Capitolo 68.fm

Transcript

Capitolo 68.fm
Capitolo 68.fm Page 1881 Wednesday, May 2, 2007 8:57 AM
CAPITOLO
Augusto Caraceni
Cinzia Martini
Ernesto Zecca
68
Terapia del dolore
Principi di terapia del dolore
e cure palliative
Molti passi avanti sono stati fatti nella cura del dolore in
oncologia negli ultimi decenni, grazie a una maggiore consapevolezza del problema, alla crescita delle cure palliative
come disciplina autonoma, alla progressiva maggiore disponibilità e prescrivibilità di farmaci oppioidi. Tuttavia resta
ancora molto da fare per ottenere che tutte le persone con
cancro afflitte da dolore abbiano un trattamento tempestivo
ed efficace.
L’importanza di questo tema risulta evidente non solo dai
dati epidemiologici forniti dall’Organizzazione Mondiale della
Sanità (OMS) ma anche dalla constatazione che il dolore ha un
enorme impatto sulla qualità di vita nella sua accezione più
ampia. Infatti il dolore cronico nel paziente oncologico è il
sintomo principale che caratterizza la progressione della malattia verso le sue fasi terminali. L’attenzione al dolore quindi
è parte della relazione terapeutica che deve integrarsi in una più
ampia strategia di assistenza fisica, psicologica, sociale e spirituale alle fasi ultime della vita. Questo è lo scopo e la ragione
delle cure palliative.
Per l’oncologo è dunque un dovere conoscere e applicare
i fondamenti della terapia del dolore e delle cure palliative
nella pratica clinica, coordinandosi con altri specialisti a
seconda delle fasi della malattia e della complessità dei problemi clinici.
Il trattamento farmacologico è considerato lo strumento
fondamentale nella gestione del dolore cronico da cancro in
quanto controlla il sintomo nel 70-90% dei casi. La scala
analgesica dell’OMS (Fig. 68.1) suggerisce un approccio
sequenziale ai farmaci mediante la scelta degli analgesici
secondo una modalità scalare che considera la complessiva
gravità del dolore. I farmaci antinfiammatori non steroidei
(FANS) sono somministrati per il dolore da lieve a moderato.
I pazienti con dolore da moderato a severo e quelli per i quali
il trattamento con FANS ha fallito devono ricevere una
terapia con oppioidi convenzionalmente usati per il dolore
moderato, generalmente combinati con FANS. Il dolore severo, o un inadeguato sollievo dal dolore con il trattamento
di questo secondo gradino, può essere trattato con un oppioide normalmente usato per il dolore severo ancora eventual-
mente combinato con un FANS. I farmaci adiuvanti possono
essere aggiunti a ogni gradino per trattare gli effetti collaterali o altri sintomi, oppure come adiuvanti analgesici. Critiche recenti sulla validità della scala non possono negare che
questo approccio rispecchia la comune pratica clinica ed ha
fortemente migliorato il controllo del dolore, se razionalmente applicato, quando è stato confrontato con la pratica corrente. La scala analgesica rimane quindi la linea-guida clinica
più nota e accettata a livello internazionale. Inoltre, come
cercheremo di dimostrare in questo testo, il metodo
dell’OMS non si esaurisce nella schematicità della scala,
nella sequenza e scelta dei farmaci, che ne è al contrario solo
un elemento, ma raccomanda un approccio complessivo a
partire da una valutazione rigorosa del dolore e una attenzione alla farmacologia clinica della risposta individuale. Le
Fig. 68.1. Scala analgesica secondo OMS.
Capitolo 68.fm Page 1882 Wednesday, May 2, 2007 8:57 AM
1882
68. TERAPIA DEL DOLORE
linee-guida sono quindi il requisito minimo nell’assistenza al
paziente oncologico per la prevenzione e il trattamento di
sofferenze inutili. Occorre comunque grande esperienza clinica e una preparazione specialistica per affrontare i casi più
complessi e le fasi più difficili di malattia, in particolare
quelle più avanzate e terminali.
Il controllo accurato dei sintomi e il miglioramento della
qualità di vita sono infatti obiettivi ormai universalmente
riconosciuti dell’oncologia. Gli strumenti della terapia sintomatica e il supporto psicologico non possono mai essere
disgiunti dagli interventi antineoplastici. Quest’attenzione
da parte dell’oncologo deve integrarsi in modo interdisciplinare con le competenze di cure palliative disponibili negli
ospedali, al domicilio dei pazienti e negli hospice secondo il
modello della simultaneous care. In questo quadro complessivo le cure palliative specialistiche devono essere disponibili per completare la cura del malato che si avvia alla fase
terminale in modo da enfatizzare sempre il controllo del
dolore e dei sintomi, la capacità di ascolto dei problemi
psicologici, sociali e spirituali secondo il modello di assistenza e cura affermato dal movimento hospice e tipico della
medicina palliativa. Solo la continuità assistenziale assicura
un trattamento del dolore adeguato. Il costante monitoraggio, l’adeguamento delle terapie, l’attenzione ai particolari
sono condizioni indispensabili per il costante controllo del
dolore.
La transizione dalla cura oncologica a quella palliativa
deve essere dolce, condivisa tra gli operatori e il paziente, ma
anche libera e non condizionata da una comunicazione manipolata e deve avvalersi di strutture dedicate, efficienti e
uniformemente disponibili sul territorio. Oggi questo ideale
di continuità di cura si realizza spesso grazie ai servizi di cure
palliative ospedalieri, domiciliari e degli hospice ma è lungi
da essere privo di difficoltà e manchevolezze ancora gravi.
Soprattutto questi servizi sono ancora non uniformi, né per
disponibilità geografica né per gli standard di qualità assistenziali garantiti. È una responsabilità di tutte le specializzazioni che curano malati inguaribili, in collaborazione con gli
specialisti di cure palliative, assicurare a queste cure spazi e
risorse adeguati.
Epidemiologia
I dati epidemiologici sulla frequenza, come incidenza e prevalenza del dolore nella storia clinica delle neoplasie, sono
ancora poco precisi e basati su studi di popolazioni non
rappresentative e vanno quindi espressi con un riferimento
preciso ai limiti del campione studiato.
La tabella 68.1 riassume alcuni dati di prevalenza che sono
stati ottenuti su campioni diversi di pazienti oncologici.
Da revisioni qualitative della letteratura emerge che il
dolore da cancro può essere presente in tutte le fasi della
malattia ma è più frequente nelle fasi avanzate e terminali.
Per alcuni tipi di tumore, ad esempio i sarcomi, è spesso
proprio il sintomo di esordio.
I dati ora disponibili confermano, con i limiti già menzionati, che nel paziente ambulatoriale con malattia oncologica
avanzata il dolore ha una prevalenza molto rilevante. Non
essendo disponibili studi longitudinali si può solo avanzare
l’ipotesi, suffragata dall’esperienza clinica, che nell’evoluzione di alcune neoplasie il dolore sia molto più frequente del
40-50% che i dati di prevalenza dimostrano.
Per il paziente con una neoplasia in fase avanzatissima o
per il paziente di cure palliative i dati di prevalenza del dolore
sono ancora meno affidabili perché le casistiche sono selezionate. In pratica non sono disponibili se non per quanto riguarda i malati avviati a programmi di cure palliative che riportano dolore in elevatissime percentuali dove però l’errore sistematico di selezione è inevitabile.
Valutazione
La valutazione del dolore è una parte indispensabile per una
corretta terapia antalgica in oncologia e comprende l’anamnesi e la misurazione del dolore. Per quanto riguarda l’anamnesi, essa deve essere raccolta direttamente dal paziente segnalando la sede del dolore, l’irradiazione, il dolore riferito,
la qualità, l’intensità, la durata, l’andamento nel tempo, i
fattori che lo peggiorano e quelli che lo migliorano. La sede,
unica o multipla soprattutto nella malattia metastatica, va
Tab. 68.1. Prevalenza del dolore in rapporto al tipo di neoplasia.
Tipo di neoplasia
Campione di popolazione studiato
Tipo di valutazione del dolore
Polmone
Pazienti ambulatoriali campione rappresentativo random
Dolore frequente o persistente
durante la settimana precedente
39,3%
Portenoy (1992)
Colon
Pazienti ambulatoriali campione rappresentativo random
Dolore frequente o persistente
durante la settimana precedente
28,7%
Portenoy (1992)
Pancreas
Pazienti consecutivi prima di chirurgia o chemioterapia
Misurazione con VAS del dolore
presente
73%
34% lieve
29% moderato o forte
Kelsen (1995)
Polmone
Registro tumori entro 6 mesi dalla
diagnosi
Intervista con misurazione su VAS
e NRS del dolore della settimana
precedente
50,7% da moderato
a molto forte
Greenwald e Bonica (1987)
Prostata
Registro tumori entro 6 mesi dalla
diagnosi
Intervista con misurazione su VAS
e NRS del dolore della settimana
precedente
38,3% da moderato
a molto forte
Greenwald e Bonica (1987)
Ovaio
Campione di convenienza su pazienti ambulatoriali consecutive
Questionario sul dolore nelle 2
settimane precedenti
42%
Portenoy
(1994)
VAS: scala analogica visiva; NRS: scala numerica.
Prevalenza
Autore (anno)
e
Coll.
Capitolo 68.fm Page 1883 Wednesday, May 2, 2007 8:57 AM
1883
Classificazione
segnalata sempre e spesso questa informazione è già inclusa
in molti strumenti di valutazione del dolore. La maggior parte
degli autori riporta che circa il 70-80% dei pazienti con
cancro ha due distinte sedi di dolore. La valutazione dell’intensità del dolore può essere effettuata tramite diversi strumenti: scala analogica visiva, scala numerica o verbale, questionari multidimensionali. L’intensità è il parametro principale per guidare l’intervento terapeutico. La natura fluttuante
dell’intensità del dolore da cancro è una caratteristica clinica
importante e dipende dalla malattia e dal meccanismo del
dolore. È importante quindi, nelle sindromi dolorose caratterizzate dalla presenza di episodi di dolore intenso, distinguere
l’intensità del dolore di base e l’intensità del dolore peggiore.
Il dolore episodico intenso (definito breakthrough pain o
BKP nei Paesi anglosassoni) è presente nel 40-80% dei
pazienti con dolore da cancro. Ci sono tre importanti aspetti
di questo fenomeno:
– si manifesta come un aumento clinicamente significativo
dell’intensità del dolore
– è per definizione transitorio, per distinguerlo da un aumento continuativo di intensità del dolore di base
– può essere provocato da fattori precipitanti: a volte sono
azioni volontarie (movimento, postura) e in questi casi il
BKP è sinonimo di dolore incidente, ma può comparire
anche spontaneamente o come risultato di alcune azioni
involontarie (riflessi viscerali come lo spasmo intestinale,
la distensione ureterale o la deglutizione).
Diverse sono le scale del dolore valide in oncologia ed esse
sono facilmente applicabili in clinica. Possono essere divise
in due categorie principali: scale di intensità e questionari
multidimensionali.
Le principali scale di intensità sono le scale analogiche
visive (VAS), numeriche (NRS) (usualmente da 0 a 10) e
verbali (VRS). Queste scale danno risultati sovrapponibili in
differenti situazioni cliniche e risultano equivalenti all’analisi
fattoriale.
Le VAS si presentano sotto forma di linee rette di 100 mm
con gli estremi definiti da descrittori, ad esempio “dolore
assente” e “massimo dolore possibile”. Agli estremi corrispondono sempre due espressioni verbali che definiscono la
variabilità completa del parametro in esame. Il paziente deve
segnare sulla retta il punto che corrisponde a suo giudizio
all’intensità del suo dolore. Il punteggio è calcolato in millimetri dall’estremo che corrisponde all’intensità minima al
punto segnato dal paziente.
La NRS da 0 a 10 sembra avere un significato comune
anche in culture diverse e presenta caratteristiche psicometriche simili rispetto alla VAS. La scala può essere presentata
al paziente come una semplice domanda: “Considerando una
scala da 0 a 10 in cui a 0 corrisponde l’assenza di dolore e a
10 il massimo dolore immaginabile, quanto valuta l’intensità
del suo dolore?”. La soglia di 5 su 10 viene considerata il
limite tra il dolore moderato, che inizia a interferire con le
attività quotidiane e la qualità di vita, e il dolore lieve (≤ 4).
Le VRS sono strumenti che impiegano degli aggettivi per
descrivere il livello di intensità del dolore. Le proprietà psicometriche di queste scale sono simili a NRS e VAS solo se
viene usato un numero adeguato di livelli. Si ritiene che siano
necessari almeno 6 livelli, come la scala disponibile in 17
diverse traduzioni che è ora pubblicata integralmente.
Le scale di sollievo del dolore possono utilizzare percen-
tuali da 0 a 100% oppure sono spesso utilizzate le NRS, le
VAS o le VRS. Sono sicuramente valide solo nel breve
periodo (≤ 24 ore) mentre nei tempi più lunghi non sono
affidabili.
Diversi strumenti sono disponibili per una valutazione
multidimensionale del dolore da cancro. I più conosciuti sono
il McGill Pain Questionnaire e il Brief Pain Inventory: entrambi sono validi e affidabili, ma il loro ruolo rimane confinato agli studi clinici.
In sintesi, da un punto di vista pratico si raccomanda l’uso
di scale numeriche da 0 a 10 e di considerare il valore 5 come
soglia per la modifica della terapia. Si consiglia di valutare
separatamente il dolore a riposo e il dolore al movimento e di
considerare comunque a parte il BKP. La misurazione
dell’intensità deve avere sempre uno specifico riferimento
temporale (24 ore, una settimana, ecc.); va specificato anche
se si intende misurare il dolore medio in un determinato
tempo o se invece interessa, ad esempio, il dolore peggiore o
altro. La valutazione del dolore può venire molto semplificata, in clinica e non a scopo di ricerca, usando solo una scala
verbale minima con poche risposte, ad esempio “no”, “un
po’”, “molto”, “moltissimo”, utile ad esempio in pazienti con
stato mentale compromesso.
Classificazione
Il modo tradizionale di classificare il dolore nella popolazione con cancro consiste nel distinguere il dolore associato alle
terapie, al tumore e non correlato a entrambi, e nel differenziare il dolore cronico da quello acuto associato alle terapie
o al cancro.
Classificazione basata sul tempo:
dolore acuto e cronico
Il dolore viene considerato cronico quando persiste per almeno sei mesi dopo l’insorgenza o la causa che lo ha determinato. Il dolore cronico può essere dovuto a processi secondari
nel sistema nervoso centrale (spinale e sopraspinale) innescati da danni tissutali che evolvono e sono mantenuti oltre la
guarigione della lesione iniziale. Secondo noi la distinzione
tra dolore acuto e cronico non è applicabile quando consideriamo il dolore da progressione di malattia. Infatti durante la
progressione del tumore i cambiamenti dei tessuti sono dinamici, si sviluppano spontaneamente e rispondono a modifiche
ambientali o terapeutiche. I processi acuti e cronici sono così
sovrapposti che è praticamente impossibile suddividerli. In
caso di dolori legati ai trattamenti, si può fare una distinzione
tra dolori acuti e subacuti associati a diverse procedure terapeutiche e sequele dolorose croniche di terapie che durano
per anni o indefinitamente (Tabb. 68.2 e 68.3).
Classificazione basata sulla causa
Le indagini svolte rilevano che il 70% dei pazienti con dolore
ha una sindrome dolorosa direttamente legata al cancro, il
20% ha un dolore legato ai trattamenti (escluso il dolore
postoperatorio immediato) e il 10% ha un dolore non correlato a entrambi. In realtà si osserva una consistente sovrapposizione di sindromi dolorose dovute al cancro e di quelle
Capitolo 68.fm Page 1884 Wednesday, May 2, 2007 8:57 AM
1884
Tab. 68.2. Sindromi dolorose dovute ai trattamenti (forme acute).
Chemioterapia
• Chemioembolizzazione tumorale (soprattutto di lesioni epatiche)
• Perfusione dell’arteria epatica
• Perfusione mesenterica
• Chemioterapia intraperitoneale
• Chemioterapia ipertermica di un arto
• Somministrazione intratecale di methotrexate
Chemio-ormono-immunoterapia
• Mucosite da chemioterapia
• Dolori localizzati alle mascelle, all’addome e agli arti dopo somministrazione di chemioterapici neurotossici
• Dolore osseo diffuso dopo somministrazione di acido transretinoico o di G-CSF
• Cefalea provocata dall’acido retinoico
• Poussée dolorosa ossea all’inizio della somministrazione di analoghi LHRH, nel cancro della prostata
• Poussée dolorosa ossea all’inizio della terapia ormonale, nel cancro della mammella
• Dolori associati alla somministrazione di immunoterapia (mialgieartralgie)
• Dolori associati al trapianto di midollo osseo in caso di GVH disease
Radioterapia
• Esiti postattinici precoci: mucosite, esofagite, enterite, proctite,
cistite, vaginite
• Plessopatia brachiale precoce
• Mielopatia acuta transitoria
Protesi e drenaggi
• Drenaggio pleurico
• Pleurodesi chimica
• Cateterismo biliare, dilatazione biliare
• Nefrostomia percutanea
• Dilatazione esofagea ed endoprotesi
• Dilatazione rettale ed endoprotesi
Tab. 68.3. Sindromi dolorose dovute ai trattamenti (forme croniche).
Sindromi neuropatiche postchirurgiche
• Postmastectomia
• Postlinfadenectomia ascellare (sindrome del nervo intercostobrachiale)
• Postlinfadenectomia inguinale
• Postlinfadenectomia radicale del collo
• Post-toracotomia
• Postnefrectomia
• Postamputazione di un arto (dolore da arto fantasma)
• Postamputazione di retto
• Dolore da moncone
Sindromi postradioterapiche
• Enteriti, proctiti
• Dermite e necrosi cutanee
• Fibrosi muscolari
• Osteoradionecrosi
• Fibrosi del plesso brachiale e lombosacrale
• Mielopatia da raggi
• Tumori postattinici dei nervi periferici
Sindromi postchemioterapiche
• Necrosi asettica dell’osso
• Pseudoreumatismo da steroidi
• Polineuropatie
dovute ai trattamenti. Queste percentuali possono cambiare a
seconda dell’esperienza del centro e del metodo di valutazione. Ad esempio, i numeri cambiano se l’enfasi della valuta-
68. TERAPIA DEL DOLORE
zione è posta su tutto il dolore versus il dolore più significativo. In uno studio veniva chiesto ai terapisti del dolore di
valutare solo il dolore che stavano attivamente trattando
dovuto alla progressione di malattia: con questa definizione,
il dolore associato ai trattamenti risultava sovrapporsi a quello da malattia nel 20% dei pazienti.
Classificazioni in base alla sindrome dolorosa
La diagnosi di una sindrome dolorosa in un paziente con
cancro si basa sul riconoscimento di un cluster di sintomi e
segni, incluso il dolore, che associati ad altre informazioni
rilevate dall’anamnesi e dall’esame obiettivo, identifica
un’entità clinica che può essere definita per quella specifica
situazione (ad es., plessopatia brachiale, dolore osseo dovuto
a metastasi vertebrali). Sebbene siano state pubblicate diverse liste indicanti numerose sindromi dolorose associate al
cancro, un sistema di classificazione stabilito non è mai stato
validato e ciascun clinico fornirà un differente livello di
dettaglio nella descrizione dei casi basata sull’esperienza,
sulla diagnostica radiologica disponibile e sui bisogni clinici.
Ad esempio, una lesione dolorosa di una vertebra può essere
descritta da un punto di vista fisiopatologico come osteolitica
od osteoaddensante, da un punto di vista anatomico-funzionale come coinvolgente il corpo, i processi articolari, i peduncoli e/o i processi spinosi, con o senza frattura, compressione epidurale, instabilità della colonna e può includere
informazioni istologiche.
Recentemente è stata realizzata una classificazione delle
sindromi dolorose da cancro e un’indagine internazionale ha
evidenziato che alcuni tumori sono associati ad alcune sindromi più spesso di altri e che alcune caratteristiche del
dolore considerate importanti nel pianificare la strategia terapeutica, come l’intensità, la presenza del BKP e il dolore
neuropatico, sono più tipiche in alcune sindromi (Tab. 68.4).
Tutti i quadri possono modificarsi con lo stadio di malattia e
di solito evolvono. Perciò il trattamento del dolore da cancro
richiede frequenti rivalutazioni del paziente e della diagnosi.
Un esempio che chiarisce l’importanza della diagnosi
della sindrome dolorosa da cancro è dato dalla diagnosi
differenziale del dolore alla schiena dovuto al cancro. Esso
può essere dovuto a lesioni ossee, retroperitoneali, paraspinali, delle radici spinali, alla compressione epidurale del midollo o all’interessamento meningeo.
Le sindromi dolorose associate con neoplasie ematologiche sono le meno studiate. In una indagine su 469 pazienti
con malattia ematologica avanzata seguiti da un servizio di
cure palliative domiciliari, 244 (52%) avevano dolore e sono
state descritte 284 sindromi dolorose. Queste sindromi sono
state classificate come dovute all’espansione del midollo
osseo nel 33% dei casi, al coinvolgimento dei linfonodi e dei
visceri nel 18%, all’osteolisi nel 16%, alla mucosite orale
nell’11%, alla nevralgia erpetica nel 6%, alla malattia meningea nel 5% e ad altre cause nell’11%. Il dolore osseo generalizzato era presente nel 51% dei pazienti.
Classificazione fisiopatologica
Il dolore può essere classificato a seconda dei tessuti coinvolti
nella malattia (tessuto osseo, nervoso, viscerale, tessuti molli
muscolari e cutanei). Determinare i meccanismi fisiopatolo-
Capitolo 68.fm Page 1885 Wednesday, May 2, 2007 8:57 AM
Classificazione
Tab. 68.4. Sindromi dolorose dovute direttamente al cancro secondo lo studio della Task Force dello IASP sul dolore da cancro.
Infiltrazione tumorale di ossa e articolazioni
• Sindromi della base cranica o dovute ad altre localizzazioni ossee
del cranio
• Sindromi vertebrali (sacro incluso)
• Dolore osseo diffuso
– provocato da metastasi ossee multiple
– provocato da infiltrazione tumorale del midollo osseo
• Dolore osseo localizzato
– ossa lunghe
– dolore costale per infiltrazione della parete toracica
– lesioni del bacino
– infiltrazione di una articolazione
Infiltrazione tumorale di visceri
• Dolore mediastinico di origine esofagea
• Dolore di una spalla legato ad infiltrazione diaframmatica
• Dolore epigastrico provocato da un tumore pancreatico o da un
tumore dell’addome superiore (sindrome retroperitoneale mediana rostrale)
• Dolore al quadrante superiore destro da distensione della capsula epatica
• Dolore al quadrante superiore sinistro da splenomegalia
• Dolore addominale diffuso da malattia addominale o peritoneale,
con o senza occlusione
• Infiltrazione pleurica
• Occlusione biliare
• Dolore ureterale
• Dolore sovrapubico da infiltrazione della vescica
• Dolore perineale da infiltrazione del retto o del tessuto perirettale
Infiltrazione tumorale dei tessuti molli e sindromi diverse
• Infiltrazione della cute e del tessuto sottocutaneo
• Infiltrazione dei muscoli e della fascia della parete toracica o addominale
• Infiltrazione dei muscoli e della fascia degli arti
• Infiltrazione dei muscoli e della fascia della testa e del collo
• Infiltrazione delle mucose (orale, vaginale, rettale)
• Infiltrazione o distensione del tessuto retroperitoneale
– (sindrome retroperitoneale laterale, sindrome retroperitoneale
mediana rostrale che NON si accompagna a lesione pancreatica viscerale)
Infiltrazione tumorale o compressione dei tessuti nervosi
• Sindromi dei nervi periferici
– massa paraspinale
– massa della parete toracica
– mononeuropatia
• Radicolopatia
– provocata da una lesione vertebrale
– provocata da una lesione meningea
• Polineuropatia dolorosa
– paraneoplastica
– altro (legata ad un mieloma, ecc.)
• Plessopatia
– plessopatia cervicale
– plessopatia brachiale
– plessopatia lombosacrale
• Lesione dei nervi cranici
– trigemino
– glossofaringeo
• Dolore da lesione del sistema nervoso centrale
– compressione midollare
– lesione cerebrale che produce dolore non dovuto a ipertensione endocranica
Cefalea dovuta a ipertensione endocranica
Dolore del collo, schiena o capo da infiltrazione meningea
gici del dolore è essenziale per scegliere la strategia terapeutica appropriata. Solitamente viene applicata la classica distinzione tra dolore nocicettivo e dolore neuropatico, con
1885
l’ulteriore separazione tra nocicettivo somatico e nocicettivo
viscerale. Il dolore nocicettivo è causato dalla diretta stimolazione dei nocicettori che sono situati nelle strutture somatiche e viscerali sensibili al dolore.
Il dolore nocicettivo somatico più frequente nel paziente
oncologico è quello osseo, dovuto in un’alta percentuale alle
metastasi ossee. In una casistica il 41,7% delle sindromi
dolorose in oncologia era causato da lesioni ossee o articolari.
I tumori che più spesso danno metastasi ossee sono il tumore
della mammella, del polmone, della prostata, della tiroide e
del rene, ma qualsiasi tumore può interessare lo scheletro. In
alcuni casi l’osso può essere invaso per estensione locale del
tumore, come nel caso di tumori della testa e collo infiltranti
la base cranica, di tumori polmonari infiltranti le coste e le
vertebre o di tumori del colon-retto infiltranti il sacro o il
bacino. Non tutti i pazienti con metastasi ossee sono sintomatici, ma nel 75% dei casi il dolore è il sintomo principale. Nel
caso di metastasi ossee da neoplasia della mammella, un terzo
delle pazienti non ha dolore e due terzi dei siti metastatici
evidenziati dalla scintigrafia ossea sono asintomatici.
La disseminazione intertrabecolare delle cellule neoplastiche può causare dolore anche se le indagini diagnostiche
(radiografie e scintigrafia ossea) rimangono negative. In alcuni casi la RM e la PET possono evidenziare metastasi ossee
quando gli altri esami radiologici e nucleari sono negativi.
L’intensità del dolore osseo, la sede, la qualità e le caratteristiche temporali possono predire una frattura imminente o
possono suggerire complicazioni neurologiche come radicolopatie, compressioni midollari o della cauda.
Il dolore osseo correlato al cancro riduce lo stato di validità
del paziente, aumenta l’ansia e la depressione, con una riduzione della qualità di vita.
Per quanto riguarda le caratteristiche cliniche, il dolore si
presenta più frequentemente nell’area soprastante la lesione
ossea, ben localizzato e aumenta con la pressione locale;
inoltre può essere aggravato dai movimenti che determinano
un carico sull’osso lesionato. In questo caso va sempre considerato l’eventuale rischio di frattura. A volte può essere
presente un dolore riferito in aree cutanee distanti dalla sede
della lesione, ad esempio, una lesione dell’anca può dare un
dolore a livello del ginocchio, una lesione vertebrale dolore
riferito al bacino o agli arti. Il dolore osseo può essere incidente, controllato o addirittura assente a riposo, ma esacerbarsi durante particolari manovre.
Spesso al dolore continuo e incidente di tipo osseo se ne
associa uno neuropatico da coinvolgimento del sistema nervoso centrale e periferico (midollo spinale, radici, tronchi
nervosi o nervi periferici). Il dolore che si irradia secondo la
distribuzione di un nervo e la presenza di deficit motori e
sensitivi sono indicatori di una sindrome mista.
Il dolore viscerale è il secondo per frequenza nel paziente
oncologico e si osserva nel 28% dei casi. I nocicettori viscerali possono essere attivati da danno tissutale e da distensione
degli organi cavi, lesioni della mucosa, lesioni della sierosa,
compressione di organi.
Il dolore viscerale è poco localizzato, spesso viene riferito
a strutture somatiche. È causato da lesioni neoplastiche primitive, spesso recidive o secondarie, che coinvolgono l’addome o la pelvi. Lesioni epatiche possono dare dolore riferito
alla spalla; il tumore del pancreas può dare dolore irradiato al
dorso. In alcuni casi si può avere iperalgesia cutanea nelle
aree tipiche del dolore riferito dal viscere interessato.
Il dolore neuropatico è dovuto a una serie di meccanismi
di ipereccitabilità che insorgono nel sistema nervoso a causa
Capitolo 68.fm Page 1886 Wednesday, May 2, 2007 8:57 AM
1886
68. TERAPIA DEL DOLORE
della persistenza dello stimolo nocicettivo o della lesione
diretta del sistema nervoso periferico o centrale. Allo stimolo
che genera dolore seguono importanti modifiche nel SNC
che possono portare alla cronicizzazione del dolore o alla
modifica nel tempo delle sue caratteristiche, se lo stimolo
periferico persiste. Altre sindromi dolorose neuropatiche
risultano da danni diretti alle strutture del sistema nervoso
centrale e periferico (ad es., il dolore da arto fantasma o la
nevralgia posterpetica). Identificare i meccanismi del dolore
neuropatico è, infine, utile per stabilire le strategie terapeutiche.
Le caratteristiche cliniche del dolore neuropatico sono
variamente descritte. I sintomi caratteristici sono: parestesie,
disestesie, allodinia, iperalgesia, iperpatia. I pazienti possono
riferire tre tipi di dolore: a) dolore spontaneo, descritto spesso
come urente, a scossa elettrica o lancinante, ma anche crampiforme, profondo a morsa; b) dolore evocato da stimoli non
dolorosi, detto allodinia; c) dolore evocato da stimoli dolorosi, eccessivo rispetto allo stimolo, detto iperalgesia.
Il dolore neuropatico nel cancro è usato come termine
generale, mancando una definizione universalmente accettata e omogeneamente applicata.
La compressione e infiltrazione di nervi periferici, plessi e
radici è responsabile del dolore in un terzo dei casi (Tab. 68.4).
Terapia farmacologica
La terapia farmacologica è la base del trattamento del dolore
oncologico. L’uso appropriato degli antinfiammatori non steroidei (FANS), del paracetamolo, degli oppioidi e degli adiuvanti consente di controllare in modo continuo la maggior
parte dei dolori dovuti alle neoplasie.
FARMACI ANTINFIAMMATORI NON STEROIDEI (FANS)
Effetto analgesico I FANS disponibili per il trattamento
del dolore sono numerosi (Tab. 68.5). I FANS sono somministrati per il dolore da lieve a moderato. Il meccanismo d’azione attraverso il quale i FANS esercitano l’attività analgesica
antipiretica e antinfiammatoria è sostanzialmente attribuibile
alla loro capacità di inibire l’attività dell’enzima ciclossigenasi (COX) responsabile della sintesi di numerosi eicosanoidi
tra cui le prostaglandine (PG) e i trombossani. Le PG contribuiscono alla percezione del dolore abbassando la soglia dei
nocicettori, causano vasodilatazione delle arteriole e delle
venule postcapillari e potenziano l’edema; è più che giustificato considerarli fattori necessari e sufficienti a un pieno
manifestarsi della sintomatologia e dell’infiammazione.
È noto che i FANS possono avere effetto analgesico attraverso altri meccanismi e che la loro azione è sia periferica sia
centrale. Mentre al momento questi complessi meccanismi
farmacologici non hanno un’influenza diretta sull’uso clinico
dei FANS, altre caratteristiche hanno un’importanza basilare.
La combinazione di FANS con un oppioide produce effetti
analgesici additivi e la combinazione può essere utile per
ottimizzare il bilancio tra analgesia ed effetti collaterali.
L’efficacia dei FANS è limitata da un effetto “tetto”. Raggiunta la dose tetto, ulteriori incrementi di dosaggio non
portano a una maggiore analgesia, ma possono aumentare gli
effetti collaterali. Questo effetto “tetto” può aiutare a spiegare
il limitato periodo di tempo (3 settimane circa in media) in
cui questi farmaci possono essere utilizzati da soli in pazienti
che presentano dolore da cancro. Non c’è prova che una
qualche sindrome dolorosa sia più o meno responsiva a
questa classe di farmaci. L’esperienza clinica dimostra, al
contrario, che alcuni pazienti rispondono elettivamente me-
Tab. 68.5. Farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS).
Farmaco
Emivita (ore)
Dose d’attacco
Massima dose giornaliera
Commenti
Acido
acetilsalicilico
3-12
(K con la dose)
650 mg/4-6 ore
6.000 mg
Termine di paragone storico: può non essere
tollerato come i nuovi FANS
Diflunisal
8-12
500 mg/12 ore
1.500 mg
Minor tossicità sul tratto gastroenterico
Magnesio
trisalicilato
di colina
8-12
1.000 mg/12 ore
4.000 mg
Minor tossicità sul tratto gastroenterico. Nessun effetto sulla attività piastrinica
Ibuprofene
3-4
400 mg/6 ore
3.200 mg
Basso rischio di tossicità gastroenterico
Naprossene
13
225 mg/12 ore
1.100 mg
Fenoprofene
2-3
200 mg/6 ore
3.200 mg
Ketoprofene
2-3
50 mg/12 ore
300 mg
Flurbiprofene
5-6
100 mg/12 ore
300 mg
Indometacina
4-5
50 mg/8-12 ore
200 mg
Sulindac
14
150 mg/12 ore
400 mg
Ketorolac
4-7
10-30 mg/6 ore
120 mg
Diclofenac
2
50 mg/8 ore
200 mg
Tolmentin
1
200 mg/8 ore
2.000 mg
Piroxicam
45
20 mg/24 ore
40 mg
Dosi superiori a 40 mg /die per più di tre settimane sono associate ad alta incidenza di ulcera peptica
Rofecoxib
10-17
12,5 mg/die
25 mg
Non ci sono studi sul dolore da cancro
Celecoxib
11
200 mg/12 ore
800 mg
Parecoxib
8-11
40 mg
80-160 mg
Capitolo 68.fm Page 1887 Wednesday, May 2, 2007 8:57 AM
1887
Terapia farmacologica
glio all’analgesia con FANS che con oppioidi e che talora si
possono verificare differenti effetti con diversi FANS, probabilmente riflettendo una selettività di azione. È dimostrato
che il diclofenac, il naproxene e l’indometacina sono tutti
analgesici potenti nel dolore da cancro.
Sono state scoperte le due forme isoenzimatiche del COX
che presentano caratteristiche comuni. Ciò ha permesso di
gettare le basi per la sintesi razionale di inibitori selettivi del
COX 2 e ottenere antinfiammatori che, a parità di efficacia,
garantiscono un miglior profilo di tollerabilità rispetto ai
FANS tradizionali. Sono stati sintetizzati e commercializzati
celecoxib e rofecoxib e sono ormai in fase avanzata di studio
i coxib di seconda generazione (parecoxib, etoricoxib e valdecoxib). Rispetto ai FANS tradizionali testati (diclofenac,
ibuprofene, naprossene), i coxib hanno dimostrato un’incidenza significativamente inferiore di sintomi gastrointestinali, ulcere sintomatiche e/o complicazioni gastrointestinali
gravi. Data la recente introduzione di queste molecole nel
prontuario, è limitato il loro significato nei pazienti con
dolore da cancro.
Tossicità L’ubiquitarietà delle PG e la loro complessa
funzione di regolatori di processi fisiologici fanno sì che i
FANS, quali inibitori dei COX, siano caratterizzati da una
serie di effetti indesiderati: frequenti sono i disturbi dispeptici
e le lesioni delle mucose digestive che costituiscono una
importante fonte di morbilità, mortalità e di costo sanitario
aggiuntivo.
Le controindicazioni più significative all’impiego dei
FANS riguardano la loro tendenza a causare lesioni ulcerative a livello gastrico o intestinale.
L’efficacia è limitata da diversi fattori indesiderati che
riguardano il rene, il sistema cardiovascolare, la cute, il
sistema immunitario, il fegato e l’apparato digerente.
A causa dell’età avanzata, le precarie condizioni cliniche
o l’uso concomitante di altri farmaci, i pazienti con tumore
possono essere relativamente predisposti alla tossicità da
FANS.
Gli effetti collaterali devono essere strettamente monitorati, specialmente quando i FANS sono usati ad alte dosi. La
tossicità gastrointestinale è di particolare importanza nell’età
avanzata e nei pazienti con storia di ulcera gastroduodenale,
quando si richiedono alte dosi di farmaci, o con uso concomitante di corticosteroidi. Non c’è correlazione fra sintomi
dispeptici e lo sviluppo di una grave tossicità gastrointestinale: i 2/3 dei pazienti non hanno sintomi prima di un
sanguinamento o di una perforazione. Il rischio di tossicità
gastrointestinale sembra essere più alto per alcuni FANS,
come il ketoprofene, il piroxicam e l’acido acetilsalicilico.
È attualmente dimostrato che la prevenzione più efficace
della lesività gastroenterica da FANS si ottiene mediante la
somministrazione di inibitori della pompa protonica. Una
grave reazione avversa è l’insufficienza renale acuta che si
manifesta più facilmente in alcune situazioni come la disidratazione, la terapia con diuretici, la cirrosi epatica, le
nefropatie e l’età avanzata. Altre complicazioni rare possono
essere la nefropatia interstiziale acuta e la necrosi papillare
renale.
Tutti i FANS inibiscono l’aggregazione piastrinica. L’effetto è clinicamente significativo nei pazienti con coagulopatie o in trattamento anticoagulante; l’effetto dell’acido acetilsalicilico sulla aggregazione piastrinica è molto potente e non
reversibile e solo la produzione di nuove piastrine può ristabilire l’equilibrio. Effetti collaterali di minor fequenza riguar-
dano il sistema immunitario ed emopoietico; si manifestano
con leucopenia, granulocitosi e anemia. Effetti collaterali
meno comuni sono vertigini, sonnolenza, scompenso cardiaco, confusione e ipertensione.
Paracetamolo Il paracetamolo o acetaminofene non è un
antinfiammatorio. Il suo meccanismo di azione è ancora
motivo di discussione, ma probabilmente agisce a livello
centrale e generalmente è considerato un analgesico allo
stesso livello dei FANS nel trattamento del dolore da cancro
(al primo gradino della scala analgesica). È un analgesico
puro, specialmente nella somministrazione ad alte dosi (ad
es., 1.000 mg per via orale o endovenosa ogni 4-6 ore) nel
dolore postoperatorio. Dosi più basse sono incluse in combinazione con oppioidi come la codeina e l’ossicodone. Quando
utilizzato singolarmente, alla dose di 500 mg, è meno efficace
dei FANS. La mancanza di attività antinfiammatoria è probabilmente uno svantaggio in molte sindromi dolorose da cancro, dove i meccanismi infiammatori periferici contribuiscono a generare il dolore. Il paracetamolo non ha tossicità
gastrica e non interferisce con la funzionalità piastrinica. La
tossicità epatica è dose-dipendente ed è più evidente nei
pazienti alcolizzati e con malattie epatiche. Comunque, 6.000
mg/die è la massima dose consigliabile e 4.000 mg/die è
probabilmente un punto di arrivo più prudente.
OPPIOIDI
Principi di base I farmaci oppioidi analgesici possono
essere classificati a seconda delle loro interazioni recettoriali
come agonisti puri e agonisti parziali (Tab. 68.6). I farmaci
oppioidi agonisti sono lo strumento fondamentale per la cura
del dolore da cancro; tra questi la morfina rimane il farmaco
di riferimento anche se sono ormai disponibili diverse preparazioni di oppioidi agonisti puri e agonisti parziali più adatti,
per le loro caratteristiche, al trattamento a lungo termine.
Tolleranza, dipendenza fisica e psichica Una grande
confusione su questi termini da parte di medici, infermieri,
pazienti e familiari contribuisce a rallentare l’uso corretto
degli analgesici oppioidi. Per ottimizzare la terapia oppioide
lo specialista deve essere pronto a informare il personale
sanitario, i pazienti e le famiglie su questi temi.
La tolleranza è un fenomeno farmacologico definito dalla
necessità di utilizzare dosi incrementali per mantenere gli
stessi effetti e si sviluppa in tempi diversi in relazione all’effetto considerato. La tolleranza alla depressione respiratoria,
alla sedazione e alla nausea si sviluppa rapidamente, mentre
quella alla stipsi non si verifica quasi mai o comunque molto
lentamente.
La tolleranza agli effetti analgesici si presenta durante un
trattamento cronico, ma raramente è un problema clinicamente significativo. Alcuni studi indicano che la causa principale
dell’aumento delle dosi sia il peggioramento del dolore dovuto alla progressione tumorale; pazienti con una malattia
stabilizzata rimangono infatti con dosi stabili per lungo tempo. Perciò la tolleranza raramente è un ostacolo al raggiungimento di una analgesia ottimale e argomentazioni sulla tolleranza non giustificano un rinvio dell’uso precoce degli oppioidi nel corso della malattia.
La dipendenza fisica è definita dall’insorgenza di una crisi
di astinenza dopo una brusca riduzione della dose oppure
dalla somministrazione di un antagonista oppioide. La dose
Capitolo 68.fm Page 1888 Wednesday, May 2, 2007 8:57 AM
1888
68. TERAPIA DEL DOLORE
Tab. 68.6. Analgesici oppioidi.
Farmaci per via orale
Agonisti puri
Codeina
Tramadolo IR
Tramadolo CR
Ossicodone IR
Ossicodone CR
Morfina IR
Morfina CR
Metadone
OTCF
Agonisti parziali
Buprenorfina
sublinguale
Durata (ore)
Emivita (ore)
Dosaggi disponibili
Inizio effetto (minuti)
3-6
4-6
12
3-6
12
4-6
12
4-8
1-2
2-3
2-3
30(1)
50, 100
100, 150, 200
5, 10, 20
10, 20, 40, 80
10, 30, 60, 100
10, 30, 60, 100
1 mg/ml, 5 mg/ml
200, 400, 600, 1200, 1600 µg
30
30
60-120
40
40
30
60-120
5-6
30
6-8
2-3
2-3
15-57
2-5
10
Farmaci per via transdermica
Agonisti puri
Sistema
transdermico
di fentanyl
Agonisti parziali
Sistema
transdermico
di buprenorfina
60-72
24-40
25, 50, 75, 100 µg/ora
6-12 ore (2)
72
25-36
35-52,5-70 µg/ora
12-24 ore (2)
(1) In associazione a paracetamolo 500 mg.
IR: Rilascio immediato.
CR: Rilascio controllato.
OTCF: fentanyl citrato orale transmucosale.
e la durata del trattamento che portano allo sviluppo di
dipendenza fisica non sono conosciute. Per prudenza, bisognerebbe considerare ogni paziente “fisicamente dipendente”
dopo una cura regolare con un oppioide per più di qualche
giorno. I pazienti che hanno ricevuto una dose relativamente
elevata di oppioidi dimostrano un aumento di sensibilità agli
antagonisti. Sintomi gravi di astinenza possono verificarsi
dopo piccole dosi di naloxone. Considerato questo rischio, il
naloxone dovrebbe essere utilizzato unicamente per trattare
la depressione respiratoria (vedi oltre).
La dipendenza psichica è una sindrome comportamentale
e psicologica caratterizzata da una perdita di controllo
sull’uso del farmaco e da un uso compulsivo e continuativo
nonostante i danni provocati a sé e agli altri. Non è una
proprietà farmacologica degli oppioidi e dovrebbe essere
interamente distinta dalla dipendenza fisica. Alcune indagini
dimostrano che lo sviluppo di dipendenza psichica in pazienti
trattati con oppioidi in sindromi dolorose è estremamente
basso e non è mai stata dimostrata una insorgenza ex novo di
questo tipo di dipendenza, cioè di una tossicodipendenza, in
pazienti con cancro avanzato.
Quali sono e come si somministrano La corretta somministrazione degli oppioidi segue le indicazioni dell’OMS
descritte nelle linee-guida del 1986 che suggeriscono un
approccio sequenziale nell’uso degli analgesici calibrato secondo l’intensità del dolore. Per il dolore lieve trovano indicazione gli analgesici non oppioidi, per il dolore moderato gli
“oppiodi deboli” e per il dolore forte gli “oppioidi forti”.
La distinzione tra oppioidi agonisti puri, convenzional-
mente usati nel dolore moderato, e quelli utilizzati per il
dolore severo, è operativa. Gli “oppioidi deboli” come la
codeina e l’ossicodone, non sono realmente deboli (non
hanno una dose “tetto”), ma, quando somministrati in combinazione con il paracetamolo o l’acido acetilsalicilico,
hanno un limitato range di utilizzo. La somministrazione di
questi prodotti di combinazione non può eccedere la massima
dose consentita per il composto non oppioide (ad es., il
paracetamolo 6.000 mg/die). Quando l’ossicodone e la codeina sono disponibili in preparazioni singole, la loro dose può
essere aumentata e valutati gli effetti; l’ossicodone in particolare ha una relazione dose-risposta favorevole che lo rende
un’utile alternativa alla morfina e al metadone ed è ora
disponibile in formulazioni retard che ne permettono l’uso
continuativo a lungo termine per il dolore oncologico intenso.
La codeina invece ha dei limiti specifici come analgesico
(vedi oltre). Il tramadolo viene considerato allo stesso livello
di codeina e ossicodone a basso dosaggio (vedi oltre).
A dolore continuo corrisponde una somministrazione regolare e continua di analgesici a cui si aggiungono, al bisogno, le dosi “di salvataggio” (dall’inglese rescue dose) per il
dolore episodico e per rendere possibili aggiustamenti di
dose a modificazioni del dolore dovute alla malattia. Gli
oppioidi vanno somministrati a orari fissi basati sull’emivita
dei farmaci (terapia di base) e deve essere prevista una terapia
per gli episodi di dolore intenso o BKP (terapia al bisogno)
con oppioidi a rilascio immediato per via orale o per via
parenterale. Sia la terapia per il dolore di base sia quella per
il BKP richiedono una titolazione della dose; le dosi e le
modalità di somministrazione degli oppioidi devono essere
Capitolo 68.fm Page 1889 Wednesday, May 2, 2007 8:57 AM
Terapia farmacologica
individualizzate tenendo conto di diversi fattori tra cui le
caratteristiche del dolore, il tumore primitivo e la sua diffusione, gli effetti collaterali, la preferenza del paziente, il
luogo di trattamento.
Dolore moderato (intensità 4-6/10) Nei pazienti che
non hanno avuto esposizione agli oppioidi e con un dolore
moderato, la terapia può iniziare con un oppioide per il dolore
moderato combinato o meno con un FANS o paracetamolo
(secondo gradino della scala dell’OMS).
La codeina deve parte del suo effetto analgesico alla
trasformazione in morfina mediante un enzima demetilante
che non è presente in tutta la popolazione; infatti è deficitario
in circa il 10-12% dei soggetti che quindi hanno poca o
nessuna analgesia dopo somministrazione di codeina. Ha un
buon assorbimento gastrointestinale, l’emivita è di circa 2-4
ore e l’effetto analgesico è di 4-6 ore. È disponibile in formulazioni per via orale contenenti 30 mg di codeina e 500 mg di
paracetamolo. Dosi maggiori possono essere somministrate
utilizzando preparazioni magistrali.
Il tramadolo è un farmaco con duplice azione: oppioide
agonista sui recettori µ e bloccante il re-uptake delle monoamine con conseguente potenziamento delle vie serotoninergiche e adrenergiche. In studi controllati preliminari si dimostra un grado comparabile di analgesia fra il tramadolo orale
e la morfina, con una riduzione della nausea e della stipsi.
Somministrato per via orale raggiunge un picco di concentrazione plasmatica dopo 2 ore, l’emivita è di 6 ore e viene
eliminato per via renale. È disponibile in fomulazioni per via
orale a immediato rilascio (50-100 mg), per via rettale (100
mg), in fiale (50-100 mg) e in formulazioni per via orale a
lento rilascio (100-200 mg). Si consiglia di non superare i
dosaggi giornalieri complessivi di 300 mg per via parenterale
e 400 mg per via orale.
Il propossifene e la meperidina hanno metaboliti tossici,
che spesso compromettono il loro utilizzo clinico. Alle dosi
usuali di somministrazione del propossifene, questa tossicità
generalmente non pone problemi clinici. La meperidina, alle
dosi parenterali usate clinicamente, può produrre effetti tossici sul SNC. Questi effetti sono dovuti alla biotrasformazione
della meperidina in un composto tossico, la normeperidina.
Questa potenziale tossicità suggerisce che la meperidina non
dovrebbe essere usata nel trattamento cronico. Il propossifene
è disponibile in Italia a dosi troppo basse per risultare utili.
La buprenorfina è un derivato semisintetico, a basso peso
molecolare, altamente lipofilo, della tebaina ed è circa trenta
volte più potente della morfina. Ha una azione agonista
parziale dei recettori µ e un’azione antagonista dei recettori
κ. La caratteristica azione agonista parziale produce, in condizioni sperimentali, una curva dose-risposta con un plateau
(“tetto”) a dosaggi più bassi, mentre a dosaggi più elevati la
curva si appiattisce. Questo fenomeno, verificabile in condizioni sperimentali, non sembra però avere un impatto rilevante sull’efficacia clinica. Esperienze recenti di somministrazioni croniche transdermiche a dosaggi crescenti sono favorevoli e non hanno evidenziato un effetto tetto clinico.
Inoltre l’effetto di agonismo parziale potrebbe antagonizzare l’effetto di un agonista puro sul recettore µ se somministrato contemporaneamente o in successione. Anche se questo
1889
fenomeno non trova ancora riscontro in clinica, va tenuto nella
giusta considerazione. Esistono esperienze cliniche di uso
associato di morfina e buprenorfina che non hanno dimostrato
effetti negativi da competizione recettoriale, come sintomi da
astinenza o peggioramento del dolore. Comunque l’uso cronico della buprenorfina per dolori oncologici e non-oncologici
potrà essere meglio definito dagli studi clinici in corso.
La depressione respiratoria causata dalla buprenorfina è
antagonizzata dal naloxone con dosi più elevate rispetto agli
altri oppioidi e in caso di overdose può essere necessario l’uso
combinato di naloxone in infusione continua e di un analettico
respiratorio. Va considerato però che il rischio di depressione
respiratoria è basso.
La somministrazione per via orale comporta una bassa
biodisponibilità per inattivazione intestinale ed epatica e pertanto la buprenorfina viene somministrata per via sublinguale, permettendo un assorbimento diretto nella circolazione
sistemica. La biodisponibilità della buprenorfina sublinguale
è circa il 50-60%. A livello epatico viene trasformata in
norbuprenorfina e in metaboliti glucuroconiugati. Circa 2/3
del farmaco vengono eliminati immodificati con le feci e 1/3
viene eliminato con le urine.
Dopo somministrazione sublinguale, l’effetto analgesico
compare in 15-45 minuti e dura dalle 5 alle 8 ore, con un
effetto massimo dopo 2 ore. Con la somministrazione endovenosa l’effetto massimo si raggiunge in 5-15 minuti.
È disponibile in compresse sublinguali da 0,2 mg, in fiale
da 0,3 mg e in formulazione transdermica con sistema a
matrice da 35 µg/h, 52,5 µg/h e 70 µg/h. Ogni cerotto rilascia
il farmaco nel corso di 72 ore con una dose giornaliera
rispettivamente di 0,8, 1,2 e 1,6 mg di buprenorfina. La
caratteristica del rilascio transdermico è di produrre un lento
aumento e una lenta diminuzione dei livelli plasmatici, requisito indispensabile per mantenere concentrazioni il più
possibile costanti con ripetute somministrazioni del farmaco. Come anticipato, l’esperienza clinica suggerisce che è
possibile aggiungere alla buprenorfina transdermica un agonista µ puro senza perdere l’efficacia analgesica dell’agonista puro.
Il trattamento con buprenorfina va considerato, a nostro
parere, prima del ricorso a terapie con morfina e oppiodi del
terzo scalino terapeutico anche se la disponibilità e il range
di dosaggi somministrabili consentono la prosecuzione di
terapie con buprenorfina nel campo di dolori più intensi e
quindi in sovrapposizione al terzo scalino terapeutico. Si deve
sottolineare che non vi sono studi a disposizione che confrontino tra loro i diversi atteggiamenti terapeutici possibili con i
farmaci attuali e quindi le linee-guida sono puramente indicative e devono tener conto dei dati di farmacologia e
dell’esperienza.
La buprenorfina produce meno stipsi di altri oppioidi,
probabilmente grazie all’azione antagonista sul recettore κ.
Dolore forte (intensità 7-10/10) In caso di dolore severo o di insufficiente analgesia con i farmaci del secondo
gradino, si devono utilizzare gli oppioidi del terzo scalino e
dovrebbe essere scelta la morfina per via orale o un agonista
di tipo morfinico che non ponga limiti nella fase di rapido
adattamento iniziale. La tabella 68.7 riassume i principali
passi per iniziare una terapia con morfina per via orale in
pazienti con dolore cronico da cancro e dà linee-guida sulle
dosi per il trattamento orale in pazienti non tolleranti agli
oppioidi.
Capitolo 68.fm Page 1890 Wednesday, May 2, 2007 8:57 AM
1890
68. TERAPIA DEL DOLORE
Tab. 68.7. Linee-guida nell’uso della morfina orale.
Tab. 68.8. Conversione tra oppioidi.
• Stabilire la dose iniziale
– Se il paziente non ha mai assunto morfina iniziare con 5-10 mg/
4 ore
– Con la morfina a lento rilascio si dovrebbe iniziare con 10 mg/
12 ore nella maggior parte dei pazienti; dosi più alte devono
essere utilizzate solo dopo consiglio di un esperto
– Se il paziente è già in terapia con oppioidi: si veda il testo e la
tabella 68.8
Dose di oppioidi corrispondenti a 10 mg di morfina im/sc in acuto
• Adattare la dose secondo l’effetto ottenuto
– Aumentare maggiormente la dose fino ad un massimo del 3050% della dose precedente ogni 24 ore fino a un soddisfacente controllo del dolore o alla comparsa di effetti collaterali eccessivi non tollerabili
– La massima dose raccomandabile non si può stabilire, la variabilità individuale può essere ≥ 10 volte
– La riduzione della dose può essere necessaria dopo interventi
alternativi efficaci nel trattamento del dolore
• Stabilire dosi a orari fissi secondo l’emivita di ciascun analgesico
– Nella maggior parte dei pazienti con cancro è necessario permettere il riposo notturno con il sollievo del dolore prevenendo la ricomparsa dello stesso
• Dosi aggiuntive
– Il sollievo del dolore non è mantenuto in tutta la giornata e il
dolore episodico intenso è comune nella maggior parte dei pazienti con cancro; sono sempre necessarie dosi al bisogno di
un oppioide a breve durata d’azione. Le dosi dovrebbero essere uguali a 5-15% del dosaggio giornaliero ed essere a disposizione ogni 2 ore circa
• Trattamento degli effetti collaterali
– Spiegare al paziente che gli effetti collaterali sono potenziali,
ma non inevitabili e spesso trattabili
– È preferibile somministrare una terapia profilattica per la sola
stipsi
Nella scelta della dose iniziale, quando i pazienti subiscono un cambiamento di terapia da un precedente trattamento
con altro oppioide, dovrebbero essere utilizzate le tavole di
conversione (Tab. 68.8) per calcolare la nuova dose.
L’ossicodone è un derivato semisintetico della tebaina,
agonista dei recettori µ e κ. Assunto per via orale ha una
elevata biodisponibilità (87%) e viene metabolizzato a norossicodone, ossimorfone e coniugato a livello epatico con
acido glicuronico ed escreto nelle urine. L’ossicodone è il
principio attivo mentre il norossicodone ha meno dell’1% di
potenza analgesica e l’ossimorfone, pur essendo dotato di
attività, non influenza l’analgesia per la bassa concentrazione. L’ossicodone a immediato rilascio ha una emivita di 23 ore e presenta rapido effetto analgesico con una durata di
4-5 ore.
Attualmente l’ossicodone è disponibile in combinazione
con paracetamolo (325 mg) a dosaggi di 5-10 e 20 mg e può
essere somministrato ogni 4 ore. L’ossicodone orale presenta
una biodisponibilità migliore e più costante tra diversi soggetti rispetto alla morfina e la conversione consigliata tra
morfina per os e ossicodone per os è quindi 2:1, nonostante
l’ossicodone abbia una potenza rispetto alla morfina di circa
2/3 quando somministrato per via parenterale (15 mg pari a
circa 10 mg di morfina). È disponibile anche la formulazione
a rilascio controllato a dosaggi di 10-20-40 e 80 mg sommi-
Farmaco
Codeina
Buprenorfina
Idromorfone
Fentanyl
Tramadolo
Dosaggio
130 mg im
0,4 mg im
1,3 mg im/sc
0,1 mg im/sc
100 mg im/ev
Dosi equianalgesiche suggerite per conversione
dalla morfina per via orale (mg/die)
Morfina
Codeina
Destropropossifene
Tramadolo
Ossicodone
30 mg
200 mg
200 mg
300 mg
20 mg
Morfina
Metadone
30 mg
15 mg
Morfina
Metadone
100 mg
20 mg
Morfina
Metadone (1)
300 mg
30 mg
Morfina
Fentanyl TTS
60 mg
25 µg/h
Morfina
Fentanyl TTS
90 mg
50 µg/h
Morfina
Fentanyl TTS
120 mg
75 µg/h
Morfina
Fentanyl TTS (2)
180 mg
100 µg/h
Morfina
Buprenorfina TTS
30-60 mg
35 µg/h
Morfina
Buprenorfina TTS
90 mg
52,5 µg/h
Morfina
Buprenorfina TTS
≥120 mg
70 µg/h
(1) Il rapporto morfina/metadone non è lineare.
(2) Rapporto proposto dalla casa produttrice.
TTS: sistema transdermico.
nistrabili ogni 12 ore. Dal momento che l’emivita non viene
modificata in modo significativo in caso di insufficienza
renale o epatica, l’ossicodone può essere un utile sostitutivo
in presenza di tossicità con morfina.
La morfina è l’oppioide più comunemente utilizzato nel
dolore da cancro, agisce sui recettori µ, da cui derivano
l’analgesia sovraspinale, la depressione respiratoria e la
miosi e sui recettori κ da cui derivano l’analgesia spinale e
la sedazione. La biodisponibilità orale è molto variabile (dal
15 al 60%), viene metabolizzata a livello epatico dove si
coniuga con l’acido glucuronico formando morfina-3-glucuronide e morfina-6-glucuronide. Di questi due metaboliti, il
primo è inattivo come analgesico e potrebbe essere causa di
effetti collaterali, mentre il secondo ha una lunga emivita e
ha una spiccata azione analgesica. Entrambi i metaboliti
passano molto poco la barriera ematoencefalica e il loro
ruolo nel produrre effetti clinici è ancora incerto. L’eliminazione della morfina e dei suoi metaboliti avviene per via
renale.
Sono disponibili diversi tipi di formulazioni di morfina.
Capitolo 68.fm Page 1891 Wednesday, May 2, 2007 8:57 AM
1891
Terapia farmacologica
Per via orale esistono formulazioni di morfina solfato a breve
rilascio, in gocce, sciroppo, fialoidi e formulazioni a rilascio
controllato.
Le gocce sono in soluzione con concentrazione pari a 20
mg/ml = 16 gtt (8 gtt = 10 mg). Lo sciroppo ha una concentrazione pari a 2 mg/ml. I fialoidi da 5 ml contengono 10-3060 o 100 mg di morfina.
Le compresse e le capsule a rilascio controllato sono
disponibili alle dosi di 10-30-60-100 mg; le capsule possono
essere aperte e i microgranuli possono essere assunti anche
attraverso sondino nasogastrico. La morfina in preparazioni
a immediato rilascio ha assorbimento più rapido, con concentrazioni plasmatiche significative tra 20 e 90 minuti e una
emivita variabile da poco più di 1 ora fino a 5 ore. A causa
della breve emivita va somministrata ogni 4 ore per una
costante copertura analgesica.
La morfina a rilascio controllato ha il primo picco di
concentrazione plasmatica a circa 150 minuti (50%) e il
secondo dopo 4-6 ore. Va somministrata ogni 8-12 ore.
Dovrebbe rendersi disponibile anche una formulazione che
consente un’unica somministrazione giornaliera.
La somministrazione orale di morfina è la prima scelta
terapeutica nel dolore di intensità moderata-severa perché è
efficace, ben tollerata, di facile somministrazione e poco
costosa. Tra morfina a breve rilascio e a rilascio controllato
non vi è alcuna differenza per quanto riguarda l’efficacia
analgesica, la tollerabilità e la necessità delle dosi supplementari al bisogno nemmeno nella fase di titolazione.
Nella tabella 68.9 sono riportate le dosi equianalgesiche di
morfina nelle diverse vie di somministrazione.
Il metadone è un oppioide agonista sintetico con caratteristiche particolari. Ha un ottimo assorbimento orale e rettale,
non sono noti metaboliti attivi, ha lunga durata di azione e
costi più bassi degli altri oppioidi. Ha una biodisponibilità
orale di circa l’80% e il picco di concentrazione plasmatica
si osserva dopo 3-4 ore. Il legame con le proteine plasmatiche
è 60-90% e soprattutto si lega alla α1-glicoproteina acida. È
disponibile in sciroppo a diverse concentrazioni, la più utilizzata è 1 mg/ml e, solo in ambito ospedaliero, in fiale per uso
parenterale. La somministrazione sottocutanea provoca reazioni cutanee come irritazione e granuloma nel sito di iniezione. È consigliabile la somministrazione per via orale ogni
8-12 ore. È una mistura racemica, l’isomero levogiro è responsabile quasi completamente dell’analgesia, l’isomero
destrogiro ha un’attività antagonista del recettore N-Metil-DAspartato e ne è stata suggerita un’utilità, non ancora provata,
nel dolore neuropatico.
A causa della sua lunga e variabile emivita (mediamente
Tab. 68.9. Dosi equianalgesiche di morfina nelle diverse vie di somministrazione.
Via di somministrazione
mg
Orale
Sottocutanea
Endovenosa
Epidurale (1)
Subaracnoidea (1)
30
10
10
1
0,1
(1) Questi dosaggi sono puramente indicativi e rispettano l’equivalenza analgesica di singole dosi nel paziente oppioidi naive e non si possono applicare alla
somministrazione cronica.
25 ore) e delle dosi equianalgesiche non ben definite, è un
farmaco di sicura utilità, ma in mani esperte. Il raggiungimento dello steady-state plasmatico richiede circa una settimana. L’efficacia è sovrapponibile a quella della morfina.
Quando si deve passare da morfina a metadone la dose
equianalgesica dipende dalla dose di morfina precedentemente assunta (vedi Tab. 68.8). È stato utilizzato anche per
via endovenosa e in questo caso il rapporto tra via orale e via
venosa è 2:1.
Il fentanyl è un oppioide di sintesi agonista dei recettori µ
con una potenza 75-100 superiore alla morfina utilizzabile.
L’elevata liposolubilità rispetto alla morfina giustifica la
breve latenza di azione. Viene metabolizzato a livello epatico
in metaboliti inattivi. Somministrato per via venosa si diffonde rapidamente in circolo e passa la barriera emato-encefalica, ha una azione rapida, ma l’eliminazione è più lunga (3-7
ore) e quindi la somministrazione di dosi elevate o ripetute
porta a un accumulo. Sono disponibili cerotti transdermici a
cessione controllata da 25-50-75-100 µg/h. Si possono applicare diversi cerotti per ottenere la dose necessaria. Ogni
cerotto va sostituito ogni 72 ore, il picco di concentrazione
plasmatica è tra le 24 e le 48 ore e l’emivita è circa di 24 ore.
La farmacocinetica mostra notevole variabilità individuale e
l’effetto può esaurirsi prima delle 72 ore; in alcuni pazienti
può essere necessario un intervallo di 48 ore come suggerito
anche da studi di farmacocinetica.
Dosaggi con intervalli a tre giorni raggiungono concentrazioni sieriche a uno stato di equilibrio approssimativamente
alla fine della prima dose. Sono necessarie tra le 12 e le 16
ore per ottenere l’effetto terapeutico. Una volta rimosso il
cerotto, l’effetto può mantenersi per molte ore per riassorbimento del farmaco dal sottocute e gli eventuali effetti collaterali vanno monitorati per un tempo adeguato.
È particolarmente indicato come alternativa alla via orale
e nei pazienti che hanno una dose stabile di oppioide. In
considerazione delle importanti fluttuazioni interindividuali
e, nello stesso individuo, della concentrazione plasmatica e
della lentezza con cui si raggiunge lo steady-state, è pericoloso modificare il dosaggio sostituendo il sistema a intervalli
più brevi di 48 ore per il rischio di accumuli inaspettati e
conseguenti concentrazioni plasmatiche troppo elevate.
Studi recenti hanno indicato che il fentanyl transdermico
ha la stessa efficacia della morfina orale e presenta una ridotta
incidenza di stipsi e nausea. Le dosi equianalgesiche della
morfina orale e del cerotto di fentanyl non sono ben definite
e il rapporto di equianalgesia varia da 150:1 a 100:1 e a 70:1
a seconda delle casistiche. Un rapporto 100:1 può essere
usato per pazienti in terapia cronica con morfina, sempre
rendendo disponibili dosi di morfina orale o parenterale a
richiesta per permettere una flessibilità di dosaggio, specialmente nel primo periodo dopo il cambio di terapia.
Una formulazione orale transmucosale di fentanyl (OTCF)
è disponibile nei dosaggi di 200-400-600-800-1200-1600 µg.
Questa preparazione può essere utilizzata solo in pazienti già
tolleranti a dosi di morfina orale di almeno 60 mg/die. La
peculiarità è la rapidità dell’effetto analgesico (5 minuti) e
trova indicazione nel trattamento del BKP per il quale assicura un effetto analgesico più rapido della morfina orale a
rilascio immediato e paragonabile alla somministrazione venosa o sottocutanea. Il dosaggio efficace va valutato individualmente, mediante titolazione della dose, tenendo conto
che 200 µg equivalgono all’incirca a 8 mg di morfina orale.
Capitolo 68.fm Page 1892 Wednesday, May 2, 2007 8:57 AM
1892
Vie di somministrazione
Via orale La via orale è stata tradizionalmente preferita perché efficace, semplice e ben accettata dalla maggior parte dei
pazienti. Vie alternative alla via orale si rendono a volte
necessarie a causa di disfunzione del tratto gastrointestinale
o per la necessità di un rapido inizio o adattamento dell’analgesia. L’insorgenza di effetti collaterali è un’altra potenziale
indicazione di una nuova via di somministrazione. È importante sottolineare che gli effetti collaterali dovrebbero essere
trattati aggressivamente prima di passare a un’altra via di
somministrazione o a un altro farmaco.
Via transdermica La somministrazione transdermica ha di
recente introdotto un’alternativa che, per la sua praticità, è
spesso preferita dai pazienti e dai medici, tanto che l’uso dei
cerotti transdermici spesso precede l’uso della morfina per
via orale, come dimostrato dai dati di farmacosorveglianza.
Questa via è una alternativa alla infusione endovenosa e
sottocutanea in tutti i casi di disfunzione del tratto gastrointestinale e può essere preferita ad altre vie di somministrazione per ragioni di convenienza e comfort per il paziente;
la possibilità di essere liberi dalla somministrazione frequente di farmaci può essere un vantaggio psicologico per i
pazienti.
Via rettale La via rettale non è indicata per la terapia antalgica di base, ma può essere utile per trattare il BKP in
pazienti nei quali non siano disponibili la via orale e le vie
parenterali. Le formulazioni rettali sono disponibili all’estero per morfina, ossimorfone e idromorfone. La biodisponibilità degli oppioidi per via rettale è simile alla somministrazione orale e relativamente irregolare, l’insorgenza dell’effetto analgesico dopo somministrazione di morfina per via
rettale è abbastanza lenta, mediamente non meno di 30
minuti.
Infusione continua (sottocutanea o endovenosa) Le indicazioni per una terapia infusionale continua di oppioidi (IC)
sono state descritte in numerosi casi di disfagia, occlusione
intestinale, nausea e vomito con oppioidi orali ed eccessivi
effetti collaterali con la somministrazione parenterale a boli
(“effetto bolo”). La IC riduce le fluttuazioni nella concentrazione nel plasma: per questa ragione può essere utile nel
mantenere livelli stabili fra dose efficace ed effetti collaterali.
L’infusione sottocutanea (ISC) è un metodo molto semplice
ed efficace per favorire la IC ed è anche gestibile a domicilio.
Entrambi i metodi sono estremamente utili per portare rapidamente sotto controllo un dolore che sfugge al trattamento
per via non invasiva e verificare nel singolo paziente la
responsività del dolore all’analgesia oppioide rispetto alla
insorgenza di effetti collaterali limitanti.
La ISC di morfina può essere usata quando la nausea e il
vomito rendono la somministrazione orale impraticabile e
anche quando è difficile ottenere una analgesia con somministrazione orale o parenterale di morfina. Il metodo si è
dimostrato efficace approssimativamente nell’80% dei casi
trattati in ospedale o a domicilio. Reazioni cutanee al sito di
iniezione sono state osservate nel 9-13% dei pazienti e facilmente risolte cambiando sito. La tolleranza di un ago sottocutaneo è 7,3 ± 5,2 giorni (media ± DS) e può essere aumentata con l’uso di cannule di teflon.
La tolleranza si sviluppa probabilmente in tutte le forme
di trattamento con oppioidi. Sono stati descritti tre andamenti
68. TERAPIA DEL DOLORE
tipici di infusione di oppioidi: a) dosi relativamente stabili
con buon controllo del dolore; b) dosi rapidamente incrementanti con buona analgesia; c) analgesia insufficiente nonostante rapidi aumenti di dose.
L’ultimo caso potrebbe dipendere da una sindrome dolorosa con resistenza relativa agli oppioidi. Le dosi impiegate
variano profondamente nei diversi studi e dipendono largamente dalla selezione dei pazienti e dalla precedente assunzione di oppioidi.
La morfina è sicuramente l’oppioide più largamente utilizzato nella ISC. L’idromorfone è diffusamente usato negli
Stati Uniti per la sua alta solubilità ed è sette volte più potente
della morfina, così da ridurre il volume dell’oppioide infuso
in pazienti che richiedono alte dosi. La diamorfina (eroina) è
spesso preferita in Gran Bretagna per la sua alta solubilità.
Essa può facilitare la tolleranza locale tissutale in caso di
reazioni infiammatorie dovute all’infusione di alte dosi di
morfina o idromorfone, mentre l’ISC di metadone è stata
associata a reazioni locali.
Considerando i vantaggi tecnici della via sottocutanea,
l’infusione endovenosa di oppioidi per grave dolore da cancro dovrebbe essere riservata a casi con indicazioni specifiche, come edema generalizzato, coagulopatia, alta frequenza
di infezioni sottocutanee, alterazioni del microcircolo e in
caso di dolore severo, quando si ricerca un rapido adattamento del dosaggio e un immediato sollievo del dolore. L’infusione endovenosa continua, comunque, è sicura e praticabile
e può essere inoltre utilizzata in pazienti che hanno un accesso venoso centrale per altre ragioni terapeutiche. La preferenza della via endovenosa è discutibile per l’analgesia controllata dal paziente con dolore cronico. La via di infusione
sottocutanea o endovenosa può essere usata nel trattamento
domiciliare dei pazienti con cancro in fase avanzata per
trattare sindromi nelle quali il dolore è associato ad altri
sintomi come il vomito, l’occlusione intestinale, la dispnea,
l’agitazione e il delirium. L’oppioide (morfina e idromorfone) può essere associato con altri farmaci (metoclopramide,
desametasone, aloperidolo, scopolamina e midazolam) nella
stessa infusione.
Come si inizia l’infusione. Per approntare una infusione di
oppioidi deve essere calcolato il consumo giornaliero totale
dell’oppioide usato e deve essere convertito nella dose di
morfina parenterale equivalente (usando un rapporto 1:3 per
la morfina parenterale sulla morfina orale). La dose risultante
può essere scelta per iniziare l’infusione e può essere adattata
alla situazione: aumentata in presenza di scarso controllo del
dolore, diminuita quando si cambia l’oppioide, in accordo
con le linee-guida per la rotazione degli oppioidi. Nel caso di
un uso precedente molto basso di morfina o di nessuna
somministrazione, l’equivalente di 1-2 mg di morfina all’ora
può essere infuso con sicurezza sia per via endovenosa sia
sottocutanea, calcolando una dose minima al bisogno di 5-10
mg disponibile almeno ogni ora. Il contesto clinico indicherà
differenti approcci a seconda della gravità del dolore e di altri
variabili soggettive.
Analgesia controllata dal paziente Negli ultimi anni il
concetto di analgesia controllata dal paziente (Patient Controlled Analgesia: PCA) ha conquistato popolarità in differenti contesti clinici a causa di una profonda variabilità
individuale del dolore e della risposta agli analgesici. Questo
metodo è stato impiegato con successo per il dolore postoperatorio, spesso usando la via endovenosa. C’è una larga
Capitolo 68.fm Page 1893 Wednesday, May 2, 2007 8:57 AM
1893
Terapia farmacologica
esperienza sull’uso della PCA per il dolore dovuto alle mucositi orali nei protocolli chemio e radioterapici ad alte dosi
con trapianto di midollo osseo. Queste sindromi dolorose
sono molto gravi e sembrano rispondere solo parzialmente
alla analgesia morfinica. Studi accurati mostrano come il
metodo di infusione PCA condotto in maniera ottimale soddisfi le necessità dei pazienti, permettendo un miglior controllo del dolore senza l’aumento degli effetti collaterali con
l’utilizzo di dosi inferiori rispetto all’uso di dosi controllate
dall’esterno. Con questo metodo la dose giornaliera di morfina è stata fra i 40 e gli 80 mg in pazienti non tolleranti.
L’indipendenza del paziente dall’intervento del personale
sanitario e il raggiungimento di una analgesia strettamente
personalizzata, sembrano essere il principale vantaggio teorico nel trattamento del dolore da cancro mediante PCA. Nel
dolore cronico da cancro si deve preferire l’uso della PCA
con infusione continua integrata dalla possibilità di autosomministrazione di boli supplementari, a dosi e intervalli prestabiliti. Questo approccio può essere usato con successo
come indicazione principale del trattamento del BKP e di
tutti i dolori intensi. I boli a richiesta del paziente vengono
attivati dalla pressione di un pulsante. L’infusore permette di
bloccare la somministrazione di due boli consecutivi con un
intervallo minimo programmato. Intervalli minimi di 60 minuti sono in genere sufficienti e sicuri sia per la somministrazione venosa sia sottocutanea. Comunque la terapia va personalizzata in base alla situazione clinica del malato e
all’esperienza personale. I vantaggi psicologici della PCA
devono essere attentamente valutati caso per caso. Infatti
questo sistema è senz’altro utile, dal punto di vista della
compliance, per molti pazienti, dando loro un senso di autocontrollo sul dolore e sulla terapia. In altri casi è vero il
contrario: la responsabilità di controllare il proprio dolore e
il timore di errori di gestione possono scatenare ansia e
insicurezza. L’educazione del paziente è quindi molto importante.
Via spinale La somministrazione spinale (subaracnoidea o
peridurale) differisce dalla somministrazione sistemica poiché può potenzialmente raggiungere l’analgesia a dosi molto
più basse (0,1 mg per via subaracnoidea, 1 mg per via peridurale). Questo è vero, comunque, unicamente con l’utilizzo
di dosi limitate in pazienti che non hanno sviluppato tolleranza. Queste tecniche possono essere indicate in pazienti con
dolore responsivo agli oppioidi ed esperienza di effetti collaterali eccessivi con la terapia sistemica. Tuttavia, dopo una
somministrazione epidurale avviene una ridistribuzione sistemica del farmaco e alcuni pazienti sono incapaci di raggiungere un bilancio favorevole tra analgesia ed effetti collaterali con la terapia sia sistemica sia spinale. La somministrazione direttamente nello spazio subaracnoideo, in genere
spinale, mediante catetere è invece più selettiva e può essere
un’alternativa importante in pazienti che non raggiungono
livelli di analgesia adeguata con le somministrazioni sistemiche e sperimentano effetti collaterali da oppioidi significativi.
La via spinale consente di somministrare altri farmaci in
associazione a oppioidi (morfina o fentanyl), come anestetici
locali o clonidina, che possono essere indicati per pazienti
con dolori che comunque non rispondono alla terapia oppioide (ad es., alcuni dolori neuropatici).
Gli studi clinici controllati sono pochi. Una prova condotta con un catetere temporaneo dovrebbe sempre precedere un
impianto di un sistema intraspinale fisso. Nella selezione dei
pazienti per trattamento spinale devono essere considerati i
problemi tecnici e le complicazioni relative ai differenti
cateteri, all’infusione o ai mezzi di accesso. Un attento monitoraggio da parte di personale specializzato è sempre necessario.
Effetti collaterali L’obiettivo di una terapia con oppioidi è un bilancio favorevole fra analgesia ed effetti collaterali.
Il trattamento degli effetti collaterali è, comunque, parte
integrante della terapia. La tabella 68.10 suggerisce lineeguida pratiche per il trattamento degli effetti collaterali più
frequenti o rari.
Stipsi A tutti i pazienti che assumono oppioidi regolarmente
è necessario somministrare un trattamento profilattico per la
stipsi con una combinazione di un lassativo e un ammorbidente delle feci. Sembra non esserci tolleranza per questo
effetto collaterale. Il naloxone per via orale è stato usato per
trattare la stipsi refrattaria. Questo farmaco ha una biodisponibilità molto bassa (3%) e in due studi, condotti su un
numero limitato di casi, le dosi tra 3 e 12 mg/die sono risultate
efficaci senza scatenare una crisi di astinenza o produrre una
diminuzione dell’analgesia. Una dose iniziale di 0,8 mg una
o due volte al giorno può essere sperimentata con sicurezza,
ma è consigliabile un consulto con un esperto. La stipsi
sembra ridotta nelle somministrazioni transdermiche soprattutto di buprenorfina.
Nausea e vomito Un vomito incoercibile può essere un
problema in circa il 20% dei pazienti che usano oppioidi. Le
linee-guida della tabella 68.10 devono essere applicate con
un approccio a gradini, eventualmente combinando farmaci
con attività sul tratto gastrointestinale (metoclopramide,
domperidone, alizapride), con farmaci con attività antiemetica centrale (metoclopramide, alizapride, levosulpiride, aloperidolo, clorpromazina). Se la nausea è scatenata dal movimento o dalla postura, può essere scelta la scopolamina,
sebbene questa possa accentuare effetti collaterali anticolinergici.
Tab. 68.10. Trattamento degli effetti collaterali degli oppioidi.
Stipsi
– Il trattamento migliore associa un catartico
con un emolliente
– Possono essere utili agenti osmotici (lattulosio)
– Stipsi refrattaria: è eccezionale e può essere trattata con naloxone per via orale
Nausea e vomito
– Metoclopramide 10 mg/3 volte/die
– Aloperidolo 1-2 mg/die
– Proclorperazina 10 mg/3 volte/die
– Cerotto di scopolamina
– Cambiare via di somministrazione
– Cambiare oppioide
Delirium
– Aloperidolo (è necessario il consulto dello
specialista neurologo/psichiatra)
– Cambiare oppioide
Mioclono
– Clonazepam 0,5 mg/3 volte/die
– Cambiare oppioide
Ritenzione urinaria
– Farmaci colinomimetici
Depressione
respiratoria
– Naloxone (vedi testo)
Capitolo 68.fm Page 1894 Wednesday, May 2, 2007 8:57 AM
1894
Depressione respiratoria È l’effetto tossico più grave, ma
raro, degli oppioidi. Il sintomo è sempre associato a un
ridotto livello di coscienza. La tolleranza agli effetti respiratori degli oppioidi si sviluppa rapidamente e la depressione
respiratoria è estremamente rara quando le dosi degli oppioidi sono attentamente adattate al sollievo del dolore. Il trattamento con naloxone deve essere attuato seguendo lineeguida precise nei pazienti che fanno uso di un alto dosaggio
di oppioidi, poiché, in pazienti che hanno sviluppato tolleranza, anche piccole dosi di naloxone possono precipitare
una sindrome da astinenza. Il naloxone deve essere diluito
(una fiala da 0,4 mg in 10 ml di fisiologica) e la dose deve
essere adattata lentamente fino a riportare la frequenza respiratoria a 8-12 atti/min. La piena coscienza non è l’obiettivo
di questo trattamento e può essere raggiunta più tardi, quando
il dosaggio degli oppioidi diminuisce, senza esporre il paziente al rischio di astinenza o di ricomparsa del dolore, cosa
che può avvenire con dosaggi più alti di naloxone. Il naloxone non è indicato per il trattamento di una sedazione eccessiva senza una depressione respiratoria clinicamente significativa. Se si verifica depressione respiratoria con oppioidi a
lento rilascio per via orale, con formulazioni transdermiche
o con metadone, il paziente deve essere monitorizzato per
almeno 24 ore.
Rotazione degli oppioidi e modalità di conversione
La morfina è considerata il farmaco di scelta per il dolore
severo, ma è ora riconosciuto che esiste un’ampia variabilità
individuale nella risposta ai diversi oppioidi. La finestra
terapeutica e anche il bilancio tra effetti terapeutici ed effetti
collaterali varia da farmaco a farmaco e può essere più favorevole con un oppioide diverso dalla morfina. I processi di
sviluppo della tolleranza e della resistenza all’analgesia di un
farmaco oppioide sono, inoltre, diversi da molecola a molecola e dipendenti dall’esposizione a una data molecola. I
pazienti che hanno avuto esperienza di effetti collaterali dosedipendenti con un oppioide possono trarre beneficio dall’utilizzo di un altro. La rotazione con oppioidi agonisti, in caso
di insorgenza di effetti collaterali con una molecola senza
raggiungere una analgesia sufficiente, può ridurre il numero
di pazienti non responsivi all’analgesia con oppioidi o con
effetti collaterali. Quindi occorrono alternative al trattamento
con morfina per meglio individualizzare il trattamento: idromorfone, fentanyl, ossicodone, ossimorfone, metadone, levorfanolo sono alternative utili.
Per essere privo di rischi, il processo di cambio dell’oppioide richiede una conoscenza delle dosi equianalgesiche, descritte nella tabella 68.8. Questa tabella descrive la potenza
relativa espressa in termini di dosi equianalgesiche a 10 mg di
morfina im. L’informazione contenuta in questa tabella è un
valido punto di partenza per il calcolo di tutte le dosi. La dose
deve essere aggiustata individualmente e deve generalmente
essere ridotta del 25-50% calcolando una tolleranza crociata
incompleta tra i diversi oppioidi. Altri fattori da considerare
per la riduzione della dose sono la severità del dolore, l’età,
gli scompensi metabolici e i trattamenti concomitanti.
L’emivita è un altro importante fattore che può influenzare la scelta di un oppioide e il calcolo della dose equianalgesica. Sono necessarie 4 o 5 emivite per raggiungere uno stato
di equilibrio farmacologico dopo l’inizio di una prima dose
o un cambio di farmaco. Gli oppioidi con breve emivita
facilitano l’adattamento della dose in risposta al cambio di
intensità del dolore e sono preferiti quando è necessario un
68. TERAPIA DEL DOLORE
rapido adattamento della dose, specialmente per dolori molto
forti.
L’emivita del metadone varia da 12 a più di 100 ore; una
tossicità tardiva da accumulo è possibile dopo l’inizio della
terapia o dopo un incremento di dose. Nel convertire un
oppioide in metadone è indicata una riduzione del 75% della
dose equivalente.
Sostituire una dose di oppioide con un altro oppioide per
ottenere un effetto analgesico equivalente o migliore con la
seconda molecola è un procedimento complesso che solo
parzialmente può essere guidato dalle dosi equivalenti in
acuto dei farmaci implicati. Sono infatti da considerare i
seguenti fattori:
● La potenza analgesica di ogni farmaco è stata indagata in
studi in acuto e le dosi che se ne ricavano sono quindi una
guida importante per la monosomministrazione per via parenterale
● La biodisponibilità orale cambia profondamente da un farmaco all’altro e da un paziente all’altro
● Nella somministrazione cronica i farmaci a lunga emivita
danno accumulo che rende poco interpretabile il valore del
dosaggio giornaliero
● Nella somministrazione cronica si sviluppa tolleranza al
farmaco in corso che non è equivalente alla tolleranza per il
farmaco di nuova scelta, perché si ritiene che la cross-tolleranza sia incompleta. Poiché la maggior parte delle conversioni a disposizione sono state ricavate da pazienti con terapie croniche più o meno prolungate con morfina valgono solo
relativamente a questo tipo di passaggio (da morfina ad altro
oppioide) e possono non valere nella conversione opposta
(da altro oppioide a morfina), come è stato dimostrato in alcuni studi
● La conversione in genere viene fatta con dolore che non è
controllato adeguatamente; la dose che si vuole raggiungere
del nuovo farmaco non è semplicemente “equianalgesica” ma
semmai maggiormente analgesica.
In attesa che studi più analitici forniscano linee-guida
applicabili in modo più chiaro ai singoli casi si deve raccomandare di considerare le dosi riportate nella tabella 68.8
come puramente indicative e utilizzabili per i range di dosaggio indicati.
Quando si utilizzino dosi elevate di oppioidi la conversione va individualizzata ed effettuata da specialisti. In alcuni
casi può essere meglio iniziare a convertire il dosaggio in
corso in una dose equivalente di morfina (o fentanyl o idromorfone, comunque un oppioide a breve emivita) per infusione venosa continua e passare successivamente al dosaggio
iniziale individuato per il nuovo oppioide indicato. In pratica,
quando è possibile e guidati dall’esperienza, la regola aurea
è di iniziare sempre con dosi relativamente basse e adattare
rapidamente il dosaggio.
Interazioni farmacologiche e interferenze metaboliche Molti farmaci possono modificare la biodisponibilità
degli oppioidi, portando a un aumento o a una riduzione degli
effetti clinici. Le interazioni farmacodinamiche sono inoltre
comuni con tutti i farmaci depressori del SNC; questo tipo di
interazioni potrebbe potenzialmente produrre un pronunciato
effetto sedativo o uno stato confusionale.
Capitolo 68.fm Page 1895 Wednesday, May 2, 2007 8:57 AM
Terapia farmacologica
Il trattamento plurifarmacologico è molto comune nel
cancro avanzato e nella maggior parte dei casi non ci sono
studi specifici sulle interazioni farmacocinetiche o farmacodinamiche. Deve essere usato un atteggiamento clinico di
cautela nella combinazione dei farmaci in tali situazioni.
Durante la somministrazione di un oppioide devono essere
considerati i disturbi metabolici. L’insufficienza epatica può
modificare la farmacocinetica di alcuni oppioidi. Nei pazienti
cirrotici il propossifene, la meperidina e la pentazocina hanno
una lunga emivita, un’aumentata biodisponibilità e una diminuita eliminazione sistemica. Il metabolismo della morfina e
del metadone sono relativamente meno alterati da malattie
epatiche. Nell’insufficienza renale ci si deve aspettare un
accumulo di metaboliti con l’uso di morfina, propossifene e
meperidina che possono causare tossicità inaspettate. Il tramadolo in combinazione con altri farmaci che potenziano il
tono serotoninergico, come gli antidepressivi che inibiscono
selettivamente il reuptake della serotonina (paroxetina, citalopram), o il trazodone, può produrre una iperstimolazione
serotoninergica con carattere di tossicità.
Dolore resistente agli oppioidi
In caso di sindromi dolorose con scarsa risposta agli oppioidi
è difficile determinare quando il dolore effettivamente non
risponde al trattamento o se la curva dose-risposta, in alcuni
casi, è così spostata a destra da determinare un’impraticabilità
di cura con queste sostanze a causa dell’insorgere di effetti
collaterali indesiderati. È vero che la maggior parte dei casi
di dolore non responsivo al trattamento con oppioidi può
essere gestito attraverso un appropriato aumento progressivo
della dose, eventualmente cambiando via di somministrazione (da orale a parenterale).
D’altronde in alcune sindromi dolorose vi è una risposta
non ottimale alla terapia con oppioidi. Il dolore neuropatico
da deafferentazione è abitualmente considerato relativamente
resistente agli oppioidi. Altri esempi sono il dolore perineale
con tenesmo vescicale e rettale e il dolore urente, come
avviene nelle mucositi post-chemio e radioterapia.
Nella pratica clinica potrebbe essere utile una definizione
operativa: una sindrome dolorosa resistente agli oppioidi
dovrebbe comprendere una mancata risposta o una risposta
analgesica insufficiente nonostante un dosaggio progressivo
massimale di agonisti puri oppioidi attraverso una via di
somministrazione sicura (la migliore scelta è la via endovenosa) fino a ottenere effetti collaterali inaccettabili a carico
del SNC.
Il dolore neuropatico è stato considerato spesso resistente
agli oppiodi; in realtà le esperienze cliniche più recenti rendono controversa questa affermazione. Comunque il dolore
neuropatico con risposta parziale o incompleta agli oppioidi
è un’indicazione all’uso degli adiuvanti.
Analgesici adiuvanti
Alcuni di questi farmaci vengono impiegati per indicazioni
primarie diverse dall’analgesia, ma possono avere un effetto
analgesico in alcune situazioni cliniche e in alcune sindromi
dolorose in cui vengono somministrati come terapia antidolorifica primaria (ad es., antidepressivi triciclici per la nevralgia posterpetica o la carbamazepina per la nevralgia trigeminale).
1895
Il dolore da cancro può avere fisiopatologia complessa e
usualmente risponde alla terapia con oppioidi. Un analgesico
adiuvante può aiutare nel sollievo del dolore in alcune indicazioni specifiche. La tabella 68.11 riporta le modalità di
impiego degli adiuvanti nel dolore da cancro.
Antidepressivi triciclici È stato dimostrato che l’effetto analgesico degli antidepressivi triciclici è attivo in tipiche
sindromi da dolore neuropatico come la neuropatia diabetica
e la nevralgia posterpetica. È stata chiaramente dimostrata la
dissociazione tra l’effetto analgesico e quello antidepressivo: l’effetto analgesico è molto più precoce di quello antidepressivo. L’amitriptilina è talvolta preferita per il suo utile
effetto ipnotico. Il range delle dosi efficaci è lo stesso per i
diversi farmaci ed è compreso tra 50 e 150 mg/die, in una o
due somministrazioni. Dosi anche più basse, come 25 mg/
die, possono essere efficaci. Desipramina e nortriptilina
danno meno sedazione ed effetti collaterali anticolinergici e
potrebbero essere preferite, in alcuni pazienti, proprio per
queste ragioni. Le interazioni farmacocinetiche dei triciclici
con altri farmaci dovrebbero essere sempre tenute in considerazione (Tab. 68.12). Non vi sono evidenze cliniche che
giustificano l’uso di antidepressivi non-triciclici come adiuvanti analgesici.
Anticonvulsivanti e baclofen Gli effetti analgesici della
carbamazepina e della fenitoina sono ben descritti nel trattamento della nevralgia trigeminale. Gli anticonvulsivanti sono
particolarmente utili nel dolore da cancro con disestesie lancinanti o parossistiche. La carbamazepina è da preferirsi per
l’ampia esperienza disponibile in clinica, ma la tossicità
midollare ne limita l’utilizzo in quei pazienti che ricevono
terapie mielosoppressive. La dose abituale di carbamazepina
Tab. 68.11. Modalità di impiego degli analgesici adiuvanti nel trattamento del dolore da cancro.
1. Ottimizzare il trattamento con gli oppioidi prima di iniziare un
trattamento con analgesici adiuvanti.
2. Considerare il potenziale beneficio in rapporto ad altre tecniche
impiegate per il dolore che è poco responsivo agli oppioidi, includendo: a) rotazione degli oppioidi; b) trattamento efficace
degli effetti collaterali; c) studio della somministrazione della via
spinale; d) studio di vari approcci non farmacologici per il controllo del dolore (blocchi, terapie riabilitative e trattamenti psicologici).
3. Selezionare il trattamento con farmaci adiuvanti più appropriati
in base alla valutazione globale del paziente che deve necessariamente includere valutazioni sulle caratteristiche del dolore e
fattori associati o sintomi prevalenti.
4. Prescrivere un analgesico adiuvante in rapporto alle conoscenze
delle sue caratteristiche, azioni, indicazioni, effetti collaterali e
interazioni con altri farmaci.
5. Gli analgesici adiuvanti con il miglior rapporto rischio/beneficio
dovrebbero essere somministrati come trattamento di prima linea.
6. In genere è buona regola iniziare con basse dosi e adattare gradualmente le dosi in rapporto alla risposta antalgica ottenuta e
agli effetti collaterali.
7. Rivalutare l’efficacia e la tollerabilià dei farmaci somministrati regolarmente e riadattare o interrompere il farmaco che non provvede a un miglioramento del controllo antalgico.
8. Considerare che il trattamento combinato di più farmaci adiuvanti deve essere utilizzato solo in pazienti selezionati.
Capitolo 68.fm Page 1896 Wednesday, May 2, 2007 8:57 AM
1896
68. TERAPIA DEL DOLORE
Tab. 68.12. Effetti collaterali, precauzioni nella prescrizione e potenziali interazioni con analgesici adiuvanti.
Farmaci
Antidepressivi
Triciclici
Effetti collaterali
Precauzioni
Interazioni potenziali
Sonnolenza, confusione, ipotensione ortostatica, aumento di peso, tachicardia, aritmia, effetti anticolinergici
Pazienti anziani e pazienti gravi, di- Anticolinergici, antiaritmici, clonisordini cardiovascolari, controindi- dina litio, SSRI, IMAO, farmaci che
cati in casi di glaucoma ad angolo allungano il tratto QT
chiuso
SSRI
Nausea, cefalea, diarrea, insonnia, tremori, vertigini
Precauzione con stati epilettici
IMAO, ADT, Warfarin
Venlafaxina
Nausea, sonnolenza, ipotensione, xerostomia
Cautela con ipertensione o epilessia
MAO, ADT, SSRI
Anticonvulsivanti di nuova generazione
Sonnolenza, vertigini, cefalea,
nervosismo, tremore, fatigue, alterazione dell’umore, confusione
Aumentare la dose gradualmente
per migliorare la tolerance
Altri anticonvulsivanti che possono alterare CYP450
Gabapentina
Aumento di peso, edema
Oxcarbazepina
Iponatriemia, aumento enzimi
epatici
Lamotrigina
Rash cutanei seri
Lidocaina
Ipotensione, letargia, tremore,
aritmie, scompenso cardiaco
Cautela nella fibrillazione atriale,
blocco di branca, insufficienza
cardiaca
Amiodarone, beta-bloccanti, fenitoina, farmaci che allungano
l’intervallo QT , altri antiaritmici
Ipertensione, tachicardia, tremore, nistagmo, diplopia, aumento
resistenze delle vie aeree
Controindicata con ipertensione,
insufficienza cardiaca, angina, aneurisma, traumi cerebrali, infarto miocardio recente, cautela in
pazienti con crisi psicotiche, tireotossicosi, epilessia
Ormoni tiroidei
Corticosteroidi
Iperglicemia, aumento appetito,
aumento di peso, edema, habitus cushingoide, dispepsia, delirio, insonnia, agitazione
Cautela con ipertensione, insufficienza cardiaca, ulcera peptica,
diabete, infezioni, disordini tromboembolici
FANS, acido acetilsalicilico, inibitori delle proteasi, aldesleukin
(IL2-Terapia)
Baclofen
Sonnolenza, vertigini, cefalea,
confusione
Cautela se storia di epilessia
ADT, IMAO
Antagonisti del recettore NMDA
Ketamina
SSRI: inibitori selettivi del reuptake della serotonina; IMAO: inibitori delle monoaminossidasi; ADT: antidepressivi triciclici.
può oscillare da 400 a 1.600 mg/die. Altri anticonvulsivanti
come il valproato e il clonazepam sono meno studiati per il
dolore neuropatico e la loro efficacia non è provata. Tra gli
anticonvulsivanti più recenti si è dimostrata di sicura efficacia nel dolore oncologico neuropatico la gabapentina alle dosi
comprese tra 600 e 3.600 mg/die. Sono in corso di valutazione l’oxcarbazepina, la lamotrigina, il topiramato, il levetiracetam. Il pregabalin è efficace in dosi da 150 a 300 mg/die
(75 mg/12 ore o 150 mg/12 ore) nel dolore neuropatico non
oncologico e la sua indicazione nel dolore oncologico, sovrapponibile a quella della gabapentina, è in corso di studio.
Il baclofen, che non è un anticonvulsivante, ha una provata
efficacia nella nevralgia trigeminale e, su queste basi, è talvolta usato per dolori lancinanti o parossistici. L’elenco degli
anticonvulsivanti nella tabella 68.12 riflette una nostra opinione sulle loro indicazioni relative per il dolore neuropatico
ed è basato su dati della letteratura e sulla nostra esperienza
personale.
Corticosteroidi L’ampio uso che viene fatto dei corticosteroidi nel cancro in fase avanzata non è sempre giustificato.
Hanno efficacia nell’alleviare il dolore e nell’aumentare l’appetito, nel ridurre la nausea, sul tono dell’umore e in generale
sulla qualità di vita di questi pazienti, ma i loro effetti dovreb-
bero essere attentamente monitorati e il loro utilizzo dovrebbe essere limitato alla minima dose efficace o interrotti appena possibile. In alcune condizioni dolorose, come ad esempio: aumento della pressione endocranica, compressione del
midollo spinale, sindrome della vena cava superiore, dolore
da metastasi ossee, compressione di plessi nervosi o di nervi
periferici, linfedema sintomatico, distensione della glissoniana, la somministrazione di un bolo di desametasone (da 10 a
100 mg) o di metilprednisolone (da 50 a 250 mg) può avere
effetti analgesici molto efficaci.
Anestetici locali per via orale Il dolore neuropatico può
rispondere all’infusione endovenosa di lidocaina ed è recentemente stata documentata l’efficacia della tocainide e della
mexiletina per via orale per il trattamento della neuropatia
diabetica e del dolore da lesione del nervo periferico. Una
terapia con mexiletina per via orale può essere consigliata nelle
sindromi da dolore neuropatico che non hanno risposto agli
antidepressivi, partendo con una dose di 150-200 mg/die e
incrementando di una dose unitaria ogni tre-cinque giorni. I
principali effetti collaterali sono nausea e pirosi gastrica e
possono essere evitati assumendo il farmaco dopo i pasti. Altri
effetti collaterali più rari sono sedazione, vertigine e tremori;
livelli plasmatici tossici causano convulsioni. La mexiletina è
Capitolo 68.fm Page 1897 Wednesday, May 2, 2007 8:57 AM
Terapia farmacologica
controindicata nei pazienti con blocco atrio-ventricolare di
secondo e terzo grado. La dose giornaliera raccomandata è di
10 mg/kg. L’efficacia dell’infusione sottocutanea di lidocaina
è stata anche descritta in un ristretto numero di casi di dolore
neuropatico da cancro.
Farmaci adiuvanti nel trattamento dell’occlusione intestinale L’occlusione intestinale è una complicazione
assai frequente nei tumori addominali in fase avanzata. Quando questa condizione clinica non è risolvibile chirurgicamente, il trattamento del dolore e dei sintomi associati, soprattutto
il vomito, può essere completato usando farmaci con somministrazione continua sottocutanea o endovenosa. Farmaci anticolinergici, come la scopolamina e il glicopirrolato, si sono
dimostrati efficaci nella riduzione del dolore da colica e nel
vomito. Più recentemente l’octreotide, un analogo sintetico
della somatostatina, ha dimostrato la sua efficacia nell’eliminazione o riduzione del vomito nei pazienti con occlusione
intestinale.
I bisfosfonati nel dolore osseo I bisfosfonati inibiscono l’attività osteoclastica e sono efficaci nel trattamento
dell’ipercalcemia associata al cancro. A causa della loro
scarsa biodisponibilità orale, sono inizialmente somministrati per via endovenosa sebbene il clodronato sia disponibile in
capsule. Il clodronato e il pamidronato sono i bisfosfonati più
usati in clinica. Entrambi sono stati usati in terapie a lungo
termine in pazienti con metastasi ossee e dolore. In studi
controllati con placebo sia il clodronato sia il pamidronato
hanno ridotto l’incidenza delle complicazioni da metastasi
ossee e hanno migliorato il controllo del dolore. Un vantaggio
nel controllo del dolore osseo può essere rilevato in circa il
30-50% dei pazienti trattati con clodronato endovena. Il pamidronato disodico è un inibitore più potente del riassorbimento osseo a dosi che non interferiscono con la mineralizzazione dello stesso. La sua attività analgesica sembra essere
dose-dipendente, con una riduzione significativa del dolore
nel 60% dei pazienti trattati con dosaggi di 60-90 mg ogni 4
settimane.
Dati recenti indicano che l’uso precoce del pamidronato
nel mieloma multiplo potrebbe essere utilizzato per ridurre le
complicazioni correlate alle metastasi ossee, come il dolore,
le fratture, la compressione del midollo spinale. Queste potenziali linee-guida necessitano di ulteriori conferme, ma una
terapia con pamidronato può essere indicata nel dolore osseo
refrattario. Un’alternativa potrebbe essere il clodronato a 600
mg/die per via endovenosa per alcuni giorni. Raggiunto il
sollievo del dolore, si instaura una terapia di mantenimento
con clodronato per os. Quando si programma il trattamento
bisogna sempre considerare il costo elevato di questi farmaci
e la necessità di ulteriori conferme sull’effetto antalgico.
Inoltre è da segnalare, come possibile effetto collaterale,
l’osteonecrosi mandibolare o mascellare che compare in pazienti sottoposti a interventi chirugici odontoiatrici (avulsioni
dentarie, implantologia).
Tecniche invasive per il controllo del dolore
I dati disponibili sull’applicazione della scala analgesica
dell’OMS suggeriscono che una minoranza dei pazienti con
dolore da cancro non raggiunge un soddisfacente equilibrio
tra controllo del dolore ed effetti collaterali usando i soli
farmaci attraverso le comuni vie di somministrazione. Quanti
1897
di questi pazienti potrebbero trarre beneficio dalla somministrazione di oppioidi e di anestetici locali per via spinale non
è noto. Blocchi anestetici e tecniche neurochirurgiche, in un
gruppo selezionato di pazienti, possono ridurre sensibilmente
la richiesta di farmaci per via sistemica per raggiungere
un’adeguata analgesia. Blocchi nervosi o procedure di neurolisi sono tecniche ampiamente utilizzate in passato. Nel
dolore da cancro il loro uso è progressivamente diminuito
dopo l’introduzione diffusa della farmacoterapia. Tutte queste procedure richiedono, per essere impiegate con sicurezza,
una considerevole abilità ed esperienza, pertanto devono
essere appannaggio unicamente di centri ad alta specializzazione. Un’indicazione clinica della sindrome dolorosa è di
fondamentale importanza ed è anche essenziale una corretta
informazione al paziente degli eventuali effetti collaterali. È
altrettanto importante che si rimarchi con chiarezza che l’effetto analgesico può essere parziale o temporaneo e che la
maggioranza dei pazienti richiede una terapia farmacologica
complementare immediatamente o più avanti nel tempo. In
ogni caso è controverso se l’effetto di riduzione della richiesta di analgesici di tali procedure comporti un reale beneficio
per il paziente. È universalmente accettato che le procedure
invasive dovrebbero essere utilizzate unicamente dopo un
razionale trattamento farmacologico, includendo anche l’insuccesso della terapia con catetere spinale.
Blocco del plesso celiaco La principale indicazione per
un blocco del plesso celiaco è il dolore viscerale nei quadranti
alti dell’addome, causato da un interessamento pancreatico o
da una disseminazione metastatica sull’asse celiaco, dopo il
fallimento di un trattamento farmacologico. La tecnica più
utilizzata consiste nel raggiungere il plesso per via percutanea
e iniettare successivamente una sostanza neurolitica (fenolo o
alcol). L’alcol è da preferirsi per la sua minore tossicità tissutale e sulle strutture vasali. La durata e la completezza
dell’analgesia non sono prevedibili, anche per un dolore con
le caratteristiche proprie del dolore celiaco. Il controllo del
dolore deve essere usualmente integrato con una terapia farmacologica.
Studi clinici che comparino terapia farmacologica e blocco
del plesso celiaco sono rari e il numero dei pazienti è limitato,
ma confermano che l’analgesia appare in favore del blocco
celiaco durante le prime settimane dall’inizio del trattamento
e che questo beneficio non è più presente dopo due o quattro
settimane. È stato anche osservato un risparmio di farmaco
analgesico e ciò potrebbe essere utile nel ridurre gli effetti
collaterali. Una ipotensione ortostatica e una diarrea transitoria sono i più comuni effetti collaterali, riscontrati in circa il
30-60% dei casi e, quindi, dovrebbero essere prese contromisure per prevenirli. Gli effetti collaterali di minor rilievo sono
una transitoria disestesia, una pleurite reattiva o una ematuria
transitoria causata da puntura renale. Sono stati descritti
alcuni rari, ma seri, effetti collaterali e tra questi lesioni
nervose periferiche (causate dall’iniezione di alcol nel muscolo psoas o a livello del plesso lombare) o lesioni neurologiche centrali come paraplegia (probabilmente causata da una
ischemia midollare da danno dell’arteria di Adamkiewicz).
Blocchi neurolitici subaracnoidei Nel passato, la somministrazione di agenti farmacologici nello spazio epidurale
o intratecale era un trattamento molto diffuso nel dolore da
cancro. Nella nostra opinione, l’iniezione nello spazio subaracnoideo di soluzioni ipobariche di alcol o iperbariche di
fenolo in glicerina non ha un’azione selettiva sulle fibre
Capitolo 68.fm Page 1898 Wednesday, May 2, 2007 8:57 AM
1898
sensitive del dolore. Vi è, quindi, un alto rischio di lesioni
invalidanti.
Ci limiteremo alla descrizione della tecnica di rizotomia
della cauda equina poiché è l’unico blocco che utilizziamo
nel trattamento del dolore perineale. Mantenendo il paziente
in posizione seduta, si introduce un ago 23 gauge, nell’interspazio L5-S1, nello spazio subaracnoideo e si iniettano molto
lentamente 0,8 ml di una soluzione al 7,5% di fenolo in
glicerina. Il paziente viene mantenuto in posizione seduta per
30 minuti. Noi utilizziamo la rizotomia farmacologica nei
casi in cui il paziente accusi chiari sintomi di dolore somatico,
recidiva della malattia, aree macroscopiche di erosione in
sede vulvovaginale o pararettale, evidenti punti trigger, problemi di minzione legati a una preesistente disfunzione vescicale e abbia già una colostomia. Nella nostra esperienza di 39
pazienti con dolore perineale trattati con questa tecnica, abbiamo osservato una durata media di sollievo dal dolore di
circa 5,4 mesi. Complicazioni legate allo sfintere vescicale
sono occorse in 19 pazienti (49%). Non abbiamo osservato
complicazioni dello sfintere anale unicamente perché il 79%
dei pazienti era portatore di una colostomia.
Cordotomia cervicale percutanea Per la sua selettività sul tratto spino-talamico del midollo spinale, questa procedura è di provata efficacia perché comporta una completa
analgesia dell’emisoma controlaterale da C5 a S5. È un intervento tecnicamente difficile, soprattutto quando è richiesto un
livello dermatomerico di analgesia elevato. In mani esperte la
percentuale di complicazioni è limitata all’1% di mortalità, al
5% di disfunzioni vescicali e a un 8-20% di perdita di forza
dell’arto inferiore omolaterale. L’intervento si effettua in anestesia locale e il paziente deve essere molto collaborante. È
importante che la prognosi del paziente non sia superiore a un
anno per il rischio di comparsa di dolore disestesico postcordotomia, che è anche la principale ragione per cui questa
procedura non si effettua per il trattamento del dolore benigno.
L’incidenza di complicazioni è più alta per la cordotomia
bilaterale, che pertanto è una procedura non raccomandata.
BIBLIOGRAFIA
AMADORI D., DE CONNO F., Libro italiano di cure palliative. Poletto
Editore, Milano, 2003.
CARACENI A., Clinicopathological correlates of common cancer
pain syndromes. Hematol. Oncol. Clin. N. Am. 10, 57-78, 1996.
CARACENI A., PORTENOY R.K., An international survey of cancer
pain characteristics and syndromes. IASP Task Force on Cancer
Pain. International Association for the Study of Pain, Pain 82,
263-274, 1999.
CARACENI A., CHERNY N., FAINSINGER R. E COLL., Pain measurement tools and methods in clinical research in palliative care: recommendations of an Expert Working Group of the European As-
68. TERAPIA DEL DOLORE
sociation of Palliative Care. J. Pain. Symptom. Manage 23, 239255, 2002.
CHERNY N.J., CHANG V., FRAGER G. E COLL., Opioid pharmacotherapy in the management of cancer pain. A survey of strategies
used by pain physicians for the selection of analgesic drugs and
routes of administration. Cancer 76, 1288-1293, 1995.
CHERNY N.J., PORTENOY R.K., Cancer pain: Principles of assessment and syndromes. In: WALL. P.D., MELZACK R. (Eds.), Textbook of Pain. Churchill Livingstone, Edinburgh, 787-823, 1994.
DE CONNO F., CARACENI A., GAMBA A. E COLL., Pain measurement in cancer patients: A comparison of six methods. Pain 57,
161-166, 1994.
DOYLE D., HANKS G.W., CHERNY N. E COLL. (Eds.), Oxford Textbook of Palliative Medicine. Oxford University Press, Oxford,
2004.
GREENWALD H.P., BONICA J.J., BERGNER M., The prevalence of
pain in four cancers. Cancer 60, 2563-2569, 1987.
GROND S., ZECH D., DIEFENBACH C. E COLL., Assessment of cancer
pain: A prospective evaluation in 2266 cancer patients referred
to a pain service. Pain 64, 107-114, 1996.
HEARN J., HIGGINSON I.J., Cancer pain epidemiology: a systematic
review. In: BRUERA E.D., PORTENOY R.K. (Eds.), Cancer Pain,
Assessment and Management. Cambridge University Press, 2003.
KELSEN D.P., PORTENOY R.K., THALER H.T. E COLL., Pain and depression in patients with newly diagnosed pancreas cancer. J.
Clin. Oncol. 13, 748-755, 1995.
MALTONI M., AMADORI D., Palliative medicine and medical oncology. Ann. Oncol. 12, 443-450, 2001.
MERCADANTE S., RIPAMONTI C., Valutazione, diagnosi e trattamento del dolore da cancro. Masson, Milano, 2000.
MERCADANTE S., RADBRUCH L., CARACENI A. E COLL., Steering
Committee of the European Association for Palliative Care
(EAPC) Research Network. Episodic (breakthrough) pain: consensus conference of an expert working group of the European Association for Palliative Care. Cancer 94, 832-839, 2002.
MEYNADIER J., POULAIN P., RIPAMONTI C. E COLL., Expert
Working Group of the Research Network of the European Association for Palliative Care. Morphine and alternative opioids in
cancer pain: the EAPC recommendations. Br. J. Cancer 84, 587593, 2001.
PORTENOY R.K., KANNER R.H., Pain Management: Theory and
Practice. F.A. Davis, Philadelphia, 1996.
PORTENOY R.K., HAGEN N.A., Breakthrough pain: Definition, prevalence and characteristics. Pain 41, 273-281, 1990.
PORTENOY R.K., MIRANSKY J., THALER H.T. E COLL., Pain in ambulatory patients with lung and colon cancer. Prevalence, characteristics, and effect. Cancer 70, 1616-1624, 1992.
PORTENOY R.K., KORNBLITH A.B., WONG G. E COLL., Pain in ovarian cancer patients. Prevalence, characteristics, and associated
symptoms. Cancer 74, 907-915, 1994.
SAUNDERS C., Palliative care for the terminally ill. Can. Med. Assoc. J. 117, 15, 1977.
VENTAFRIDDA V., CARACENI A., Cancer Pain. In: PRITHVI RAJ P.
(Eds.), Current Review of Pain. Current Medicine, Philadelphia,
156-178, 1994.
WORLD HEALTH ORGANIZATION. Cancer Pain relief. World Health
Organization, Geneva, 1986.