Sarah che ama il giardino

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Sarah che ama il giardino
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16-05-2014
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SALUTE SENO
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∙ D Attualità Sarah che ama il giardino ∙ Sarah che ama il giardino Per il festival Fotografia Europea, una mostra svela il lato più emozionante e metafisico della Moon: divenuta celebre per le sue visioni della moda, qui affascinata dalla storia naturale. Intervista GUARDA LE IMMAGINI Ritaglio stampa ad uso esclusivo del destinatario, non riproducibile.
Fotografia Europea
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Il tempo si è fermato, nel giardino di Sarah Moon. Il gabbiano sta sospeso in un eterno battito d'ali, la cavalla bianca è scolpita nel marmo, gli alberi continuano a ballare la stessa danza contro il cielo grigio. Nell'immaginifica anarchia di uno sguardo capace di fotografare in versi, le linee e le forme si confondono. Animali e vegetali sono, per una fotografa che non è nuova alle esplorazioni tassidermiche, "metafora dell'umano". "La fotografia è tassidermia per sua natura", dice Moon, "perché l'istante muore nel momento in cui lo catturi. E quello che ti resta è il ricordo di qualcosa che è stato vivo". È per questo 078169
DI IRENE ALISON, FOTO DI SARAH MOON
D.REPUBBLICA.IT (WEB)
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16-05-2014
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FESTIVAL
· FOTOGRAFIA
· INTERVISTE
(16 maggio 2014)Riproduzione riservata Condividi questo articolo Lascia un commento Ritaglio stampa ad uso esclusivo del destinatario, non riproducibile.
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che il suo sguardo ­ divenuto celebre per la capacità di raccontare la moda, superandone i confini attraverso immagini sfumate e animate da un'inquietudine sensuale ­ ama soffermarsi sul mondo naturale e minerale. È il territorio in cui si muove "Alchimie", la mostra a cura di Laura Serani, che il festival Fotografia Europea di Reggio Emilia dedica alla fotografa francese (dal 2 maggio al 15 giugno, Chiostro di San Pietro), proponendo un itinerario tra i suoi scatti realizzati in circhi, zoo e musei. Nata su commissione del Museo Francese di Storia Naturale, l'esposizione (e il catalogo che la accompagna, Contrasto) fa dialogare le immagini scattate tra il 1989 e il 2012 in Europa e Cina con quelle prodotte nel 2013 al Jardin des Plantes di Parigi, su incarico del museo. GUARDA LE GALLERY 1 | 2 "Sono grata al Museo per avermi aperto le porte di questo giardino, che ho sempre amato", spiega Moon, nella città emiliana per seguire l'allestimento della mostra. Ma questa fascinazione, assicura la fotografa a cui il festival ha affidato anche la realizzazione di Journal de Voyage, un diario illustrato sui reperti della sezione di storia naturale dei Musei Civici di Reggio Emilia, non contraddice il suo interesse per gli esseri umani. Le donne, la moda: "Continuerà a interessarmi finché mi darà la possibilità di esprimere anche qualcos'altro. Mi piacciono le linee, i tessuti, i colori degli abiti, ma più di tutto il loro potere evocativo: come permettono alle donne di creare delle storie". Continua: "Scelgo le modelle come un regista sceglierebbe un'attrice, perché è a loro che spetta il compito di raccontare. E, quando lavoro, chiedo loro di abbandonarsi, lasciarsi stupire dall'inatteso". Inattesi sono anche gli snodi decisivi della sua lunga carriera, cominciata negli anni 60 (quando cambia il suo nome, da Marielle Hadengue a Sarah Moon), dopo gli inizi da modella e gli studi di disegno, proseguita anche grazie a incontri fortunati, come con l'assistente Mike Yavel o l'editore Robert Delpire, tra i primi a darle fiducia. Sul confine misterioso dell'inconscio, Moon si muove in bilico tra desiderio, evocazione e memoria: "Non potrei mai fotografare la realtà, perché mi sento libera solo quando mostro le mie emozioni". Questa forma di pudore, così rara per chi proietta il proprio punto di vista sul mondo attraverso l'obbiettivo, e così consapevole della spietatezza insita nell'atto di fotografare ("Non potrei mai uscire in strada e scattare: sarei incapace di riprendere qualcuno senza il suo consenso"), l'ha sempre tenuta lontana dalla documentazione, per avvicinarla alla creazione. Ma se le si chiede se ha mai sentito questo stile, così riconoscibile e imitato, come una prigione, lei risponde citando Victor Hugo: "La forma è il fondo che sale in superficie. Sono consapevole delle trappole che lo stile contiene: bisogna trovare la propria voce, il proprio sguardo più autentico, senza copiare se stessi". Nel suo sguardo risuonano echi compositi ed eterogenei: i fotografi che l'hanno ispirata (Robert Frank e Diane Arbus, poi Guy Bordin, Julia Margaret Cameron, Adolph de Meyer), i film dell'espressionismo tedesco, la pittura. Ma è la vita che più di tutto ha contribuito ad affinare la sua visione: "Credo che sia stata influenzata sia da ciò che non volevo, sia da ciò che volevo: col tempo ho sentito il bisogno di dire di più facendo meno. Trovare l'essenziale, per me, significa far emergere da una forma l'intima sostanza che racchiude. Una fotografia, che piaccia o che disturbi, deve saper tradurre una visione dell'anima". IL FESTIVAL Venti mostre ufficiali, 100 appuntamenti (tra conferenze, workshop, seminari) e una media di 18mila visitatori in sei settimane di apertura (fino al 15 giugno), Fotografia Europea, festival che ogni anno porta a Reggio Emilia alcune delle proposte più interessanti del panorama internazionale, giunge quest'anno alla nona edizione. Tra le proposte in programma, la mostra Divine Violence di Adam Broomberg e Oliver Chanarin e la grande esposizione Pensare per immagini, viaggio sulle rotte fotografiche dell'universo poetico di Luigi Ghirri. Per il progetto HOST, si accendono i riflettori sulla celebre agenzia Magnum: dalla retrospettiva dedicata a Herbert List alla collettiva No Place Like Home, dai workshop fino ai "pranzi d'autore" con Olivia Arthur, Antoine D'Agata, Alex Majoli e Moises Saman. Ma incontri e visioni non si fermano al circuito ufficiale: con il suo network OFF, il festival arriva a toccare 300 sedi diverse con mostre autogestite e autofinanziate, portando la fotografia in bar, librerie, negozi, strade e cortili. FINO AL 10 GIUGNO