggiore produttività pro-capite, almeno potenziale. Riguardo alla suddivisione in settori merceologici si può subito osservare come la maggior parte della capacità industriale sia concentrata nel settore produzione pneumatici per automobili che di fatto costituiva un duopolio tra la Pirelli e la Michelin Italiana, mentre negli altri settori la situazione risultava più equilibrata. La Ursus Gomma non risulta presente nella produzione per automobili, ma si concentra essenzialmente nei settori calzature, coperture a velo per biciclette e articoli tecnici. In un certo senso, la politica imprenditoriale di Masseroni e Bertolini posizionava l’impresa su segmenti di mercato il più possibile complementari a quelli del gigante indiscusso del settore, la Pirelli. Sulla base di questa politica la Ursus Gomma si specializzò nella produzione di calzature e rinunciò completamente alla sfida della produzione di pneumatici per automezzi e si confrontò con la Pirelli solo in settori che non costituiscono priorità produttive per questa. Con 181 182 ACS, Min Ind, b. 124, fasc. 7, Relazione sulla situazione industriale della gomma (1947), cap. 10, p. 2. Ibidem., cap. 10, p. 6. 55 strategia di questo tipo, Masseroni e Bertolini riescono ad evitare di essere schiacciati, come accadrà a tutte le aziende a capitale italiano che producevano gomme per automobili, conquistarono una posizione di preminenza nel settore calzature. Tabella 3.2183 - Le prime dieci imprese del settore gomma nel 1947. Impresa I.p.i I.p.i. velo I.p.i. I.p.i. I.p.i. complessivo Foglia calzature articoli cruda tecnici Pirelli (MI) 563,91 56,39 5,63 79,95 Michelin It. (TO) 223,00 12,26 2,23 Superga (TO) 93,43 16,82 4,67 39,24 31,77 Hutchinson (MI) 37,65 6,40 4,89 25,98 Ursus Gomma 32,40 3,24 1,62 17,82 9,72 Ceat Gomma (TO) 27,90 0,56 Mediterranea S. Vittore Ol. 15,30 2,75 0,40 3,52 8,23 SAIG (Ciriè) 11,98 11,98 ICS (MI) 11,67 11,67 Metan (Tradate) 9,27 0,47 1,85 6,95 I.p.i. auto % sull’i.p.i. complessivo 411,65 42,39 208,51 16,76 - 7,02 37,65 2,83 - 2,44 27,34 2,09 15,30 - 1,15 0,9 0,88 - 0,7 La Ursus Gomma si colloca nel periodo 1947-48 come secondo produttore italiano di calzature, preceduta solo dalla Superga di Torino, e questo in un contesto di mercato in cui le importazione di calzature in gomma dall’estero erano quasi inesistenti. Negli altri settori riesce comunque ad imporsi, pur dovendo concorrere con imprese dotate di maggiore capacità produttiva grazie alla qualità dei suoi prodotti, alla sua fama e all’efficacia della sua rete di distribuzione. Tre elementi, fondamentali per il successo imprenditoriale, che la Ursus Gomma coltivava sapientemente dalla nascita. Solo per fare un esempio indicativo quando, in seguito al sopraggiungere delle carenze di materie prime dovute alla guerra, l’impresa si trovò nell’impossibilità di trovare tessuti di qualità adeguata per la produzione di impermeabili, Masseroni decise di sospendere la produzione piuttosto che 183 I dati sono frutto di una rielaborazione a partire dagli indici di potenzialità totale elaborati dalla Sezione gomma per il XIV piano (gennaio-febbraio 1948) di distribuzione materie prime. Vedi ACS, Min Ind, b. 124, fasc. 7, Relazione sulla situazione industriale della gomma (1947). 56 mettere in commercio beni di qualità scadente184. I risultati di questa politica permisero alla Ursus Gomma, in un contesto caratterizzato da basso potere di acquisto dei lavoratori e scarsa domanda di componenti a causa del basso tasso di utilizzazione degli impianti185, di rubare fette di mercato a concorrenti dotati di maggiore capacità produttiva. Nel settore velo la Ursus Gomma pur essendo solo sesta in termini di capacità produttiva186 riuscì nel 1947 a conquistare la quarta posizione a livello nazionale con una produzione venduta per 145494 kg dietro alla Pirelli con 4219900 kg, alla Michelin Italiana con 1389331 kg e alla Superga con 925600 kg187. Questo risultato venne ottenuto anche grazie alla pubblicità nazionale data dai corridori sponsorizzati dalla Ursus Gomma che proprio in quegli anni si imposero ripetutamente in importanti competizioni ciclistiche come il Giro d’Italia. Una situazione simile si osserva anche nel settore articoli tecnici (tubi, trafile, componenti per applicazioni industriali ecc…) dove la Ursus Gomma per essendo, come prima, sesta a livello nazionale188 in termini di capacità produttiva riuscì a porsi come quarto produttore italiano vendendo merci per 79762 kg contro i 5611712 kg della Pirelli, i 1376400 kg della Superga e i 144617 kg della Saig189. Nel settore calzature la Ursus Gomma occupava il secondo posto a livello nazionale sia a livello di capacità produttiva che di vendite espresse in kg di vendite, ovvero 551366 kg contro i 1700800 della Superga, i 157500 dell’Eco Gomma e i 108000 della Astro190. Anche se bisogna notare che proprio nel suo settore di punta la Ursus Gomma non riusciva a distanziare i suoi concorrenti in termini di vendite in misura paragonabile a quanto riusciva a fare in termini di capacità produttiva191. 184 ASBI, Consorzio Sovvenzioni su Valori Industriale, Pavia, scaf. 8-st. 2, ripiano 6, nr ingr. arch. 2/14, risposta dell’Agenzia di Vigevano alla lettera n. 2123 del 17 dicembre 1946. 185 Nel 1947 mentre la capacità produttiva dell’industria era cresciuta del 37% rispetto al 1938, la produzione industriale era più bassa di ben il 43% con conseguente forte sottoutilizzo degli impianti. Cfr. De Cecco M. e Giavazzi F., Inflation and Stabilization in Italy: 1946-1951, pag. 61, in a cura di Dornbusch R., Nölling W. e Layard R., Postwar Economy and Recostruction and Lesson for the East Today, MIT Press, Cambridge, 1992. 186 Le prime sei imprese in termini di i.p.i relativi al settore velo nel 1947 erano la Pirelli con 56,39, la Superga con 16,86, la Michelin Italiana con 12,26, la Hutchinson con 6,4, la Dapello con 4,29 e l’Ursus Gomma con 3,24. 187 ACS, Min Ind, b. 124, fasc. 7, Relazione sulla situazione industriale della gomma (1947), allegato n. 2. 188 Le prime sei imprese in termini di i.p.i. nel settore articoli tecnici erano nel 1947 erano la Pirelli con 79,95, la Superga con 31,77, la Hutchinson con 25,98, la SAIG con 11,98, la ICS con 11,67 e l’Ursus Gomma con 9,72. 189 ACS, Min Ind, b. 124, fasc. 7, Relazione sulla situazione industriale della gomma (1947), allegato n. 4. 190 Ibidem, allegato n. 3 191 Le prime cinque imprese in termini di i.p.i. nel settore calzature erano nel 1947 la Superga con 39,24, L’Ursus Gomma con 17,82, la Rossanigo con 7,48, la Enne Mi con 7,15 e la ILCE Gomma con 6,13. 57 4) Il ruolo dell’Ursus Gomma nell’economia di Vigevano Il settore gomma che il fascismo e la 2a Guerra Mondiale lasciano in eredità alla nuova Repubblica non era solo estremamente concentrato dal punto di vista occupazionale, ma anche da quello geografico. Tornando ai dati della Sezione gomma del Sottocomitato Alta Italia si può facilmente verificare come ben l’87,56% della capacità industriale complessiva fosse concentrata in solo tre comuni: Milano, Torino e Vigevano. I dati del censimento industriale del 1951 rilevano nelle stesse città la concentrazione di ben 73,41% degli addetti e del 81,62% della potenza installata in tutta Italia192, a confermare una localizzazione territoriale che tendeva a permanere nel tempo. Tabella 3.3193 - Localizzazione geografica dell’industria della gomma nel 1947 in percentuale Comune I.p.i I.p.i. velo I.p.i. Foglia I.p.i. I.p.i. articoli I.p.i. auto complessivo cruda calzature tecnici Milano 51,44 55,53 30,66 7,74 49,40 63,35 Torino 29,66 23,68 32,96 26,77 22,44 36,20 Vigevano 6,73 3,60 8,18 40,12 5,95 0,03 (Ursus) (2,44) (2,42) (4,72) (11,56) (3,03) Altri 12,17 17,19 28,19 25,37 22,22 0,42 Totale 100 100 100 100 100 100 Nota: i dati sono espressi in percentuale rispetto all’indice di capacità industriale complessivo e dei rispettivi settori merceologici. La tabella 3.3 riassume in termini relativi la distribuzione dell’industria della gomma in Alta Italia e, quindi, sostanzialmente per tutto il paese. La città di Vigevano si pone, in termini di potenzialità produttive, come terzo centro industriale della penisola, molto distaccata da Milano e Torino. In realtà, se si guarda non agli indici di capacità complessivi, ma a quelli disaggregati per settore merceologico, allora Vigevano si pone come capitale italiana delle calzature in gomma. Posizione che deve in gran parte all’Ursus Gomma che infatti raccoglie da sola un quarto delle capacità industriali cittadine nella produzione di calzature, metà in quella di articoli tecnici e di foglia cruda, due terzi nella produzione di coperture per biciclette e un terzo della capacità industriale complessiva della città. Degli indicatori, sia pure abbastanza grezzi, della struttura industriale di Vigevano, e del peso dell’Ursus Gomma al suo interno, possono essere dati dall’analisi di due variabili principali: il numero di addetti e di unità locali per settore industriale. L’anno di riferimento, in questo caso, non 192 Fonte: Istituto Centrale di Statistica, III Censimento Generale dell’Industria e del Commercio, Tipografia Farilli, Roma, 1954, vol. I, risultati generali per comune, tomo I Italia settentrionale. 193 I dati sono frutto di una rielaborazione a partire dagli indici di potenzialità totale elaborati dalla Sezione gomma per il XIV piano (gennaio-febbraio 1948) di distribuzione materie prime. Vedi ACS, Min Ind, b. 124, fasc. 7, Relazione sulla situazione industriale della gomma (1947). 58 è più il 1948, ma l’anno del primo censimento industriale della Repubblica, il 1951. Rispetto al periodo precedente non solo è finita la ricostruzione, ma è già cominciato l’allargamento della base produttiva che doveva culminare pochi anni più tardi nel cosiddetto Boom economico. Comunque i dati sono, sia pure con qualche cautela, rapportabili a quelli precedenti perché difficilmente in così poco tempo la struttura produttiva subisce cambiamenti radicali. L’esame dei dati, riassunti nella tabella 3.4, evidenzia come la matrice delle attività industriali di Vigevano fosse imperniata su quattro settori principali: la gomma, il tessile, il calzaturiero e la produzione di macchine utensili194. Si tratta di una matrice industriale eccezionalmente ricca per un piccolo centro con solo 15077 addetti al settore manifatturiero. I quattro settori sono particolarmente significativi perché praticamente esauriscono l’intero settore secondario di Vigevano, infatti concentrano ben il 93,86% degli addetti e, fatto ancora più significativo dal punto di vista economico, il 91% della potenza utilizzata dagli impianti espressa in Hp195. Se si fa un’analisi più disaggregata considerando singolarmente i quattro settori principali dell’economia vigevanese, i dati sono ancora più significativi. Tabella 3.4 – Occupati e imprese a Vigevano nel 1951. Settore Occupati Unità locali Media addetti Peso complessivi per unità occupazionale tessile 1880 23 81,74 12,47% calzature 8354 872 9,58 55,41% macchine utensili 910 255 3,57 6,04% gomma 3008 23 130,78 19,95% altri 1133 28 4,71 7,51% totale o media 15077 1354 11,14 100% Hp sul totale 23,27% 21,51% 5,05% 41,24% 8,93% 100% Il peso del settore gomma a Vigevano nel 1951 è notevole, difatti esso raccogle ben il 19,95% dell’occupazione e da questo punto di vista è secondo solo al calzaturiero. Inoltre, si tratta di un settore che concentra le imprese mediamente più grosse della città, infatti la dimensione media è di 130,78 addetti per unità locale ed è a forte intensità di capitale fisso. Il dato è così alto anche per la presenza della Ursus Gomma che all’epoca contava circa 1200 dipendenti più 200 cottimisti196, ovvero da sola impiegava quasi metà della manodopera nel settore gomma. A quest’ultimo dato si 194 A Vigevano la produzione di macchine utensili è sempre stato coincidente con quella di macchine per le calzature per cui d’ora in poi i due termini saranno usati come sinonimi. 195 I dati sulla potenza utilizzata espressi in HP sono tratti da Istituto Centrale di Statistica, III Censimento Generale dell’Industria e del Commercio, Tipografia Farilli, Roma, 1954, vol. I, risultati generali per comune, tomo I Italia settentrionale. 196 ACS, Min Ind, busta 31, fasc. 581, Finanziamenti ERP, lettera del 13-10-1953, p. 2. 59 può aggiungere che la potenza istallata in Hp era pari a 10437 Hp, cioè al 41,24% del totale dell’industria e a 3,47 Hp per addetto. Sulla base di questi dati indiretti e grezzi è possibile sostenere che l’industria della gomma era nel 1951 un settore economico moderno, almeno per l’epoca, basato su medie imprese e al cui interno primeggiava nettamente la Ursus Gomma. A Vigevano il settore tessile poteva vantare una presenza che risaliva all’industrializzazione di fine Ottocento e inizi del Novecento e si presentava come un’industria moderna. Infatti, dai dati del censimento industriale del 1951 emerge un’importante presenza in termini occupazionali, pari a 1880 lavoratori, il 12,47%. Ma dati ancora più significativi, da un punto di vista economico, emergono dall’analisi della potenza utilizzabile dei macchinari istallati e dalla dimensione media delle imprese. Sulla base dei dati del censimento industriale possiamo dire che l’industria tessile aveva installato una potenza di 5890 Hp pari a ben il 23,27% della potenza complessiva del settore manifatturiero cittadino e a 3,13 Hp per addetto. Se a questi dati si aggiunge il fatto che la dimensione media delle imprese tessili è nel 1951 di 81,74 addetti, si può ragionevolmente sostenere di trovarsi davanti a un’industria moderna organizzata in un sistema di medie imprese. Molto diversa appare la struttura del settore calzaturiero che occupa la maggior parte della forza lavoro. Se si guardano i dati del 1951, emerge una struttura industriale profondamente diversa. I dati che balzano all’occhio sono fondamentalmente due, da un lato l’elevato numero di addetti, circa 8000197, a cui corrisponde una dimensione media dell’impresa pari a solo 9,58 addetti per unità locale. Analizzando i dati sulla potenza utilizzata in Hp si vede come il settore numericamente più importante dell’economia vigevanese impieghi solo 5444 Hp complessivi, che equivalgono a 0,65 Hp per addetto. Abbiamo quindi l’immagine di un settore industriale basato sulla piccola impresa e ad alta intensità di manodopera, mentre invece le industrie tessile e della gomma hanno caratteristiche opposte in quanto sono ad alta intensità di capitale e di dimensioni medie. Un discorso a parte deve essere fatto per il settore delle macchine, che è il più piccolo tra quelli considerati dal punto di vista occupazionale, solo 910 addetti, pari al 6,04% del totale198. Tra tutti i settori fin qui analizzati è certamente il meno sviluppato, difatti in questi anni l’Italia era un paese importatore netto di macchine per le calzature e non ancora capace di sviluppare una propria tecnologia in questo settore. Solo nel corso degli anni ’50 si avrà una riduzione della dipendenza dall’estero e lo sviluppo di un’autonoma capacità di innovazione tecnologica199. Dall’analisi dei dati 197 Il dato del censimento 8354 addetti comprende anche gli addetti alla confezione di vestiario, abbigliamento e arredamento che nei successivi censimenti industriali sono scorporati dal settore più propriamente calzaturiero. 198 Il censimento industriale del 1951 purtroppo non permette di distinguere le imprese che producono macchine per le calzature dalle altre e dalle semplici officine, per cui il dato sovrastima il peso dell’industria delle macchine utensili. 199 Velo D., Caratteristiche essenziali dell’industria delle macchina per calzature, pag. 10, in AA.VV., L’industria delle calzature. Problemi e prospettive, Amministrazione provinciale di Pavia, Pavia, 1983. 60 statistici emerge l’immagine di un settore caratterizzato dalla ridottissima dimensione delle imprese, solo 3,57 addetti per unità locale e una modesta potenza utilizzabile di 1278 Hp totali, pari a 1,4 Hp per addetto. In generale, si tratta di un settore che non ha ancora fatto il salto qualitativo dalla piccola officina meccanica, che produce artigianalmente pezzi di ricambio e copia macchine straniere, alla fabbrica moderna200. Tirando le fila della nostra analisi si può notare come la matrice industriale di Vigevano nel 1951, presenta già un settore, quello calzaturiero, organizzato in forma di distretto industriale, anche se i contemporanei non ne erano ancora consapevoli. Organizzazione opposta presentano invece il settore tessile e quello della gomma, solo in parte collegato a quello calzaturiero, che puntano sulle economie interne date dagli investimenti in capitale fisso. Nonostante la Ursus Gomma fosse la più grande e moderna, almeno in termini di potenza del macchinario istallato, impresa vigevanese non si può dire che Vigevano dipendesse economicamente da essa. Anzi l’economia cittadina era articolata in più settori, di cui quello calzaturiero e quello delle macchine per calzature dovevano conoscere a partire dagli anni ’50 un’espansione senza precedenti. Espansione che permise alla città di riassorbire senza eccessivi traumi le eccedenze di manodopera di cui la Ursus Gomma comincerà a liberarsi, in seguito alla meccanizzazione, a partire dagli anni ’50. 5) La strategia industriale dell’Ursus Gomma dal Dopoguerra al Piano Marshall. Le trasformazioni del Dopoguerra modificarono profondamente l’ambiente economico rispetto al quale la Ursus Gomma doveva confrontarsi aprendo nuove possibilità, ma indebolendo alcuni degli elementi che ne avevano favorito l’affermarsi negli anni ’30. Nel complesso e nonostante la giovane età dell’impresa, sotto l’abile guida di Masseroni, seppe dimostrare la maturità necessaria per trasformare tutte le difficoltà in opportunità di sviluppo. Rispetto agli anni ’30 la situazione economica degli anni del Dopoguerra si caratterizzava per il parziale ribaltamento della politica industriale con l’abolizione dell’ordinamento corporativo e dell’autarchia. La scomparsa dell’ordinamento corporativo significò la fine del dirigismo pubblico e della necessità di dover affrontare una lenta e inefficiente burocrazia che imponeva la necessità di richiedere autorizzazioni per molti passaggi importanti della vita dell’impresa con conseguenti ritardi e incertezze. Per dare un’idea del controllo a cui lo stato fascista sottoponeva l’attività imprenditoriale 200 Cainarca, Dal sapere come fare al sapere cosa fare. La storia dell’industria italiana delle macchine per calzature 1900-1983, Edizioni Assomac, Vigevano, 2002, pag. 102. 61 si può ricordare l’Assemblea straordinaria del 11 luglio 1938, in cui la società deliberò un aumento di capitale e conseguente modificazione dello statuto della società, ma fu costretta a posticiparne gli effetti all’approvazione, non scontata, del Ministero delle Corporazioni201. La fine dell’autarchia da un lato portò a una graduale scomparsa delle barriere che facevano del mercato italiano delle calzature in gomma una riserva di caccia per pochi, tra cui primeggiava la Ursus Gomma, dall’altro rese possibile la commercializzazione su larga scala nei mercati esteri. I due processi però non si svilupparono con la stessa tempistica. L’azienda continuò a lungo, grazie alla sua capillare organizzazione di vendita in Italia e al prestigio del proprio marchio, a disporre di un notevole vantaggio rispetto alle imprese straniere, la cui concorrenza cominciò a farsi sentire con più insistenza solo a partire degli anni ’60. La Ursus Gomma riprese ad esportare già a partire dai primi mesi del 1946, naturalmente con quantitativi estremamente limitati, che servivano principalmente e riaprire i canali di distribuzione all’estero. Infatti se si guarda il tipo di beni esportati si ha proprio l’impressione di trovarsi di fronte a un campionario, infatti vi sono calzature di tela con suole in gomma, campioni di impermeabili e di articoli tecnici, pantofole, stivali, suole , tubi e soprascarpe per uomo in gomma202 I mercati di sbocco estero erano costituiti o da paesi dell’area che gravitavano attorno all’Impero inglese (Malta, Irlanda, Iraq, Iran) da cui proveniva gran parte della materia prima lavorata o da paesi europei (Belgio, Svizzera)203. Su questi mercati la Ursus Gomma era già nota negli anni ’30, ma dovette interrompere i contatti commerciali in seguito alla guerra. Riprendere le esportazioni costituiva una necessità impellente per tutte le imprese che producevano beni di consumo perché la domanda interna era molto ridotta a causa del basso potere di acquisto dei consumatori e quindi, nonostante la modesta produzione, stentava ad assorbire le merci immesse sul mercato. Passati i primi due anni di emergenza, le esportazioni continuarono a rappresentare un elemento fondamentale per la crescita della Ursus Gomma, come di molte imprese che producevano beni di consumo. E non poteva essere diversamente, perché le autorità di politica economica italiane degli anni ’40 e ’50 decisero consapevolmente di intraprendere un modello di sviluppo che penalizzava la crescita dei consumi privati a favore dell’accumulazione di capitale204. 201 Camera di Commercio di Pavia, registro imprese, fasc. 24351, verbale dell’Assemblea ordinaria e straordinaria dell’11 luglio 1938, p. 4. 202 ASBI, Consorzio Sovvenzioni su Valori Industriali, Pavia, scaf. 8-st. 2, ripiano 6, nr ingr. arch. 2/14, prospetto delle esportazioni del 1946, allegato a lettera n. 397 del 1 marzo 1947. 203 Ibidem. 204 Romeo R., Breve storia della grande industria in Italia 1861/1961, Cappelli Editore, Bologna, 1974, p. 272. 62 La necessità impellente di esportare calzature indusse gli industriali vigevanesi a prendere un’iniziativa collettiva facendo pressioni sul governo e inviando già il 9 febbraio del 1946 un telegramma al ministro del lavoro Gronchi del seguente tenore: Industriali calzaturieri di Vigevano riunitisi oggi presso Associazione calzature studiata unica soluzione atta alleviare grave crisi attuale determinata mancato assorbimento produzione interna stop confidiamo interessamenti Vostra Eccellenza per assicurare lavoro ventimila operai205. Anche se il numero di occupati cittadini è quasi sicuramente sovrastimato il telegramma dell’Associazione Industriali individua chiaramente nell’insufficiente domanda interna l’ostacolo principale alla ripresa. Probabilmente in virtù del ruolo di primo piano ricoperto da Vigevano nell’ambito dell’industria della calzatura e della gomma, la risposta del ministero arrivò in brevissimo tempo ed è indicativa degli orientamenti di politica economica dell’epoca. Il governo decide, sentiti i pareri dei tecnici ministeriali e dei diretti interessati, di: 1) escludere per ora, in linea di massima,l’esportazione di calzature di massa con tomaia e fondo di pelle o di cuoio; 2) consentire l’esportazione di calzature fatte con tomaia di tessuto e di altro materiale diverso dalla pelle e con suola di rigenerato di gomma, di sughero, di legno e di materia diversa dalla pelle e dal cuoio. 3) consentire per ora, a titolo di esperimento l’esportazione di calzature femminili di lusso […]206 La linea del ministero è molto precisa e realistica e punta principalmente a ridurre il disavanzo della bilancia commerciale e ad importare valuta dall’estero, tenendo in qualche modo conto della grave penuria di beni interna. Per questo motivo la scelta di politica economica punta a favorire l’esportazione di beni fatti con materia prime importate, come le calzature in gomma, e a destinare al solo uso interno quelli fatti con materie prime nazionali. Un’eccezione veniva fatta solo per i beni di lusso ad alto valore aggiunto che garantivano un alto afflusso di moneta e al fine di non perdere posizioni importanti sui mercati esteri. Come già negli anni ’30, la Ursus Gomma era favorita dalle scelte di politica economica nazionale volte a incoraggiare l’afflusso di valuta e si dimostrava capace di sfruttare fino in fondo le possibilità offerte. I risultati non tardarono a venire, inoltre, nel 1953 l’impresa dichiarava che l’afflusso di valuta dalla vendita di beni all’estero era già più che sufficiente a coprire i propri acquisti di materie prime necessarie per la produzione per il mercato estero e gran parte di quello nazionale207. Nello stesso periodo la Ursus Gomma si era insediata stabilmente in alcuni mercati europei (Belgio, Francia, Svizzera, Danimarca, Portogallo e Germania), mediterranei (Tunisia, 205 L’Informatore Vigevanese, anno II, n. 6 del 22 febbraio 1946, p. 1. Ibidem, p. 2. 207 ACS, Min Ind, Direzione generale produzione industriale, Finanziamenti ERP, b. 31, fasc. 581, Domanda di finanziamento del 13 ottobre 1953, p. 2. 206 63 Libia ed Egitto), extra-europei (Kuwait, Iraq e Messico) e stava prendendo contatti per stabilirsi in modo importante in mercati importanti come quello canadese e statunitense208. Il fatto di essere un’impresa molto grande dal punto di vista occupazionale, tecnologicamente avanzata e rivolta all’esportazione costituì un importante vantaggio per in quanto permise un massiccio accesso agli aiuti pubblici sia per fronteggiare l’emergenza del Dopoguerra che per finanziare nuovi investimenti produttivi. La Ursus Gomma ottenne un importante aiuto finanziario nell’immediato Dopoguerra da parte Consorzio per Sovvenzioni su Valori Industriali209 e richiese di poter beneficiare di una parte dei fondi dell’European Recovery Program, meglio noto come Piano Marshall. Il primo aiuto, in ordine cronologico, fu quello del Consorzio per Sovvenzioni su Valori Industriali richiesto già nel dicembre del 1946210. La società domandò una sovvenzione cambiaria di 70 milioni, la cui restituzione era garantita, anche personalmente, da Bertolini e Masseroni, al fine di finanziare l’acquisto di materie prime indispensabili per continuare la produzione211. In sostanza, la Ursus Gomma chiedeva un aiuto finanziario al fine di superare l’asimmetria temporale dei flussi monetari esistente tra l’acquisto delle materie prime e il realizzo delle vendite. Nella situazione di carenza di capitali e di instabilità monetaria del 1946 avere un fido di simile entità era costoso e non facile presso il normale sistema bancario. Questa vicenda permette di fare luce sulla credibilità e il buon nome dell’impresa e i suoi amministratori godevano all’epoca a livello locale. L’Agenzia locale della Banca d’Italia si dichiara, già il giorno dopo la richiesta, pienamente favorevole alla concessione del prestito descrivendo la Ursus Gomma come un’impresa che: Ha larghissimo giro d’affari nazionale, ma da vari mesi ha anche cominciato la esportazione di alcuni articoli richiestissimi. Gode di conseguenze in Italia e fuori di ottima fama e fa fronte agli impegni con la massima puntualità Si può trattare quindi con tranquillità per qualsiasi cifra.212 Dello stesso parere sono i componenti della Commissione di Sconto della Banca d’Italia di Pavia che approvano il prestito213 immediatamente. La fiducia riposta nelle doti imprenditoriali di 208 Ibidem., p. 1. Il Consorzio per Sovvenzioni su Valori Industriali era un ente pubblico autonomo, ma di fatto strettamente collegato alla Banca d’Italia, costituito durante la 1° Guerra Mondiale con il fine di finanziare prima lo sforzo bellico e successivamente la riconversione industriale. Durante il periodo fascista contribuì al salvataggio dell’industria italiana travolta dalla crisi del ’29 e nel 2° Dopoguerra diede un importante contributo finanziario alla ripresa della normale attività produttiva. 210 ASBI, Consorzio Sovvenzioni su Valori Industriali, Pavia, scaf. 8-st. 2, ripiano 6, nr ingr. arch. 2/14, richiesta del 17 dicembre 1946. 211 Ibidem. 212 Ibidem, mod. 22, Bollettino d’informazione alla succursale di Pavia del 18 dicembre 1946. 209 64 Masseroni e Bertolini e nella solidità economica della Ursus Gomma era tale che i funzionari locali del Consorzio per Sovvenzioni su Valori Industriali espressero parere favorevole al finanziamento in soli due giorni. Il prestito però venne bloccato non appena la pratica passò alla direzione nazionale, in quanto il presidente del Consorzio, Luigi Einaudi, chiese ulteriori accertamenti. In un secondo momento concesse la sovvenzione, ma riducendone l’ammontare da 70 milioni a 30 milioni e imponendone il regolamento non più in un anno, ma in venti mesi con un tasso del 2,5%214. La riduzione dell’affido da parte del Consorzio Sovvenzioni su Valori Industriale si dimostrò non privo di fondati motivi perché la Ursus Gomma, adducendo molteplici giustificazioni, restituirà il prestito pienamente solo all’inizio del 1950. Immediatamente dopo questa data gli amministratori dell’imprese richiesero un nuovo finanziamento dell’ammontare di 80 milioni, ma di cui non si conoscono né le modalità di erogazione né i tempi di rimborso215. E’ interessante notare che, nonostante i ritardi e i tentativi di rinegoziare il finanziamento, i funzionari del Consorzio Sovvenzioni su Valori Industriali non modificarono il loro giudizio estremamente positivo sulla solvibilità e l’affidabilità dell’impresa. Al momento della concessione dell’ultima proroga il funzionario interessato osservava come: In considerazione dell’importanza e solidità della Ditta che svolge un intenso lavoro Le do il mio parere favorevole per l’accoglimento della domanda216. I ritardi nel pagamento erano quindi da attribuire non alla mancanza di lavoro o all’insufficienza delle vendite, ma a problemi di carattere esclusivamente finanziario. Da un lato, probabilmente, i dirigenti non volevano liberarsi della liquidità per aumentare il ritmo produttivo, dall’altro il carattere stagionale della lavorazione e le lentezze dei pagamenti dall’estero contribuivano a rendere finanziariamente fragile la Ursus Gomma. Sarà proprio questa debolezza finanziaria che sul finire degli anni ’50 porterà l’impresa alla sua prima grave crisi. Masseroni richiese infruttuosamente un secondo importante aiuto nel 1953 cercando di usufruire dei finanziamenti del Piano Marshall. Stanziati nel quadriennio 1949-1953, questi aiuti diedero, nonostante alcune inefficienze e lentezze da parte delle amministrazioni pubbliche217, un impulso importante alla ripresa economica e alla modernizzazione dell’apparato produttivo. Il Piano Marshall consistette principalmente non in aiuti alla popolazione, ma in materie prime, merci e macchinari per l’industria. Lo stato italiano trasferì una parte degli aiuti direttamente alle 213 Ibidem, Direzione della succursale di Pavia, verbale n. 15 del 19 dicembre 1946. Ibidem, telegramma dell’Amministrazione Centrale del 18 marzo 1947. 215 Ibidem, lettera n. 3290 del 10 giugno 1950. 216 Ibidem, lettera n. 2956 del 10 novembre 1949. 217 Castronovo V., La storia economica, pag. 383, in AA.VV., Storia d’Italia, Il Sole 24 Ore-Einaudi, Milano, 2005, Vol. 7 214 65 imprese e vendette sul mercato i restanti al fine da ottenere capitali da destinare alle imprese. I beneficiari furono principalmente i grandi gruppi industriali che poterono così effettuare consistenti investimenti senza indebitarsi o ricorrere all’autofinanziamento218. Anche se non è stato possibile accertare che la Ursus Gomma fu una delle imprese italiane a beneficiare di questi aiuti, la documentazione allegata alla domanda di finanziamento permette comunque di ottenere molte informazioni sia sulla struttura della fabbrica che sulla strategia produttiva che animava i suoi dirigenti. Il 13 ottobre del 1953, Masseroni presentò richiesta di un finanziamento di 484 milioni di lire dell’epoca219. Di questi 270 milioni dovevano servire all’acquisto di macchinari per rinnovare i reparti già esistenti razionalizzando la produzione, aumentando la produttività e abbattendo il costo della manodopera per unità di prodotto. Già nel 1947 la Sezione gomma del Sottocomitato Alta Italia aveva individuato nell’elevato costo del lavoro e nella minore produttività degli operai rispetto ai concorrenti esteri uno dei principali limiti, assieme alla scarsità di materie prime, dell’industria nazionale della gomma220. I rimanenti 214 milioni del finanziamento invece dovevano servire all’apertura di un nuovo reparto produttivo finalizzato alla produzione di gommapiuma su licenza un’impresa americana, la Firestone Tires & Rubber Company221. Al di là dell’ammontare dei singoli finanziamenti, la richiesta di finanziamento pubblico della Ursus Gomma permette di evidenziare la strategia industriale seguita dall’impresa in questo periodo. I dirigenti non si limitavano a sfruttare gli aiuti per modernizzare il ciclo produttivo senza dover metter mano al portafoglio o dover ricorrere al credito bancario, ma puntavano anche ad entrare in un nuovo mercato che all’epoca era appena agli inizi. L’uso su larga scala della gommapiuma cominciò in Europa appunto all’inizio degli anni ’50 creando un mercato in così veloce crescita che l’offerta faticava tenere dietro la domanda generando conseguentemente alti e sicuri profitti per le imprese del ramo. La Ursus Gomma si proponeva di entrare in questo nuovo mercato importando una nuova tecnologia produttiva dagli USA con licenza di vendita esclusiva per l’Italia e l’estero, subappaltando a ditte italiane la produzione degli impianti222 e cercando di far concorrenza all’altro produttore italiano di gommapiuma, la Pirelli. Competizione sul mercato interno in cui la Ursus Gomma pensava poter aver successo. Inoltre, entrando più tardi sul mercato poteva produrre con 218 Candeloro G., Storia dell’Italia moderna, Feltrinelli, Milano, 1987, vol. XI, p. 202. ACS, Min Ind, finanziamenti ERP, b. 31, fasc. 581, lettera del 13 ottobre 1953. 220 ACS, Min Ind, b. 124, fasc. 7, Relazione sulla situazione industriale della gomma (1947), cap. 3, p. 5. 221 ACS, Min Ind, finanziamenti ERP, b. 31, fasc. 581, Relazione tecnico-amministrativa, p. 19. 222 Ibidem, p. 21. 219 66 una tecnologia più avanzata rispetto alla concorrenza e non doveva sobbarcarsi le spese pubblicitarie necessarie per far conoscere ai consumatori il nuovo prodotto223. E’ interessante notare come la strategia fosse coerente con la politica industriale portata avanti dal governo. Le linee guida di questa strategia erano state fissato in un documento riservato del Ministero dell’Industria e del Commercio significativamente intitolato Programma dell’attività industriale nel quadriennio 1949-1953224. Gli obiettivi individuati dagli esperti del ministero erano: 1) – riduzione dei costi di produzione al fine di allinearli, nella massima misura possibile, a quelli internazionali; 2) – espansioni della produzione; 3) – massima occupazione della forza lavoro225. A tal fine l’Italia doveva sfruttare gli aiuti ERP per favorire l’importazione di macchinari dall’estero e, ancora meglio, bisognava integrare con: una produzione interna di migliore qualità modellata su prototipi importati ed orientata verso le più recenti tecniche da acquistarsi sia mediante un più intenso scambio di informazioni tecniche, sia mediante lo sfruttamento di brevetti e di processi di fabbricazione226. Non ci sono documenti che attestano la concessione del finanziamento del Piano Marshall alla Ursus Gomma e non risulta che essa abbia mai iniziato la produzione di gommapiuma aprendo un nuovo stabilimento. L’ipotesi più probabile è che l’aiuto pubblico non venne concesso e quindi l’impresa si limitò a razionalizzare la produzione utilizzando risorse proprie e riducendo l’ammontare di manodopera occupata grazie alla meccanizzazione e rivendette la licenza per la produzione di gommapiuma. Proprio in questo periodo gli occupati vennero infatti ridotti definitivamente sotto le mille unità per attestarsi circa attorno agli 800 addetti compresi operai ed impiegati227. La razionalizzazione e la meccanizzazione del processo produttivo ebbero un importante impatto economico sull’economia cittadina dove stava movendo i suoi prima passi l’industria locale delle macchine per calzature in gomma che si trovò a ricevere un’importante commessa per la produzione di macchinario. 6) La condizione operaia e l’organizzazione della fabbrica. 223 Ibidem, p. 20. ACS, Min Ind, b. 212, fasc. 177, Programma dell’attività industriale nel quadriennio 1949-1953. 225 Ibidem, p. 1. 226 Ibidem, p. 3. 227 AA.VV., Ursus Gomma, Vigevano, 1965, p. 8. 224 67 Tra la fine degli anni ’40 e l’inizio degli anni ’50 la Ursus Gomma costituiva la più grande concentrazione operaia della città di Vigevano. Concentrazione che risaltava ancora di più in una città caratterizzata prevalentemente dalla presenza della piccola e media impresa. Tenere le relazioni industriali con una così ampia massa di dipendenti poneva alla direzione dei problemi rilevanti soprattutto dopo il crollo del regime fascista che aveva sviluppato un suo particolarissimo sistema di inquadramento della manodopera (Dopolavoro, Gruppi Aziendali, ecc.). La grande novità del Dopoguerra venne costituita dalla nascita dei Comitati di liberazione aziendale e dall’affermarsi di un sindacato autonomo e combattivo. I CLN aziendali erano organi rappresentativi dei lavoratori di una singola azienda composti, in pieno accordo con lo spirito antifascista unitario dell’epoca, da lavoratori di tutte le tendenze politiche. Quello della Ursus Gomma comprendeva rappresentanti dei principali partiti antifascisti228. In questo modo veniva istituzionalizzata il nuovo ruolo assunto dai lavoratori durante l’ultima parte della guerra e si rompeva con il modello di gestione delle relazioni industriali del periodo fascista. Se si escludono le primissime settimane dopo la Liberazione, in cui nella generale incertezza, rimasero non ben definiti anche i poteri dei CLN aziendali, poi questi vennero organizzati come organi con compiti esclusivamente sindacali. La stessa stampa socialista e comunista locale si impegnò al fine di limitare e precisare il ruolo consultivo specificando che esso: non ha veste politica ma puramente sindacale e su tutti i problemi sindacali deve prendere un preciso atteggiamento ed esprimere il proprio parere, favorevole o sfavorevole229. Con la fine della guerra si posero le basi di una forte presenza sindacale di ispirazione comunista all’interno della Ursus Gomma che divenne una caratteristica permanente fino alla chiusura. Sotto questo aspetto l’impresa era perfettamente in linea con quanto stava succedendo nel resto della città, in cui la maggior parte dei lavoratori sindacalizzati aderirono alla corrente comunista, come misero in luce tutte le elezioni sindacali del Dopoguerra230. Le condizioni di lavoro degli operai erano relativamente meno incerte rispetto a quelle degli altri lavoratori di Vigevano. L’impresa non conobbe tra la fine degli anni ’40 e l’inizio degli anni ’50 la crisi economica che caratterizzò invece il settore calzature non in gomma, ma anzi grazie al continuo aumento dell’attività produttiva poté garantire la stabilità dell’occupazione. Gli operai 228 Da una lettera dal 27 settembre 1945 al CLN di Vigevano, il CLN Aziendale Ursus Gomma risulta composto da quattro persone: De Grà Carlo per il P.C.I., Ferrari Trecate Camillo per il P.S.I.U.P., da Favini Palmira per l’U.D.I. e da Consonni Cesarina per il P.D.C. Fonte: ASCV, Arch. CLN, Cart 10, fasc. 6. 229 L’Indipendente Vigevanese, anno II, n. 12 del 19 febbraio 1946, p. 2. 230 Alle prime elezioni sindacali dopo la Liberazione la lista comunista venne votata da più del 70% dei lavoraori sindacalizzati inquadrati nella Lega calzolai all’interno dei quali votavano gli operai dell’Ursus Gomma. L’Indipendente vigevanese, anno II, n. 12 del 19 febbraio 1946. 68 della Ursus Gomma, assieme agli operai della Ursus Cuoio, riuscirono a superare meglio di altri la carenza di beni di prima necessità grazie alla costituzione della Cooperativa Operaia Ursus. La costituzione di cooperative di consumo legate alla aziende non costituiva una particolarità per l’epoca, anzi molte grandi imprese si erano dotate di istituti simili ben prima della Ursus. Se c’era una particolarità questa andava ricercata nell’indipendenza che la Cooperativa Operaia Ursus aveva rispetto alla proprietà. Come osservava il suo Presidente Umberto Masini all’inizio degli anni ’50: […] all’inizio i titolari delle ditte sono stati effettivamente generosi, ora [1951, n.d.r.] il loro aiuto è limitato ad agevolazioni nel pagamento dei prodotti che vengono da loro acquistati, per lo spaccio abbigliamento come calzature, di cuoio e di gomma, coperture ecc231. In molte altre realtà aziendali le istituzioni di consumo, ricreative ecc. legate alla fabbrica conservarono il carattere di enti di controllo e inquadramento della forza lavoro che aveva avuto durante il Fascismo, tipico l’esempio della Falck a Milano232 o della Fiat a Torino. La particolarità della Cooperativa Operaia Ursus stava appunto nell’indipendenza che essa aveva rispetto alla proprietà. Originalità che trova origine nell’ampiezza di vedute di Masseroni e Bertolini, che avevano visto nell’associazione uno strumento per responsabilizzare e rendere autosufficienti i loro dipendenti. Negli anni ’50, la Cooperativa Operaia Ursus era una realtà vitale con tre spacci sparsi per la città e un consiglio composto a maggioranza da comunisti e socialisti e veniva vista non come espressione del paternalismo padronale, ma come fiore all’occhiello del socialismo locale233. Questo non vuol dire che i rapporti tra proprietà e mano d’opera fossero sempre improntati alla collaborazione. Gli scioperi non mancarono in questo periodo e spesso i lavoratori si lamentavano per le condizioni di lavoro e il rispetto dei contratti. Le delegate della Ursus Gomma al 1° Convegno delle Lavoratrici Chimiche della Provincia nel 1950 lamentarono la “non completa applicazione delle norme sulle lavorazioni nocive”234 e le carenze di igiene “tanto dei locali adibiti alla mensa, tanto di quelli adibiti a spogliatoi ed a luoghi di decenza”235 rispetto a quanto stabilito dai contratti di lavoro. Le lotte sindacali più importanti di questo periodo riguardarono la tipologia contrattuale con cui dovevano essere inquadrati gli operai Ursus Gomma. Subito dopo la fine della guerra, la forza lavoro era sottoposta al contratto nazionale dei lavoratori del settore abbigliamento, mentre gli operai chiedevano di essere spostati nella categoria chimici che garantiva maggiori benefici sia dal punto di vista salariale che dal punto di vista delle tutele rispetto alle lavorazioni pericolose. 231 L’Indipendente Vigevanese, anno VII, n. 43 del 3 novembre 1951, p. 2. Pozzobon M. e Mari R., Le Acciaierie e la ferrerie lombarde Falck, p. 117, in AA.VV., La ricostruzione nella grande industria. Strategia padronale e organismi di fabbrica nel Triangolo 1945-1948, De Donato, Bari, 1978. 233 L’Indipendente Vigevanese, anno VII, n. 43 del 3 novembre 1951, p. 1. 234 Ibidem, anno VI, n. 12 del 1 aprile 1950, p. 2. 235 Ibidem. 232 69 L’agitazione interessò tutti i lavoratori del settore gomma cittadino ed ebbe il suo epicentro nazionale a Vigevano che raccoglieva la maggior parte delle imprese del settore. Anzi spesso, come durante lo sciopero generale del maggio del’49, l’agitazione si svolse con la quasi completa adesione della manodopera in città, mentre le imprese degli altri comuni continuavano la normale attività produttiva236, con grande disappunto degli industriali locali. La vertenza dopo due anni di scioperi e trattative si concluse nel 1949 con il successo dei sindacati che riuscirono ad ottenere il passaggio dal regime contrattuale del settore abbigliamento a quello del settore chimico in cui gli operai della Ursus Gomma rimarranno fino alla chiusura dell’impresa. Tutti i dipendenti in questo periodo lavoravano all’interno del comune di Vigevano suddivisi in tre diversi stabilimenti. Il primo, e il più importante, centro produttivo era costituito dallo stabilimento di via S. Giacomo. Su una superficie di circa 20.000 mq237, in gran parte coperti, si trovavano i reparti più importanti dell’impresa adibiti alla produzione di stivali in gomma, scarpe da tennis e coperture velo, oltre agli articoli tecnici, vi avevano sede l’amministrazione dell’impresa, i magazzini principali e gli uffici dei dirigenti. In ordine di dimensioni seguiva il vicino stabilimento di via Santa Maria, di circa 4.000 mq, che concentrava la lavorazione delle resine sintetiche e in cui c’erano due magazzini, due locali a uso ufficio e gli spogliatoi per i dipendenti238. Infine, la Ursus Gomma disponeva di un terzo stabilimento, in affitto, situato in corso Milano che appena dopo la Liberazione era adibito alla rigenerazione dei cascami gomma239. Al loro interno gli stabilimenti erano organizzati in reparti, di cui ovviamente il più importante sia in termini occupazionali che in termini di fatturato era quello preposto alla produzione di calzature sia di tipo tennis che di stivali. All’inizio degli anni ’50 la capacità produttiva potenziale era di circa 5500 paia al giorno che poi con il rinnovo impianti del 1953 avrebbero dovuto diventare circa 8300240. Il reparto calzature si trovava nello stabilimento di via S. Giacomo ed era il vero e proprio centro produttivo dell’impresa che assemblava e finiva componenti e produzioni provenienti non solo dai reparti di preparazione della gomma che trattavano la materia prima ma anche da quelli di lavorazione di articoli tecnici che fornivano i semilavorati per la confezione delle calzature241. Per completare il quadro bisogna ricordare i reparti lavorazioni tessuti che producevano impermeabili e 236 L’Informatore Vigevanese, anno V, n. 18 del 5 maggio 1949, p. 2. ASBI, Consorzio Sovvenzioni su Valori Industriali, Pavia, scaf. 8-st. 2, ripiano 6, nr ingr. arch. 2/14, Bollettino di informazioni alla succorsale di Pavia del 17 dicembre 1946. 238 Ibidem, Bollettino di informazioni alla succorsale di Pavia del 13 maggio 1950. 239 Ibidem, Bollettino di informazioni alla succorsale di Pavia del 17 dicembre 1946. 240 Ibidem, p. 12. 241 Ibidem, p. 6. 237 70 tessuti gommati, i reparti lavorazione velo, che producevano camere d’aria e coperture per biciclette e scooter, l’officina meccanica e i magazzini242. Il reparto lavorazione materie plastiche si trovava invece nello stabilimento di via S. Maria e aveva una vita produttiva a parte. Nel 1952 iniziò, proprio in questo reparto, la lavorazione del resolarmato uno dei nuovi materiali pensati ed immessi sul mercato dalla Ursus Gomma243. Il resolarmato contrariamente alla maggior parte della produzione dell’impresa non era un bene di consumo, ma un bene capitale e quindi si rivolgeva a un nuovo mercato. L’idea base di questo nuovo materiale era quella di coniugare alcune proprietà utili del PVC come la resistenza agli agenti chimici, con altre proprietà del metallo come la resistenza alle pressioni e al peso. Al di là delle proprietà specifiche del resolarmato, l’introduzione di questo nuovo materiale testimonia il livello tecnico raggiunto della Ursus Gomma che non si limitava solo a importare brevetti dall’estero o copiare dei concorrenti, ma era anche in grado di produrre dei beni propri. 7) I dirigenti dell’Ursus Gomma La storia della Ursus Gomma nel periodo che va dal 1945 al 1953 è ancora strettamente legata a quella delle vicende di due suoi fondatori: Pietro Bertolini e Rinaldo Masseroni. Il nome di Rinaldo Masseroni raggiunse proprio in questo periodo la massima notorietà a livello nazionale legata però, non a meriti imprenditoriali, ma a meriti sportivi. Nel decennio 1945-1955 occuperà infatti la carica di presidente dell’Inter244 che anche all’epoca era una delle più importanti squadre nazionali. I tifosi locali fecero persino un tentativo di sfruttare a favore della città la sua abilità e notorietà di dirigente sportivo scrivendogli una lettera aperta in cui gli proponevano di acquistare la locale squadra di calcio, che in quel periodo stava disputando un buon campionato245. Offerta che venne accettata, sia pure solo per pochi anni. La passione sportiva di Masseroni non si limitava solo al calcio, ma spaziava anche su altri sport come il ciclismo. Sono questi gli anni in cui la Ursus Gomma diventa sponsor ufficiale di molti tra i più bravi corridori nazionali come Coppi e Bartali ed esteri come Van Stambergen e Koblet246. Da buon imprenditore Masseroni seppe unire utile e passione sportiva. Da un lato l’abile scelta dei corridori da sponsorizzare portò una grande e proficua pubblicità che all’epoca rappresentava uno dei massimi produttori italiani di coperture velo per biciclette, settore caratterizzato da una 242 Ibidem, p. 5. AA.VV., Ursus Gomma, Vigevano, 1965, p. 7. 244 Arch. C.d.L. Pavia, fasc. 3.1.13, Ursus Gomma crisi aziendale 78/79. 245 L’informatore Vigevanese, anno VII, n. 2 dell’11 gennaio 1951, p. 2. 246 AA.VV., Ursus Gomma, Vigevano, 1965, p. 6. 243 71 concorrenza particolarmente vivace e in cui la notorietà del marchio era indispensabile per conservare quote di mercato. Dall’altro Masseroni strinse alleanze con importanti case produttrici di biciclette, come la Bianchi, la Viscontea e la Taurus, per la fornitura di coperture velo per biciclette aprendo un canale indiretto di esportazione247 e stabilendo uno zoccolo duro di vendite garantite. Abile imprenditore, Masseroni era riuscito a costruirsi un piccolo impero economico con investimenti estremamente diversificati. Oggi, soprattutto per la tradizionale scarsa trasparenza dell’attività imprenditoriale che caratterizzava l’Italia di quel tempo e l’insufficiente tutela legislativa nei confronti del piccolo azionista248, non è facile ricostruire anche in maniera approssimativa l’ampiezza dei suoi interessi economici. Il patrimonio personale del Comm. Rinaldo Masseroni veniva stimato, sommando il valore delle proprietà immobiliari e delle partecipazioni azionarie, in parecchie centinaia di milioni di lire dell’epoca249. Il patrimonio di Masseroni per struttura e composizione rappresentava il patrimonio del medio industriale dell’epoca con interessi che spaziano dall’agricoltura ai servizi e dall’industria alle speculazioni immobiliari a cui bisogna aggiungere notevoli capitali investiti in titoli di stato e pacchetti azionari di minoranza. Tra le sue numerose società sono da segnalare la Società Anonima Bonifiche Valli Meridionali di Comacchio, tipico esempio di società creata durante il fascismo per sfruttare le opportunità economiche create dalle campagne del regime250. Nel campo dei servizi Masseroni risulta proprietario del 67% delle azioni della Società Anonima Terme di Acqui quotata in borsa, mentre in quello immobiliare sono da segnalare consistenti interessi nell’espansione urbana di Roma251. Ma Masseroni conduceva le sue principali attività economiche non da solo, ma in collaborazione con Pietro Bertolini. I due imprenditori possedevano compartecipazioni in numerose imprese tra cui la Ursus Gomma di cui Masseroni ricopriva la carica di Consigliere delegato mentre Bertolini quella di Presidente. La collaborazione si estendeva anche alla comproprietà di imprese che pur non facendo parte giuridicamente società ne costituivano in pratica delle appendici. La principale di queste era la S.A.V.I, Società Anonima Immobiliare Vigevanese che si occupava di compravendita di immobili e di terreni e che possedeva varia immobili, tra cui uno in corso Genova adibito ad alloggio per gli 247 ASBI, Consorzio Sovvenzioni su Valori Industriali, Pavia, scaf. 8-st. 2, ripiano 6, nr ingr. arch. 2/14, lettera n. 3290 del 10 giugno 1950, p. 3. 248 Amatori F. e Brioschi F., Le grandi imprese private, p. 123, in Storia del Capitalismo Italiano dal Dopoguerra a oggi, Donzelli, Roma, 1997. 249 ASBI, Consorzio Sovvenzioni su Valori Industriali, Pavia, scaf. 8-st. 2, ripiano 6, nr ingr. arch. 2/14, lettera n. 3290 del 10 giugno 1950, p. 3. 250 Ibidem, lettera n. 106 del 18 gennaio 1947. 251 Ibidem, mod. 22 del 13 maggio 1950. 72 impiegati della Ursus Gomma252. A questi appartamenti per il personale andavano poi aggiunte le numerose case possedute direttamente dall’impresa che praticamente rendevano via San Giacomo un piccolo quartiere aziendale. A differenza di altre realtà industriali del nord d’Italia e del quartiere operaio situato in zona Cascame a Vigevano, però le case di proprietà di Masseroni e Bertolini non erano state concepite sulla base di un unico progetto unitario, ma erano il risultato di acquisti e costruzioni avvenuti nel tempo in modo discontinuo. Le partecipazioni azionarie di Masseroni non creavano un intreccio di interessi solo con Pietro Bertolini, ma coinvolgevano anche i suoi figli, Andrea e Benedetto. La società che concretizzava questa comunanza di interessi economici era la Società Anonima Agricola Immobiliare Bosco Canova che gestiva un vasto appezzamento agricolo con cascina253. Un vasto impero economico quindi, ramificato in più settori e costruito in buona parte sulla base di un’alleanza e una collaborazione profonda con la famiglia Bertolini con un intreccio tra capitalismo famigliare e stima reciproca tipico degli ambienti industriali italiani. La Ursus Gomma in termini di fatturato e di potenzialità espansiva spiccava come il gioiello più importante della rete di interessi economici e di rapporti personali che ruotava attorno ai suoi amministratori. Il patrimonio del Cav. del Lavoro Pietro Bertolini era per composizione estremamente simile a quello di Masseroni. Oltre alle imprese comuni comprendeva un certo numero di immobili, terreni agricoli, titoli di stato e partecipazioni di minoranza in numerose ditte. Gran parte delle attività erano gestite da Pietro Bertolini con la compartecipazione dei figli. La principale attività industriale portata avanti dalla famiglia veniva costituita dalla Società in Accomandita Calzaturificio Ursus, meglio noto come Ursus Cuoio, che si occupava della produzione di calzature non in gomma e della lavorazione della pelle. Anche se leggermente più piccola, l’impresa di famiglia dei Bertolini costituiva una delle principali realtà produttive di Vigevano e occupava nel periodo 1945-53 un numero di dipendenti oscillante tra i 500 e gli 800254. Pietro Bertolini, una figura molto nota e stimata nella Vigevano di quell’epoca, veniva descritto dai funzionari dell’agenzia di Vigevano della Banca d’Italia come: Persona di grande competenza tecnica, attivissimo, instancabile lavoratore, ha dedicato e dedica la sua vita per l’affermazione delle società predette [Ursus Gomma e Ursus Cuoio n.d.r.], che sono le più importanti di Vigevano nei rami gomma e calzature. Di ottima moralità, intelligente e capace […]255. 252 Ibidem, mod. 22 del 17 dicembre 1946. Ibidem. 254 Ibidem, mod. 22 del 13 maggio 1950. 255 Ibidem. 253 73 L’attività di Pietro Bertolini non si limitava alla cura delle imprese e dei suoi interessi economici, ma era ben più ampia e investiva la città di Vigevano sia dal punto di vista assistenziale che culturale. Nella situazione di povertà diffusa e di insufficienza delle strutture assistenziali della città, Pietro Bertolini si fece carico di numerose iniziative. Tra queste merita di essere ricordata una cospicua donazione al Pio Istituto dei Poveri non tanto per l’azione in sé, quanto per il caloroso encomio che ne fece il settimanale di sinistra locale l’Indipendente256. Nel clima di scontro sociale e di contrapposizione ideologica dell’epoca, un elogio fatto a un industriale da parte di un giornale di sinistra aveva un valore tutto particolare. Il contributo più duraturo di Bertolini alla città di Vigevano è, però, senza dubbio il Museo della Calzatura di cui fu uno degli ispiratori, anche se morì pochi anni prima della sua apertura. Il primo nucleo delle collezioni del museo fu, infatti, costituito dalla sua personale collezione di calzature e documenti donati dalla famiglia257. Oggi a distanza di tanti anni e dopo la chiusura delle imprese fondate da Bertolini, il Museo della Calzatura costituisce ancora una realtà esistente a Vigevano e costituisce uno dei suoi principali lasciti alla città. L’inizio degli anni ’50 vide la fine del rapporto tra Ursus Gomma e il Cav. del Lavoro Pietro Bertolini. Durante la seduta del Consiglio di Amministrazione del 17 dicembre del 1951, Bertolini si dimise dalle cariche di Presidente e Consigliere della società che aveva ricoperto per venti anni esatti e venne sostituito da Masseroni258. Con questo ritiro che precedette di soli pochi anni quello del nuovo presidente, la Ursus Gomma si trovò a dover affrontare il problema del ricambio generazionale della dirigenza che si sovrappose alla crisi finanziaria aziendale della fine degli anni ’50. Bibliografia: AA.VV., La Ursus Gomma dalle origini, Vigevano, 1965. AA.VV., Il Museo della Calzatura Pietro Bertolini Cavaliere del Lavoro, Arti Grafiche Casonato, Vigevano, 1988 256 L’Indipendente Vigevanese, anno II, n.4 del 26 gennaio 1946. AA.VV. Il Museo della Calzatura Pietro Bertolini Cavaliere del Lavoro, Arti Grafiche Casonato, Vigevano, 1988, p. 17. 258 Camera di Commercio di Pavia, registro imprese, fasc. 24351, verbale dell’Assemblea ordinaria del 17 dicembre 1951, p. 3. 257 74 Amatori F. e Brioschi F., Le grandi imprese private, in a cura di Barca F., Storia del Capitalismo Italiano dal Dopoguerra a oggi, Donzelli, Roma, 1997, pp. 108-154. Cainarca, Dal sapere come fare al sapere cosa fare. La storia dell’industria italiana delle macchine per calzature 1900-1983, Edizioni Assomac, Vigevano, 2002. Candeloro G., Storia dell’Italia moderna, Feltrinelli, Milano, 1987, vol. XI. Carli G., Cinquant’anni di vita italiana. In collaborazione con Paolo Peluffo, Economica Laterza, Roma-Bari, 1996. Castronovo V., L’industria italiana dall’Ottocento a oggi, Mondadori, Milano, 1990. Castronovo V., La storia economica, in AA.VV., Storia d’Italia, Il Sole 24 Ore-Einaudi, Milano, 2005, Vol. 7. Conti E., Dal taccuino di un borghese, Garzanti, Milano, 1946. De Cecco M. e Giavazzi F., Inflation and Stabilization i Italy: 1946-1951, pag. 57-81, in a cura di Dornbusch R., Nölling W. e Layard R., Postwar Economy and Recostruction and Lesson for the East Today, MIT Press, Cambridge, 1992. Ganapini L., Alle origini della normalizzazione: l’operato della Commissione centrale economica del Comitato di Liberazione nazionale Alta Italia, pp. 17-82, in AA.VV., La ricostruzione nella grande industria. Strategia padronale e organismi di fabbrica nel Triangolo 1945-1948, De Donato, Bari, 1978. Istituto Centrale di Statistica, III Censimento Generale dell’Industria e del Commercio, Tipografia Farilli, Roma, 1954, vol. I, risultati generali per comune, tomo I Italia settentrionale. Pozzobon M. e Mari R., Le Acciaierie e la ferrerie lombarde Falck, pp. 83-226, in AA.VV., La ricostruzione nella grande industria. Strategia padronale e organismi di fabbrica nel Triangolo 1945-1948, De Donato, Bari, 1978. 75 Romeo R., Breve storia della grande industria in italia 1861/1961, Cappelli Editore, Bologna, 1974 Velo D., Caratteristiche essenziali dell’industria delle macchina per calzature, pag. 10, in AA.VV., L’industria delle calzature. Problemi e prospettive, Amministrazione provinciale di Pavia, Pavia, 1983. 76 Tra crisi e Miracolo economico (1954-1968) 1) Introduzione Il periodo 1954-1967 costituisce un momento di crescita assolutamente eccezionale nella storia economica italiana. In esso si può riconoscere una fase ascendente che comincia con la ripresa economica mondiale successiva alla crisi della guerra di Corea e ha il suo momento culminante nel quinquennio del Miracolo economico (1958-1963). Nel 1963 il processo di crescita viene interrotto da una grave crisi economica a cui seguirà non un nuovo boom, ma una razionalizzazione produttiva in senso fordista che durerà fino alla fine del decennio. Nel periodo 1954-1961 l’Italia sperimentò un modello di crescita basato su quattro pilastri: bassa inflazione, bassi salari, aumento delle esportazioni ed alti investimenti. Se si esclude la variabile bassi salari, si trattò di un modello molto simile a quello della crescita delle Germania Occidentale che legava in modo virtuoso stabilità monetaria ed elevati investimenti. In Italia la bassa inflazione e la stabilità dei tassi di cambio furono garantiti dalla politica del Governatore della Banca d’Italia Menichella che riuscì in questo modo a creare un ambiente economico favorevole all’espansione sia delle esportazione che degli investimenti. L’ammodernamento degli impianti fece aumentare la produttività per lavoratore e questo elemento, assieme alla moderazione salariale, spiega gran parte del successo delle merci italiane all’estero nel periodo 1955-1963259 creando un effetto di traino della crescita perché: Il meccanismo delle esportazioni era infatti destinato ad innalzare il livello del reddito, e quindi degli investimenti, con conseguente aumento di produttività e con una crescente competitività dei prodotti italiani sul mercato internazionale, stimolatrice a sua volta di un ulteriore aumento delle esportazioni260. Questo circolo virtuoso di investimenti esportazioni e crescita cominciò ad entrare in crisi a partire dal 1962 per il concorrere di numerosi fattori. Gli elevati investimenti, a causa della distribuzione tradizionalmente squilibrata della grande impresa, furono concentrati prevalentemente nel Triangolo industriale, ovvero in un’area ristretta con una popolazione limitata. A partire dall’inizio degli anni 259 260 Castronovo V., L’industria italiana dall’Ottocento a oggi, Mondadori, Milano, 1990, p. 304. Romeo R., Breve storia della grande industria in italia 1861/1961, Cappelli Editore, Bologna, 1974, p. 274. 77 ’60 si raggiunse la piena occupazione nelle regioni industrializzate e le imprese cominciarono a farsi concorrenza tra di loro rubandosi i dipendenti a vicenda. Di questa situazione approfittarono i sindacati per chiedere un aumento delle retribuzioni proporzionale agli incrementi di produttività. L’aumento dei salari innescò un processo di immigrazione interno che ridusse le carenze di manodopera ed fece aumentare bruscamente le importazioni creando squilibri della bilancia commerciale. A ciò si devono sommare gli effetti indiretti della nazionalizzazione dell’energia elettrica decisa dai primi governi di centro sinistra. La nascita dell’ENEL venne fortemente osteggiata dai gruppi privati che monopolizzavano la produzione e la distribuzione di energia elettrica e controllavano numerosi giornali. Il clima di incertezza creato dalla campagna a stampa contro la nazionalizzazione e il timore per le agitazioni operaie crearono gravi fenomeni di fuga di capitali in Svizzera e di aumento dell’evasione fiscale. Il nuovo governatore della Banca d’Italia succeduto nel 1961 a Menichella, Guido Carli, si trovò di fronte ad una situazione potenzialmente esplosiva e di difficile controllo, infatti nella sua autobiografia ricorda come: Per tutti noi la grande palestra di politica monetaria fu la crisi del 1963. Nel 1962 i prezzi all’ingrosso salirono del 30%. I redditi da lavoro dipendente crebbero del 18 % nel ’62 e del 23% nel ‘63. In quell’anno la disoccupazione raggiunse il suo minimo storico, mai più toccato: il 2,5%. Nel 1963 la bilancia dei pagamenti di parte corrente diventò passiva per 400 miliardi: la quantità delle importazioni crebbe del 22%, quella delle esportazioni rallentò. La bilancia globale era deficitaria di oltre 1800 miliardi261. Per riportare sotto controllo la situazione economica, Carli decise di attuare una stretta monetaria molto dura che stabilizzò la bilancia dei pagamenti, ma fu pagata dal paese con una dura recessione economica. Finita la crisi del 1963-1964, l’economica italiana ricominciò a crescere ma sulla base di un modello differente. Gli investimenti, molto inferiori al periodo precedente, furono rivolti più che all’allargamento della base produttiva, all’aumento dei ritmi di lavoro, mentre il Triangolo industriale registrava un notevole afflusso di manodopera dalle altre regioni. Gli anni dal 1965 al 1967 videro essenzialmente questi due fenomeni che costituirono le premesse per l’esplosione della conflittualità sindacale del ’68. Inoltre, ben presto il malcontento dei nuovi immigrati per gli alloggi scadenti e la carenza di servizi pubblici si sommò al malcontento per gli eccessivi ritmi di lavoro creando le basi per anni di forte conflitto sociale. 261 Carli G., Cinquant’anni di vita italiana. In collaborazione con Paolo Peluffo, Economica Laterza, Roma-Bari, 1996, p. 285. 78 2) La Ursus Gomma e la crisi del settore gomma a Vigevano La situazione economica della Vigevano degli anni ’50 per molti aspetti rappresentò l’esatto opposto di quella degli anni ’30. Mentre dopo la crisi del ‘29 la città era stata caratterizzata dal ristagno del settore cuoio a cui si contrapponeva l’eccezionale successo del settore gomma, dopo il ’53 si verificò l’esatto opposto. Il differente andamento dei due settori è fotografato in modo molto eloquente dai dati dei censimenti industriali del 1951 e del 1961 riportati in tabella 4.1. Tabella 4.1 – Il settore calzaturiero a Vigevano nel 1951 e nel 1961262. Settore calzature Settore calzature in gomma in cuoio Anno 1951 1961 1951 1961 Addetti 3008 1451 8354 14045 Unità locali 23 33 872 838 Addetti medi per impresa 130,78 43,97 9,58 16,76 Potenza istallata 10437 9836 5430 11095 Nel periodo intercorso tra i due censimenti il settore delle calzature in cuoio vide un vero e proprio boom che lo portò a raddoppiare gli addetti e la potenza dei macchinari istallati, pur rimanendo sempre caratterizzato dalla prevalenza della piccola e media impresa. Per l’industria della gomma, invece, si può osservare una caduta degli occupati, una forte riduzione della dimensione delle unità locali ed una lieve diminuzione della potenza istallata che passa da 10437 HP a 9836 HP e questo, si noti, nel periodo della storia italiana in cui si è registrato il massimo picco di investimenti in capitale fisso. Se si considera che nel 1961 la Ursus Gomma aveva circa 600263 dipendenti e quindi tutte le altre unità locali complessivamente 800 dipendenti si può avere un’idea dalla crisi del settore. Nel giro di un decennio la città passò da un tessuto di medie imprese operanti nel settore gomma a una situazione caratterizzata da una grande impresa e da molte piccole aziende. Le cause di questo regresso, che rischiò di travolgere anche la Ursus Gomma sono molteplici e complesse. I produttori vigevanesi avevano avuto un vantaggio competitivo notevole nel corso degli anni ’30 perché erano stati tra i primi ad iniziare la produzione di calzature in gomma e avevano beneficiato dell’assenza di concorrenza estera. Con l’inizio degli anni ’50 entrambi questi elementi vennero meno, perché si sviluppò un’industria gomma-calzaturiera anche in altre regioni italiane e 262 I dati sono il frutto di una rielaborazione a partire dai dati sui censimenti industriali forniti all’autore dal Centro di Informazione Statistica dell’ISTAT della Lombardia. 263 Tribunale di Vigevano, Cancelleria del Lavoro, Registro società, Fasc. 1215, Reazione del Consiglio di Amministrazione del 1961. 79 le importazioni dai paesi esteri vennero gradatamente liberalizzate264. Questo in un contesto in cui la domanda mondiale, e quindi le esportazioni, si contrassero per un breve periodo in seguito alla guerra di Corea e il mercato italiano della calzature in gomma cominciò a saturarsi. Alla fine del decennio, a peggiorare la situazione si aggiunse anche il fatto che alcuni paesi tradizionalmente importatori cominciarono a sviluppare una propria industria autoctona di calzature in gomma a basso prezzo265. A questi elementi, che già da soli costringevano i produttori vigevanesi a riposizionarsi ed a riconsiderare le loro strategie imprenditoriali per i mercati interni ed esterni, si aggiunsero fenomeni di concorrenza che oggi verrebbero definiti sleali. Un attacco per così dire dall’”alto” venne dalla più grande impresa del settore, la Superga che, acquisita nel 1951 dalla Pirelli, inaugurò una strategia di mercato estremamente aggressiva. Poco dopo l’assorbimento, depositò un brevetto per la produzione di pantofole con bordo di gomma e ne chiese il rispetto a tutti i produttori italiani266. Gli industriali vigevanesi protestarono vigorosamente osservando come calzature simili erano già prodotte in città fin dall’inizio degli anni ’30 senza però che nessuno ne avesse depositato il brevetto267. Ma le proteste furono inutili perché le autorità competenti di Roma, presso cui forse la Pirelli disponeva maggiori mezzi di pressione, risolsero la questione a favore della Superga, che poté così sfruttare il brevetto. Gli industriali vigevanesi dovevano anche fronteggiare un attacco dal “basso”, ovvero la concorrenza degli altri produttori italiani che approfittavano della dispersione geografica per non rispettare i contratti nazionali. Come già evidenziato, tra la fine degli anni ’40 e l’inizio degli anni ’50 l’industria italiana della calzature in gomma presentava un particolare distribuzione geografica. Infatti, una fetta rilevante degli impianti produttivi era concentrata a Vigevano, mentre nel resto del paese le imprese che producevano calzature in gomme erano estremamente disperse. La conseguenza di questo contrasto geograficho era una situazione paradossale in cui a Vigevano i sindacati di categoria avevano la forza contrattuale per ottenere i rinnovi contrattuali e farli più o meno rispettare, poiché le violazioni in città erano subito risapute, mentre nel resto del paese avevano un’influenza molto più ridotta. Per questo motivo la crisi del settore gomma vigevanese fu accompagnato da una serie di vertenze tra datori di lavoro e dipendenti in cui i primi si lamentavano per la concorrenza sleale, mentre i secondi chiedevano il rispetto dei contratti stipulati. La città fu interessata da una serie di scioperi del settore gomma, alcuni dei quali proclamati solo per Vigevano, come quello del maggio del 264 Carli G., Cinquant’anni di vita italiana. In collaborazione con Paolo Peluffo, Economica Laterza, Roma-Bari, 1996, p. 116. 265 Informazioni economiche. Mensile della Camera di Commercio, Industria ed Agricoltura di Pavia, anno XIV, n. 6 del giugno 1959, p. 25. 266 L’Informatore Vigevanese, anno IX, n. 10 del 12 marzo 1953. 267 Ibidem, anno IX, n. 3 del 22 gennaio 1953. 80 1954268. La Ursus Gomma fu uno dei centri della protesta sindacale, che costituiva più una conseguenza della crisi del settore che una delle cause. Proprio in questo periodo si ha notizia per la prima volta di scioperi a singhiozzo269. Questo strumento di lotta era particolarmente efficace nel settore gomma. Infatti, costringeva a mantenere i macchinari accesi, con conseguenti costi, ma bloccava completamente la produzione. La gomma per essere lavorata doveva essere preparata sotto forma di mescole in apposite macchine da cui uscivano lunghi fogli di semilavorato che poi venivano rifiniti e vulcanizzati. L’intero processo richiedeva dei tempi tecnici per ogni passaggio che non potevano essere elusi. Gli scioperi a singhiozzo venivano attuati in modo da non lasciare sufficiente tempo lavorativo per consentire lo svolgimento di alcuni dei passaggi fondamentali della produzione. Da questo punto di vista costituiva un metodo di lotta estremamente efficace perché, pur mantenendo la manodopera in fabbrica a lavorare ad orario ridotto bloccava completamente la produzione270. Il 1955 fu l’anno in cui la crisi si rivelò in tutta la sua gravità e le relazioni industriali del settore gomma, complice anche il clima della Guerra fredda, degenerarono in modo considerevole. Alcune imprese storiche del panorama cittadino fallirono clamorosamente lasciando svariate centinaia di disoccupati che fortunatamente vennero rapidamente riassorbiti dall’espansione del settore della calzature in cuoio. Tra le vicende delle imprese del settore fece all’epoca particolare impressione il fallimento della Ditta Dondè Remo che chiuse licenziando l’intera manodopera di circa 400 dipendenti271. Molte altre imprese furono costrette a ricorrere alla cassa integrazione in misura considerevole, tra queste la Rossanigo, Mainardi e la stessa Ursus Gomma, ovvero tutte le principali aziende gomma-calzaturiere vigevanesi272. La crisi si accompagnava da continue polemiche tra gli industriali del settore e la locale Camera del Lavoro e tra CISL e CGIL. In questi anni Masseroni esprimeva il desiderio di essere “finalmente il vero dirigente della sua fabbrica, essendo egli il solo responsabile dell’azienda di fronte alle leggi”273. I sindacati, principalmente CGIL e CISL, si rinfacciavano gli uni con gli altri di non avere a cuore gli interessi dei lavoratori, ma quello della propria parte politica. Queste polemiche erano tipiche non solo di Vigevano, ma di tutta l’Italia dell’epoca. Infatti, il clima della Guerra fredda aveva provocato la rottura del sindacato unitario uscito dalla Resistenza nelle sue due componenti cattolica e comunista, entrambe estremamente ideologizzate e in forte competizione tra di loro. Gli anni ’50 furono caratterizzati poi da una forte offensiva degli industriali che prese di mira 268 Ibidem, anno X, n. 18 del 6 maggio 1954. Ibidem, anno X, n. 23 del 10 giugno 1954. 270 Testimonianza di Roberto Scaglia del 1 luglio 2006. 271 L’Informatore Vigevanese, anno XI, n. 20 del 19 maggio 1955, p. 3. 272 Ibidem, anno XI, n. 32 dell’11 agosto del 1955, p.2. 273 Ibidem, anno XI, n. 24 del 16 giugno 1955, p. 1. 269 81 soprattutto la CGIL e che cercò di favorire i cosiddetti sindacati gialli o, in subordine, la CISL contribuendo ad avvelenare ulteriormente i contrasti intersindacali. A Vigevano uno dei principali luoghi dello scontro tra CISL e CGIL fu, appunto, la Ursus Gomma, che costituiva una delle roccaforti del sindacalismo comunista e in cui invece i lavoratori cattolici erano sempre stati una minoranza. Le polemiche culminarono nell’annullamento delle elezioni sindacali della commissione interna che furono clamorosamente invalidate per irregolarità e dovettero essere ripetute. La vicenda fu ampiamente seguita dalla stampa locale che pubblicò appelli e lettere aperte, tra queste è significativa l’appello di un operaio Ursus Gomma che invitava a votare per la CISL osservando come: I dirigenti della Camera del Lavoro sono responsabili dell’attuale pesante situazione che opprime l’azienda nonché il settore gomma cittadino. […] Mentre in tutta Italia i lavoratori si presentavano al lavoro, i dirigenti della CGIL di Vigevano ci facevano scioperare contro un accordo stipulato dalla CISL sul conglobamento definito allora una truffa e oggi considerato quale grande conquista della CGIL274. E più avanti aggiungeva come: Lista CISL: è un’organizzazione che noi lavoratori dell’Ursus, per pregiudizio e per paura, abbiamo cercato di tener sempre lontano dai nostri problemi. […] Secondo me la CISL è un’organizzazione che si è battuta e si sta battendo con efficacia a favore di noi lavoratori275. Questa lettera può dare un’idea del clima che si respirava alla Ursus Gomma in quegli anni e dell’intensità dello scontro che terminò con una sostanziale riconferma della fiducia operaia alla CGIL. 3) La crisi dell’Ursus Gomma Nel periodo compreso tra il 1954 e il 1958 la Ursus Gomma attraversò una delle più gravi crisi economiche della sua storia, da cui seppe uscire con successo. Essa fu particolarmente seria per il sommarsi delle difficoltà congiunturali del settore gomma Vigevanese con fattori specifici dell’impresa. Appena prima della recessione causata dalla guerra di Corea negli anni 1954 e 1955, la Ursus Gomma aveva effettuato dei considerevoli investimenti in ammodernamento dei propri impianti produttivi, che non aveva potuto finanziare con gli aiuti del Piano Marshall. La riduzione delle vendite colpì, dunque, un’impresa che aveva una posizione finanziaria fragile e che scommetteva su 274 275 82 Ibidem, anno XI, n. 20 del 19 maggio 1955, p. 1. Ibidem. un’espansione dei mercati che poi non si verificò. In questa situazione già difficile essa fu coinvolta nelle lotte sindacali che costituirono certamente un costo per l’impresa e non aiutarono certamente il regolare svolgimento dell’attività lavorativa. Alle difficoltà proprie della Ursus Gomma si aggiunsero poi le difficoltà economiche personali di Rinaldo Masseroni, che appena prima dell’inizio della crisi si era impegnato in considerevoli esborsi finanziari. Tra questi se ne possono ricordare almeno due, la liquidazione di Pietro Bertolini e gli investimenti nel Casinò Municipale di San Remo. Come già ricordato nel precedente capitolo, Pietro Bertolini abbandonò la presidenza della società, che aveva detenuto ininterrottamente dal 1932, all’inizio degli anni ’50. In seguito alle sue dimissioni, motivate anche da problemi di salute e dall’età avanzata276, non gli subentrarono i figli, ma le sue partecipazioni azionarie vennero liquidate da Masseroni. La somma versata e le modalità del pagamento non sono note, ma in città all’epoca si parlò di cifre estremamente ingenti277, proporzionali al valore economico dell’impresa. Con questa liquidazione, Masseroni diventerà azionista di maggioranza della Ursus Gomma e alla sua morte risulterà proprietario di 57500 azioni da £ 100 su un capitale complessivo di 150 milioni di lire278, ovvero di quasi il 40% dell’impresa. Altro investimento oneroso dal punto di vista finanziario fu l’assunzione della gestione del Casinò Municipale di San Remo che Masseroni, attraverso la sua controllata Associazione Turistica Alberghiera, rilevò nel 1953 presentando una fideiussione di 150 milioni279. La gestione non fu fortunata e si concluse con un fallimento280. Le momentanee difficoltà finanziarie impedirono a Masseroni di intervenire sulla crisi della Ursus Gomma attraverso un aumento di capitale che avrebbe certamente aiutato a superare il brutto momento e favorirono lo sviluppo della crisi aziendale. Le difficoltà della ditta erano già molto gravi nel 1955, perché costrinsero la direzione a sospendere 450 dipendenti281, circa metà della forza lavoro, e a richiedere la cassa integrazione282 facendo lavorare ad orario ridotto gli operai restanti. Infatti, il calo imprevisto della vendite appena dopo il potenziamento degli impianti aveva determinato una discrepanza tra capacità produttiva dell’impresa e assorbimento del mercato costringendo Masseroni a ridurre la produzione a causa dei magazzini pieni di invenduti283. 276 AA.VV., Ursus Gomma, Vigevano, 1965, p. 10. Testimonianza di Roberto Pavesi del 20 maggio 2006. 278 Archivio Camera di Commercio di Pavia, Registro imprese, fasc. 24351, verbale assemblea del 20 marzo 1957. 279 L’Informatore Vigevanese, anno IX, n. 10 del 12 marzo 1953, p. 3. 280 Ibidem, anno XXXIV, n. 29 del 20 luglio 1978, p. 1 281 Ibidem, anno XI, n. 20 del 19 maggio 1955, p. 1. 282 Ibidem, anno XI, n. 32 dell’11 agosto 1955, p. 2. 283 Testimonianza di Roberto Pavesi del 20 maggio 2006 raccolta dall’autore. 277 83 La gravità della crisi, che restava comunque una delle principali imprese cittadine, spinse le autorità locali a mobilitarsi. Venne creato un Comitato comunale in difesa della Ditta Ursus composta dal sindaco, dai capo gruppo consiliari e dai rappresentati delle organizzazioni sindacali con il compito di studiare possibili soluzioni di concerto con Masseroni284. Durante la primavera del 1956 diverse delegazioni cittadine si recarono a Roma per sollecitare l’intervento del governo che, pur escludendo aiuti finanziari diretti, promise di studiare delle possibili soluzioni e inviò a Vigevano dei tecnici I:R.I. per studiare il problema285. Le opzioni più probabili erano tre: l’acquisizione della Ursus Gomma da parte dell’I.R.I., la vendita dell’impresa a qualche altro gruppo privato e l’amministrazione controllata. I primi due erano poco gradite a Masseroni che sperava di poter ritornare alla guida dell’impresa nel giro di poco tempo e alla fine prevalse l’ultima opzione. Con l’assemblea straordinari dal 20 aprile, Masseroni si fece attribuire il mandato per richiedere l’amministrazione controllata286, che venne concessa dal Tribunale di Vigevano il 5 maggio287. Con questo istituto giuridico la gestione della società veniva tolta a Masseroni e affidata, in accordo con la Banca Popolare di Novara che era uno dei maggiori creditori, al commissario giudiziale dott. Antonio Cova288. Questi provvide subito a far riprendere la normale attività industriale e ad iniziare il risanamento attraverso l’affidamento dell’Ursus Gomma a due società di esercizio, la SESU prima e in seguito la UGEV, e ad un amministratore unico che fu nel biennio 1956-57 l’ingegner Antonio Pupi289. Il risanamento presentava numerose difficoltà soprattutto per quanto riguarda i rapporti con i creditori della società e degli ex dipendenti dell’impresa che si costituirono in comitato. In più occasioni gli ex lavoratori si lamentarono degli sfratti attuati dall’amministrazione controllata e richiesero: 1) la liquidazione di festività varie, ore straordinarie, indennità varie, stipendi arretrati; 2) il rilascio a tutti i dipendenti di un documento che li riconosca come creditori e ne specifici l’ammontare del credito; 3) di ricevere le indennità di licenziamento290. Richieste e lamentele per i mancati pagamenti che per molti aspetti anticipano quel che accadrà quasi trent’anni più tardi in seguito della chiusura della Ursus Gomma. 284 L’Informatore Vigevanese, anno XII, n. 9 del 1 marzo 1956, p. 1. L’Informatore Vigevanese, anno XII, n. 11 del 15 marzo 1956, p. 3. 286 Archivio Camera di Commercio di Pavia, Registro imprese, fasc. 24351, verbale assemblea straordinaria del 20 aprile 1956. 287 Ibidem, denuncia modifiche del 6 luglio 1956. 288 Ibidem, Comunicazione alla Camera di Commercio del 4 luglio 1956. 289 AA.VV., Ursus Gomma, Vigevano, 1965, p. 11. 290 L’Informatore Vigevanese, anno XII, n. 44 dell’11 novembre 1956. 285 84 Nonostante le difficoltà finanziarie, l’amministrazione controllata riuscì ben presto a ottenere dei risultati positivi in virtù sia dei propri sforzi, che dell’inizio dei primi prodromi del Miracolo economico, che del prestigio del marchio. A riprova della ripresa in corso sta sicuramente il rifiuto, da parte del Tribunale di Vigevano, di dichiarare il fallimento della Ursus Gomma osservando come: Non si può dimenticare come la “Ursus” è un nome prestigioso in campo nazionale e ha una fedele clientela che in caso di fallimento andrebbe perduta. Riprova di ciò è il fatto che il complesso affittato ad un altro imprenditore funziona e produce egregiamente sia pure su scala ridotta291. Questo nel 1957, già a partire dall’anno successivo la produzione e le vendite raggiungeranno e supereranno velocemente i massimi volumi raggiunti prima della crisi portando la fabbrica a lavorare a pieno ritmo292 allontanando lo spettro del fallimento e ponendo le basi per la fine dell’amministrazione controllata. Il 30 gennaio del 1957 la storia della Ursus Gomma subì un svolta radicale perché Rinaldo Masseroni morì improvvisamente in seguito ad un infarto mentre era a San Remo293. Decesso che avvenne proprio quando questi aveva rimesso in sesto le proprie finanze personali e disponeva di mezzi per riacquistare il controllo dell’impresa294. Scomparso anche l’ultimo fondatore, veniva a mancare per la ditta una personalità forte, in grado di dirigere con fermezza l’attività produttiva e si apriva la corsa per la successione. I principali “pretendenti” alla proprietà della Ursus Gomma furono due: una cordata di imprenditori locali guidati dall’industriale Santino Panzarasa e il Gruppo Industriale Finanziario controllato dalla famiglia Puccini295. In un primo momento sembrò che dovessero prevalere gli industriali vigevanesi e infatti nell’assemblea ordinaria del 20 marzo 1957, Santino Panzarasa venne nominato amministratore unico dagli azionisti principali, ovvero dagli eredi di Masseroni, che controllavano 57500 azioni, e dalla Rubber Products Corporations, che controllava 18000 azioni296. In seguito, invece, la proprietà passò sotto il controllo della famiglia Puccini, che disponeva probabilmente di maggiori mezzi finanziari sia per l’acquisizione che per il risanamento e che conservò il controllo della società fino alla sua chiusura. 291 Archivio Camera di Commercio di Pavia, Registro imprese, fasc. 24351, Cessio Bonorum del 17 settembre 1957. Testimonianza di Benito De Stefani del 30 novembre 2004 raccolta dall’autore. 293 L’Araldo Lomellino, anno LVII, n. 6 del 7 febbraio 1957, p. 3. 294 Testimonianza di Roberto Pavesi del 20 maggio 2006 raccolta dall’autore. 295 Ibidem. 296 Archivio Camera di Commercio di Pavia, Registro imprese, fasc. 24351, verbale assemblea ordinaria del 20 marzo 1957. 292 85 I Puccini erano una famiglia di costruttori edili di Roma con molteplici e molto diversificati interessi economici sia in Italia che all’estero297, che tra la fine degli anni ’50 e l’inizio degli anni ’60 stava attuando una politica di espansione attraverso l’acquisizione del controllo di imprese in difficoltà ma con buone prospettive di ripresa. Oltre alla Ursus Gomma, vennero acquisite altre aziende come la Società Gestioni Industriali (SGI) di Civitanova Marche che operava nel settore della costruzione, riparazione e demolizione rotabili ferroviari298. I nuovi proprietari, il Gr. Uff. Dr. Ing. Gino Puccini e suo figlio Ing. Torello Puccini, fecero il loro ingresso ufficiale a Vigevano nel maggio del 1958299 e per questa data la crisi della Ursus Gomma si può considerare ormai avviata alla conclusione. Dal punto di vista strettamente industriale e commerciale l’impresa si trovava già in condizioni di piena ripresa e prometteva di garantire una buona redditività, mentre permanevano ancora le difficoltà finanziarie. Il risanamento dell’azienda venne portato a termine con due strategie complementari, da un lato la società controllata dai Puccini si assunse una parte degli oneri finanziari ripianandoli con mezzi propri300 e dall’altro l’azienda venne posta in liquidazione. Attraverso la liquidazione la vecchia società venne estinta dal punto di vista giuridico, tutte le passività residue furono saldate attraverso la vendita delle attività. Contemporaneamente veniva creata una nuova società, la Ursus Gomma Nuova S.p.A., che rilevò gli impianti e le altre attività della vecchia azienda. Il processo di trapasso fu abbastanza lungo per motivi burocratici e si trascinò fino al 1962301, ma non ebbe alcun effetto sull’attività produttiva che continuò senza alcun scossone302. La Ursus Gomma Nuova S.p.A., d’ora in avanti solo Ursus Gomma per semplicità, venne riorganizzata sotto l’insegna della continuità con le gestioni precedenti come testimonia la nomina dell’Ing. Antonio Pupi alla carica di Direttore Generale303. Il consiglio di amministrazione fu invece formato dal Dr. Ing. Gino Puccini con la carica di presidente a cui si affiancavano il figlio come consigliere delegato e il Dr. Fréderic Schöni, che era loro socio nel gruppo che aveva rilevato la vecchia società, come consigliere amministrativo. 297 Testimonianza di Roberto Pavesi del 20 maggio 2006 raccolta dall’autore. Centro di Documentazione sui rischi e i danni da lavoro, Le esposizioni occupazionali ad amianto presso lo stabilimento Adriano Cecchetti-SACMAC-SGI di Civitanova Marche MC nell’attività di costruzione, manutenzione, riparazione e demolizione di rotabili ferroviari, Rapporto Breve n° 48 bis-10 bis/2001, Azienda Sanitaria Unica Regionale, Regione Marche, 2001, p. 3. 299 L’Informatore Vigevanese, anno XIV, n. 22 del 19 maggio 1958, p. 1. 300 Ibidem. 301 Tribunale di Vigevano, Cancelleria del Lavoro, Fascicolo Ursus Gomma, Relazione del Consiglio di Amministrazione al bilancio chiuso il 30 settembre 1962. 302 Testimonianza di Benito De Stefani del 30 novembre 2004 raccolta dall’autore. 303 L’Informatore Vigevanese, anno XIV, n. 22 del 19 maggio 1958, p. 1. 298 86 4) Il rilancio economico e gli anni ‘60 Il decennio 1958-1968 costituirono, dopo gli anni ’30, il momento di maggior successo economico della Ursus Gomma che raggiunse i suoi massimi volumi di produzione, vendita e si riconfermò estremamente competitiva con le altre imprese del suo settore in termini di innovazione tecnologica. Da un punto di vista cronologico è utile distinguere il decennio 1958-1968 in due sottoperiodi utilizzando la crisi economica del 1964-65 come elemento separatore. I primi 5 anni furono caratterizzati da grandi investimenti volti sia ad ammodernare gli impianti che ad allargare e diversificare le produzioni della Ursus Gomma e da alti profitti. Successivamente dopo la crisi economica italiana della metà degli anni ’60 l’espansione economica riprese, sia pure più lentamente e così pure la redditività, che però non raggiunse più i livelli del periodo precedente. Tabella 4.2304 - Andamento di alcune voci di bilancio Anno Capitale Utili o perdite Redditività sociale 1959 1960 1961 1962 1963 1964 1965 1966 1967 1968 9.000.000 9.000.000 100.000.000 100.000.000 270.000.000 270.000.000 270.000.000 270.000.000 270.000.000 270.000.000 37.351.562 29.473.317 22.803.773 27.109.163 18.258.077 -34.923.647 -33.289.722 10.272.432 14.926.903 8.566.422 13,84% 10,92% 8,45% 10% 6,76% -12,94% -12,32% 3,97% 5,53% 3,17% Impianti, macchinari, ecc. 80.468.991 204.677.293 317.185.868 1.197.153.906 1.295.435.174 1.378.479.499 1.502.821.894 1.549.454.030 1.624.172.485 1.701.335.812 Esposizione presso banche 186.641.126 795.889.792 531.828.617 778.989.561 791.767.122 823.418.378 884.429.777 885.484.056 904.349.336 812.717.109 Nota: la redditività è calcolata con il peso percentuale degli utili o delle perdite su 270 milioni. In tabella 4.2 sono riportate alcune voci tratte dai bilanci della Ursus Gomma nel decennio 19591968 e un indice di redditività. La prima voce riportata è il capitale sociale che al momento della nascita giuridica della nuova impresa, il 1959, ammontava a 9 milioni, molto meno dei 150 milioni della vecchia Ursus Gomma. Questa così forte riduzione è da attribuire alle perdite accumulate nella seconda metà degli anni ’50, che aveva reso indispensabile la svalutazione del capitale. Poco dopo il passaggio sotto il controllo della famiglia Puccini, la nuova proprietà provvide a nuovi e consistenti aumenti di capitale per fornire l’impresa di mezzi adeguati alle sue dimensioni. La seconda voce riporta, invece, gli utili esattamente come sono iscritti a bilancio e permette di evidenziare la rottura costituita dalla crisi economica seguita alla stretta economica del 1963. Infatti, ad un primo periodo caratterizzato da alti profitti seguono due anni, il 1964 e il 1965, da 304 Fonte: Tribunale di Vigevano, Cancelleria del Lavoro, Registro società, Fasc. 1215, bilanci societari varie annate. 87 considerevoli perdite. Successivamente l’impresa ritornò a fare utili, ma in misura inferiore al primo periodo. La riduzione degli utili, se considerata in termini reali, è molto più consistente di quanto appare confrontando i puri valori nominali perché il periodo successivo al 1963 fu caratterizzato da un aumento dell’inflazione, praticamente assente prima del 1962. La terza colonna dalla tabella 4.2 si propone di esprimere l’andamento degli utili in termini percentuali, per facilitarne la comprensione dell’andamento. I valori sono ottenuti calcolando il peso percentuale degli utili sulla cifra di 270 milioni. L’indice di redditività calcolato non costituisce un ROE, se non a partire dal 1963, e dal punto di vista della finanza aziendale è del tutto arbitrario e dotato di scarso fondamento. L’indice di redditività è stato preferito al ROE solo perché il capitale sociale della Ursus Gomma subì notevoli variazioni nel periodo considerato e questo avrebbe potuto portare a sovrastimare l’andamento economico. Difatti, nel 1959 se si calcola il peso percentuale degli utili sul capitale sociale si ottiene un ROE del 415% che poi andrebbe confrontato con il quasi 4% del 1966, dando l’impressione di un crollo degli utili che invece passarono solo da 37 a 10 milioni. Calcolando la redditività sulla base di 270 milioni si ottiene un indice, che per quanto meno scientifico del ROE, permette di avere un’idea più precisa dell’andamento economico dell’impresa. Le ultime due colonne della tabella 4.2 riportano una voce tratta dall’attivo e la sintesi di alcune voci del passivo dei bilanci della Ursus Gomma, che permettono di comprendere, sia pure in modo imperfetto ed approssimativo, l’andamento degli investimenti produttivi. La voce dell’attivo è costituita da Immobili, impianti, macchine attrezzi, veicoli, ecc., mentre quelle del passivo sono ottenute aggregando le voci relative all’esposizione verso istituti bancari. Il forte aumento, nel periodo immediatamente successivo al 1959, del valore degli immobili, impianti, macchine, attrezzi, veicoli, riflette l’impegno della nuova gestione per cercare di migliorare la competitività della Ursus Gomma e di non essere penalizzata rispetto al progresso tecnologico di quegli anni. Infatti, nella prima relazione degli Amministratori agli azionisti si legge come: Per quanto la fabbrica sia ben organizzata, gli impianti, specie nel settore delle materie sintetiche, risentono del lungo uso fattone nel passato; a ciò si aggiunga l’incessante progredire della tecnica […]. E’ l’avvento dell’elettronica, delle produzioni a ciclo completo telecomandate, dei collaudi automatici. Ciò pone noi e Voi di fronte a gravi problemi di rammodernamento, che sfociano, inevitabilmente, in un più grave problema di ordina finanziario, specialmente in considerazione che i macchinari, nel nostro settore, 305 hanno prezzi elevatissimi . Gli amministratori mantennero fede ai loro propositi aumentando espandendo gli investimenti ad un tasso crescente fino al biennio 1962-1963, quando l’esplosione della crisi costrinse l’azienda a un comportamento più prudente. Nel periodo successivo alla fine della recessione, la Ursus Gomma 305 88 Ibidem, Relazione del Consiglio di Amministrazione al bilancio chiuso al 30 settembre 1959. non riprese gli investimenti in grande stile sia per la mutata congiuntura economica che per il fatto che il grosso degli ammodernamenti era già stato fatto, per cui l’impresa si concentrò al consolidamento della propria posizione razionalizzando produzione e distribuzione. Come messo in luce nella relazione degli amministratori, l’ammodernamento della struttura produttiva richiedeva notevoli mezzi finanziari. La proprietà, che pure aveva appena dovuto sopportare considerevoli oneri finanziari per acquisire l’impresa306, non si tirò indietro ricorrendo sia all’autofinanziamento che allo strumento degli aumenti di capitale. La prima fonte di finanziamento fu favorita del buon andamento delle vendite che permise alla Ursus Gomma di disporre di notevoli flussi di cassa ed eliminò, almeno per un po’ di anni, le preoccupazione finanziarie della seconda metà degli anni 50. Gli azionisti furono invece chiamati a contribuire mettendo mano al portafoglio per finanziare gli aumenti di capitale nelle Assemblee straordinarie del 24 aprile 1961, che deliberò un incremento da 9 a 100 milioni, e del 16 luglio del 1963, che deliberò un aumento da 100 a 270 milioni307. Gli amministratori della Ursus Gomma avevano un programma di sviluppo e ammodernamento estremamente ambizioso per cui sia l’autofinanziamento che gli aumenti di capitale si rivelarono presto insufficienti. Per reperire mezzi finanziari si rivolsero quindi ai canali di finanziamento bancari aumentando rapidamente l’esposizione, come si può ben vedere guardando l’ultima colonna della tabella 4.2. Gli stessi amministratori della società non mancavano di sottolineare come: All’aumentato volume di investimenti in macchinari e mezzi corrispondono pressoché pari importi di esposizioni nei confronti delle Banche e di Voi Azionisti. L’azienda è in sviluppo […]. Sono problemi di equilibri economico, di scelte di uomini e capitali che più volte hanno reso duro il nostro lavoro308. Esattamente come per l’andamento degli investimenti, l’andamento dell’esposizione bancaria subì una svolta in occasione della crisi economica successiva al 1963. La tabella 4.2 registra bene questo processo perché evidenzia come l’indebitamento aumentò rapidamente, sia pure con qualche riduzione in occasione dell’aumento di capitale del 1961 e poi si stabilizzò in termini nominali negli anni successivi alla recessione. In termini reali, ovvero tenuto conto della perdita di valore della moneta, andò progressivamente riducendosi nella seconda metà degli anni ’60 a riprova sia della solidità dell’impresa che della gestione più prudente. 5) Un decennio di crescita tra diversificazione produttiva e ricerca di nuovi mercati. 306 L’Informatore Vigevanese, anno XIV, n. 22 del 19 maggio 1958, p. 1. Associazione tra le Società per Azioni, Repertorio delle società italiane per azioni, vol. I, Roma, 1970, pag. 797. 308 Tribunale di Vigevano, Cancelleria del Lavoro, Registro società, Fasc. 1215, Relazione del Consiglio di Amministrazione al bilancio chiuso il 30 settembre 1960. 307 89 Nella storia della Ursus Gomma due decenni sono fondamentali dal punto di vista tecnologico, produttivo ed organizzativo. Il primo è senza dubbio costituito dagli anni ’30 in cui l’impresa prese decisioni fondamentali riguardanti la propria organizzazione, le rete di distribuzione dei prodotti e ovviamente i segmenti di mercato su cui operare. Appena dopo questo primo periodo, se ragioniamo in termini di innovazione tecnologica e di beni prodotti, vengono gli anni ’60. Infatti, i Puccini non si limitarono a continuare ed ampliare la modernizzazione degli impianti iniziata da Masseroni dieci anni prima e interrotta delle difficoltà economiche, ma si mossero secondo un ben preciso piano strategico. In estrema sintesi, Gino Puccini e suo figlio Torello, agirono secondo un’ottica di potenziamento e differenziazione. Rafforzamento dei reparti esistenti attraverso l’introduzione di nuove e più moderne catene di montaggio al fine di abbattere i costi e rafforzare la posizione della Ursus Gomma su mercati tradizionali degli stivali, delle scarpe tennis, degli impermeabili e delle coperture per biciclette e motocicli. Differenziazione della produzione di nuovi beni e servizi per valorizzare le competenze dei tecnici dell’impresa e conquistare nuovi e dinamici mercati. Il decennio 1959-1968 fu caratterizzato dal potenziamento e dalle differenziazioni. Ogni anno numerose nuove iniziative imprenditoriali venivano iniziate, poi a partire dagli anni ‘70 cominciò un’inversione di tendenza che, non adeguatamente contrastata, portò al fallimento dell’impresa. Per avere un’idea, per quanto inadeguata, di come negli anni ’60 la Ursus Gomma fosse un’impresa che pensasse in grande e fosse dotata di grandi capacità tecnologiche ed imprenditoriale è utile fare una breve rassegna delle principali iniziative del decennio. Il primo obiettivo della nuova proprietà della famiglia Puccini, una volta assunto il controllo dell’azienda, fu di produrre bene ed a costi ridotti. A questo scopo, i primi due-tre anni furono destinati all’ammodernamento degli impianti già esistenti e alla valorizzazione del marchio. Successivamente vennero investite molte energie e molti capitali, sia pure con esiti non sempre favorevoli, per differenziare la produzione e raggiungere nuovi mercati. I primi reparti ad essere razionalizzati, sia attraverso l’introduzione di nuove macchine che tramite una radicale riprogettazione per ottimizzare l’impiego di manodopera e i tempi di lavorazione, furono i reparti calzaturiero e di Santa Maria309. Questi erano all’epoca le divisioni della Ursus Gomma che producevano i beni che garantivano la maggior parte del fatturato dell’impresa. Il reparto calzaturiero, il più importante sia in termini occupazionali che economici produceva i beni che aveva fatto conoscere la Ursus Gomma al grande pubblico. Il lavoro vi veniva svolto lungo delle ferrovie o catene di montaggio e vi erano prodotti anche altri tipi di calzatura in gomma come mocassini o calzature per bambini. Il reparto di Santa Maria si concentrava sulla lavorazione di beni 309 90 Ibidem, Relazione del Consiglio di Amministrazione al bilancio chiuso il 30 settembre 1961. in PVC sia per usi industriali come i salvaceppi310, che per usi civili, come le piastrelle per la pavimentazione vendute sotto il nome di Edafon (che erano un laminato di PVC puro311). Il reparti di Santa Maria all’inizio degli anni ’60 costituiva uno dei gioielli della Ursus Gomma sia per l’efficienza che per la modernità del macchinario impiegato. Nel 1962, per esempio, vi venne istallata una macchina Zimmer in grado di stampare il PVC a 12 colori312 che costituiva una novità per l’epoca e che era la seconda di quel tipo ad essere istallata in Italia313. Le tre principali nuove iniziative imprenditoriali intraprese dalla Ursus Gomma negli anni ’60 furono: 1) la produzione di barche a scopo turistico; 2) l’apertura di una filiale in Canada; 3) la costituzione di un ufficio studi per la progettazione di impianti su commissione. La Ursus Gomma iniziò la produzione di motoscafi nel 1962 con il fine di sfruttare le possibilità aperte dalla crescita dei segmenti alti del mercato turistico. I natanti rappresentavano, dal punto di vista merceologico, una novità perché precedentemente l’impresa si era dedicata principalmente alla fabbricazione in serie di beni di largo consumo e non di beni di lusso ad alto valore aggiunto. Dal punto di vista tecnico, invece, si trattava non di una novità ma dell’uso, in un diverso campo, delle competenze già acquisite dall’azienda nella lavorazione di resine in poliestere314. Il Consiglio di Amministrazione della Ursus Gomma dedicò molte energie e notevoli investimenti, sia industriali che pubblicitari, nella produzione di natanti in poliestere. A riprova di questo interesse vi è la decisione di affittare un nuovo stabilimento industriale a Garlasco315 da dedicare interamente alla produzione di natanti che poi venivano collaudati sul Ticino316. La seconda importante innovazione introdotta dalla nuova gestione della Ursus Gomma fu il potenziamento del settore commerciale dell’impresa attraverso la creazione di una filiale a Toronto in Canada sotto il nome di Canadian Ursus Rubber LDT317. L’apertura di una nuova filiale era motivata da una duplice ragione. Da un lato la necessità, per l’azienda, di rafforzare la propria posizione nei ricchi, ma molto concorrenziali mercati nordamericani, dall’altro la presenza in Canada di grossi interessi economici dell’Ing. Torello Puccini318, che quindi disponeva già di una rete di collaboratori. 310 Testimonianza di Roberto Pavesi del 20 maggio 2006. AA.VV., Ursus Gomma, Vigevano, 1965, p. 38. 312 Testimonianza di Roberto Pavesi del 20 maggio 2006 raccolta dall’autore. 313 Tribunale di Vigevano, Cancelleria del Lavoro, Registro società, Fasc. 1215, Relazione del Consiglio di Amministrazione al bilancio chiuso il 30 settembre 1962. 314 Ibidem. 315 AA.VV., Ursus Gomma, Vigevano, 1965, p. 9. 316 Testimonianza di Benito De Stefano del 30 novembre 2004 raccolta dall’autore. 317 AA.VV., Ursus Gomma, Vigevano, 1965, p. 10. 318 Testimonianza di Roberto Pavesi del 20 maggio 2006 raccolta dall’autore. 311 91 Ultima innovazione di rilievo operata dalla nuova gestione fu la creazione di un ufficio studi per la progettazione di impianti completi per la lavorazione della gomma che cominciò ad operare a partire dall’esercizio 1967-1968319 rivolgendosi principalmente a una clientela internazionale. Questa incursione nel settore della progettazione industriale e dei servizi per le imprese costituisce la migliore dimostrazione dell’alto livello tecnico e tecnologico raggiunto dalla Ursus Gomma, che ormai disponeva di personale sufficientemente preparato da poter esportare tecnologie all’estero. Il servizio offerto della Ursus Gomma era personalizzato perché, come si legge nelle relazioni del Consiglio di Amministrazione, l’impresa: […] sulla base delle necessità delle committenti estere, studia un particolare tipo di impianto ed assiste il cliente nella realizzazione tecnica. E’ appena il caso di accennare alla infinità di ostacoli da superare per le diverse condizioni di clima, dotazioni energetiche, acqua, ecc..320 Aprendo un servizio studi e progettazione per altre imprese, la Ursus Gomma non si limitava solo ad utilizzare in modo più razionale le risorse umane di cui disponeva, ma metteva anche a frutto il ricco patrimonio di disegni industriali e progetti accumulato nella sua più che trentennale attività. Solo per fare un esempio l’impresa progettò un impianto per la produzione di coperture a velo per cicli e motocicli in Turchia e lo dotò di circa un migliaio di stampi per la vulcanizzazione delle gomme321. 6) L’organizzazione della Ursus Gomma negli anni ‘60 Gli anni ’60 costituirono una sorta di “seconda giovinezza” per la società che raggiunse la piena maturità organizzativa e produttiva. In seguito non vennero apportate modifiche rilevanti al modello delineato, che in seguito, a partire degli anni ’70, venne gradatamente smantellato man mano che l’impresa si avvicinava al fallimento senza essere sostituito con un altro. Negli anni ’60, l’azienda non era più la maggiore impresa vigevanese in termini occupazionali come negli anni ‘30 e ’40, ma rimaneva comunque tra le più importanti aziende cittadine. Nel 1961 negli stabilimenti erano occupati con contratto a tempo indeterminato circa 600 persone322 a cui vanno aggiunti altri dipendenti che lavoravano solo per brevi periodi o a cottimo e qualche decina di commissionari di deposito che si occupavano della commercializzazione. Dunque una forza lavoro 319 Tribunale di Vigevano, Cancelleria del Lavoro, Registro società, Fasc. 1215, Relazione del Consiglio di Amministrazione al bilancio chiuso il 30 settembre 1968. 320 Ibidem. 321 Testimonianza di Pavesi Roberto del 20 maggio 2006 raccolta dall’autore. 322 Tribunale di Vigevano, Cancelleria del Lavoro, Registro società, Fasc. 1215, Relazione del Consiglio di Amministrazione al bilancio chiuso il 30 settembre 1961. 92 notevole concentrata nei tre stabilimenti di via San Giacomo, Santa Maria e di Garlasco323. Esattamente come negli anni ’30, al termine e all’inizio dei turni di lavoro via San Giacomo veniva invasa dalle biciclette degli operai che uscivano od arrivavano al lavoro324. Rispetto al periodo fascista i dipendenti non raggiungevano più le 1400 unità, ma la riduzione del numero di dipendenti era stato il risultato della meccanizzazione delle lavorazioni e quindi di un rafforzamento delle capacità produttive dell’impresa. Una forza lavoro di più di 600 unità costituiva comunque un’importante concentrazione occupazionale di rilevanza nazionale e tale da spiccare nettamente nel panorama produttivo vigevanese. Stando ai dati dei censimenti industriali il numero medio di addetti per impresa di Vigevano passò, dal 1961 al 1971, da 13,29 a 11,93 addetti per unità produttiva325. Per organizzare e disciplinare una così imponente forza lavoro la Ursus Gomma si dotò di un’organizzazione profondamente diversa da quella delle altre imprese cittadine. L’impresa creò una struttura aziendale articolate in 7 diverse divisioni (studi e ricerche, tecnico produzione, tecnico impianti, acquisti, vendite, amministrativo e personale) ognuna delle quali era preposta a una funzione differente. Ogni divisione operava separatamente ed era coordinata con le altre dalla Direzione generale direttamente subordinata al Consiglio di Amministrazione326. Questa particolare organizzazione, per altro tipica di un po’ tutte le grandi imprese degli anni ’50 e ’60, dava alla società un carattere manageriale che la distingueva fortemente dalla maggior parte delle aziende vigevanesi caratterizzate invece dalla presenza e dalla direzione del “padrone”. E’ importante notare come la Ursus Gomma acquisì uno spiccato carattere manageriale solo a partire dalla seconda metà degli anni ’50 con la crisi e il passaggio della proprietà alla famiglia Puccini. Nel periodo precedente nonostante l’impresa avesse un numero molto più elevato di dipendenti la presenza dei proprietari era sempre stata molto forte e continuativa. Questo differente atteggiamento dipendeva da molteplici fattori come le necessità organizzative dell’avviamento di una nuova attività imprenditoriale e le particolari mentalità imprenditoriali dei fondatori. Negli anni immediatamente successivi alla nascita della società, Pietro Bertolini era solito fare delle visite a sorpresa nel cuore della notte nello stabilimento di via San Giacomo, che lavoravo a ciclo continuo, allo scopo di controllare che tutto andasse bene327. Anche Rinaldo Masseroni, che pure non arrivava a questi estremi, seguiva molto da vicino la gestione dell’Ursus Gomma sia per motivi affettivi perché era 323 Lo stabilimento di Garlasco, che non era di proprietà dell’Ursus Gomma, ma affittato, venne chiuso già nel 1964 e la produzione di natanti trasferita nello stabilimento di via San Giacomo che venne arricchito di un nuovo capannone. Cfr. Tribunale di Vigevano, Cancelleria del Lavoro, Registro società, Fasc. 1215, Relazione del Consiglio di Amministrazione al bilancio chiuso il 30 settembre 1964. 324 Testimonianza di Roberto Scaglia del 1 luglio 2006 raccolta dall’autore. 325 Eleborazione sulla base dei dati del Centro di Informazione Statistica dell’ISTAT della Lombardia. 326 AA.VV., Ursus Gomma, Vigevano, 1965, p. 17. 327 Testimonianza di Roberto Pavesi del 20 maggio 2006 raccolta dall’autore. 93 stato una delle persone che più aveva contribuito alla nascita e al successo dell’impresa, sia perché questa costituiva la principale attività del suo patrimonio328. A partire dal periodo dell’Amministrazione controllata la presenza della proprietà all’interno dell’impresa diventa meno forte, senza particolari difficoltà per la Ursus Gomma che disponeva di manager e capireparto sufficientemente abili da gestire l’impresa. Con l’avvento della proprietà della famiglia Puccini tornò ad essere presente la figura del proprietario prima nella persona dell’Ing. Gino Puccini e successivamente in quella di suo figlio Torello. Ma la famiglia Puccini controllava un vero e proprio impero economico composto da imprese sparse per tutta Italia e con molteplici interessi all’estero di cui la Ursus Gomma era solo una parte329 e questo fatto costringeva i proprietari a dedicare molte energie altrove. Con questo non si vuole assolutamente dire che la Ursus Gomma venne abbandonata a se stessa, perché i Puccini fecero numerosi sforzi per rilanciare l’impresa e difenderne gli interessi. Non solo negli anni ’60, l’Ing. Torello Puccini venne molto spesso a Vigevano, dove disponeva di un appartamento in un condominio di proprietà della Ursus Gomma in via San Giacomo330 e si impegnò a fondo nella promozione dell’azienda e della città. Divenne infatti presidente della Mostra Mercato delle calzature di Vigevano l’ultimo anno che venne tenuta in città prima del trasferimento a Milano331 e ricoprì numerose cariche nell’ambito dell’Assogomma, l’associazione degli industriali del settore gomma. Dunque negli anni ’60 la Ursus Gomma era una grande impresa manageriale di rilevanza nazionale che competeva sui principali mercati mondiali grazie, come si direbbe oggi, alla qualità delle risorse umane di cui disponeva sia in campo amministrativo che in quello industriale. Tra i numerosi dipendenti della Ursus Gomma che meriterebbero qualche riga, si può ricordare la figura del Dr. Giuseppe Chiocca del laboratorio chimico332 per la particolare competenza e il ruolo che svolse come tecnico. Chimico industriale estremamente preparato, il Dr. Giuseppe Chiocca lavorava originariamente in un’impresa milanese che fallì all’inizio degli anni ’60 e venne quindi assunto alla Ursus Gomma. Nell’ambito dell’impresa aveva il compito di preparare e testare le ricette per la preparazione delle mescole di gomma da lavorare nei vari reparti333. Si trattava di un lavoro di estremamente importante non solo perché aveva la responsabilità della qualità e della resistenza dei materiali con cui venivano prodotti le principali merci immesse sul mercato, come gli stivali i giocattoli e le scarpe da tennis, ma anche perché la Ursus Gomma lavorava anche su ordinazione per altre imprese. Gli ordini contenevano le richiesta di articoli tecnici in gomma con 328 ASBI, Consorzio Sovvenzioni su Valori Industriali, Pavia, scaf. 8-st. 2, ripiano 6, nr ingr. arch. 2/14, mod. 22 del 17 dicembre 1946. 329 Testimonianza di Roberto Pavesi del 20 maggio 2006 raccolta dall’autore. 330 Ibidem. 331 L’Informatore Vigevanese, anno XXXIV, n. 29 di giovedì 20 luglio 1978. 332 AA.VV., Ursus Gomma, Vigevano, 1965, p. 20. 333 Testimonanza di Roberto Scaglia del 1 luglio 2006 raccolta dall’autore. 94 particolari caratteristiche di durezza, ed elasticità e il laboratorio chimico aveva la responsabilità di studiare e testare la ricetta più appropriata334. Inoltre il Dr. Giuseppe Chiocca apportò notevoli migliorie nelle mescole utilizzate per la produzione di stivali, che costituivano il core business della Ursus Gomma, e brevettò un nuovo modello di stivale335. Tra i dipendenti della Ursus Gomma gli agenti di vendita avevano uno statuto particolare e la responsabilità di vendere i beni prodotti nel mercato nazionale, mentre per il nordamerica la Canadian Ursus Rubber LDT aveva l’esclusiva e per tutti gli altri mercati le merci erano vendute sulla base di accordi con rivenditori locali. Gli agenti o commissari di vendita erano organizzati in sei diversi settori merceologici: calzature, articoli tecnici per applicazioni industriali, pavimenti, rivestimenti ed impiantistica industriale, velo ed articoli mare336. Ognuno di questi settori aveva un numero di agenti che andava da un minimo di uno per il settore velo a un massimo di più di venti per i settori calzature ed articoli mare337. Il differente numero di agenti per settore merceologico dipendeva da numerosi fattori come il volume della produzione di calzature e la necessità di seguire da vicino le principali località marittime per vendere i natanti per il settore articoli mare. L’organizzazione distributiva della Ursus Gomma permette di fare qualche riflessione sui principali mercati in cui l’impresa operava. Anche se conosciuta presso il grande pubblico soprattutto per le calzature in gomma e gli stivali, la società aveva molto diversificato la sua produzione e realizzava un frazione considerevole del suo fatturato lavorando su ordinazione per le principali imprese italiane. Tra i principali e più assidui clienti a metà degli anni ’60 figuravano la FIAT che ordinava numerosi articoli tecnici338 e altre imprese come la Plasmon che ordinava trafile da utilizzare per la produzione alimentare. La Ursus Gomma non si limitava alla produzione di componentistica su commissione, ma operava anche nel settore dei beni capitali e più precisamente nel settore dei rivestimenti industriali. Utilizzando la propria competenza nel settore della gomma e delle resine sintetiche la Ursus Gomma studiava e realizzava praticamente dei rivestimenti che dovevano proteggere i macchinari industriali sia dall’aggressione meccanica, come i salvaceppi in PVC, che da quella chimica a cui erano sottoposti durante le lavorazioni. In questo campo l’impresa era riuscita ad arrivare ad un ottimo livello tecnico e una buona reputazione presso le principali imprese italiane. Il reparto rivestimenti costituiva uno dei fiori all’occhiello della Ursus Gomma, come le relazioni del Consiglio di Amministrazione non mancavano di sottolineare, infatti: 334 Ibidem. Ibidem. 336 AA.VV., Ursus Gomma, Vigevano, 1965, p. 29. 337 Ibidem, p. 30. 338 Testimonianza di Benito De Stefani del 30 novembre 2004 raccolta dall’autore. 335 95 Abbiamo realizzato nel Reparto notevoli progressi tecnologici. Ricordiamo un tipo di cilindro per la Italsider resistente a 130°C, in un bagno di agenti chimici, e funzionale da mesi, dove il prodotto della concorrenza più grande in Italia era fuori uso dopo appena 15 giorni […]339. Inoltre, la Ursus Gomma produceva pavimentazioni di vario tipo e colore sia per i privati che per grandi committenti come la Italsider e le ferrovie statali340 che li utilizzarono per esempio nei lavori di ammodernamento della Stazione Centrale di Milano341. 7) Conclusioni Nel periodo 1954-1968 la Ursus Gomma si trasformò profondamente per dare risposte adeguate alla nuove sfide imprenditoriali e riuscì a superare una grave crisi industriale. In estrema sintesi se si confronta idealmente l’impresa del 1954 con quella del 1968 si possono notare due trasformazioni fondamentali. La prima è il salto di qualità compiuto da impresa di importanza nazionale nel settore gomma a impresa a produzioni diversificate in grado di competere a livello internazionale con le aziende dei paesi più sviluppati. Si trattò in gran parte di un passaggio obbligato imposto dalla nascita del Mercato Comune Europeo e dalla aumentata concorrenza di nuovi produttori di calzature nazionali. La seconda importante trasformazione riguardò il passaggio generazionale nell’ambito della proprietà tra la generazione formatosi nel periodo antecedente alla Prima Guerra Mondiale e quella formatosi nel periodo fascista. Pietro Bertolini, Rinaldo Masseroni e Gino Puccini avevano mosso i loro primi passi come imprenditori nel periodo liberale in cui la sfida centrale dell’economia italiana era creare, in modo pionieristico, una struttura industriale in un paese ancora agricolo. La generazione di Torello Puccini, invece, si era formata durante il ventennio totalitario della storia italiana caratterizzato dal dirigismo statale e dalla stretta compenetrazione tra potere economico e potere politico, con la prevalenza di quest’ultimo. Non solo, ma questa generazione, che arrivò ai posti di comando dell’economia in concomitanza con il boom economico si trovò a dover affrontare dei problemi diversi dalla precedente, non più la creazione di nuovi settori industriali, ma la gestione e il consolidamento di quelli già esistenti. Bibliografia 339 Tribunale di Vigevano, Cancelleria del Lavoro, Registro società, Fasc. 1215, Relazione del Consiglio di Amministrazione al bilancio chiuso il 30 settembre 1968. 340 Ibidem, Relazione del Consiglio di Amministrazione al bilancio chiuso il 30 settembre 1967. 341 Testimonanza di Roberto Scaglia del 1 luglio 2006 raccolta dall’autore. 96 AA.VV., Ursus Gomma, Vigevano, 1965 Associazione tra le Società per Azioni, Repertorio delle società italiane per azioni, Roma, 1970. Castronovo V., L’industria italiana dall’Ottocento a oggi, Mondadori, Milano, 1990 Centro di Documentazione sui rischi e i danni da lavoro, Le esposizioni occupazionali ad amianto presso lo stabilimento Adriano Cecchetti-SACMAC-SGI di Civitanova Marche MC nell’attività di costruzione, manutenzione, riparazione e demolizione di rotabili ferroviari, Rapporto Breve n° 48 bis-10 bis/2001, Azienda Sanitaria Unica Regionale, Regione Marche, 2001 Romeo R., Breve storia della grande industria in italia 1861/1961, Cappelli Editore, Bologna, 1974 97 98 Il declino e il fallimento (1969-1987) 1) Introduzione Gli anni ’70 furono un decennio di crisi e ristrutturazione industriale. Da un punto di vista monetario, il sistema di Bretton Woods basato su un cambio fisso tra oro e dollaro venne abolito dal presidente americano Nixon nel 1971 aprendo la via a un periodo di instabilità dei cambi tra le principali valute. Poco dopo esplose la prima crisi petrolifera che pose fine alla eccezionale crescita economica del Dopoguerra342, mostrando la vulnerabilità dei paesi industrializzati e dando inizio alla delocalizzazione in alcuni paesi del Terzo Mondo. Con gli anni ’80 cominciarono ad essere evidenti alcuni aspetti dei nuovi equilibri economici come la crescita dei mercati finanziari, la perdita di sovranità economica da parte della maggior parte dei paesi, le politiche neoliberiste di contenimento della spesa pubblica e l’ascesa delle “tigri asiatiche”. Nell’ambito di queste profonde trasformazioni economiche l’Italia scelse delle risposte in parte differenti da quelle degli altri paesi industrializzati. Questo diverso comportamento dipese da numerosi fattori tra cui si può ricordare l’insufficienza della programmazione pubblica, le minori dimensioni medie delle imprese italiane e la presenza di maggiori squilibri regionali. L’eccessiva concentrazione dell’apparato produttivo costituì un elemento fondamentale per comprendere la maggiore conflittualità sindacale del nostro paese rispetto ad altri similari, infatti: L’intensificazione dei ritmi di lavoro e lo sfruttamento dei differenziali salariali non furono gli unici motivi della riesplosione nel 1969 delle lotte operaie. Vi incorsero altre cause di varia natura: innanzitutto la nuova ondata di migrazioni verso il Nord, avvenuta in coincidenza della ripresa produttiva del 1965-68, che aggravò i problemi sociali delle grandi agglomerazioni urbane concentrate nel “triangolo industriale”343. Non bisogna dimenticare che il sistema industriale basato sulle catene di montaggio permetteva, in situazioni di piena o quasi occupazione, alle organizzazioni sindacali di avere un notevole potere contrattuale. In questo modo si venne a creare in Italia una vera e propria economia dell’inflazione in cui le organizzazioni sindacali ottenevano, grazie alla loro forza, aumenti retributivi a cui gli 342 343 Hobsbawn E. J., Il secolo breve, Rizzoli, Milano, 1996. Castronovo V., L’industria italiana dall’Ottocento a oggi, Mondadori, Milano, 1990, p. 305. 99 imprenditori rispondevano aumentando i prezzi. L’inflazione interna si sommava a quella esterna, importata in seguito agli shock petroliferi, creando una situazione di instabilità in cui i prezzi aumentavano con velocità differenti e ridefinivano gli equilibri tra i diversi settori e categorie sociali. In questa situazione, la piccola impresa italiana si trovò ad essere favorita rispetto alla grande perché meno rigida e caratterizzata da una minore presenza sindacale. Come è stato acutamente notato: In definitiva, il maggior fattore di crisi della grande industria consisteva nel declino del rapporto tra valore aggiunto e produzione lorda (somma del fatturato, variazione delle scorte e investimenti capitalizzati), che andava attribuito essenzialmente al peggioramento dei prezzi relativi delle imprese. Sia per il rincaro delle materie prime, sia per il basso livello della domanda, i prezzi dei prodotti finiti erano aumentati sensibilmente meno di quelli dei beni e dei servizi acquistati. In pratica molte imprese si erano trovate a vendere in un regime prevalentemente concorrenziali e ad acquistare invece nuovi beni e servizi (comprese le prestazioni di lavoro) in un regime prevalentemente monopolistico344. Negli anni ’70 e ’80 l’economia italiana fu caratterizzata dai due fenomeni, apparentemente separati ma in realtà complementari, dell’ascesa dei distretti industriali e dal declino della grande impresa. Fenomeni che, sia pure con modalità del tutto particolari, si manifestarono anche a Vigevano. In questo periodo la realtà cittadina fu caratterizzata da un impressionante sviluppo delle piccole e medie imprese specializzate nella produzione di macchine per le calzature. Se si considera l’insieme delle industrie, si poteva individuare un sistema integrato di piccole e medie unità produttive specializzate e correlate tra di loro che copriva ogni momento della lavorazione della scarpa dalla produzione del macchinario alle scatole per l’imballaggio. Un insieme così integrato che aveva la sua forza proprie nelle relazioni reciproche tra le singole unità. Per questo motivo, lo sviluppo del settore delle macchine utensili trascinava anche quello meccanico e delle macchine non utensili, che assumeva il ruolo di subfornitore in un processo che rafforza la specializzazione produttiva del settore, creando molteplici legami tra comparti che a un’analisi superficiale dei dati delle statistiche possono sembrare separati345. Contemporaneamente invece alcune grosse imprese cittadine, come la Ursus Gomma e le imprese del settore tessile, cominciarono ad attraversare un periodo di crisi che porterà molte di loro alla chiusura o a grossi ridimensionamenti. 344 345 Ibidem, p. 320. Garofoli G., L’industria in Lomellina. Tendenze e prospettive, Quaderno di Pavia economica, Pavia, 1985, p. 33. 100 2) I prodromi della crisi Nel corso degli anni 70, la Ursus Gomma cominciò progressivamente ad entrare in crisi, a perdere posizioni sui mercati interni ed internazionali a ridurre la forza lavoro e, un po’ per volta, a smobilitare i propri impianti. La trasformazione dell’impresa di successo degli anni ’60 nell’impresa decotta della fine degli anni ’70 fu un processo lento causato da numerosi fattori sia interni che esterni, anche perché il patrimonio di macchinari e di competenze accumulato nel corso degli anni non si poteva certo disperdere in poco tempo. Il periodo che va dal 1969 al 1973, venne caratterizzato dall’esplosione della conflittualità sindacale. In questa fase la Ursus Gomma, che non era ancora un’impresa in crisi, disponeva di ingenti mezzi finanziari, pagava puntualmente i dipendenti, i fornitori e non aveva particolari deficit di competitività rispetto ai concorrenti. Come in tutte le imprese normali, il Consiglio di Amministrazione si trovava di fronte a nuove sfide e nuove minacce. La principale fonte di preoccupazioni di questo periodo era costituita dall’affacciarsi sui principali mercati mondiali di nuovi ed agguerriti concorrenti. Infatti, come notavano gli amministratori nella loro relazione annuale: Le esportazioni preoccupano non poco l’azienda. I mercati stranieri sono invasi da prodotti dell’Est europeo ed asiatici a prezzi veramente incredibili. Malgrado tali difficoltà siamo riusciti ad avviare interessanti correnti di vendita in Francia, nel Regno Unito e nel Medio Oriente346. La continua comparsa di nuovi concorrenti non costituiva una minaccia e poteva essere contrastata con nuovi investimenti tesi alla riduzione dei costi, con una più attenta politica di valorizzazione del marchio e il miglioramento della rete distributiva. E queste erano appunto le politiche già messe in atto dalla Ursus Gomma nel corso degli anni ’60 per cui era sufficiente continuare sulla strada già tracciata, come in effetti venne fatto. Se mai il solo elemento che poteva destare qualche seria preoccupazione era dato dalla modesta redditività dell’impresa che, per di più, era tendenzialmente in diminuzione. Soprattutto gli utili non sembravano proporzionali all’importanza e al ruolo della Ursus Gomma; fatto di cui gli amministratori si lamentarono in più occasioni osservando, per esempio del 1966, come: L’utile netto dell’esercizio è di oltre £ 10.000.000, scarso se ragguagliato al capitale sociale di lire 270.000.000 ed al fatturato di £ 1.400.000 circa. Se si tiene presente, per altro che dal ricavo, ben 480 milioni sono andati al personale per paghe e contributi; £ 58 milioni sono stati erogati ai Commissionari ed Agenti; 45 milioni circa rappresentano il costo del personale amministrativo, balza evidente la insopprimibile funzione sociale dei Vostri complessi produttivi e della determinante che essi esercitano nel Vigevanese347. 346 Tribunale di Vigevano, Cancelleria del Lavoro, Registro società, Fasc. 1215, Relazione del Consiglio di Amministrazione al bilancio chiuso il 30 settembre 1968. 347 Ibidem, Relazione del Consiglio di Amministrazione al bilancio chiuso il 30 settembre 1966. 101 Nonostante le preoccupazioni che poteva suscitare, la scarsa redditività non era un problema nuovo per la Ursus Gomma e costituiva piuttosto un elemento di continuità con i tardi anni ’60. La vera novità che interessò l’impresa e con essa anche tutto il sistema produttivo italiano, fu costituita dall’esplosione della conflittualità sindacale a partire dall’autunno del 1969. La mobilitazione operaia mise in difficoltà l’impresa su più piani. Da un lato gli aumenti salariali comportarono un notevole aggravio di costi, dall’altro le vertenze, condotte spesso con lo strumento degli scioperi a singhiozzo, rallentarono la normale attività produttiva348. La conseguenza più importante del rinnovato potere sindacale all’interno dell’azienda non fu, però, né l’aumento dei costi né il rallentamento produttivo, ma l’apertura di una vera e propria crisi nelle relazioni industriali esistenti tra operai e proprietà. La famiglia Puccini, dopo aver acquisito il controllo della Ursus Gomma, aveva riorganizzato l’impresa secondo principi ispiratori diversi sia dall’etica del lavoro di stampo cattolico di Pietro Bertolini che dal paternalismo di origine fascista a cui i dipendenti erano abituati. Senza imporre rotture nette con il passato, la nuova proprietà si era mossa sulla base di una concezione che in qualche modo anticipava il moderno approccio degli stakeholder. Secondo questa visione il fine delle imprese non è semplicemente creare reddito per gli azionisti, ma per una cerchia più ampia di soggetti interessati all’impresa come i dipendenti, i fornitori, clienti che sono genericamente definiti stakeholder349. Nella concezione portata avanti della Ursus Gomma, il Consiglio di Amministrazione aveva il compito (e in ciò è ravvisabile il permanere di un certo paternalismo) di mediare e coordinare gli sforzi e gli interessi di tutti i soggetti che ruotavano attorno all’impresa. Questi principi non erano semplicemente buoni propositi, ma costituivano un dovere morale a cui il Consiglio di Amministrazione si considerava vincolato e che non mancava di sottolineare in ogni occasione. Si legge infatti nelle relazione annuali agli azionisti come: L’azienda si ripromette comunque il mantenimento di una non indifferente forza operaia, e soprattutto la garanzia della continuità del lavoro ai propri dipendenti. Ciò costituisce effettivamente quell’apporto di serenità nei lavoratori e nelle loro famiglie, che è foriero di disciplina e di produttività. Noi abbiamo sempre tenuto presente il compito morale e sociale dell’azienda, nei riguardi dei propri dipendenti350. 348 Testimonianza di Roberto Scaglia del 1 luglio 2006 raccolta dall’autore. Il primo studioso ad introdurre il concetto di stakeholder fu l’americano Edward Freeman nel suo libro Strategic Management: A Stakeholder Approach del 1984. Secondo l’autore americano, si definiscono stakeholder tutti i soggetti senza il cui supporto l’impresa non può vivere. Per continuare ad esistere le imprese devono venire incontro alle richieste di ogni stakeholder per evitare che abbandoni l’impresa e coordinarle tra di loro. In quanto luogo di mediazione dei bisogni e delle richieste di differenti soggetti, le imprese hanno delle responsabilità sociali sia sul piano economico che su quello etico. 350 Tribunale di Vigevano, Cancelleria del Lavoro, Registro società, Fasc. 1215, Relazione del Consiglio di Amministrazione al bilancio chiuso il 30 settembre 1962. 349 102 Il principale limite di questo approccio alle relazioni industriali era costituito dal fatto che se il Consiglio di Amministrazione aveva il dovere morale di pensare agli interessi dei vari stakeholder della Ursus Gomma, ogni ulteriore richiesta da parte di una controparte rischiava di turbare gli equilibri e gli scioperi dei dipendenti diventavano spiacevoli incidenti. E infatti, l’attività sindacale veniva interpretata del Consiglio di Amministrazione non come un aspetto della normale vita dell’azienda, ma come un turbamento del suo armonico svolgimento: All’inizio dell’anno economico, e più precisamente nei giorni 4-5-6 ottobre 1960, si è avuta una manifestazione di sciopero, voluta esclusivamente dalle organizzazioni sindacali locali, per una richiesta di revisione di salari. La questione è stata sanata con accordi soddisfacenti per le parti. Da allora un nuovo senso di disciplina e di fiducia anima operai e collaboratori in genere, nella visione più sicura dell’avvenire dell’azienda, legato intimamente alla serenità delle loro famiglie351. Se si fa un salto temporale in avanti di circa 10 anni si ha il quadro di una situazione profondamente cambiata in cui il rapporti tra operai e Consiglio di Amministrazione si sono profondamente modificati: Ormai è talmente radicata, nelle maestranze, la necessità della osservanza delle prescrizioni e degli ordini sindacali, che ogni pretesto, anche futile, infondato od estraneo al rapporto di lavoro, assunto dai sindacati per una qualsiasi azioni di protesta, viene pedissequamente accolto ed accettato dalla stragrande parte degli operai dell’Azienda. Ovviamente, a ciò opponendosi la legge, (vedi Statuto dei Lavoratori), l’Azienda nulla può fare per evitare danni conseguenti le azioni sindacali. […] Che fare? Soltanto una ragionevole opera di convincimento con la Commissione Interna al fine di dimostrare che la lotta contro il “sistema”, a meno di una rivoluzione si riduce ad una lotta contro la Azienda, cioè contro il loro posto di lavoro.352 Riconsiderando a distanza di più di tre decenni le vertenze sindacali della Ursus Gomma non c’è alcun elemento per ritenere che l’azienda fu interessata da una conflittualità sindacale interna superiore a quella di altre imprese di dimensioni similari. Inoltre, l’aumento degli oneri salariali dipese in gran parte dal rinnovo dei contratti nazionali dei lavoratori del settore gomma e quindi ebbe carattere esterno piuttosto che interno alla Ursus Gomma. Le stesse lotte operaie degli anni ’70 erano poi, in ultima analisi, solo l’elemento più appariscente del processo di avvicinamento del reddito medio italiano verso quello di paesi europei di similare livello di sviluppo ed erano quindi un processo per molti versi inevitabile e giustificato. Nondimeno il contrasto tra attivismo sindacale interno alla fabbrica e l’Ing. Torello Puccini è un elemento di grande importanza per capire gli ultimi anni di vita della società. Prima ancora che provocare un aumento degli oneri per l’impresa, la conflittualità sindacale aprì una crisi ideologica nell’impostazione che la nuova proprietà aveva dato alle relazioni industriali ed ebbe un notevole peso nella strategia imprenditoriale scelta per fronteggiare la crisi aziendale. 351 352 Ibidem, Relazione del Consiglio di Amministrazione al bilancio chiuso il 30 settembre 1961. Ibidem, Relazione del Consiglio di Amministrazione al bilancio chiuso il 30 settembre 1972. 103 3) La crisi Le prime serie difficoltà economiche della Ursus Gomma incominciarono nel 1973 in seguito alla prima crisi petrolifera che provocò una vera e propria recessione di dimensioni mondiali. L’azienda vigevanese fu colpita su tre piani differenti. Innanzitutto, l’aumento del prezzo del petrolio scombussolò completamente i mercati delle materie prime facendo fortemente aumentare il prezzo della gomma naturale353 che la Ursus Gomma utilizzava per la maggior parte delle sue lavorazioni354. Secondariamente, la recessione ridusse la domanda di stivali, scarpe da tennis e degli altri beni di consumo immessi sul mercato. Infine, ma non meno importante dato che la Ursus Gomma realizzava una parte considerevole del proprio fatturato lavorando su ordinazione per altre imprese, molti aziende clienti furono costrette dalla crisi a dilazionare i pagamenti o a ridurre gli ordini355. Come si può agevolmente vedere dalla tabella 5.1, la conseguenza della crisi generale dell’economica mondiale fu un sensibile aumento del passivo della Ursus Gomma, che non generava più utili dall’esercizio del 1970, ma le cui perdite erano rimaste, fino al 1973, contenute. Le ingenti perdite determinarono, ovviamente, l’inizio di una vera e propria crisi finanziaria proprio in occasione del rinnovo del contratto del settore gomma del 1973-74. La vertenza sindacale appesantì l’azienda nel breve periodo a causa delle perdite provocate dalle agitazioni sindacali che videro una forte partecipazione dei lavoratori dell’area vigevanese356. Nel lungo periodo, invece, gli aumenti salariali ottenuti dagli operai con la stipula del contratto dopo più di sei mesi di agitazioni357 costituirono un aumento permanente degli oneri per l’azienda. Come già osservato, le perturbazioni dei mercati delle materie prime e l’aumento del costo del lavoro furono elementi che interessarono l’intero sistema economico. Le grandi imprese italiane reagirono con le due strategie complementari del subappalto di parte della produzione verso piccole aziende e l’automazione del processo produttivo. 353 Ibidem, Relazione del Consiglio di Amministrazione al bilancio chiuso il 30 settembre 1974. Testimonianza di Roberto Scaglia del 1 luglio 2006 raccolta dall’autore. 355 Tribunale di Vigevano, Cancelleria del Lavoro, Registro società, Fasc. 1215, Relazione del Consiglio di Amministrazione al bilancio chiuso il 30 settembre 1974. 356 L’Informatore Vigevanese, anno XXX, n. 2 del 10 gennaio 1974, p.1. 357 Ibidem, anno XXX, n. 12 del 21 marzo 1974, p. 1. 354 104 Tabella 5.1 – Capitale e redditività della Ursus Gomma negli ultimi anni358. anno Capitale sociale Utile o perdita netta di esercizio 1969 270 4.154.200 1970 270 3.970.176 1971 270 - 2.653.217 1972 270 - 1.678.792 1973 414 - 4.656.992 1974 414 - 32.852.496 1975 550 - 99.686.714 1976 550 - 78.085.440 1977 550 - 60.883.010 1978 400 - 73.527.014 1979 400 - 84.032.489 1980 400 - 60.036.404 1981 200 - 30.874.048 1982 200 - 1.220.117.513 1983 200 - 1.371.821.122 1984 200 - 1.256.151.259 1985 200 - 2.268.556.163 1986 200 - 8.195.053.868 Entrambe le tattiche avevano il fine di ridurre il numero di lavoratori sindacalizzati utilizzati e di permettere una produzione più efficiente sia dal punto di vista industriale che da quello economico. Lo stesso Consiglio di Amministrazione della Ursus Gomma aveva già nel 1967 constatato la necessità di una radicale revisione degli impianti, osservando come: Fra qualche anno, forse già l’anno venturo stesso, dovrà esaminarsi la possibilità di introdurre nella azienda una programmazione integrata secondo i più moderni sistemi di oltre Atlantico, tipizzando maggiormente le produzioni in modo da produrre sempre con minor tempo e con minor spreco di materiale. Sono obbiettivi molto facili ad enunciarsi, ma difficili da realizzarsi tanto più che comportano un lavoro di equipe lontano anche dalla mentalità media del lavoratore italiano ed una budgettazione complessa e bisognevole, per l’espletamento, dello impiego di costosi impianti elettrici359. Con l’instabilità economica degli anni ’70 e il continuo progresso tecnologico, l’automazione della lavorazione di alcuni reparti (non di tutti perché molti erano ancora economicamente efficienti) divenne una necessità sempre più impellente. Sfortunatamente a causa della crisi finanziaria la Ursus Gomma non solo non disponeva di mezzi propri sufficienti, ma si era anche notevolmente esposta verso gli istituiti bancari. La soluzione alla situazione di crisi poteva essere solo una e venne indicata chiaramente dal Collegio Sindacale fin dal 1974: 358 Fonte: Tribunale di Vigevano, Cancelleria del Lavoro, Registro società, Fasc. 1215, bilanci societari, varie annate. Tribunale di Vigevano, Cancelleria del Lavoro, Registro società, Fasc. 1215, Relazione del Consiglio di Amministrazione al bilancio chiuso il 30 settembre 1967. 359 105 […] considerata la situazione aziendale tutt’ora difficile e le difficoltà di una rapida ripresa della redditività anche in conseguenza dei pesantissimi oneri finanziari, ritiene urgente che si provveda ad un adeguato aumento del Capitale mediante il versamento di capitale fresco da parte dei Soci e non con la semplice accessione di partite debitorie. Formalmente invita quindi gli Amministratori a convocare senza indugio l’Assemblea Straordinaria per un aumento di capitali in contanti […]360. Come evidenziato anche nella tabella 5.1, la Ursus Gomma attuò due importanti aumenti di capitale, che passò con l’Assemblea Straordinaria del 14 marzo 1973 da 270 a 414 milioni e con quella del 16 luglio 1974 da 414 a 550 milioni361. Purtroppo entrambi gli aumenti di capitale vennero effettuati attraverso rivalutazioni dei cespiti362, quindi con pure operazioni contabili, e non attraverso l’apporto di capitale fresco come richiesto dal Collegio Sindacale. In assenza di nuovi ed adeguati mezzi finanziari la crisi economica della Ursus Gomma non poteva che aggravarsi progressivamente e, quindi, rendere sempre più oneroso un eventuale intervento risanatore. La carenza di liquidità era già così grave nel 1974 che il rinnovo sindacale del settore gomma ebbe un primo inquietante strascico, in quanto si aprì una vertenza, con nuovi scioperi, tra i lavoratori e la Direzione per il pagamento dell’una tantum previsto dal contratto nazionale363. Con il progredire della crisi l’impresa si trovò sempre più nella situazione assolutamente patologica in cui gli operai dovevano “ricorrere a scioperi per ottenere il puntuale pagamento della retribuzione”364. Nella seconda metà degli anni ’70, la Ursus Gomma cominciò a non pagare o a pagare solo con estremo ritardo i contributi dei dipendenti, le bollette dell’Enel, le liquidazioni degli ex dipendenti e i fornitori365. L’impresa era tornata indietro di più di vent’anni alla crisi economica di metà degli anni ’50 con un notevole danno d’immagine perché la società era riuscita con gli anni a crearsi l’immagine di impresa solida e dotata di ingenti mezzi finanziari366. Nel disperato tentativo di reperire mezzi finanziari, il Consiglio di Amministrazione ipotecò pesantemente sia gli immobili di proprietà dell’azienda367 che il macchinario utilizzato per la produzione368. Spesso le ipoteche sugli impianti non venivano onorate e i beni erano venduti all’asta, dove erano in molti casi ricomprati dall’Ing. Torello Puccini369 in modo da rimanere comunque a sempre in azienda. 360 Ibidem, Relazione del Collegio Sindacale al bilancio chiuso al 30 settembre 1974. Tribunale di Vigevano, Cancelleria Civile, Sezione Fallimentare, Fascicolo Concordato Fallimentare Ursus Gomma, Relazione del Commissario Giudiziale. 362 Ibidem. 363 L’Informatore Vigevanese, anno XXX, n. 17 del 24 aprile 1974, p. 1. 364 Archivio Camera del Lavoro Pavia, fascicolo 3.1.13, Ursus Gomma crisi aziendale 78/79, Comunicato stampa del Consiglio di Fabbrica. 365 Ibidem. 366 Testimonianza di Roberto Pavesi del 20 maggio 2006 raccolta dall’autore. 367 Archivio Camera del Lavoro Pavia, fascicolo 3.1.13, Ursus Gomma crisi aziendale 78/79, foglio volante di appunti. 368 Testimonianza di Roberto Scaglia del 1 luglio 2006 raccolta dall’autore. 369 Testimonianza di Roberto Pavesi del 20 maggio 2006 raccolta dall’autore. 361 106 In una situazione simile il degrado aziendale era inevitabile e infatti cominciò ben presto a manifestarsi su molteplici piani. Da un punto di vista tecnologico, nonostante gli sforzi dei tecnici della Ursus Gomma, gli impianti cominciarono avere problemi tecnici dovuti all’usura370. Da un punto di vista merceologico alcuni beni prodotti, non più aggiornati, divennero progressivamente sempre meno richiesti. La progressiva perdita di quote di mercato non interessò tutte le merci prodotte nelle stesso modo. Gli stivali, vanto e orgoglio della Ursus Gomma, continuarono fino all’ultimo ad essere richiesti ed apprezzati nei principali mercati mondiali371. Le scarpe da tennis, per fare solo un esempio, invece divennero progressivamente superate sia dal punto di vista dei materiali con cui erano fatte che da quello del design rispetto ai nuovi modelli provenienti dagli Stati Uniti372. Il problema del ritardo rispetto ai produttori americani nel campo delle scarpe da tennis riguardò anche altri produttori italiani come la Superga, che però con opportune campagne pubblicitarie riusciva a difendere le sue quote di mercato373. A causa della crisi finanziaria non c’erano i capitali né per rinnovare il macchinario, né per aggiornare il design delle merci prodotte e neanche per fare le indispensabile campagne pubblicitarie. Su quest’ultimo punto è importante segnalare la decadenza della Ursus Gomma non solo rispetto agli anni ’50, qunando cui l’azienda poteva permettersi di ingaggiare personaggi della notorietà di Coppi374, ma anche rispetto agli stessi anni ’60. Infatti, nel libro fatto stampare dalla Ursus Gomma nel 1965 era contenuto un pezzo scritto da Luciano Bianciardi375 che oltre ad essere un importante scrittore è anche stato uno dei più importanti “persuasori occulti” pubblicitari degli anni del Boom economico. Ormai sempre più emarginata dai mercati sia nazionali che internazionali la società cominciò a ripiegare sempre più sulla domanda pubblica e, in particolare, alle forniture militari, anche se: Come è noto tali forniture vengono aggiudicate a seguito di severe e complesse gare; i prezzi sono notoriamente poco o per nulla remunerativi ed i pagamenti, ahimé, avvengono con estenuanti ritardi. Comunque tale indirizzo commerciale ha consentito alla fabbrica di lavorare a pieno ritmo con pochissimo ricorso alla cassa integrazione salari376. La partecipazione ad aste per forniture militari sia di calzature che di altri beni a più alto valore aggiunto come canotti e pontoni377 non costituiva una novità per l’impresa e anzi risaliva molto 370 Tribunale di Vigevano, Cancelleria del Lavoro, Registro società, Fasc. 1215, Relazione del Consiglio di Amministrazione al bilancio chiuso il 30 settembre 1977. 371 Testimonianza di Vittorio Lazzaroni dell’8 ottobre 2004 raccolta dall’autore. 372 Ibidem. 373 Testimonianza di Roberto Pavesi del 20 maggio 2006 raccolta dall’autore. 374 AA.VV., Ursus Gomma, Vigevano, 1965, p. 6. 375 Luciano Bianciardi, La Ursus Gomma e le scarpe da tennis, pp. 12-16, in AA.VV., Ursus Gomma, Vigevano, 1965. 376 Tribunale di Vigevano, Cancelleria del Lavoro, Registro società, Fasc. 1215, Relazione del Consiglio di Amministrazione al bilancio chiuso il 30 settembre 1978. 377 Testimonianza di Roberto Pavesi del 20 maggio 2006 raccolta dall’autore. 107 indietro nel tempo, almeno fin dagli anni delle guerra di Etiopia. Prima della fine degli anni ’70, però, non era mai stato un “indirizzo commerciale” prevalente, a parte per ovvi motivi gli anni della 2° Guerra Mondiale. In una situazione di crisi finanziaria, commerciale e di assenza di investimenti come quella appena descritta, la differenziazione produttiva e i livelli occupazionali degli anni ’60 erano ovviamente insostenibili. Un po’ per volta la Ursus Gomma venne smantellata attraverso la chiusura o la forte riduzione di alcuni reparti, i licenziamenti e la non sostituzione dei dipendenti che andavano in pensione. La smobilitazione della forza lavoro e della capacità produttiva della fabbrica venne effettuata un po’ per volta, in assenza di un credibile piano di rilancio, e guardando sia alla riduzione degli oneri che alla chiusura dei reparti più sindacalizzati378. Non è un caso che la prima grossa riduzione di organico di cui si ha notizia avvenne proprio nel 1974 dopo la vertenza per il rinnovo del contratto nazionale del settore gomma e gli scioperi aziendali per ottenere il pagamento dell’una tantum ottenuta. Nel novembre del 1974, la Direzione annunciò l’intenzione di licenziare 80 operai e 10 impiegati dello stabilimento di via San Giacomo aprendo una nuova vertenza. Alla fine le parti raggiunsero un accordo che sostituiva i licenziamenti con la cassa integrazione a zero ore379, una leggera riduzione dei tagli e in base al quale la Ursus Gomma annunciava l’intenzione di: […] chiudere il reparto articoli sportivi (c’erano 32 addetti); dimezzare (da 61 a 32) gli occupati del reparto scarpe e ridurre l’organico in quello mescolanze (da 21 a 18), dei trafilati (da 9 a 5), delle stamperie (da 40 a 31), così dicasi per l’impermeabilatura (da 7 a 4) e nei servizi (elettricisti, meccanici e così via da 33 a 28)380. La storia della Ursus Gomma della seconda metà degli anni ’70 è in gran parte una storia di riduzioni di personale e problemi finanziari ogni tanto interrotti da commesse che costituivano boccate di ossigeno. Nonostante qualche momento positivo le difficoltà erano sempre più gravi anche dal punto simbolico. Proprio nel 1979, dopo 40 anni di attività spesso all’avanguardia, venne chiuso lo stabilimento di via Santa Maria381, interrompendo la produzione di pavimenti e di rivestimenti in plastica e trasferendo le residue produzioni ancora economicamente vantaggiose nella fabbrica di via San Giacomo382. 378 Testimonianza di Benito De Stefani del 30 novembre 2004 raccolta dall’autore. L’Informatore Vigevanese, anno XXX, n. 41 del 21 novembre 1974. 380 Ibidem. 381 Testimonianza di Roberto Pavesi del 20 maggio 2006 raccolta dall’autore. 382 Tribunale di Vigevano, Cancelleria del Lavoro, Registro società, Fasc. 1215, Relazione del Consiglio di Amministrazione al bilancio chiuso il 30 settembre 1980. 379 108 4) La chiusura In ultima analisi la causa della chiusura della Ursus Gomma fu costituita dalla mancanza di investimenti adeguati a superare un periodo caratterizzato da crescenti oneri del lavoro, crisi finanziaria e parziale invecchiamento degli impianti. Gli azionisti preferirono non contribuire con adeguati capitali per fronte a una situazione che divenne progressivamente più grave e quindi di sempre più onerosa soluzione. Questo non interesse ad investire, che poi fu in gran parte una decisione del principale azionista l’Ing. Torello Puccini, merita di essere discusso brevemente. Per far superare alla Ursus Gomma il momento di difficoltà dell’inizio degli anni ’70 non sarebbe bastato un semplice aumento di capitale, ma una strategia ben articolata. Un progetto industriale che analizzasse in profondità la fabbrica dagli impianti alla rete distributiva passando per le mentalità e le competenze dei dipendenti. Bisognava decidere se puntare su una maggiore diversificazione produttiva, oppure se abbandonare alcune produzioni per concentrare le energie residue sulle altre, per esempio la produzione di natanti era stato un successo dal punto di vista tecnico, ma non da quello della redditività. Bisognava decidere come riorganizzare le competenze dei dipendenti, quali reparti avevano un macchinario adeguato e quali era opportuno automatizzare, risincronizzare i tempi di produzione ecc. Preparare un piano strategico di questo tipo non era facile dal punto di vista tecnico, richiedeva un forte impegno ed era sia estremamente costoso che estremamente rischioso. Costoso perché richiedeva un grosso aumento di capitale da parte degli azionisti, probabilmente maggiore di tutti i profitti distribuiti dalla Ursus Gomma a partire dalla sua ricostruzione del 1959. Utili che, non dimentichiamo, erano serviti in parte a ripagare le somme investite per l’acquisizione e il risanamento dell’impresa da parte del gruppo italo-svizzero controllato dalla famiglia Puccini. Rischioso perché gli investimenti contengono sempre una componente aleatoria, ovvero il rischio di non essere remunerati, che a ridosso della prima crisi petrolifera era estremamente elevata. La percezione del rischio da parte degli imprenditori è, infine, estremamente soggettiva e, pur tenendo conto di elementi razionali, si basa anche su impressioni e stati d’animo molto volatili. Se si limita l’analisi alla sola Ursus Gomma, si può dire che essa alla metà degli anni ’70 poteva vantare ancora molteplici punti di forza e infatti il Collegio Sindacale era ottimista e osservava come nonostante le già evidenti difficoltà: […] in considerazione peraltro della validità ed importanza dell’Azienda, nella sua struttura operativa, nella sostanziale bontà dei suoi prodotti e nella sua ottima introduzione sul mercato, sembra quanto mai consigliabile ogni sforzo di rifinanziamento che senza altro dovrebbe dare la possibilità di superare le avversità del momento e di puntare verso sicuri miglioramenti economici e finanziari383. 383 Ibidem, Relazione del Consiglio Sindacale al bilancio chiuso il 30 settembre 1975. 109 Oltre al prestigio del marchio e alla bontà dei prodotti si deve anche aggiungere la qualità del capitale umano posseduto dall’azienda. I principali punti di debolezza consistevano invece nella consistenza degli investimenti necessari per il risanamento e nell’incertezza della congiuntura economica. Il discorso non può essere limitato alla sola Ursus Gomma, perché l’Ing. Torello Puccini aveva molteplici interessi in grosse attività economiche sia in Italia che all’estero384. Limitando l’analisi solo al nostro paese, lo troviamo all’inizio degli anni ’70 nel consiglio di amministrazione di tre importanti imprese. Infatti, nel 1973 l’Ing. Torello Puccini era amministratore delegato non solo della Ursus Gomma, ma anche della Società Gestioni Industriali di Civitanova Marche ed era presidente dell’Impresa Costruzione Puccini Ing. di Roma385. Non solo, ma nella seconda metà degli anni ’70 anche la Società Gestioni Industriali attraversò un periodo di forti difficoltà finanziarie che spinsero poi l’Ing. Torello Puccini a deciderne la cessione386. Una molteplicità di interessi e di problemi di allocazione di risorse finanziarie di cui la Ursus Gomma era solo un aspetto che veniva inquadrato in una strategia più ampia. In estrema sintesi l’Ing. Torello Puccini non aveva bisogno dell’impresa vigevanese perché aveva numerose altre attività economiche387, mentre non era vero il contrario. In questa ottica, l’impresa finché fu in grado di fare profitti autonomamente fu sostenuta ed aiutata, poi quando cominciò ad entrare in crisi finanziaria diventò un peso che richiedeva investimenti eccessivi. Dal punto di vista dell’Ing. Torello Puccini l’impresa divenne, probabilmente, solo una fonte di preoccupazioni per il suo pessimo andamento economico, le difficoltà delle relazioni con il sindacato e i guai giudiziari che portò al suo principale azionista388. Per questi motivi, e probabilmente anche per altri che dopo tutti questi anni sfuggono, l’Ing. Torello Puccini non ritenne opportuno ed economicamente conveniente fare nuovi e consistenti investimenti nella Ursus Gomma. In questo modo l’impresa venne condannata a un lento processo di degrado che tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80 cominciò ad accelerare sempre più. Nel 1981, la Ursus Gomma era ormai un’impresa decotta ed altamente indebitata. Tutte le attività produttive venivano ormai svolte nel solo stabilimenti di via San Giacomo, che ormai era occupato solo parzialmente lasciando una 384 Testimonianza di Roberto Pavesi del 20 maggio 2006. AA.VV., Il chi è? Nella finanza italiana, Nuova Mercurio S.p.A. Casa Editrice, Como, 1973, p. 1090. 386 Centro di Documentazione sui rischi e i danni da lavoro, Le esposizioni occupazionali ad amianto presso lo stabilimento Adriano Cecchetti-SACMAC-SGI di Civitanova Marche MC nell’attività di costruzione, manutenzione, riparazione e demolizione di rotabili ferroviari, Rapporto Breve n° 48 bis-10 bis/2001, Azienda Sanitaria Unica Regionale, Regione Marche, 2001, p. 3. 387 Su questo punto le testimonianze di Roberto Pavesi, Benito De Stefani e Roberto Scaglia sono sostanzialmente unanimi. 388 Nel 1982 Torello Puccini fu condannato dal Tribunale di Vigevano al pagamento di una multa per non aver non versato al fisco le imposto sul reddito delle persone fisiche trattenute sulle buste paga dei dipendenti Ursus Gomma nel periodo 1977-1980. Cfr. L’Informatore Vigevanese, anno XXXVIII, n. 20 del 20 maggio 1982. 385 110 parte dei capannoni vuoti389. Il degrado economico era così avanzato che non solo lo stabilimento era troppo grande per le necessità della Ursus Gomma, ma anche il portafoglio ordini era diventato eccessivamente esiguo rispetto alle dimensioni degli impianti rimasti390. Nel 1981 l’impresa raggiunse il punto di non ritorno in quanto l’insieme complessivo delle passività superò il valore complessivo di tutti gli asset posseduti e l’ulteriore posticipazione della messa in liquidazione della società non fece altro che accumulare perdite miliardarie a tutto danno dei creditori391. Con il 1981 cominciò anche l’ultima vertenza sindacale della storia dell’aziendaperché l’impresa non era più in grado di pagare regolarmente gli stipendi ai propri dipendenti392. I rappresentanti sindacali chiesero ed ottennero, andando a contrattare a Roma presso il Ministero del Lavoro, la cassa integrazione per i dipendenti, soprattutto per le famiglie in cui l’unico reddito proveniva dal lavoro dipendente presso la Ursus Gomma393. Inoltre, venne fatto un ultimo tentativo di salvataggio dell’impresa proponendo di chiudere tutti i reparti tranne quelli indispensabili per la produzione di stivali, ma anche questo tentativo si rivelò inutile e impossibile394 e la messa in liquidazione dell’impresa divenne inevitabile. Con l’arresto dell’attività produttiva, nel novembre del 1982395, la residua forza lavoro, meno di trecento persone, fu smobilitata. Dato che la crisi durava ormai da molti anni, l’età media degli ultimi dipendenti rimasti era abbastanza elevata per cui molti poterono andare direttamente in pensione396. Coloro che non avevano ancora maturato l’anzianità necessaria non ebbero seri problemi a trovare nuovi lavori, perché all’epoca l’economia locale offriva ancora numerose possibilità397. Infine, alcuni tecnici misero a frutto l’esperienza acquisita dentro la Ursus Gomma per aprire nuove imprese, esattamente come avevano fatto altri ex-dipendenti nei decenni precedenti398. Il non facile compito di portare a termine la procedura di liquidazione venne affidato alla persona di Giuseppe Dragonetti399 che tra le altre cose cercò di arrivare a un concordato preventivo con i creditori che però rifiutarono. In seguito a questa decisione, il Tribunale di Vigevano con sentenza 389 Testimonianza di Vittorio Lazzaroni del 8 ottobre 2004. Tribunale di Vigevano, Cancelleria del Lavoro, Registro società, Fasc. 1215, Relazione del Consiglio di Amministrazione al bilancio chiuso il 30 settembre 1982. 391 Tribunale di Vigevano, Cancelleria Civile, Sezione Fallimentare, Fascicolo Concordato Fallimentare Ursus Gomma, Relazione del Commissario Giudiziale. 392 Testimonianza di Vittorio Lazzaroni del 8 ottobre 2004 raccolta dall’autore. 393 Ibidem. 394 Ibidem. 395 Testimonianza di Roberto Pavesi del 20 maggio 2006 raccolta dall’autore. 396 Testimonianza di Vittorio Lazzaroni del 8 ottobre 2004 raccolta dall’autore. 397 Ibidem. 398 Testimonianza di Roberto Pavesi del 20 maggio 2006 raccolta dall’autore. 399 Tribunale di Vigevano, Cancelleria Civile, Sezione Fallimentare, Fascicolo Concordato Fallimentare Ursus Gomma, Relazione del Commissario Giudiziale 390 111 del 28 aprile 1987 dichiarò il fallimento della Ursus Gomma Nuova S.p.A. ponendo fine all’esistenza giuridica dell’impresa400. Negli anni seguenti la vicenda Ursus ebbe ancora qualche strascico con la vendita all’asta dell’immobile di via San Giacomo che, acquistato dal comune di Vigevano, permise di versare le somme dovute a una parte dei creditori tra cui gli ex-dipendenti, ma non all’INPS lasciando una perdita a carico della collettività. Infine, i dibattiti in città sulla destinazione della vecchia fabbrica di cui alla fine venne deciso il recupero con il riutilizzo a scopo abitativo e come sede di servizi ed uffici pubblici, ma questo riguarda più che la vicenda dell’impresa industriale Ursus Gomma. 5) Conclusioni La storia dell’impresa fondata da Pietro Bertolini, Pietro Magnoni e Rinaldo Masseroni coprì un arco temporale che va dal 1931 al 1987 attraversando una guerra mondiale, profonde trasformazioni sociali ed economiche. Un periodo poco più breve di una normale vita e pari a circa due generazioni umane. Esattamente come un organismo vivente l’esistenza dell’impresa si sviluppò attraverso diverse fasi: la giovinezza, la maturità e la senilità. La prima fase, la giovinezza nel nostro paragone, fu l’età dei fondatori, Pietro Bertolini, Rinaldo Masseroni e Pietro Magnoni. In questi anni la città di Vigevano fu interessata dalla nascita e dal rapidissimo sviluppo di un nuovo settore gomma-calzaturiero caratterizzato dalla presenza di grandi imprese che organizzavano consistenti masse operaie nei loro dopolavoro. La Ursus Gomma partecipò da protagonista alla costruzione di questo nuovo settore e si caratterizzò per le dimensioni e, soprattutto, per spirito innovativo e aperto alla sperimentazione di nuovi materiali come il PVC. La maturità invece corrisponde agli anni ’50 e ’60, ovvero al delicato momento del passaggio nei posti di comando dell’economia dalla generazione nata durante il periodo liberale e quella nata durante il periodo fascista. Durante questa seconda fase della sua esistenza, la Ursus Gomma attraversò una grave crisi, ma riuscì a rinnovarsi e a partecipare al Boom economico, differenziando le sue produzioni e conservando le posizioni di primato e di eccellenza conquistate in precedenza. L’ultima fase della Ursus Gomma, la senilità, copre gli anni ’70 e ’80 caratterizzati dalla conflittualità sindacale, dalla mancanza di nuovi ed indispensabili investimenti e dalla progressiva decadenza. 400 Archivio Camera di Commercio di Pavia, Registro imprese, fasc. 24351, Denuncia di Cessazione del 22 giugno 1987. 112 Un bilancio della vicenda della Ursus Gomma non può trascurare il fatto che essa costituì senza dubbi la maggiore impresa vigevanese del Novecento sia dal punto di vista dei capitali investiti che da quello delle capacità tecnologiche e del livello dei suoi tecnici. Ma la vicenda dell’ azienda andò molto al di là dei soli aspetti economici ed industriali, perché durante i 56 anni della sua esistenza fornì sostentamento a migliaia di dipendenti, che costituirono a tutti gli effetti una comunità. La storia di questo piccolo mondo e delle sue relazioni con la città rappresenta senza dubbio un importante capitolo della storia sociale vigevanese del Novecento con molteplici aspetti che vanno dai progetti di edilizia popolare di Pietro Bertolini, alla Cooperativa Operai Ursus passando per la Resistenza e l’attivismo sindacale. Un ultimo aspetto su cui è interessante soffermare l’attenzione riguarda la vicenda della grande impresa e del settore gomma nato negli anni ’30. Oggi non si può fare a meno di notare come praticamente tutte le grandi imprese vigevanesi, dal tessile al calzaturiero, sono state esperienze importanti e per molti aspetti gloriose ma ormai terminate. Allo stesso modo il settore gomma degli anni ’30, che fu molto forte sia dal punto di vista della manodopera occupata che delle capacità industriali, oggi non esiste più e tutte le imprese che lo componevano, da Mainardi alla Ursus Gomma, hanno dovuto per un motivo o per l’altro chiudere. Contemporaneamente le piccole e medie imprese del settore calzature di cuoio e, poi, macchine per calzature sono riuscite a dare a Vigevano un’impronta industriale che perdura ancora oggi nonostante la grave crisi degli ultimi anni. La vicenda della Ursus Gomma appartiene a una pagina di storia industriale, locale e nazionale, ormai conclusa anche se di grande interesse storico, ma può anche costituire uno spunto per aprire una riflessione sui processi storici ed economci che hanno portato ai problemi industriali dell’attualità. Bibliografia AA.VV., Il chi è? Nella finanza italiana, Nuova Mercurio S.p.A. Casa Editrice, Como, 1973. AA.VV., Ursus Gomma, Vigevano, 1965 Castronovo V., L’industria italiana dall’Ottocento a oggi, Mondadori, Milano, 1990; 113 Centro di Documentazione sui rischi e i danni da lavoro, Le esposizioni occupazionali ad amianto presso lo stabilimento Adriano Cecchetti-SACMAC-SGI di Civitanova Marche MC nell’attività di costruzione, manutenzione, riparazione e demolizione di rotabili ferroviari, Rapporto Breve n° 48 bis-10 bis/2001, Azienda Sanitaria Unica Regionale, Regione Marche, 2001; Garofoli G., L’industria in Lomellina. Tendenze e prospettive, Quaderno di Pavia economica, Pavia, 1985; Hobsbawn E. J., Il secolo breve, Rizzoli, Milano, 1996. Elenco abbreviazioni: Archivio Camera del Lavoro di Pavia: Arch. C.d.L. Pavia Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Industria e dell’Artigianato: ACS, Min Ind Archivio Storico Banca d’Italia: ASBI Archivio Storico Civico di Vigevano: ASCV 114