Agatha Raisin guidava lentamente verso il villaggio di Carsely, al

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Agatha Raisin guidava lentamente verso il villaggio di Carsely, al
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Estratto da
M.C. Beaton, Agatha Raisin e la giardiniera invasata
Titolo originale dell’opera
Agatha Raisin and the Potted Gardener
Traduzione dall’inglese
di Marina Morpurgo
© 1994, 2010 M.C. Beaton
© 2011 astoria srl
via Aristide De Togni 7 – 20123 Milano
Prima edizione: ottobre 2011
ISBN 978-88-96919-14-9
Progetto grafico: zevilhéritier
www.astoriaedizioni.it
Agatha Raisin guidava lentamente verso il villaggio di
Carsely, al ritorno da una lunga vacanza, quando ormai
l’inverno mite e piovoso cedeva il passo alla primavera. Si
era autoconvinta di essersi divertita un sacco, lontana da
quel mortorio. Era stata a New York, poi alle Bermude e
poi a Montréal, e da qui dritta a Parigi per visitare in seguito
l’Italia, la Grecia e la Turchia. Pur essendo benestante, non
era abituata a spendere tutti quei soldi per sé, e si sentiva vagamente in colpa. In passato aveva partecipato quasi sempre a viaggi di gruppo, costosissimi e organizzati. Questa
volta era partita da sola. Carsely l’aveva resa fiduciosa nelle
sue capacità di farsi degli amici, almeno così aveva creduto, ma poi le settimane erano trascorse come in un filmino
sfuocato, tra stanze d’albergo e cocciute incursioni solitarie
nei luoghi turistici.
Ma non avrebbe mai ammesso di aver sofferto di solitudine, come non avrebbe mai ammesso che la sua assenza prolungata avesse qualcosa a che fare con il suo vicino, James
Lacey.
Al termine di quello che lei considerava amorevolmente
come “il mio ultimo caso” aveva alzato un po’ troppo il go1
mito al pub, in compagnia di una delle signore del villaggio,
e tornando a casa aveva fatto un gestaccio villano a James,
uscito in quel momento dal suo cottage.
L’indomani, sobria e piena di rimorsi, era andata a porgere le sue scuse a quello scapolo aitante, e le scuse erano
state accettate in silenzio. Ma l’amicizia si era intiepidita, riducendosi a un rapporto cortese e formale tra vicini di casa.
Lui scambiava due parole con lei se per caso s’incontravano
al pub o in un negozio, ma non veniva più a bere il caffè
e quando la vedeva arrivare lungo la stradina smetteva di
fare giardinaggio e si rituffava in casa. E così Agatha aveva
portato all’estero il suo cuore infranto. Lontana da Carsely
e dalla dolce influenza che il villaggio esercitava su di lei,
era tornata a essere quella di un tempo, ovvero scorbutica,
aggressiva e sputasentenze. I suoi gatti erano in una cesta
sul sedile posteriore. Lungo la strada era passata a riprenderseli dalla pensione per felini. Sebbene fosse ancora sposata, anche se non vedeva suo marito da anni, non avendone peraltro nessuna voglia, al punto di essersi praticamente
dimenticata della sua esistenza, si sentiva proprio la zitella
del villaggio, con i gatti e tutto il resto.
Le case di Carsely riposavano placide nella luce pallida
del sole. Dai camini salivano volute di fumo. L’auto imboccò l’irregolare strada principale, che costituiva più o meno
l’intero villaggio, con l’eccezione di qualche viottolo laterale e di un quartiere di case popolari nei sobborghi, e poi
svoltò bruscamente in Lilac Lane, dove stava il suo cottage
dal tetto di paglia. James Lacey viveva nella casa accanto.
Dal suo camino usciva del fumo. Il cuore di Agatha fece un
balzo. Moriva dalla voglia di fermare l’auto davanti al suo
cancello e di gridare “Sono tornata”, ma sapeva che lui sarebbe comparso sulla soglia a fissarla con aria grave dicen-
dole qualcosa di educato, tipo “Piacere di rivederti”, e poi si
sarebbe ritirato in casa.
Agatha entrò nel cottage trasportando la cesta con i mici
Boswell e Hodge. Le stanze odoravano di detergente e disinfettante, visto che in sua assenza la casa era rimasta nelle
mani di Doris Simpson, la fida donna delle pulizie. Diede
da mangiare ai gatti e li fece uscire in giardino, scaricò le
valigie dall’auto e mise i vestiti sporchi nel cesto della biancheria, e infine tirò fuori una serie di pacchetti, con i regali
per le signore di Carsely.
A Istanbul aveva comprato per la signora Bloxby, moglie
del pastore, una sciarpa di seta assai graziosa. Bramosa di
un po’ di calore umano, Agatha decise di andargliela a portare in canonica.
Il sole era tramontato e la canonica era buia e silenziosa. Agatha avvertì all’improvviso una punta di apprensione. Con tutti i pensieri negativi che nutriva nei confronti di
Carsely non riusciva a concepire il villaggio senza la presenza gentile della moglie del pastore. Non è che magari il
pastore era stato trasferito altrove mentre lei era via?
Agatha era donna di mezza età ben piantata e con un
viso tondo e pugnace in cui brillavano due occhi puntuti da
orsetto. I capelli, castani, lucidi e folti, erano tagliati a caschetto secondo la moda lanciata nel periodo d’oro di Mary
Quant, e cambiata ben poco da allora. Le gambe erano belle e gli abiti costosi, e nessuno, vedendola in attesa speranzosa sulla soglia della canonica, avrebbe potuto immaginare la
presenza di un timido desiderio di una faccia amica, nascosta sotto la corazza protettiva che Agatha si era costruita nel
corso degli anni, per difendersi dal mondo.
Bussò alla porta rallegrandosi nel sentire, dall’interno,
un rumore di passi. La porta si aprì e sulla soglia comparve
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la sorridente signora Bloxby. La moglie del pastore era una
donna dal viso dolce. I capelli castani, raccolti in un’antiquata crocchia sulla nuca, erano striati di grigio.
“Si accomodi, signora Raisin,” disse, con quel suo sorriso speciale che le illuminava il viso. “Stavo proprio per prendermi un tè.”
Dato che si era scordata temporaneamente come fosse il
sentirsi amati, Agatha le gettò lì il pacchetto dicendo in tono
burbero: “Questo è per lei”.
“Oh, ma che gentile! Venga, venga.” La moglie del pastore la condusse in salotto e accese un paio di lampade.
Con la sensazione di essere finalmente a casa, Agatha sprofondò tra i cuscini di piume del sofà mentre la signora Bloxby gettava un ceppo sulle braci del camino, attizzando la
fiamma.
La signora Bloxby aprì il pacchetto lasciandosi sfuggire
un’esclamazione di gioia alla vista della sciarpa di seta, che
brillava dorata, rossa e blu. “Che cosa esotica! La metterò
domenica per andare in chiesa e sarò l’invidia dell’intera
parrocchia. Tè e focaccine, immagino.” Uscì. Agatha la
sentì chiamare il pastore: “Caro, la signora Raisin è tornata”. Agatha udì un borbottìo di risposta.
Dopo una decina di minuti, la signora Bloxby tornò con
un vassoio di tè e focaccine. “Alf non si può unire a noi. Sta
lavorando a un sermone.”
Agatha pensò con amarezza che in occasione delle sue
visite il pastore riusciva immancabilmente a essere occupato.
“Allora,” disse la signora Bloxby, “mi racconti del suo
viaggio.”
Agatha si vantò dei posti che aveva visto, raffigurandosi,
almeno così sperava, come una giramondo dai gusti sofisticati. E poi dichiarò grandiosamente, brandendo una fo-
caccina imburrata: “Immagino che da queste parti non sia
accaduto nulla di nuovo”.
“Oh, abbiamo le nostre piccole emozioni,” rispose la
moglie del pastore. “Abbiamo una nuova venuta, davvero
un guadagno per il villaggio, la signora Mary Fortune. Ha
rilevato la casa della povera signora Josephs e ha fatto delle
migliorie incredibili. È un asso del giardinaggio.”
“La signora Josephs non aveva un gran giardino,” disse
Agatha.
“Sul davanti c’è abbastanza spazio e la signora Fortune
lo ha già ridisegnato e poi ha fatto costruire sul retro una
serra che arriva alla cucina. Ci coltiva piante tropicali. È
anche una cuoca fantastica. Temo che le sue focaccine facciano apparire davvero miserabili le mie.”
“E che lavoro fa il signor Fortune?”
“Non c’è un signor Fortune. È divorziata.”
“Quanti anni ha?”
“Difficile dirlo. È decisamente una bella donna e ci dà
un grande aiuto quando facciamo le riunioni della società
orticola. Lei e il signor Lacey sono giardinieri così appassionati.”
Il cuore di Agatha sprofondò. Aveva nutrito la speranza
che James potesse sentire la sua mancanza. Ma a quanto
pareva era stato piacevolmente intrattenuto da una divorziata di bell’aspetto con una passione per il giardinaggio.
La signora Bloxby continuò con la sua voce gentile a riferirle le altre notizie della parrocchia, ma la mente di Agatha
ora era troppo distratta per prendere nota di quel che stava
dicendo. Il suo interesse nei confronti di James Lacey era
tanto competitivo quanto romantico. Dato che aveva molto buonsenso, avrebbe anche potuto accettare il fatto che
James Lacey non fosse per nulla interessato a lei, ma era
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bastato l’accenno a questa nuova venuta per risvegliare tutti
i suoi istinti battaglieri.
Dal retro della casa giunse la voce del pastore. “Non si
cena, stasera?”
“Tra poco,” gridò la signora Bloxby. “Ha voglia di fermarsi da noi, signora Raisin?”
“Non mi ero resa conto che fosse così tardi.” Agatha si
alzò. “No, ma grazie lo stesso.”
Agatha tornò al suo cottage e fece rientrare i gatti che
erano nel giardino sul retro. Non riusciva a vedere granché,
del giardino, per via del buio. L’anno prima aveva piantato
qualche arbusto e un po’ di fiori, da giardiniera “istantanea” qual era – ovvero era una di quelle persone che comprano dai vivai piante già bell’e cresciute. Se voleva davvero
essere della partita, doveva diventare una giardiniera come
si deve. I giardinieri come si deve avevano delle serre e crescevano le loro piante dai semi. E avrebbe fatto meglio a
iscriversi alla società orticola.
Con l’intenzione di scoprire qualcosa sulla concorrenza
Agatha l’indomani andò dal fornaio di Moreton-in-Marsh
a comprare un dolce e poi tornò a Carsely e si recò a far
visita alla nuova venuta, la cui casa si trovava in mezzo a
una fila di comuni villette a schiera vittoriane, in cima al villaggio. Aprendo il cancello del giardino ricordò con disagio
l’ultima volta che era passata di lì per entrare in quella casa
e scoprire che la signora Josephs, la bibliotecaria, era stata
assassinata. Sul davanti dell’edificio era stato costruito una
specie di porticato con le pareti vetrate, pieno di piante e
fiori e di mobili di vimini.
Reggendo il dolce, Agatha suonò il campanello. La visione della donna che venne ad aprire la porta la gettò nello
sconforto. Era senza dubbio una creatura attraente, con il
viso fresco e levigato, i capelli biondi e gli occhi azzurri luminosi.
“Sono Agatha Raisin. Abito in Lilac Lane, accanto al signor Lacey. Sono appena rientrata da una vacanza, ho saputo del suo arrivo nel villaggio e così le ho portato questo
dolce.”
“Ma che gentile,” disse Mary Fortune, raggiante. “Si accomodi. Ovviamente ho sentito parlare di lei. È la nostra
Miss Marple.” Il modo in cui lo disse e anche l’occhiata critica che le lanciò spinsero Agatha a pensare che il paragone con quel personaggio letterario famoso fosse dettato più
dall’età che non dalla sua abilità di detective.
Mary la condusse in un salotto delizioso. Le pareti erano coperte di scaffali di libri. C’erano piante in vaso che
scoppiavano di salute e un fuoco che ardeva allegro nel caminetto. Si sentiva un profumo casalingo di torta. Agatha
riusciva quasi a immaginarsi James rilassato in quella stanza, spaparanzato con le lunghe gambe distese. “Prendo solo
nota del suo numero di telefono,” disse Agatha, aprendo la
sua capace borsetta ed estraendo agenda, penna e occhiali.
Non le importava un fico secco del numero di telefono di
Mary, era solo una scusa per mettersi gli occhiali e vedere se
il viso della nuova venuta era davvero senza rughe come le
era apparso. Bene, bene, bene, pensò Agatha. I Visitors! Un
lifting come se ne vedevano pochi. Lo si capiva dalla tensione plasticosa della pelle. I capelli erano tinti, ma dalla mano
di un esperto, quindi erano pieni di colpi di sole, non il solito
biondo uniforme ossigenato.
“Ho sentito che lei è iscritta alla società orticola,” disse
Agatha, levandosi gli occhiali e riponendoli nella custodia.
“Oh sì, e sono orgogliosa di fare la mia parte, a beneficio
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del villaggio. Il signor Lacey è di grande aiuto. Lo conosce,
vero? Siete vicini di casa.”
“Ma certo. Siamo molto amici,” disse Agatha.
“Sul serio? Ora però dobbiamo proprio assaggiare il dolce che ha portato.” Mary si alzò. Indossava un maglione
verde con calzoni verdi e la sua figura era impeccabile.
Qualcuno suonò alla porta. “A proposito di James, questo
deve essere lui,” disse Mary. “Passa spesso a farmi visita.”
Agatha si lisciò la gonna. E si rese conto di non aver pensato a truccarsi un po’ il viso. Sapeva che c’erano donne che
ne potevano fare a meno, ma lei non apparteneva a quella
razza fortunata.
James Lacey entrò nella stanza e, nel vedere Agatha, i
suoi occhi per una frazione di secondo mostrarono un certo disappunto. James Lacey era un tipo molto alto, sui cinquantacinque anni. I capelli neri e folti erano appena striati di grigio. Gli occhi erano azzurro chiaro, come quelli di
Mary. Baciò Mary sulla guancia, sorrise ad Agatha e disse:
“Bentornata. Hai fatto delle belle vacanze?”.
“La signora Raisin ha portato un dolce,” lo interruppe
Mary. “Preparo un po’ di tè intanto che voi due chiacchierate.”
James sorrise a Mary senza guardarla direttamente, quasi avesse una gran voglia di farlo ma fosse timido come uno
scolaretto. È innamorato, pensò Agatha, provando la tentazione di alzarsi e andarsene.
Si costrinse a fare un racconto vivace delle sue vacanze,
rimpiangendo di non avere storielle divertenti perché praticamente non aveva rivolto la parola a nessuno e nessuno
l’aveva rivolta a lei.
Mary tornò con un vassoio. “Torta di cioccolato,” annunciò. “Diventeremo tutti dei ciccioni.”
“Non tu,” disse James, tutto galante. “Tu non hai proprio motivo di preoccuparti.”
Mary gli sorrise e James le restituì un sorrisino timido,
chinando il capo su una fetta di torta.
“Stavo pensando di iscrivermi alla società orticola,” disse Agatha. “Quando si riunisce?”
“Se le va di venire con noi, io e James stasera partecipiamo a un incontro,” rispose Mary. “È alle sette e mezza
nell’aula magna della scuola.”
“Non sapevo che le interessasse il giardinaggio, signora
Raisin,” commentò James.
“Cosa sono queste formalità?” Gli occhi ursini di Agatha
studiarono James. “Ci siamo sempre dati del tu.”
“D’accordo, Agatha, stavo dicendo che finora hai sempre comprato dai vivai piante già pronte.”
“Ho del tempo da perdere,” ribatté Agatha. “Ho intenzione di fare le cose come si deve.”
“Ti daremo una mano,” disse Mary, amichevole e rilassata. “Non è vero, James?”
“Oh, certamente.”
“Come mai hai deciso di trasferirti a Carsely, Mary?”
Agatha sentì che la gonna le tirava sulla pancia e mise giù
il piatto con la fetta di torta al cioccolato mezza mangiata,
allontanandolo.
“Stavo girando in macchina per i Cotswolds e mi sono
innamorata di questo villaggio,” rispose Mary. “È così tranquillo, così silenzioso. Gente così amabile.”
“Lo sai che in questa casa è stata ammazzata una?” domandò Agatha, determinata a portare la conversazione sul
caso di omicidio da lei risolto.
Mary però si affrettò a tagliar corto: “Sì, so tutto. Ma
non importa. Queste vecchie case devono aver assistito a
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parecchie morti”. Cominciò a parlare di giardinaggio, rivolgendosi a James. “Sto curando i miei piselli,” disse.
“Quel che combini tra i muri di casa è affar tuo,” disse
Agatha, ridendo sguaiatamente.
Ci fu un breve silenzio gelido e poi Mary e James ripresero a parlare, palleggiandosi nomi latini di piante della cui
esistenza Agatha era completamente all’oscuro.
Agatha si sentiva umiliata e tagliata fuori. Una parte di
lei moriva dalla voglia di scappare, l’altra era determinata a
restare finché James non se ne fosse andato.
Alla fine, come se avesse capito che Agatha non si sarebbe schiodata prima di lui, James si alzò dicendo: “Ci vediamo stasera, Mary”.
Si alzarono anche Mary e Agatha. “Faccio la strada con
te, James,” disse Agatha. “A stasera, Mary.”
Agatha e James uscirono. Giunti al cancello del giardino,
James all’improvviso girò i tacchi e tornò da Mary, che era
ancora sulla soglia. Chinando la sua bella testa le sussurrò
qualcosa all’orecchio. Mary ridacchiò sussurrandogli a sua
volta qualcosa. James si voltò e raggiunse di nuovo Agatha. I
due si incamminarono insieme.
“Mary è una donna interessante,” disse James. “Ha viaggiato molto. Prima di trasferirsi qui in effetti ha passato un
po’ di tempo in California.”
“È li che deve essersi fatta il lifting,” disse Agatha.
Lui le lanciò un’occhiata e poi disse brusco: “Mi sono appena ricordato di dover comprare qualcosa per cena. È inutile che tu ti affanni a starmi dietro. Devo proprio correre”.
E come un’auto in accelerata improvvisa partì a scheggia,
lasciando Agatha a fissarlo con espressione tetra.
Lungo la strada verso casa, Agatha aveva maturato una
mezza decisione di lasciar perdere la faccenda. Che Mary
si pigliasse pure James. Se era quello il genere di donna che
gli infiammava il cuore, allora lui non faceva per una come
Agatha Raisin.
Ma la competitività è dura a morire, per cui ora del tardo
pomeriggio si ritrovò ad aver ordinato una piccola serra con
tanto di riscaldamento, pagando un occhio della testa per
farsela montare già la settimana successiva. Aveva comprato anche una pila di libri sul giardinaggio.
Prima di andare alla riunione della società orticola, Agatha fece un salto al Leone Rosso, il pub. Le sarebbe bastato
trovare una sola persona cui Mary Fortune non piacesse.
John Fletcher, il proprietario, le passò un gin tonic. “Offre la
casa,” disse. “È bello riaverti con noi.”
Agatha combatté per ricacciare indietro le lacrime che minacciavano di tracimare. Viaggiare da sola era stata un’esperienza davvero orribile. Le donne non accompagnate non
erano ritenute degne di rispetto o attenzione. Quel po’ di
gentilezza mostrata dal proprietario del pub l’aveva colta
alla sprovvista. “Grazie, John,” disse con voce leggermente
roca. “Avete una nuova compaesana, qui. Che te ne pare
di lei?”
“La signora Fortune? Viene spesso qui. Una donna gradevole. Molto generosa. Paga sempre da bere a tutti. In paese non si parla d’altro che di lei. Le sue focaccine e le sue torte sono le migliori, è una giardiniera fantastica, è in grado di
fare lavori da idraulico e sa tutto sui motori.”
Jimmy Page, uno degli agricoltori del posto, entrò salutando Agatha. “Bello rivederti, Agatha,” disse, issando il sederone sullo sgabello del bar accanto a quello di lei.
“Cosa prendi?” domandò Agatha, determinata a non
farsi surclassare da Mary in fatto di prodigalità.
“Una mezza pinta,” disse Jimmy.
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“Ho comprato un regalo per te e tua moglie,” disse Agatha. “Ve lo vengo a portare domani.”
“Sei gentile. Mentre eri via non ci sono stati omicidi.
Una quiete da funerale. Quella Mary Fortune ha detto una
cosa buffa: ‘Forse la signora Raisin è una specie di avvoltoio,
e non appena lei si allontana dal villaggio non capita più
niente di brutto’.”
“Non è una cosa carina da dire,” si impermalì Agatha.
“Non prenderla male. Lei ha questo modo scherzoso di
dire le cose. Non intendeva offendere. Ma raccontami delle
tue vacanze.”
E mentre altra gente del posto veniva a unirsi a loro, Agatha ricamava sulle sue avventure, inventando scene divertenti, godendosi il fatto di essere al centro dell’attenzione finché
un’occhiata all’orologio dietro al bar le fece capire che avrebbe fatto meglio a incamminarsi verso il salone della scuola.
Nella semioscurità del salone scolastico, in mezzo a quelli che agli occhi prevenuti di Agatha parevano i compaesani
più muffosi, Mary splendeva come il sole, con la sua chioma
bionda e l’abito di lana verde che aderiva alle curve perfette
del corpo. Era seduta accanto a James, e Agatha entrando
la sentì dire a James: “Forse avremmo dovuto cenare, prima
di venire qui. Sto morendo di fame”.
Quindi lui ha mentito dicendomi che andava a comprare qualcosa per cena, pensò Agatha, tetra.
L’incontro era moderato da un certo Bernard Spott, un
gentiluomo anzianotto. C’erano volti familiari nella luce
fioca della sala, in cui due lampade fluorescenti erano rotte
e le altre gemevano e balbettavano sopra le loro teste. Alle
pareti erano appesi i disegni dei bambini. C’è qualcosa di
deprimente nel vedere quei dipinti infantili sui muri di un
raduno per adulti, pensò Agatha, sembra quasi che voglia-
no rimarcare che l’infanzia è passata da un pezzo, e non
tornerà mai più. C’erano anche i coniugi Boggle, due vecchi inaciditi e perennemente lamentosi. In prima fila, accanto alla signora Bloxby, era seduta la signora Mason, presidentessa della Società delle Dame di Carsely. Di fianco ad
Agatha venne a mettersi Doris Simpson, la sua donna delle
pulizie, borbottando un “Bentornata”. Dietro di lei arrivò
caracollando sui soliti tacchi altissimi la signorina Simms,
che della Società delle Dame era la segretaria.
Il signor Spott continuava a parlare con voce monocorde
dell’annuale esibizione orticola, che si sarebbe tenuta in luglio. In agosto, invece, era in programma il Grande Giorno,
in cui i soci aprivano i loro giardini al pubblico. Poi Fred
Griggs, il poliziotto locale, lesse i verbali dell’ultima riunione, come se stesse testimoniando in tribunale.
Agatha soffocò uno sbadiglio. A che scopo sorbirsi ’sta
roba? Era evidente che James non provava alcun interesse
nei suoi confronti, né mai lo avrebbe provato. Rimpianse la
spesa della serra. Lasciò vagare la mente. Era certamente
malvagio augurarsi un altro omicidio, ma si rese conto che
era proprio quello che sperava, in fondo. Detestava partecipare a riunioni come queste, dove si sentiva un pesce fuor
d’acqua. Il giardinaggio, rifletté Agatha, era qualcosa che
andava fatto fin da piccoli. Lei era cresciuta in un quartieraccio di Birmingham e lì i bambini facevano immediatamente a pezzi qualunque pianta osasse fare capolino.
Quando la riunione finì ci fu uno scalpiccio di piedi. Ed
ecco lì Mary, proprio la padrona di casa perfetta, a presiedere al distributore del tè, in fondo alla sala.
Agatha si girò verso Doris. “Grazie per avermi tenuto
così pulita la casa,” disse. “Sei anche tu in questa faccenda
del giardinaggio?”
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“Ho cominciato l’anno scorso,” disse Doris. “È piuttosto
divertente.”
“Oh, non sembra poi un grande sballo,” commentò Agatha, fissando amareggiata il fondo della sala, dove James stava accanto a Mary che mesceva il tè e distribuiva piatti di
dolci.
“Quando le piante cominciano a crescere diventa meglio.”
“La nostra nuova concittadina sembra molto popolare,”
disse Agatha.
“A me non piace.”
Oh, la saggia Doris. Oh, tesoro incomparabile! “Perché?”
“Non saprei.” Gli occhi grigio chiaro di Doris brillavano
furbi dietro le lenti. “Fa tutto a meraviglia ed è sempre gentile proprio con tutti, ma non ha calore. Sembra quasi che
reciti.”
“James Lacey sembra molto preso da lei.”
“Non durerà.”
Agatha all’improvviso provò speranza. “Come mai?”
“Perché lui è un uomo in gamba e lei lo sembra solo. Perché lui è simpatico e lei fa soltanto finta di esserlo. Io la vedo
così.”
“Ti ho portato un regalo,” disse Agatha. “Lo puoi prendere domani, quando vieni.”
“Grazie mille ma non ti dovevi disturbare, davvero.
Come stanno i gatti?”
“Mi ignorano. Non hanno gradito la pensione.”
“Invece di spendere i soldi della pensione, la prossima
volta li lasci a casa e vengo io a dar loro da mangiare e a farli
uscire un pochino tutti i giorni. A casa loro stanno meglio.”
Furono raggiunte dalla signora Bloxby, seguita dalla si-
gnorina Simms. La moglie del pastore indossava la sciarpetta nuova. “È così graziosa,” disse, “che non ce l’ho fatta ad
aspettare fino a domenica.”
Agatha si rivolse alla signorina Simms. “Ho un regalino
anche per lei.”
“Oh, ma che gentilezza,” disse la signorina Simms. “Però,
Agatha, non ha preso ancora il tè, e i dolci di Mary sono
così buoni.”
“Magari la prossima volta,” ribatté Agatha che non aveva intenzione di infliggersi sofferenze ulteriori avvicinandosi a James e Mary.
Mary Fortune, dall’altra parte della sala, vide Agatha
Raisin circondata da un gruppo sempre più numeroso. Cominciò a riporre le cose del tè, infilando in un contenitore di
plastica i pochi dolci avanzati.
“Te li porto io fino a casa,” disse James. E non poté fare a
meno di notare, mentre usciva con Mary, che la gente attorno ad Agatha era scoppiata a ridere per qualcosa che lei aveva detto, e che nessuno si era girato a guardarli andare via,
ma si sarebbe stupito se avesse saputo che Agatha pur senza
girarsi era comunque consapevole, con ogni fibra del suo essere, dei passi di James fino alla porta, dal primo all’ultimo.
La notte era serena e gelida. Sopra le loro teste brillavano
stelle gigantesche. James era in pace con il mondo.
“Quella Agatha Raisin è proprio una donna grossolana,” sentì dire a un certo punto da Mary. “Agatha può essere
un po’ brusca, a volte,” rispose lui con tono difensivo, “ma
ha un grande cuore.”
“Stai in guardia, James,” lo canzonò Mary. “La nostra
zitella repressa ti ha messo gli occhi addosso.”
“Per quel che ne so, Agatha è una divorziata come te,”
disse James, irrigidendosi. La lealtà gli fece dimenticare tut-
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te le volte che lui aveva schivato Agatha, quando lei gli dava
la caccia. “Non mi va di parlare di lei.”
Lei fece una risatina. “Povero James. Certo che non ti va.”
Mary cominciò a parlare di giardinaggio e James camminandole al fianco cercò di ritrovare il calore e l’euforia
che di solito provava quando era con lei. Ma non gli era
piaciuta l’osservazione maligna nei confronti di Agatha. James ammirava il coraggio, e non c’era dubbio che Agatha
Raisin avesse un che di valoroso, che a lui piaceva.
Accompagnò Mary fino alla porta di casa sua, le diede la
scatola con i dolci e con suo ovvio stupore rifiutò l’invito per
la solita tazza di caffè.
Agatha, troppo turbata per la faccenda di James e Mary,
non si era accorta della popolarità di cui godeva presso la
società orticola. In effetti non era mai stata popolare in vita
sua. Era stata la titolare di una società di pubbliche relazioni
e aveva avuto molto successo, e solo di recente aveva venduto tutto per andare in pensione e trasferirsi a Carsely. Fino a
quel momento il lavoro era stato la sua vita, non aveva avuto
altro. Le persone con cui aveva rapporti erano i suoi dipendenti e i giornalisti che incalzava con prepotenza affinché
concedessero spazio a chiunque o a qualunque cosa lei promuovesse come ufficio stampa.
Quando aprì la porta e il telefono cominciò a squillare,
Agatha lo fissò quasi stupita.
“Pronto?” disse guardinga.
“Aggie? Come te la passi lì a Contadinopoli?” era la voce
leziosa di Roy Silver, il suo ex assistente.
“Oh, Roy. Come stai?” disse Agatha.
“Al solito. Lavoro e mi annoio. C’è qualche speranza che
tu mi inviti?”
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Agatha esitò. Si stava chiedendo se davvero Roy le piacesse ancora, ammesso che le fosse mai piaciuto. In passato
l’aveva invitato, quando aveva un bisogno disperato di compagnia. Comunque sarebbe stato piacevole parlare un po’
di PR, tanto per cambiare, e scoprire che cosa succedeva a
Londra.
“Puoi venire nel fine settimana,” disse. “Verrò a prenderti a Moreton-in-Marsh. Hai una ragazza?”
“No, sono solo io, tesoruccio. Cucini ancora tutto nel microonde?”
“Sono una cuoca come si deve, ora,” ribatté Agatha, severa.
“Prenderò il treno che arriva verso le undici e trenta,”
disse Roy. “A presto, allora. Qualche omicidio?”
Agatha pensò con amarezza a Mary Fortune.
“Non ancora,” disse. “Non ancora.”
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