Mente e Corpo: una relazione inscindibile

Transcript

Mente e Corpo: una relazione inscindibile
INDICE
p.3
Quello dei videogame è un mondo malsano? di Diego Gandolfini
p. 4
Un vaccino italiano contro l’Aids di Mattia Avolio
p. 6
L’iPad; ma che bel giocattolo! Di Stefano Tarocco
p.8
Fotostoria della ‘monnezza campana di Nico Catalano
p. 10 A proposito di Wikileaks (fotostoria) di Nico Catalano
p. 12 Intervista agli studenti delle prime di Lorenzo Minotto
p. 15 Fotocronaca della festa dei diplomati 2010
p. 16 Mente e corpo: una relazione inscindibile di Maura Malpetti
p. 19 Avete mai sentito parlare di lobotomia? di Sara Zamboni
p. 21 Una storia qualunque (I puntata) di Matteo Lucchini
p. 26 Recensione romanzo: Qualcuno con cui correre di Beatrice Bocchi
p. 28 Recensione fumetto: Yu Yu Hakusho di Nicola De Mita
p. 29 Noi di Giorgia Ghirardini
p. 30 FOTO-grafie di Alice Papotti (e Matteo Diani)
p. 32 L’assassina e il vampiro (I puntata) di Valentina Meneghello
p. 39 Immagini: momenti di Maura Malpetti
p. 40 Alle origini del mito di Vasco di Giorgia Ghirardini
p. 41 La Champions dopo i gironi di Riccardo Bruno e Nicola Latella
p. 42 Rubrica del mistero: L’uomo del BenMacDhui di A. Sanguanini
p. 46 Christmas in the world di Tommaso Ferro
p. 47 Giochi logici di Alice Girelli
p. 48 Curiosità di Matteo Diani
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ATTUALITÀ
QUELLO DEI VIDEOGAME E’ UN
MONDO MALSANO?
I pro e i contro del primo passatempo del
21°secolo secondo alcuni recenti studi.
Fin dalla loro nascita i videogiochi sono stati
sinonimo di malsano, di dannoso. Al contrario
recenti studi condotti dalla Yale University su
un campione di 4.028 adolescenti e giovani fra i 14 e i 28 anni hanno
dimostrato che l‟uso dei videogame non è dannosa per circa il 95% degli
individui, mentre solo nel 4,9% dei giovani si può sviluppare una sindrome di
dipendenza da battaglie virtuali. E‟ testato, sempre da questo studio, che i
maschi che si cimentano nell‟uso di videogiochi almeno un‟ora a settimana
fanno minor uso di droghe e di tabacco. Esito diverso hanno dato i test sulle
ragazze della stessa fascia di età; i risultati dicono infatti che l‟uso dei
videogame comporta nella femmina adolescente un aumento esponenziale
dell‟aggressività e esse assumono comportamenti da “maschiaccio”.
Uno studio effettuato a fine settembre da ricercatori americani dell‟Università
del Michigan e dell‟Ohio ha invece scoperto che videogame violenti come
“Call of Duty” e “Mortal Kombat”, lasciano un residuo di aggressività nei
giocatori maschi che dura fino a 24 ore dopo.
(CALL OF DUTY)
(MORTAL COMBAT)
Un altro studio pubblicato dall‟Università di Rochester ha d‟altra parte
dimostrato che con l‟uso di videogame i ragazzi imparano a prendere le
decisioni più in fretta del 25%.
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Stando ad un‟indagine del 2009 della Entertainment Software Association
almeno uno dei membri del 65% delle famiglie americane gioca per almeno
un‟ora al giorno alla console.
Ricordo poi che un‟indagine sponsorizzata dalla Nintendo ha rilevato che
l‟uso di Wii Sport o Wii Fit equivale ad un esercizio fisico reale di moderata
intensità; secondo alcuni medici giapponesi l‟uso di questi videogiochi per
almeno 2 ore e mezzo a settimana comporta benefici per la salute
(prevenendo obesità, diabete e malattie cardiovascolari).
Per concludere, non so dirvi se questi studi siano realmente scientifici o se
siano “spinti” dalle grandi case di videogame, sta di fatto che questo
fenomeno di massa che è il videogame sta cambiando le nostre abitudini, sia
motorie che nell‟uso del tempo libero. L‟età media in cui si incomincia a
giocare è all‟incirca di 7-8 anni e si sta abbassando sempre di più. Forse non
sapremo mai se veramente l‟uso di questi nuovi giochi sia buono o dannoso;
sicuramente non fa benissimo, principalmente perché ci porta via molto
tempo, libero e non.
Intanto continuiamo a giocare, ma responsabilmente (se davvero aiuta a
prendere decisioni più in fretta magari ci aiuta anche a scuola).
Diego Gandolfini
Trovato un vaccino contro l'Aids...ed è tutto italiano
E‟ cominciata 13 anni fa la ricerca sul vaccino terapeutico italiano contro
l‟Aids guidata dall‟Istituto Superiore di Sanita‟. Fin dall‟inizio i ricercatori
coordinati
da
Barbara
Ensoli hanno scelto di
colpire il virus Hiv al cuore,
mirando
alla
proteina
chiamata Tat, che e‟ il
motore
della
sua
replicazione. Adesso, ha
detto la ricercatrice, ”sembra
che riusciamo a bloccare il
danno”.
I risultati, appena pubblicati
sulla rivista Plos One,
riguardano la seconda fase
della sperimentazione, non
ancora conclusa. Riguardano 87 pazienti, dei 128 inizialmente previsti nello
attualità
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studio e ora aumentati a 160. Sono stati reclutati in 11 centri di sei regioni
(Piemonte, Lombardia, Emilia Romagna, Toscana, Lazio e Puglia); alcuni di
essi hanno ricevuto il vaccino tre volte in un mese e altri cinque volte, alcuni a
dosi di 7,5 microgrammi e altri di 30.
”Abbiamo deciso di pubblicare ora perche‟ i risultati sono stati molto rapidi e
sono tutti statisticamente significativi già con numeri bassi”, ha detto la
Ensoli. ”E‟ stata un‟emozione”, ha aggiunto. Il via libera alla pubblicazione è
arrivato
dai
tre
comitati
internazionali che supervisionano il
programma.
Un risultato che per il presidente
dell‟Iss, Enrico Garaci, e‟ un passo
verso la medicina traslazionale,
ossia nella capacita‟ di trasferire i
risultati dal bancone del laboratorio
al letto del paziente. Sono una
garanzia in questo senso anche i
10 brevetti registrati dall‟Istituto fin
dall‟inizio della ricerca. La seconda fase della sperimentazione è costata 13
miliardi in tre anni: ”Sono tutti fondi pubblici, assegnati dal ministero della
Salute”, ha osservato Garaci, ed il Ministero della Salute non ha escluso la
possibilità di ulteriori finanziamenti.
”Abbiamo visto che il vaccino arriva dove i farmaci si fermano”, ha spiegato la
Ensoli. I farmaci antiretrovirali riducono infatti il numero delle particelle di virus
in circolazione, ma non riescono ad azzerarle. Il virus continua ad essere
presente e si rifugia in ”santuari”, costringendo il sistema immunitario ad un
continuo stato di allerta. In questo modo si induce uno stato
chiamato ”immunostimolazione”, che comporta problemi al sistema
cardiovascolare, al fegato e ai reni. „Il vaccino sembra invece riportare il
sistema immunitario verso l‟equilibrio”.
Per l‟infettivologo Adriano Lazzarin, del San Raffaele di Milano (uno degli 11
centri coinvolti nella sperimentazione) ”la guerra nucleare al virus Hiv e‟
cominciata adesso perchè soltanto ora il virus integrale e‟ diventato un
bersaglio”, ha osservato riferendosi al fatto che la proteina Tat e‟ ”il bersaglio
scelto per controllare l‟infezione”.
Per la Ensoli lo testimonia il fatto che gli Stati Uniti hanno deciso di stanziare
54 milioni di dollari per la ricerca sui geni regolatori del virus Hiv e che ”il 90%
di questi fondi sono destinati alla ricerca sulla proteina Tat”.
Per Lazzarin non c‟e‟ dubbio che ”l‟obiettivo finale è quello di sostituire la
terapia antiretrovirale Haart con il vaccino, anche se questo non accadrà
certamente domani”.
Mattia Avolio
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L’iPAD, MA CHE BEL GIOCATTOLO!
Nell‟era superinformatizzata in cui
viviamo
ormai
ogni
nuova
invenzione è surclassata dopo
pochi anni (a volte addirittura mesi),
da un‟altra tecnologicamente ancor
più avanzata, tanto che ogni nuova
diavoleria inserita nel mercato fa
sempre meno scalpore e ha quel
non so che di “già visto” che non è
proprio il massimo per far scattare
l‟acquolina in bocca agli smanettoni.
Quando uscì, ormai quasi sette mesi fa, in Italia, già perché oltreoceano era
da qualche tempo nelle mani degli statunitensi, fu un vero casino. Perché tutti
gridarono all‟invenzione del secolo, al device che avrebbe rivoluzionato per
sempre il nostro approccio alla tecnologia, osannando quel volpone di Steve
Jobbs, che ancora una volta dopo l‟iPod e l‟iPhone ci aveva azzeccato
rivoluzionando il mondo con i suoi marchingegni d‟ultima generazione.
Beh, non è così.
Il buon vecchio Steve è stato sì il primo
a produrre un tablet degno di nota e a
commercializzarlo su larga scala (non
avevamo dubbi…), ma siamo ben
distanti dal poter dire che quel coso è
lo strumento che ci cambierà la vita.
Sarà
sicuramente
riuscito
ad
accontentare i cosiddetti “consumatori
ludici”, che hanno subito abboccato al
bellissimo display touchscreen da 9.7”,
sensibilissimo al tocco e luminoso nei colori,alla fluidità del sistema operativo
e alle migliaia di apps che riempiono egregiamente il tempo del dolce far nulla.
Ma cercando di guardarci un po‟ dentro con cognizione di causa, capiamo
subito che questo aggeggio non è poi così perfetto come ci vogliono far
credere… Insomma signori, lasciatemelo dire: l‟iPad ha dei difetti!
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Ha dei difetti perché non si può
produrre un device destinato per
essere usato tenendolo in mano, è
infatti pesante ben 680g, che
diventano 740 nella versione Wi-Fi3G, ha dei difetti perché non è
affatto portabile quanto si dice per
via della sua forma tozza e poco
pratica per il trasporto, ha dei difetti
perché non potrà telefonare, perché non potrà scattare video o foto, ha dei
difetti perché dovrà avvalersi di tanti adattatori per qualsiasi uso, compreso il
semplice inserimento di una penna USB.
Ancora l‟iPad ha dei difetti perché non ha il riconoscimento della scrittura, ha
una tastiera virtuale deludente (parola dei
tester alla presentazione), perché è senza
multitasking, quindi con una sola applicazione
aperta per volta, perché è senza HDMI. E
soprattutto ha dei difetti perché non ha un
supporto flash in navigazione, una grossa
pecca per la casa di Cupertino.
Non per ultima la sua natura ibrida, che sta
volutamente in
mezzo
alle
categorie
di
smartphone e notebook, non eccelle nè in
mobilità né in prestazioni.
Insomma è molto comodo se si vogliono
distrarre i bambini facendoli giocare con
centinaia di apps a loro dedicate, fare una
capatina su facebook di tanto in tanto o
ancora leggersi un e-book , ma state sicuri
che l‟iPad non può fare di più. Pensando ad
esempio alle persone che utilizzano il computer per lavoro e magari devono
portarselo dietro tutti i giorni, direi che un notebook è ancora oggi la scelta
migliore; o, in alternativa, un bel netbook… Certo non avrà una mela sul
retro…. Vorrà dire che i bimbi li faremo giocare con qualcos‟altro.
Stefano Tarocco
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Fotostoria della ‘monnezza campana
Di Nico Catalano
La camorra
La spazzatura
La denuncia
La protesta
La camorra
La soluzione?
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Qualche arresto (fumo negli occhi?)
La soluzione fasulla
La mafia
La spazzatura
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A PROPOSITO DI WIKILEAKS (FOTOSTORIA)
di Nico Catalano
I documenti
L‟artefice
Il sito web
Le notizie si diffondono
L‟opinione pubblica sa
Ma il politico nega
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Ed ecco le accuse…
E pensa alla soluzione
E l‟arresto
Il problema è risolto
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RISULTATI DELL’INTERVISTA SULL’IMPATTO CON IL FERMI
DEGLI STUDENTI DELLE CLASSI PRIME
Per dare un giusto benvenuto a tutti gli alunni delle classi prime nella nostra
scuola, cos‟è meglio di un bel sondaggio? Sono andato in giro per le classi
prime ponendo agli studenti 8 domande riguardanti vari aspetti della nostra
scuola.
Una cosa molto positiva è stata la partecipazione, visto che ben 410 alunni
hanno risposto alle domande:138 del liceo, 49 chimici, 87 meccanici, 85
informatici e 51 elettronici.
Le domande erano le seguenti:
Domanda n°1
La scuola è come te l'eri
immaginata? Le possibilità
erano Si, No è meglio
oppure No è peggio.
La maggior parte delle
risposte sono state Si: il
77% circa del totale. Per
l'8% la scuola ha superato
le aspettative mentre il
restante 15% l'ha trovata
peggiore di come se
l'aspettava.
Non male, considerando
che probabilmente la scuola
non ha ancora tirato fuori i suoi lati migliori per ovvi motivi di tempo.
Domanda n°2
Hai delle difficoltà relative agli orari scolastici? Le possibilità erano Si o No.
La maggioranza è stata dei No con il 79%.
Al restante 21% abbiamo riservato la domanda seguente.
Domanda n°3
A cosa sono dovute queste difficoltà? Le opzioni stavolta erano ben 4:Le
ore sono troppe; le ore sono troppo lunghe; l'orario settimanale è male
organizzato o le ricreazioni sono troppo corte.
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La maggioranza è stata per la risposta L'orario settimanale è male
organizzato, mentre al secondo posto si piazza la risposta Le ore sono troppo
lunghe, all'ultimo gradino del podio si piazza la risposta Le ricreazione sono
troppo corte, che distanzia di pochissimo Le ore sono troppe.
Dispiace constatare che la “colpa” delle difficoltà viene prevalentemente
attribuita a chi ha elaborato l‟orario settimanale, ma così è emerso. Se la
presidenza volesse approfondire la questione (che comunque riguarda circa il
13% del totale degli intervistati) non ha che da chiedere le nostre tabelle dati
e poi verificare.
Domanda n°4
Che giudizio dai del livello di organizzazione della scuola? Le risposte
possibili erano 5: Ottimo, Buono, Sufficiente, Scarso, Scadente.
L'Ottimo è stato selezionato dal 22%, il Buono dal 62%, Sufficiente dall'11%,
Scarso dal 4% e Scadente dal 1%.
Dati tutto sommato positivi, poiché la somma dei primi due giudizi è dell‟84%.
Al di sotto della sufficienza del giudizio poi resta solo un modestissimo 5%.
Domanda n°5
Che giudizio dai delle attrezzature della scuola? I livelli sono gli stessi.
Le risposte sono state le seguenti: Ottimo:61%, Buono:29%, Sufficiente:9,7%,
Scarso:0,3%, Scadente:0%.
Non ci aspettavamo nulla di diverso, dato che il Fermi può vantare laboratori
di specializzazione e attrezzature informatiche di prim‟ordine. Chissà cosa
vorrebbe di più quel 10% di insoddisfatti.
Domanda n°6
Qual è il tuo giudizio sui tuoi
professori? Sempre i soliti
cinque livelli di risposta.
L'ottimo ha ragiunto l'11%, il
buono il 56%, la sufficienza il
29%, lo scarso il 3% e lo
scadente solo 1%.
A parte il fatto che in ogni
classe dove sono andato alla
lettura di questa domanda c‟è
stata una risata generale e che
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ogni prof. minacciava ritorsioni in caso di risposta negativa (sto scherzando),
il sondaggio indica un apprezzamento per la preparazione e le capacità dei
professori del Fermi nel loro complesso. Aggiungo comunque che non è
facile valutare bene le risposte, dato che qui entrano in gioco molti fattori, sia
di carattere emotivo sia relativi al rendimento scolastico di ciascuno degli
intervistati.
Domanda n°7
Per chi viene come i mezzi pubblici: hai avuto problemi con i nuovi orari?
Le opzioni erano Si lievi, Si gravi e No.
Su un totale di 339 alunni di prima che prendono la corriera, il 61% non ha
problemi, il 32% ha avuto problemi lievi e solo il 7% ha problemi gravi (es.
ritardi costanti).
I nuovi orari dell'Apam hanno creato un sacco di problemi a molti,
considerando che questa scuola contiene circa 1300 studenti. Si sono fatti
passi in avanti dall‟inizio dell‟a.s. ma a quanto pare qualche “coda” di difficoltà
è rimasta.
Domanda n°8
Come definiresti il tuo stato d'animo dopo questi primi mesi di scuola?
Le possibilità erano 4:Ottimo, Buono, Negativo, Pessimo.
Ottimo è stato scelto dal 6%, Buono dall'81%, Negativo dal 7% e Pessimo dal
6%.
Se ne deduce un ottimo inserimento nel nuovo ambiente da parte dei
“primini”, al di là di quello che potrebbe essere il loro rendimento scolastico.
Mi piacerebbe ripassare verso fine anno e porre questa stessa domanda …
Credo che sarebbe interessante.
Lorenzo Minotto
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FOTOCRONACA DELLA FESTA PER LA CONSEGNA
DEI DIPLOMI (11 DICEMBRE)
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CULTURA
Mente e Corpo: una relazione inscindibile
Da sempre, il connubio tra mente e
corpo, cioè la modalità della loro unione
e delle loro relazioni, è stato uno degli
argomenti di maggior discussione
trattati in differenti discipline. La filosofia
in primis, presenta nella sua lunga storia
un numero illimitato di personaggi e
scuole di pensiero che hanno affrontato
l‟argomento
seguendo
direzioni
contrastanti.
A tal riguardo è possibile identificare
due principali flussi di pensiero, opposti
tra loro: il Monismo, che considera
l‟organismo umano come un‟unica
realtà di cui sia mente che corpo sono frammenti, ed il Dualismo, il quale
sostiene invece che mente e corpo hanno differente struttura (a livello
cellulare la prima sarebbe formata da neuroni, il secondo da cellule
somatiche), e per questo debbano
essere valutati separatamente.
Il primo grande sostenitore della
corrente dualistica fu Platone. Nelle sue
opere, egli afferma in particolare che
l‟anima è l‟essenza dell‟uomo, è
immortale e non solo continua a vivere
dopo la morte del corpo, ma è esistita
anche prima del corpo al quale è stata
incatenata. Aristotele, al contrario,
rifiuta il dualismo platonico: egli ritiene
che l‟anima non possa essere separata
dal corpo, e anzi la identifica con quelle
capacità che consentono all'organismo di vivere. In questo senso non ci può
essere distinzione, se non a livello filosofico, tra anima e corpo.
Ammetto che è terribilmente difficile racchiudere in poche righe pensieri
filosofici di questo spessore che hanno influenzato le scuole di tutti i secoli
successivi. Per questo non credo sia fruttuoso spingersi oltre questi due
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sommi pensatori: essi bastano per rappresentare le due posizioni assumibili
nel rispondere alla questione riguardante la relazione tra mente e corpo: essi
possono essere considerati materie a se stanti oppure come dimensioni
strettamente correlate tra loro?
Ognuno di noi, dopo avere conosciuto i diversi punti di vista espressi dai più
grandi filosofi, psicologi, letterati della storia, può giungere a formulare una
propria opinione a tal quesito. Ovviamente, come per ogni domanda in ambito
metafisico, non esiste una risposta assoluta, ma penso che una delle
conclusioni più lecite sia considerare mente e corpo qualcosa di inscindibile.
Questa concezione,
oltre
ad
essere
confermata da alcuni
studi psicoanalitici (si
prenda ad esempio il
primo caso clinico
nella storia della
psicoanalisi, il caso di
Anna O, citato nei
propri
scritti
da
Sigmund Freud), può
essere
giustificata
dalla
riflessione
sull‟esperienze
quotidiane
che
caratterizzano la vita
di ognuno di noi.
Basti pensare alle
situazioni
di
agitazione più comuni
capaci di provocare
diversi
sintomi
a
livello somatico come
l‟emicrania,
lo
“stomaco chiuso”, la
sudorazione
o
l‟aumento del battito
cardiaco.
Dopo
queste
considerazioni, si può
affermare
senza
cadere in errore che
la sofferenza e la gioia della psiche, molto spesso, si manifestano attraverso
l'organismo, il quale non può essere curato come materia a sé stante. Nel
caso ci sia scompenso nell‟equilibrio fra le due parti a causa di un malessere
emotivo, questo intimo legame porta ad una progressiva degradazione
dell‟individuo.
Spesso accade che la mente tormentata, nel tentativo di alleviare la propria
sofferenza, la rigetta sul corpo, il quale, essendo materia “inferiore”, ne
subisce gli effetti passivamente. Col termine “inferiore” si intende che, tra i
due protagonisti della questione, il corpo molto spesso è la parte subente le
conseguenze più devastanti, dovute al malessere psicologico.
Con questo non voglio escludere la possibilità che possa accadere il caso
contrario: può infatti capitare che una sofferenza mentale sia la conseguenza
di un‟indisposizione corporea. Queste relazioni alterne di causa-effetto
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dimostrano quanto le due parti debbano essere prese in esame e curate
simultaneamente come un unico reticolo.
Concludendo, si può sostenere che tutto ciò che possiamo cogliere attraverso
la visione del nostro organismo è molto spesso la manifestazione di qualcosa
di più intimo, originario della nostra mente.
Anche la mancanza di appetito, o il mal di testa, sono effetti di un malessere
psichico, che ci logora la mente, distruggendoci la carne.
“Da questo punto di vista la medicina psicosomatica, in un'accezione ampia,
rappresenta quella concezione che, oltrepassando il dualismo psicofisico, che
separa il corpo dalla mente, guarda all'uomo come un tutto unitario dove la
malattia si manifesta a livello organico come sintomo e a livello psicologico
come disagio. Adottando questo punto di vista, la medicina psicosomatica
ribalta lo schema classico, che prevedeva la lesione dell'organo quale causa
della sua disfunzione, a sua volta causa della malattia, nello schema secondo
cui il mantenersi di uno stress funzionale, che ha la sua origine nella vita
quotidiana dell'individuo in lotta per
l'esistenza, genera quella disfunzione dell'organo, causa della lesione, a sua
volta causa della malattia.” (Umberto Galimberti)
Allo
stesso
modo
possiamo affermare che
tutto quanto facciamo per
la mente dà benessere
anche al corpo, e tutto
quello che di buono
facciamo al nostro corpo
contribuisce al benessere
della nostra mente.
Non a caso gli antichi
affermavano: <mens sana
in corpore sano>
Maura Malpetti
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Avete mai sentito parlare di lobotomia?
Avete mai sentito parlare di lobotomia? Sappiate che non è una cosa
piacevole.
La lobotomia era un‟operazione chirurgica applicata agli inizi del „900 per
“placare” pazienti psichiatrici che avevano disturbi della personalità o
comportamenti asociali, e consisteva nell‟asportare i lobi frontali.
All‟inizio del secolo scorso, infatti, si era cominciato a studiare questa parte
del cervello; si era scoperto che i lobi frontali sostengono l‟intelligenza
divergente, cioè la capacità di essere flessibili e rapidi nel passare da un
compito all‟altro: in pratica, è il sistema di pianificazione delle azioni.
Un danno ai lobi, provocato da un incidente stradale, per esempio, non
agisce sulle nostre capacità cognitive, ma potrebbe impedire lo svolgimento
di più compiti contemporaneamente (come cucinare mentre si parla al
telefono). Altre conseguenze possono essere comportamenti che non
rispettano le regole sociali, come per esempio l‟uso di un linguaggio scurrile o
di quei comportamenti che creano disapprovazione nella gente che ci sta
intorno; i lobi frontali ci permettono di riconoscere questi segnali e fanno in
modo di inibire le pulsioni emotive.
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Secondo diversi studi, la parte anteriore dei lobi frontali, la corteccia
prefrontale, agisce direttamente anche sull‟attenzione, intesa come capacità
di focalizzare le proprie risorse cognitive su un oggetto per il tempo
necessario alla risoluzione di
un problema. E non è tutto: in
quest‟area si concentra anche
la produzione delle espressioni
facciali e della produzione del
linguaggio, la facoltà che
traduce in suoni ciò che
vogliamo pronunciare.
Questi
studi,
che
oggi,
fortunatamente, non si servono
più di lobotomie, sono partiti nel
1848, a seguito di un incidente.
Un operaio, Phineas Gage,
fece
esplodere
accidentalmente una carica di
dinamite. L‟esplosione sospinse nel suo cranio una traversina di ferro che si
infilò sotto l‟orbita sinistra e uscì a livello del lobo frontale destro. L‟operaio
sopravvisse miracolosamente all‟incidente, ma la sua personalità cambiò
radicalmente: se prima era un uomo moderato ed efficiente, dopo divenne
irriverente e si concesse a molti eccessi, quali alcol e gioco d‟azzardo.
Alcuni scienziati, incuriositi dall‟episodio, cercarono di ricondurre questo
comportamento a una funzione cerebrale. Dopo la morte di Gage, vennero
recuperati il cranio e la traversina che lo aveva colpito, stabilendo che la
traversina aveva danneggiato entrambi i lobi frontali e attribuendo a questo la
causa del cambiamento della personalità.
Sara Zamboni
20
Una storia qualunque
racconto – prima puntata
È lei, è la “musa” che ispira i suoi intervalli, che lo lascia attonito, con
quell‟occhio socchiuso da trota salmonata e quel panino al salame
ciondolante dalle mani. Si chiama Noemi, e Andrea ne è ammaliato. La scena
è sempre la stessa, a ogni intervallo fissa “con discrezione” quella ragazza
che disgraziatamente ha la classe proprio davanti alla nostra. Ma oggi
qualcosa è cambiato. “Attenzione Andrea, sta arrivando Nicola!” grida
Simona, portando le mani al volto: in quella posizione è identica a “L‟urlo” di
Munch, a differenza del trucco accentuato e dei capelli mossi e lunghi, che mi
ricordano i parrucchini che si mettono ad Halloween per travestirsi da strega
o ai campi estivi con la parrocchia. Ma purtroppo non c'è più nulla da fare,
e … zac! Come se fosse stato un gioco di magia di sparizione alla David
Copperfield, il panino al salame non c‟è più. In quel momento Andrea esce
dalla sua catalessi quotidiana ed esclama: “cavoli Nicola, hai mangiato il mio
panino, e per poco non mi mordevi anche la mano! E in più attorno al panino
c‟era ancora la carta stagnola! “ ”Strano, non me ne sono accorto, però, ora
che ci penso, ho capito cos‟era quel retrogusto un po‟ metallaro!”. “Nick, lo so
che ti piace molto la musica metal, ma credo si dica metallico”.
Ah dimenticavo, mi presento: sono Giacomo, e sto assistendo alla scena;
sono uno dei tanti studenti in questo istituto che un tempo si chiamava ITIS e
che da quest'anno ha cambiato nome (anche se in pochi sanno precisamente
quale sia) e sono il migliore amico di Andrea, mentre Simona e Nicola sono
nostri compagni di classe, a dire la verità sono amici stretti, dato che è da 5
anni che siamo in classe insieme.
Nicola è soprannominato da tutti “il trangugiatore mascherato” a causa delle
sue acrobazie funamboliche per riuscire a rubare la merenda a tutti, o almeno
scroccarne un pezzetto. Quando passa lui per i corridoi tutti nascondono la
merenda sotto la felpa e abbassano il cappuccio sulla testa, tanto che
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sembrano degli spacciatori anonimi di sostanze stupefacenti. Ma l‟obiettivo
primario di Nicola sono le merende dei nuovi iscritti di prima, che, ignari della
sua fama di “trangugiatore”, espongono la loro cioccolata o la pizzetta in bella
vista.
Andrea invece è il tipico intellettuale che non vuole passare per “secchione”
(una volta ha preso volutamente un‟insufficienza in Fisica, la sua materia
preferita, proprio per non essere chiamato così!), è un ragazzo simpatico,
estroverso, impegnato nel sociale, non fuma, non esagera col bere, insomma,
assolutamente un vero e proprio bravo ragazzo! Sono felice di essere il suo
migliore amico; peccato che, da qualche tempo, abbia perso il buon umore.
È cupo in volto, anche se cerca di nascondere questa sua malinconia dietro
un falso sorriso. Solo in certi momenti riesco a strappargli via i pensieri che
vagano nella sua testa; durante le lezioni lo vedo ora grattarsi il capo
sbuffando mestamente, ora incantato verso la lavagna come sopra
un‟immaginaria e soffice nuvoletta rosa.
Ma torniamo alla ricreazione di oggi, 20 Dicembre, il giorno in cui ho capito
qual è la causa del malessere del mio amico: è cascato nelle trappole e nelle
fesserie dell‟amore!!!
Dopo che è stato borseggiato della sua merenda, vado da Andrea per
chiedergli una volta per tutte il motivo del suo malumore e se possiamo
trovarci per parlarne insieme, anche se credo di averlo intuito. Sospirando
varie volte e guardandosi i piedi cercando astutamente di non incrociare il
mio sguardo inquisitore, mi risponde: “Non posso uscire, devo studiare latino”.
“Parliamoci chiaro, siamo amici da quando ci coloravamo i piedi all'asilo per
imitare gli indiani pellirossa: credi che non capisca quando ti inventi una
scusa?”.
E così l'ho convinto, senza doverlo nemmeno smentire sul fatto che noi il
latino a scuola proprio non lo facciamo.
Abbiamo deciso di
trovarci per parlarne
quella stessa sera
dal Gino, il miglior
bar
del
nostro
paesino di provincia;
a dire la verità è
nello stesso tempo
anche il peggiore,
dato che è l'unico
nel
raggio
di
chilometri. In questo
piccolo locale si
respira un'atmosfera confusionale ma accogliente: appesi ai muri e sui
banconi ci sono tutti i tipi di gadget che una marca di birra può possedere:
orologi, poster, bicchieri, posacenere... e,, immancabili, le foto appese del
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proprietario con vari calciatori dell'Inter, del Milan e della Juventus, con tanto
di autografo. Ma la parte migliore è quando i clienti chiedono al Gino di
raccontargli come e quando le ha scattate: dà sempre una versione diversa!
Un giorno io e la mia compagnia le riepilogammo, erano ben 37 diverse
versioni, ognuna spiegata nei minimi dettagli: da quando aveva conosciuto
Ibrahimovic alla festa del turtél, a quando aveva dato uno strappo con la
macchina ad un Balotelli rimasto a piedi con la sua Ferrari Enzo.
“Al Gino” non è tifoso di
una squadra sola, o
almeno nessuno sa
quale sia la sua squadra
preferita.
Dice
che
simpatizzando un po'
per tutte le squadre
evita quelle tipiche liti da
bar di cui ogni tanto si
sente
parlare
sul
giornale, che iniziano
per motivi stupidi e
finiscono molto male, e
in effetti su questo ha
ragione.
Ma il bello di questa
taverna è che ognuno è
se stesso e per una
mezz'ora di libertà si
può togliere la maschera che porta tutta la giornata: quella da impiegatosoldatino, da spaccone di periferia, o da ragazzo timido e imbranato.
Questa sera Andrea è stranamente puntuale, con la sua Polo di terza mano,
un regalo dello scorso mese dei suoi genitori per festeggiare la nuova patente
ottenuta a pieni voti. Una volta seduti al tavolino e ordinate due pinte,
parliamo del più e del meno, fino a quando non decido di arrivare al nocciolo
della questione, tentando un giro di parole che
però Andrea smorza sul nascere.
“Vedi André, se io ti dicessi: dimmi una parola
che inizia per la lettera N. Tu cosa diresti?”
“Ho capito dove vuoi arrivare, grazie per lo sforzo
di averci provato ma questi giochetti da bambini
non li tollero proprio. E comunque, come tu avrai
ben dedotto, mio caro Holmes, quella parola è
Noemi, N-O-E-M-I. Ti ho fatto lo spelling nel caso
non avessi capito. Il fatto è che quella parola mi
bombarda la mente in ogni istante, non faccio che
pensare al suo sorriso, a quanto desidererei darle
23
un bacio. Invece sprofondo quando vedo quell'imbecille del Rossi che le tiene
la mano assieme al cellulare e la sigaretta e con quella libera si gratta la testa
mentre lei gli accarezza le dita dolcemente, e alla fine si scambiano un bacio
che definire falso e meschino è poco.”
Sono sorpreso dalla sua imprevista loquacità, ma soprattutto dal tono di sfida
che indirettamente mi lancia. In effetti Noemi è una ragazza molto carina: è
sempre solare, i suoi occhi verdi si intonano perfettamente al sorriso sempre
presente accanto alle sue gote color della vita. Da quelle poche informazioni
che conosco, indipendentemente dal buono e dal cattivo tempo nessuno l'ha
mai vista demoralizzarsi e sostituire il sorriso candido e sincero ad una
smorfia muta e disperata.
Dato che non ho esperienza nel
campo amoroso (a parte quei
pomeriggi in cui devo sorbirmi
novanta
puntate
dell'interminabile
soap-opera
Beautiful alla TV di cui mia
sorella
è
morbosamente
appassionata), non so se
comportarmi con Andrea da
amico sincero, che però
duramente gli deve aprire gli
occhi sulla realtà dei fatti, o se
devo assecondarlo; così sto in
silenzio, aspettando che beva
l'ultima
goccia di birra e continui il suo
discorso:
“E poi cosa avrà il Rossi più di
me? Ok, ha un dragone tatuato
sul collo che a sua volta ha
tatuato un dragone che pratica kung fu, va sempre in palestra, ha dei gran
muscoli dappertutto, meno che nel cervello! Non sa quale splendida ragazza
si ritrova davanti, crede che Noemi sia una ragazza qualunque!”
Mi accorgo che il mio amico si sta veramente scaldando e mi sta usando solo
per sfogarsi. Quindi, con lo scopo di accendere la sua ira, ribatto: “Ma in
fondo lei è solo una ragazza!” - Non avessi mai pronunciato queste parole.
La sua reazione mi ammutolisce. “No stupido! Lei è LA ragazza! Alcuni miei
amici mi hanno detto che lui la sta solo usando per arrivare ad una sua amica!
Se solo lei sapesse quanto a lui importi poco, forse getterebbe uno sguardo
su di me... E tu dì qualcosa, no?! Non rimanere lì con quella faccia da beota!”
Dopo qualche secondo di silenzio mi riprendo, voglio calmarlo e tentare un
armistizio, ma il fiato non si trasforma in parole, mi sento come l'ambasciatore
persiano a Sparta nel film “300”, pronto per cadere nel mio baratro su misura,
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ed Andrea fa la parte di Leonida; insomma, ho perso in partenza. Gli dico
solo: “Andrea, cosa ti devo dire, non possiamo comandare i sentimenti delle
persone”.
“Bell'amico che sei! mi chiami qui e non mi sai dire nulla. I tempi dell'asilo
sono finiti da un pezzo, ricorda. Mi rendo conto che in questa società apparire
è più importante che essere, che schifo! Se come me hai addosso l'etichetta
di sfigato non è possibile toglierla, perché è come un marchio a fuoco nella
carne. Al diavolo gli amici, il calcio, la scuola, i giorni spesi per diventare
qualcuno, la filosofia e la sua ragione ambigua, la matematica e la scienza!
Se il mio cuore non ha pace tutto questo converge in un punto, e vale quanto
il nulla. Non mi importa qual è la destinazione, sempre se ce ne è una, voglio
andarmene da qui, ho bisogno di viaggiare. Da solo”.
Detto questo, prende in fretta la sua giacca (fuori piove a dirotto), lascia 5€
sul tavolo ed esce; sbattendo la porta con noncuranza, l'insegna al neon del
bar cade e si rompe in un piccolo fuoco d'artificio incandescente.
Il mio migliore amico se ne è andato, e l'unica cosa che sono riuscito a dirgli
è stata: “Non possiamo comandare i sentimenti delle persone”, una frase trita
e ritrita che non si sente più nemmeno nei film.
Temo per Andrea, non so se lo rivedrò più. Non ho mai conosciuto questo
lato burbero del suo carattere. E‟ proprio vero che l'amore certe volte può
cambiare completamente una persona, in positivo o in negativo, rendendola
migliore o facendole compiere azioni folli.
Gli occhi mi si gonfiano, non riesco più a pensare, rannicchio la testa tra le
braccia conserte e, sotto la telecronaca alla radio di chissà quale partita di
calcio, e le parole e le risa degli altri clienti, chiudo gli occhi.
Matteo Lucchini
Nota dell‟autore: Questa puntata dal sapore agrodolce si chiude così, con
questi enigmi irrisolti: dove andrà Andrea? Giacomo lo cercherà? Dov'è
custodito il Santo Graal? Ma soprattutto: riusciranno Goku e i suoi amici a
sconfiggere il mostro e a ripristinare la pace?
Se volete dare una risposta a queste misteriose domande leggete i prossimi
numeri di Fermitutti.
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recensione libro
QUALCUNO CON CUI CORRERE
Autore: David Grossman Editore: Mondadori
I protagonisti sono due ragazzi di 16 anni: Assaf e Tamar. Il romanzo è
costruito intervallando le vicende del primo, impegnato nella ricerca del
padrone di una cagna arrivata nel municipio dove lui lavora nel periodo estivo,
con quelle di Tamar, una ragazzina alla disperata ricerca del fratello
tossicodipendente scappato di casa.
All‟inizio il racconto è molto enigmatico.
Ad Assaf viene assegnato lo strano
incarico di riportare la cagna al
proprietario, ma non è lui a guidare la
cagna, sarà invece lei, Dinka, a
trascinarlo in una folle corsa su e giù
per le strade di Gerusalemme. Assaf
viene condotto nei posti più improbabili
e conosce vari personaggi che gli
danno degli indizi sull‟identità di Tamar.
In particolare in un monastero incontra
una arzilla e buffa vecchietta, Teodora,
suora di clausura che non ha mai
messo piede fuori dalla porta da
quando circa cinquant‟anni prima era
stata trasferita lì per una missione
molto importante. Teodora conosce
molto poco del mondo esterno e
frequenta solo una persona: Tamar,
con la quale intratteneva lunghe
chiacchierate
prima
della
sua
scomparsa. Ora Teodora sta aspettando il suo ritorno, perché sa il motivo per
cui Tamar è scappata. Pur non tradendola, la suora decide di aiutare Assaf
nella sua ricerca e descrive Tamar come una ragazza molto solare, forte e
determinata.
Il ragazzo si appassiona sempre di più alla sua storia e decide che vuole
ritrovarla. Però è un ragazzino timido e chiuso e dovrà affrontare una sfida
con sé stesso che lo farà crescere, affrontando tutti gli ostacoli che lo portano
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a prove di coraggio e di volontà, tra cui la lotta continua con il pensiero di
mollare tutto e tornare a casa.
Allo stesso modo Tamar deve affrontare una realtà pericolosa e ostile, un
circolo malavitoso che sfrutta gli artisti di strada illudendoli di poter
raggiungere il successo. Mettendo a rischio la propria vita, essa corre tutti i
rischi per portare in salvo il suo amato fratello, che i genitori non vogliono più
cercare. Per questo è pronta ad abbandonare i propri sogni e progetti, a
contrattare con spacciatori e a cantare per strada. Riuscirà nel suo intento?
Come reagirà all‟incontro con Assaf?
Questo non lo svelo per non togliervi il piacere della lettura. Però vi dico che il
romanzo travolge nella corsa verso l‟incontro tra i due protagonisti, e la
continua suspense invoglia a non staccare gli occhi dalle pagine. Ricca di
colpi di scena, è una storia che appassiona, anche grazie alla scrittura
scorrevole e piacevole di Grossman che riesce con disinvoltura e semplicità a
mettere bene in risalto i temi che affronta, come il valore dell‟amicizia,
dimostrato da tutti coloro che hanno aiutato Tamar e Assaf nell‟avventura, e
la crescita dei due adolescenti attraverso nuove esperienze che li
cambieranno.
Viene affrontato anche il problema della droga, attraverso la figura del fratello,
il quale senza di essa sostiene di non suonare bene; purtroppo questo al
giorno d‟oggi è un problema di molti, che trovano la soluzione a tutti i loro
problemi nella droga e come lui non sono capiti e aiutati a sufficienza dai
genitori. Infine non poteva mancare l‟amore tra Assaf e Tamar, che cresce
lentamente durante la corsa e sboccia al traguardo.
E‟ un romanzo che consiglierei a tutti gli adolescenti, che invita a riflettere e
insegna che c‟è sempre qualcuno con cui correre.
a cura di Beatrice Bocchi
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recensione fumetto
YU YU HAKUSHO
Yu Yu Hakusho è un anime
disegnato da Yoshihiro Togashi, i cui
protagonisti sono esseri umani e
demoni che devono affrontare
battaglie in cui vengono utilizzati dei
poteri spirituali.
Il personaggio principale si chiama
Yusuke Urameshi, ed è un giovane
irrispettoso nei confronti di tutti e con
una sfrenata passione per le risse.
Nonostante il suo pessimo carattere,
un giorno egli decide di sacrificarsi per salvare la vita di un bambino: questo
avvenimento é inaspettato anche per l‟Aldilà, e infatti, grazie a questo gesto,
Yusuke viene riportato in vita e nominato detective del mondo degli spiriti.
Durante le sue prime missioni conosce quelli che diventeranno i suoi tre
inseparabili compagni: Kuwuabara, un liceale amante delle risse e molto
simpatico, Hiei e Kurama, due demoni dall‟animo buono.
Con loro Yusuke affronta un sacco di avventure emozionanti, che gli fanno
spesso sfiorare la morte, iniziando dal Torneo delle Arti Marziali Nere, in cui i
nostri hanno dovuto sconfiggere i terribili fratelli Toguro, fino ad arrivare alla
difficilissima sfida con Sensui, dove i quattro eroi hanno combattuto per
impedire ai demoni di invadere il mondo degli esseri umani.
E‟ durante questa battaglia che si scopre la natura demoniaca di Yusuke.
A questo punto della storia i nostri quattro amici si separano: Kuwuabara
rimane nel suo mondo per cercare di entrare in una scuola prestigiosa,
mentre gli altri tre vanno nel mondo dei demoni per diventare più forti in modo
da poter vincere un torneo (organizzato dallo stesso Yusuke) che decreterà il
re del mondo dei demoni.
Questa separazione non segnerà la fine della loro amicizia, infatti negli ultimi
episodi dell‟anime si riuniranno tutti, mettendo in evidenza l‟importanza di
questo straordinario legame.
Questo favoloso anime è ricco di colpi di scena ed inoltre non perde mai il
suo lato ironico, nemmeno nei momenti più critici; per questi motivi ne
consiglio vivamente la lettura.
a cura di Nicola de Mita
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Vorrei dedicare questa canzone alla mia cara amica, a te, Alice, sperando
che tu ritorni presto a camminare e a fare ciò che più ti piace.
un abbraccio
Giorgia
Noi…!!! Noi che siamo sempre qui
Qui dove l‟amore sembra impossibile…
Qui dove tutto è tormentabilee…
Dove Il mondo è immaginabile
Viviamo diiiii speranzaaa
Dentro un mondo di sapienza!!!.
Se tutto fosse semplice
Con una piccola gioia di vivere
Tutto … tutto rimane qui
Dove noi siamo ad aspettarti
Se stai qui con noi
Non lasciarci mai
Ti vogliamo rivedere
Ti vogliamo riabbracciare …
Se vuoi vivere
Non lasciarci non farci maleeeee
Tu piccola stella nel cielo
Una stupenda creatura ….
Si nasconde …. dietro alla sua armatura
Un‟anima intelligente
Dentro un corpo esistente
Ci fai ricordare come eri…
Ti cerchiamo volentieri
Perché tu sei nostra amicaaa
Dai ritorna dalla Nikaaa!!
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FOTO – GRAFIE
di Alice Papotti
(parole di Alice Papotti e Matteo Diani)
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L’ASSASSINA e Il vampiro
racconto
PREFAZIONE
“Anche questo è morto” sussurrai.
Anche questo è morto, pensai, ora che il suo corpo è a terra sanguinante
l’adrenalina sta diminuendo, anche se il solito sentimento di potere e libertà si
sta facendo sentire, come sempre. Dopotutto sono stata abituata così, sono
stata addestrata per questo. Sono nata per questo.
CAPITOLO 1: LA MIA PRIMA MISSIONE
“Ancora Ethel! Da capo!” mi ripeteva il mio maestro se sbagliavo un solo
piccolissimo movimento. “Non si può sbagliare! Anche solo un piccolo
spostamento sbagliato può portarti alla morte” dicevo in contemporanea con il
mio maestro, che lo stava praticamente urlando.
“E la morte deve essere provocata, non subita, non da un assassino!”
continuava il mio maestro.
Sì, un assassino. Io sono un‟assassina, l‟unica ragazza che a soli sedici anni
è uno dei migliori assassini in circolazione. Anche se io sono l‟unica ragazza
che è diventata una assassina. Ma andiamo con ordine.
Vivo in America, in una specie di castello di un piccolo villaggio che viene
governato dal mio clan di
assassini.
All‟interno
del
castello vivono anche le
donne, ma sono separate
dagli assassini, perché loro
vengono “utilizzate” solo per
scopi
riproduttivi
e
per
soddisfare
i
capricci
di
qualche assassino.
Io sono un‟eccezione, poiché
nel periodo in cui sono nata
non c‟erano molti bambini
maschi, quindi decisero di
tentare di addestrare una bambina, e quella bambina ero io. Mia madre
all‟inizio era contraria, ma poi si convinse che era giusto che io non subissi
ciò che aveva dovuto passare lei, quindi avere un futuro diverso dalle altre
donne di corte.
I primi due anni li passai con mia madre, e quando cominciai a parlare gli
assassini mi presero con loro e il mio maestro fu proprio mio padre, Eric. La
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prima volta che entrai nella sala d‟addestramento si capì che la loro scelta
era stata giusta: già da un anno sapevo camminare, quindi non ci furono
problemi, infatti mio padre mi lasciò correre spensierata e mi avvicinai ai
pugnali da lancio; ne presi uno, mi girai verso mio padre e gli altri assassini
che erano con lui, poi lanciai il pugnale centrando quasi uno di loro se mio
padre non lo avesse spinto da parte.
Mio padre mi prese in braccio e mi portò per l‟ultima volta da mia madre,
Grace si chiamava, alla quale raccontò ciò che era successo poco prima.
Infine, le disse di preparare le mie poche cose, perché sarei andata ad
abitare dove vi erano gli altri assassini e avrei dormito con mio padre.
Nei tre anni successivi imparai a parlare bene e cominciarono ad insegnarmi
le basi per diventare un‟assassina: non feci
ancora l‟addestramento fisico, perché ero solo
una bambina di quattro - cinque anni.
Quando ebbi compiuto cinque anni, decisero di
iniziare anche con quello; e doveva continuare
ad addestrarmi mio padre per ordine del
Supremo Maestro, il capo del clan.
L‟addestramento era durissimo e pesante,
anche se portava ad ottimi risultati, e veniva
anche un po‟ addolcito da mio padre: quando
mi allenava in pubblico era freddo e duro,
mentre quando eravamo da soli non era affatto
severo: era dolce, e se sbagliavo mi diceva che
non era niente, ma che dovevo imparare a
rifarlo senza sbagliare; era un padre dopotutto.
Mi allenai moltissimo e intanto ci prendevo
gusto e mi divertivo, stupendo tutti con i risultati
che ottenevo; infatti dopo solamente un anno e
mezzo di allenamento nel castello fui pronta per
affrontare le missioni con mio padre, che mi
insegnava, direttamente sul campo, come
comportarmi per fare indagini e colpire al
meglio la vittima.
Quando affrontai la mia prima missione avevo
sei anni e mezzo e sapevo maneggiare al
meglio una spada, la lama nascosta, il pugnale
e i coltelli da lancio; dovevo fare solo qualche
miglioramento nell‟arco e poi sarei stata una vera e propria assassina. La mia
prima missione si svolse nello stato dell‟attuale California, vicino all‟abitazione
segreta di uno di noi, uno che ci poteva dare informazioni sulla nostra vittima,
un piccolo indizio per cominciare le indagini: il suo nome era Alvin.
Giunti in California andammo da Alvin, il quale ci diede alloggio. Ci fornì il
punto della situazione e ci indicò dove andare per cercare alcune
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informazioni sulla nostra vittima. Le uniche informazioni di cui eravamo in
possesso erano quelle che il Supremo ci aveva fornito prima di partire:
sapevamo il nome, Austin, e il motivo per cui dovevamo ucciderlo: aveva
rapito una delle donne del castello e perciò doveva pagare. “Pagare con la
vita” aveva detto il Supremo e il modo in cui lo disse mi fece trasalire.
Cominciammo a fare indagini il giorno stesso del nostro arrivo e scoprimmo
dove stava in quel momento la nostra vittima. Appena calò la sera,
ritornammo in casa di Alvin (dopo aver scalato la casa, poiché l‟entrata si
trovava sul tetto), il quale ci diede del cibo e dei cuscini.
Mangiammo, poi io andai a coricarmi e finsi di essermi addormentata per
ascoltare quello che dicevano: parlarono di come io e Eric ci saremmo mossi
il giorno seguente, poi, a un certo punto, smisero di parlare ed Eric si avvicinò
a me e mi disse all‟orecchio: “Ora sai come dobbiamo comportarci domani,
perciò faccio senza ripetertelo… Però ora dormi davvero.”
Aprii gli occhi di scatto e
girai il viso con un punto
interrogativo stampato in
faccia che diceva: “Ma come
hai fatto?” e lui mi rivolse un
sorriso e disse: “Dormi ora
che domani sarà una
giornata lunga”
Mi distesi di nuovo per
dormire veramente, stavolta.
Ero ancora un po‟ troppo
piccola per avere il sonno
leggero, ma sapevo che Eric
e Alvin, invece, dopo anni di
addestramento, avevano il
sonno leggero; perciò ad ogni rumore strano si sarebbero svegliati.
Ci svegliammo all‟alba, perché dovevamo continuare le nostre indagini;
perciò ci dirigemmo verso la casa della nostra vittima per registrare i suoi
spostamenti. Eravamo partiti molto presto perché c‟erano poche persone in
giro e quindi avremmo agito senza troppi intoppi.
Raggiungemmo la dimora di Austin e notammo che aveva due guardie
all‟entrata principale e una per ogni entrata secondaria, per un totale di sei. Ci
accontentammo di questo primo sopralluogo, anche perché cominciava a
girare gente, soprattutto mercanti che preparavano le loro bancarelle, e non
dovevamo destare sospetti. Ogni volta che ci spostavamo indossavamo dei
lunghi mantelli con il cappuccio sulla testa per mettere in ombra il viso;
quando lo indossavo spuntavano dal cappuccio i miei lunghi capelli biondi,
che però raccoglievo anche per tenere nascosta la mia identità di bambina.
Indossarlo mi divertiva, perché mi piaceva l‟idea del mistero e dell‟identità
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nascosta; inoltre mi sentivo veramente me stessa quando nascondevo il viso
nel cappuccio.
Passammo tra le bancarelle dei mercanti e, ogni tanto, qualche guardia ci
passava di fianco. Se ci avessero riconosciuti e attaccati, io non avrei potuto
fare molto, anche perché avevo solo un pugnale e dei coltelli da lancio,
mentre mio padre avrebbe combattuto per difendere entrambi. Mentre
osservavo le guardie che stavano passando, urtai una bancarella di un
mercante facendogli cadere alcuni oggetti e le sue grida attirarono
l‟attenzione di un gruppetto di guardie che si avvicinarono a noi e chiesero:
“Che succede qui?”
“Niente, ho solo urtato questa bancarella e ho fatto cadere alcuni oggetti, ma
non l‟ho fatto di proposito” risposi, anticipando mio padre.
“Alzati ragazzino” mi disse la guardia.
Per fortuna, i miei capelli non uscirono dal cappuccio: nessuno doveva
sapere che ero una bambina assassina, altrimenti non so cosa sarebbe
successo, visto che vestivo panni maschili.
“Quanti anni hai?” mi chiese la stessa guardia.
“Ho sei anni” risposi.
“Bene ragazzino,
togliti il cappuccio e
seguici.” disse la
guardia.
Io
mi
spaventai,
ma
non persi la calma.
“E voi? Chi siete?
Potete, anzi, ve ne
dovete
andare!
subito!”
ordinò
un‟altra guardia
rivolta
ad
Eric;
probabilmente
non si era accorto
che mio padre
era sempre stato lì.
“No, non me lo tolgo il cappuccio e non seguirò voi” dissi per rispondere alla
guardia ed evitare, così, che mio padre dovesse dire qualcosa.
“Come hai detto?”
“Ho detto che non vengo con voi e che non mi voglio togliere il cappuccio”
risposi con decisione.
La guardia sguainò la spada e la rivolse contro di me, ma intervenne subito
pronto Eric che fermò il colpo con la sua spada.
Un‟altra guardia gridò: “Non ti intromettere! – poi rifletté e lo guardò di nuovo
– Ma… Aspetta un attimo… tu sei un assassino! uccidiamolo!”
La gente che stava intorno a noi e fino a quel momento aveva assistito alla
scena, cominciò a correre urlando da una parte e dall‟altra, in cerca di un
riparo.
Mio padre aveva già cominciato a combattere contro le quattro guardie da cui
mi aveva difesa. Non esitai, presi il pugnale, mi arrampicai sulla bancarella
che avevo urtato poco prima e la usai come trampolino di lancio per uccidere
una guardia che stava per colpire Eric alle spalle. Una delle guardie rimaste
capì che anche io ero con l‟assassino, e caricò verso di me. Eric voleva
fermarlo ma gli gridai: “Lascialo a me!” e lui, stranamente, mi diede retta. La
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guardia correva verso di me, io aspettai l‟ultimo momento per spostarmi e lei
non poté evitare di andare a sbattere contro una bancarella, così colsi
l‟occasione per ucciderla con un colpo di pugnale. Intanto, mio padre aveva
già ucciso le altre due guardie. Corsi verso di lui e cercai di parlargli, ma mi
fermò dicendo: “Me lo dirai dopo. Adesso dobbiamo fuggire prima che
arrivino altre guardie”.
Non dissi altro e mi limitai ad annuire. Cominciammo a correre e
imbroccammo un vialetto abbastanza isolato, ma fu inutile perché altre
guardie ci stavano seguendo; allora mio padre salì su una scala che ci portò
ai tetti dove continuammo la corsa, fino a che riuscimmo a trovare un
nascondiglio facendo perdere le nostre tracce. Feci un cenno ad Eric per
fargli capire di aspettare un momento e gli presi la borraccia d‟acqua che
aveva attaccata alla cintura e ne bevvi un sorso: tutto quel correre mi aveva
assetato.
Finito di bere, dissi ciò che non ero stata capace di dire prima: “Papà mi
dispiace! E‟ successo tutto per colpa mia! Solo perché ho urtato una stupida
bancarella! Mi dispiace tanto, davvero!”
Lui mi guardò e si lasciò sfuggire un mezzo sorriso, senza dire niente. “Che
c‟è?” gli chiesi.
Quel sorriso non
scomparve,
ma
stavolta rispose:
“Niente, solo che
non
ti
devi
scusare
perché
queste cose sono
all‟ordine del giorno.
E poi mi è
piaciuto che tu mi
abbia chiamato
papà.
Mi
hai
sempre chiamato
maestro, o, come
quando
eri
piccola,
maeto
perché
non
riuscivi a dirlo!”
scoppiò in una
delle sue risate
felici e spensierate, che contagiavano chiunque e, infatti scoppiai a ridere
anch‟io. Ero contenta, nonostante tutto. Ci eravamo seduti uno di fronte
all‟altra, lui mi indicò di sedermi sulle sue gambe e io eseguii; mi abbracciò
come un padre fa con la propria figlia, mi baciò sulla testa e disse: “Ora
andiamo, per oggi basta così!”. Annuii e uscimmo dal nascondiglio, sempre
attenti a non avere altri incontri-scontri con delle guardie. Arrivammo sani e
salvi da Alvin, che ci accolse un po‟ con sorpresa per il nostro arrivo così
anticipato.
“Per quale motivo questo ritorno affrettato, Eric?”
“Abbiamo avuto un piccolo scontro con le guardie”.
“Come? Cos‟è successo? Com‟è successo?”
“Niente… È stata tutta colpa mia, ho urtato per sbaglio una bancarella e ho
fatto cadere alcuni oggetti … Un gruppo di guardie è passato lì vicino e mi ha
visto e mi ha ordinato di togliermi il cappuccio, scambiandomi per un
bambino, e di seguirlo. Ma ho rifiutato e una delle guardie mi voleva colpire,
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così è cominciata la battaglia. Tutto per colpa mia, mi dispiace molto” risposi.
“Se ora è tutto risolto, non importa Ethel, basta solamente che..”
“No, non ci hanno seguiti” finì la frase mio padre “Ne siamo sicuri”.
Passammo il resto della giornata a progettare il piano per l‟uccisione di
Austin, ma io mi addormentai dopo aver sentito la parte del piano in cui
comparivo. Avremo agito di notte perciò anche Eric si preparò, ma
meditando. Feci un po‟ fatica a svegliarmi. Andai a prepararmi, vestendo,
come sempre, gli abiti degli assassini e raccolsi i miei capelli con un nastro,
perché non mi dessero fastidio.
Pronti, ci incamminammo verso l‟obiettivo, raggiungemmo la sua dimora e
agimmo come previsto: salire alla sua stanza, attraverso la finestra, e
ucciderlo; prima di porre fine alla sua vita, però, avremo preteso di sapere
che fine avesse fatto la donna che aveva rapito. Entrammo nella sua stanza e
lo vedemmo dormire beatamente da solo, nel suo letto, che presto sarebbe
stata la sua bara.
Io presi posizione dietro alla vittima con il pugnale sguainato pronta a colpirlo
se avesse fatto una mossa falsa, mentre Eric aveva la lama nascosta fuori e
puntata alla gola
della vittima. Eric
svegliò Austin, gli
tappò la bocca e
disse: “Non ti
conviene urlare o
fare
qualunque
verso”.
L‟altro annuii e si
percepiva lontano
un miglio la paura
che stava provando, ogni suo respiro, ogni suo movimento incerto trasudava
paura. Probabilmente non si era accorto di me e mio padre continuò: “Prima
che tu muoia per tradimento, voglio sapere il motivo del tuo gesto”.
“Io… Di che gesto parli? Di che tradimento?”
“Non fare finta di non conoscere la verità, lo sappiamo che hai rapito una
delle nostre donne, mentre noi ti avevamo offerto un tetto sotto cui vivere. Tu
ci hai traditi e questo si deve pagare con la vita” rispose freddamente Eric.
La sua voce mi fece paura: non lo avevo mai visto così. E lui continuò:
“Voglio sapere il motivo. Ti abbiamo accolto come un fratello e tu ci hai traditi
portandoti via una donna. Abbiamo rischiato di farci scoprire per colpa tua,
Austin; hai messo in pericolo l‟intera confraternita e questo non verrà mai
perdonato. Ma voglio sapere il motivo: perché?!”
“Ero stanco di tutta quella morte, di tutto quel sangue, volevo darci un taglio,
ma poi incontrai Emily e la mia vita cambiò dopo aver passato una notte con
lei. Me ne innamorai, e volevo che fosse per sempre e solo mia, così decisi di
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rapirla: ma lei lo sapeva ed era era d‟accordo, quindi non fu un vero
rapimento ma una fuga insieme”.
“Hai messo in pericolo tutti per una donna? E comunque se tu eri stanco
bastava dirlo e avresti smesso. Ma ora, mi dispiace, devo eseguire la
condanna; addio Austin”.
“Addio, Eric”.
Il fendente di mio padre fu veloce e silenzioso. Austin non fece nessun verso,
ma i suoi occhi divennero due palle bianche inespressive.
La missione era stata portata a termine e dovevamo tornare al castello;
uscimmo dalla stanza attraverso la finestra e corremmo verso la casa di Alvin
attraverso i tetti e la raggiungemmo, gli dicemmo che la missione era stata
completata e che partivamo immediatamente. Uscimmo dalla città e nel giro
di poco tempo raggiungemmo il castello. Arrivati, Eric andò a riferire i frutti
della missione al Supremo. Quando tornò venne nella mia stanza a salutarmi
e a chiedermi come stavo.
“Bene, grazie – gli risposi – Comunque… Tu conoscevi quell‟Austin, non è
vero?” chiesi con un po‟ di esitazione.
Lui annuii: “Sì, lo conoscevo. Ci siamo allenati per un po‟ di tempo insieme”.
“Ma quando hai detto che se voleva poteva smettere, era vero? Perché se il
Supremo voleva la morte di Austin per aver portato via con sé una donna,
non permetterà mai di rischiare che un assassino riveli l‟esistenza della
nostra setta.” dissi.
“Sì, in effetti hai ragione. Ma, comunque, non sei un po‟ troppo piccola per
pensare a queste cose? Sono pensieri da grande, non da bambina di sei
anni!” mi rispose scherzoso.
“E mezzo” precisai.
“E mezzo” ripeté lui e se ne andò.
Negli anni a seguire le missioni furono sempre più complicate, in base alla
mia età, e di conseguenza anche gli allenamenti divennero sempre più duri.
La piccola, ma sostanziale differenza che ebbero le successive missioni dalla
prima, fu che fui io ad uccidere le vittime e non più mio padre e, dopo il mio
undicesimo compleanno, cominciai ad andare in missione da sola.
Valentina Meneghello
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Immagini: momenti
di Maura Malpetti
La natura ha infinite cose da raccontarci.
Sta a noi interpretarne il silenzio.
Gli uomini di ogni epoca rivivono la dolcezza
di questo spettacolo attraverso i nostri occhi
"Il mondo é lo specchio del fotografo"
(F. Scianna)
"La quiete dopo la tempesta"
(G. Leopardi)
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<Vivere è passato tanto tempo> … Come
dice questa sua canzone, è passato tanto
tempo da quando è iniziata la storia del
mitico Blasco.
Vasco Rossi, pensate, è già vicino ai
sessant‟anni. E‟ infatti nato a Zocca, paese
dell'Appennino tosco-emiliano tra Modena e
Bologna, il 7 febbraio del 1952. Grazie
all‟intuizione di sua madre, venne iscritto a
lezioni di musica ed alla tenera età di 13
anni vinse l‟Usignolo D‟Oro. A 15 anni entrò
nella sua prima band, i Killer, nome poi
trasformato in Little Boys. Da qui ebbe inizio la lunga e travagliata storia di
questo cantautore italiano che ci ha regalato le stupende canzoni che ora
possiamo ascoltare, come dice lui: <Perché la vita è un brivido che vola
via….>
Ma torniamo a quei primi decenni della sua vita. Una volta conseguita la
licenza media,la famiglia lo iscrive all‟istituto
San Giuseppe a Modena, dove Vasco
sottoposto a rigide regole, diventa sempre più
ribelle. Isolato dai compagni scappa due volte e
va a casa di una zia a Bologna.E‟ lì consegue il
diploma nell‟Istituto Tecnico Commerciale.
Vasco vive a Bologna in un periodo di
particolare fermento sociale, quando divampa
la contestazione studentesca, e la città è
particolarmente coinvolta. E‟ molto affascinato
dal Teatro e vorrebbe iscriversi al DAMS (corso di laurea in Discipline delle
Arti, della Musica e dello Spettacolo) di Bologna, ma il padre non acconsente
e nell'autunno del1972 lui si vede costretto ad iscriversi a Economia e
Commercio di quella stessa università.
In quell‟epoca Blasco si trasferisce dalla casa della zia per andare a vivere
presso una casa in affitto, sempre a Bologna, insieme a due amici, e decide
di prendere seriamente l'impegno universitario; tuttavia, dopo un buon inizio,
si lascia sedurre dalla turbolenza della Bologna di quegli anni. E‟ allora che
fonda Punto Radio e da qui ha inizio la sua storia … musicale.
Giorgia Ghirardini
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SPORT
LA CHAMPIONS LEAGUE DOPO LA FASE A GIRONI
Finalmente si è conclusa la fase a gironi della 2010/2011. Sappiamo, quindi,
quali sono le 16 squadre che saranno le
protagoniste degli ottavi di finale.
Eccole:
Gruppo A: Tottenham, Inter
Gruppo B: Shalke 04, Lione
Gruppo C: Manchester United, Valencia
Gruppo D: Barcellona, Copenaghen
Gruppo E: Real Madrid , Milan
Gruppo F: Chelsea, Olimpyque Marsiglia
Gruppo H: Shakhtar Donetsk, Arsenal
Gruppo E: Bayer Monaco, Roma
Alla fine le italiane si sono qualificate
tutte e tre, anche se con qualche
difficoltà. Nell'ultima giornata dei
gironi hanno perso di misura sia
l‟Inter che il Milan, mentre la Roma
ha pareggiato 1-1 con il Cluj e si è
conquistata il biglietto per gli ottavi di
finale.
Per quanto riguarda invece l'Europa League, è rimasto in corsa solo il Napoli
in attesa dell'ultima sfida contro lo Steaua Bucarest per il secondo posto.
Sampdoria, Juventus e Palermo sono state eliminate dalla coppa con un
turno di anticipo.
Sino ad ora non è stata una grande
annata europea per le nostre
squadre di club, sulla scia della
fallimentare spedizione sudafricana.
Speriamo
comunque
che
le
squadre ancora in gioco tengano
alto l'onore italiano in Europa, dopo
l‟anno del fantastico trionfo dell‟Inter
di Mourinho.
Riccardo Bruno e Nicola Latella
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CURIOSITA e ENIGMISTICA
L’uomo grigio del BenMacDhui
1925. Al 27° meeting annuale al Cairngorm Club di Aberdeen, Scozia,
l‟eminente scalatore professor Norman Collie sconvolge i presenti con un
terrificante racconto riguardo una sua scalata avvenuta nel 1890: era intento
a vincere la vetta del BenMacDuh da solo e, mentre si trovava sulla via del
ritorno, improvvisamente, una fitta nebbia calò sul pianoro su cui si trovava …
Come se non bastasse, oltre alla misteriosa nebbia, dei rumori simili a dei
passi incussero ancora più timore nel suo animo.
Dapprima si convinse che si trattava solo della sua immaginazione e nulla più,
e così, pur turbato, continuò la
discesa. Tuttavia l‟incessante
scalpiccio alle sue spalle lo
stava
rendendo
alquanto
inquieto. Sempre di più … E
più camminava più la sua
ansia cresceva, finché non
giunse al punto di rottura. “Ero
terrorizzato
e
presi
a
camminare più velocemente,
quasi lanciandomi in modo del
tutto incosciente da una masso all‟altro per alcune miglia, fino a raggiungere
la foresta di Rothiemurchus”, dichiara il Professor Norman Collie.
Così egli sfuggì alla “presenza”.
Dopo che Collie ebbe raccontato questa storia, un altro scalatore si fece
avanti con un aneddoto molto simile. Era il Dottor A.M. Kellas. Un giorno,
mentre scalava la ormai celebre vetta del BenMacDhui insieme all‟amico
Henry, scorse all‟orizzonte una gigantesca sagoma scendere dalla montagna
a balzi. Sebbene l‟avvistamento fosse durato poco, i due ebbero la
sensazione di essere seguiti dal “gigante” per tutta la spedizione.
Insomma, a sentire Kellas, sul monte ci sarebbe uno yeti. Tuttavia altre
testimonianze sembrano contraddire l‟ ipotesi. Una di queste è quella di Peter
Denshman, pilota che nella seconda guerra mondiale operò nella zona di
Cairngorm. Un giorno egli decise di scalare la famosa montagna.
Mentre si dirigeva verso Ben Nevis, una fitta nebbia calò su di lui, così decise
di fermarsi e mangiare qualcosa, quando cominciò a sentire dei rumori
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analoghi a quelli avvertiti da Collie e, come lui, cercò di convincersi che non ci
fosse nulla da temere e che fossero i rumori della natura.
Poi in un attimo divenne conscio del fatto che c‟era sicuramente qualcosa
nelle immediate vicinanze del picco adiacente. Quindi si diresse in quella
direzione, incuriosito. Arrivato sul luogo, venne colpito da un forte scarica di
tristi emozioni.
Fu attanagliato da un tale senso di apprensione che, senza accorgersene, si
era diretto di corsa verso Crag
Lurcher e il suo immenso crepaccio.
Fortunatamente riprese il controllo
di sé prima di gettarsi verso morte
certa. E riuscì a scendere incolume.
Sfortunatamente per lui, dovette
tornare di nuovo sulla vetta per
cercare i relitti di un aereo che
pareva essere precipitato nelle
vicinanze. Ma non da solo. Insieme
a lui era presente l‟ amico Richard
Frere.
Ovviamente, durante la perlustrazione, non poteva non accadere nulla di
misterioso e paranormale. Mentre erano seduti su di una roccia, Denshman
udì il suo amico parlare da solo ad alta voce con qualcuno. Eppure c‟erano
solo loro due. Si girò verso l‟amico e prese parte alla conversazione. Una
“muta” conversazione. Una conversazione a livello psichico. Una volta
conclusala, nessuno dei due ricordava di COSA avessero “parlato”né con
CHI.
Per via di questi avvenimenti, i due furono avvicinati da Affleck Gary, uno
scrittore che stava mettendo insieme testimonianze sull‟ “Uomo Grigio del
Ben MacDhui”. Anche lui, come molti altri, era stato vittima degli effetti di
questa “presenza”. Una presenza capace di incutere timore.
Tutti i testimoni riferiscono di essere stati colti da sensazioni sgradevoli
“incontrando” questo essere.
Nel 1840, il celebre professore James Rodes Buchanan aveva formulato
l‟interessante teoria che un oggetto, o anche un luogo, potesse tenere
un‟impronta degli avvenimenti che aveva “vissuto”, e che tali impronte sono
rilevabili da sensitivi dotati della capacità della “psicometria” di cui abbiamo
già parlato nella nostra bella rubrica del mistero di un numero precedente del
giornale. Nel XX secolo, lo scienziato nonché parapsicologo Sir Oliver Lodge
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teorizzò che un fantasma altro non è che un ricordo, un ricordo nato da una
forte emozione, sia essa gioia o dolore o terrore.
Emozioni che impregnano un posto come il BenMacDhui.
Mistero risolto, potreste pensare voi. INVECE NO!! Il mistero diventa
interessante proprio ora.
Frere, raccontò a Gray l‟esperienza di un suo amico che, per aver perduto
una scommessa, dovette passare una notte sul BenMacDhui. Mentre questo
suo amico si trovava nella
tenda posta in cima alla
montagna, venne colto da
una sgradevole sensazione
di angoscia, non di paura.
Era
angosciato
perché
sapeva
di
stare
per
incontrare
un
essere
superiore, un incontro che
gli avrebbe cambiato la
vita …
Tuttavia si addormentò, ma
solo per risvegliarsi di
soprassalto “assalito da una paura terrificante”, come riporta lui stesso.
Guardò fuori dalla finestrella della tenda e vide la luce della luna oscurarsi per
un istante. Qualcosa, si era interposto tra la tenda e la luna.
Prese il coraggio a due mani e scostò la tenda. A una ventina di metri da lui si
ergeva una enorme figura che scendeva con calma il pendio vicino. L‟uomo
lo descrisse come alto circa un paio di metri, col busto ampio e sottile, con
delle spalle molto larghe e i capelli corti e scuri. A detta di Frere “esercitava
una formidabile impressione di potenza”.
Quello, non era di certo un fantasma.
Un‟altra testimonianza viene dalla scrittrice Wendy Wood che, durante una
nevosa giornata, udì una voce di “gigantesca risonanza” venire dalle parti di
Lairig Ghru. “Sembrava una lingua dalle dure consonanti e dalle vocali piene
come il gaelico”, riportò la scrittrice. Immediatamente pensò che si trattasse
di qualche disgraziato che si fosse fatto male, ma, dopo una rapida
perlustrazione, non trovò nessuno. Tuttavia si sentì seguita per tutto il ritorno.
Molti sono gli “avvistamenti” di qualcosa su quel monte, o perlomeno gli
incontri, tuttavia non si è ancora chiarito come sia fatto qualunque cosa ci sia
lassù.
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Una raccapricciante testimonianza ci viene dall‟avvocato e alpinista di
Aberdeen Geroge Duncan, che, mentre scendeva dal monte con l‟amico
James A. Parker, scorse qualcosa che lo pietrificò dal terrore. Stavano
scendendo dal cosiddetto “Punto del Diavolo” per immettersi sulla strada per
Derry, quando “all‟
improvviso
sono
rimasto
come
paralizzato
dallo
spavento
scorgendo davanti
a me un essere
sconosciuto, alto e
vestito di nero, che
mi veniva incontro”;
in
pratica,
la
classica
raffigurazione
del
Diavolo, avvolto in
un nero mantello
con le maniche
lunghe, ondeggianti
al
vento.
“Mi
sembrava avvolto in
una leggera nuvola
di fumo” aggiunse.
Tuttavia, alla prima
svolta, appena uscì
dalla vista, l‟essere
sparì, esattamente
come
si
era
materializzato.
Un‟altra affascinante teoria riguardo questo “presunto umano” la danno il
Capitano Sir Hugh Rankin Bart e sua moglie. Un giorno, mentre
attraversavano in bicicletta il passo di Lairing Ghru, sentirono una presenza
alle loro spalle e, voltatisi, videro un uomo alto e slanciato, robusto, dai capelli
lunghi, che vestiva una tunica e dei sandali. “Non provammo timore. Essendo
buddisti, capimmo al volo di che si trattava. Ci inginocchiammo in segno di
riverenza”. Essi avevano visto in lui la figura del Bodhisattwa, ossia “uno dei 5
Perfetti che controllano il destino del mondo e che si incontrano una volta
all‟anno in una grotta segreta dell‟Himalaya”.
L‟uomo parlava sanscrito e si intrattenne con loro una decina di minuti.
Durante quei momenti, l‟atmosfera era pervasa da una canto angelico.
Quando sparì, la musica cessò.
Mostri, yeti, fantasmi, semi-divinità, se n‟è dette di ogni colore riguardo a ciò
che si nasconde su quei monti. Molti hanno visto o anche solo provato
qualcosa, ma nessuno ha la certezza di cosa vi sia nascosto: il BenMacDhui
resta uno dei misteri più affascinanti di questo grande mondo che viene
chiamato “MISTERIOLOGIA”.
Alessandro Sanguanini
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Christmas in the world
Il Natale si sta avvicinando, ma non tutti lo festeggeranno in maniera uguale.
Vediamo un po‟ come questa festività è vissuta nel mondo.
In Francia i bambini mettono le loro scarpe in modo ordinato perché Babbo
Natale passerà la notte del 24 a metterci dentro i doni e addobberà l'albero.
In Polonia, la vigilia di Natale è chiamata Festa della Stella e, secondo la
leggenda, finché in cielo non compare la prima stella non si deve
incominciare a cenare.
In Spagna, la figura di Babbo
Natale è meno sentita che in
Italia e il giorno più festeggiato è
il 28 dicembre, quando arrivano i
Los Reyes, i nostri Re Magi, che
sfilano in città distribuendo dolci
e caramelle.
In Germania durante il periodo
dell'Avvento i bambini hanno
nelle
loro
camerette
dei
calendari con 24 finestrelle da
aprire
una
al
giorno,
promettendo di compiere buone azioni. Il 6 dicembre arriva San Nicola a
portare i dolci, il 24 dicembre arriva Gesù bambino a portare i doni (o
tannenbaum o tannenbaum, wie grund sie deine better!!eheh!!).
In Inghilterra il 24 Babbo Natale lascia i doni ai bambini e i bambini per
ringraziarlo lasciano sul tavolo della cucina un bicchiere di latte e un pezzo di
dolce per lui e una carota per la sua renna (finalmente qualcuno che pensa
anche alle renne!).
In Finlandia viene preparato nei giardini anche un alberello per gli uccelli
cosicché anche loro possano far festa il giorno di Natale.
In Grecia la vigilia di Natale ci si scambiano doni così come il 25 e l‟1 gennaio,
quando vengono portati come omaggio anche alle persone più povere, tra
canti, musiche e tamburelli. Tutti insieme si mangiano fichi secchi, dolci, noci
e il chrisopsomo, un tipico pane speziato greco.
Tommaso Ferro
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CURIOSITÀ ed ENIGMISTICA
QUALCHE IDEA (COMODA) PER IL TEMPO LIBERO
I giochi di logica sono rompicapi o problemini in cui vincere significa soltanto
trovare la soluzione, e risolverli diventa una sfida con noi stessi. Dal classico
cruciverba, al popolarissimo sudoku, passando per il crucipixel, il kakuro e lo
jokinjiro, sono questi i giochi che attraggono di più nei momenti liberi.
A proposito, vi rimane un po‟ di tempo libero dopo le lunghe ore (?!?) passate sui
libri e non avete la forza di infilarvi le scarpe da ginnastica e andare in palestra? In
televisione danno film già visti e le previsioni del tempo prospettano pioggia? Ecco
una buona soluzione per passare piacevolmente il tempo. Ma, ATTENZIONE,
questi giochini possono trarre in inganno …
1. L‟Oceano Pacifico è il più vasto del mondo con una superficie di 179‟000'000
km2, venne scoperto da Vasco Nunez de Balboa nel 1513. Prima di questa
data qual era l‟oceano più esteso?
2. Cinque cioccolatini sono appoggiati su un tavolo, si riflettono insieme in uno
specchio, che a sua volta riflette in un altro specchio soltanto la metà del
numero riflesso nel primo specchio. Quanti cioccolatini posso mangiare al
massimo?
3. Quanti triangoli ci sono in questa figura?
4. Un uomo si sposò all‟età di 26 anni con una donna di 23, lui morì a 81 lei a
90, quanti anni rimase vedova lei?
5. Una barca ferma nel porto ha la scaletta di legno che sfiora con l‟ultimo
gradino il pelo dell‟acqua all‟altezza dal fondo di 4,50 m. Ogni scalino è
distanziato dal precedente di 15 cm, ma il terzo e il quarto lo sono di 20 cm.
La marea sale di 16 cm ogni ora, dopo un‟ora e mezza quanti scalini saranno
sotto il livello dell‟acqua?
6. Qual è quel verbo che si trova in bocca?
7. I ditloidi sono frasi in cui compare soltanto la prima lettera di alcune parole.
Bisogna trovare le parole mancanti: -11 G in una P di C. (argomento: sport); 12 E in una D. (argomento: matematica); -16 C nell‟A I (argomento: scrittura)
8. Pelosetta e colorita, non più larga di due dita. Fa rizzar la pelle e finisce in
“ica”… Si tratta dell‟…
9. In una gara riesci all‟ultimo giro a superare il terzo, in che posizione ti
classifichi?
Le soluzioni sono nella pagina successiva.
a cura di Alice Girelli
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SOLUZIONI:
1.
2.
3.
4.
5.
6.
Era comunque l‟Oceano Pacifico
5
22
12
Nessuno perché il legno galleggia
Molare
7. 11 giocatori in una partita di calcio,
12 elementi in una dozzina, 16
consonanti nell‟alfabeto italiano
8. L‟ortica!
9. terzo
Curiosità
Fotografare l'invisibile...
Il microscopio a scansione ad effetto tunnel è uno strumento inventato negli
anni Ottanta da due ricercatori dei laboratori IBM di Zurigo, Gerd Binnig e
Heinrich Rohrer, che per questa scoperta
ottennero anche il Premio Nobel per la
Fisica nel 1986. La foto in questo caso
avviene su scala atomica, ma ad essere
fornita non è un'immagine diretta
dell'oggetto. La tecnica si basa sulla
cosiddetta corrente dovuta all'effetto
tunnel: una punta molto sottile è
avvicinata ad una distanza fissa alla
superficie di un solido ed è eseguita la
scansione della struttura della superficie, fino a visualizzare gli atomi che la
compongono, osservando come questi vibrano.
La risoluzione, altissima, arriva all'ordine di grandezza di 0,2 nanometri.
Nella foto, la catena della doppia elica di una molecola di DNA.
L’AVRESTE MAI DETTO?
All‟università di Baltimora due ricercatori chimici
americani, Constantin Fahlberg e Ira Remsen,
lavorano sui derivati
del catrame. A un
certo punto riescono
a
ottenere
un
composto e Fahlberg
per caso lo assaggia.
Scopre così che è
molto dolce. Decide
allora di chiamarlo “saccarina”, perché è un
prodotto molto simile allo zucchero (il
saccarosio). Più avanti si scoprirà che le proprietà dolcificanti sono molto
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superiori a quelle dello zucchero. Oggi è usata soprattutto nell‟industria
farmaceutica e negli alimenti per diabetici.
Nebulosa col botto!
A 35 mila anni luce dalla Terra qualcuno ha premuto il grilletto. Lo "sparo" –
una violenta esplosione dovuta all‟accumulo di materia celeste attorno a un
buco nero – ha lasciato dietro di sé questa nebulosa fotografata dai telescopi
Chandra e Palomar. In blu, al centro, brilla un gas superbollente, con una
temperatura di 15 milioni di gradi ricco di
minerali. Invece gli aloni in verde e rosso
sono
nubi di idrogeno visibili solo agli infrarossi.
Di "botti" del genere (piccoli Big Bang
che gli esperti chiamano gamma ray
burst) è pieno lo spazio. Si calcola che
ne capiti circa uno al giorno, in qualche
angolo remoto dell‟universo. Ma è la
prima volta che se ne vedono tracce
nella nostra galassia.
Il Sudoku più difficile del mondo
Come di certo sapete, il Sudoku è nato in Giappone negli anni '70. É' una
griglia di 9x9 caselle, in ognuna delle quali si dovrà scrivere un numero da 1 a
9. La griglia, che presenta alcune caselle già compilate, è a sua volta divisa in
9 zone di 3x3 caselle. Il Sudoku ha una sola regola: in ogni colonna, in ogni
riga e in ogni regione, ogni numero deve comparire una volta sola.
Ebbene, un matematico finlandese ha
realizzato il Sudoku più difficile al mondo.
Gli è costato 3 mesi di lavoro.
E voi? Quando ci metterete a risolverlo?
La sfida è aperta. Appassionati di Sudoku
di tutto il mondo è arrivato il momento
della
verità:
quello
che
vedete
nell'immagine è il l'imperatore di tutti gli
schemi. É il Sudoku più difficile del mondo.
Lo ha sviluppato Arto Inkala, un
matematico finlandese, su incarico di una
casa farmaceutica che produce e
commercializza un integratore per il
cervello a base di omega-3. Inkala ha
sviluppato lo schema in 3 mesi di lavoro con il supporto di un software da lui
stesso messo a punto.
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Ma trovare la soluzione potrebbe richiedere molto più tempo.«Andando per
tentativi e azzeccando 3 o 4 numeri nei posti giusti, lo schema potrebbe
essere risolto anche in un quarto d'ora, ma usando la logica ci vogliono
giorni», spiega il matematico.
Il Sudoku del finlandese presenta 23 caselle già compilate e prevede
un'unica soluzione. Eliminando anche uno solo dei 23 numeri dallo schema, il
numero di possibili soluzioni aumenta moltissimo, rendendo il gioco
notevolmente più semplice.
Ciò che rende così' difficile il Sudoku di Inkala è il numero di passaggi mentali
necessari alla compilazione di ogni casella: come negli scacchi, ogni mossa
richiede al giocatore una notevole capacità di astrazione perché lo costringe
a pensare a tutte le successive.
a cura di Matteo Diani
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