new infermiere 3 09

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new infermiere 3 09
ATTUALITÀ TRAPIANTI
TRAPIANTI: UN’ECCELLENZA ITALIANA
{
A dieci anni dalla legge 91, il sistema dei trapianti italiano fa scuola in Europa,
anche se le donazioni sono ferme e crescono le opposizioni. Ma i primi dati
2009 del Centro nazionale trapianti (Cnt) mostrano una tendenza positiva
per tutte le fasi del processo donazione/trapianto, al quale gli infermieri danno
e potranno dare un forte contributo
> Era il 1° aprile 1999 quando il Parlamento approvò la legge n. 91, Disposizioni in materia di prelievi e di trapianti di organi e di tessuti. In questi anni, il sistema trapianti in Italia è cresciuto, passando dai 1.498 interventi del 1994 agli oltre 3.300 che il Cnt stima di effettuare nel 2009 (vedi tabella).
Tuttavia qualcosa si è inceppato: sebbene il coordinamento dei Centri sparsi in tutta Italia permetta di identificare
un numero sempre maggiore di potenziali donatori, nel
2008 il numero di trapianti effettuati è sceso a 2.932. A preoccupare ancora di più è l’aumento delle opposizioni al
prelievo, che registrano un +11,2% dal 2005 al 2008. Ma secondo il direttore del Cnt, Alessandro Nanni Costa, la macchina organizzativa funziona e questa tendenza negativa sarà smentita nel 2009: in base alle proiezioni sul primo trimestre, dovrebbe chiudersi con un’impennata di trapianti e una diminuzione del 3,5% delle opposizioni. E in questo ambito Nanni Costa conta molto sugli infermieri: “Crediamo molto nella loro professionalizzazione. Hanno un
rapporto particolare anche con i familiari dei pazienti, possono svolgere mansioni di tipo organizzativo e danno un
grande contributo alla crescita della rete dei trapianti”.
Ma quanto costa un trapianto? “La stima dei costi dei trapianti è difficile da ottenere, tuttavia riveste una notevole
di Eva Antoniotti
importanza in quanto rappresenta, insieme con l’analisi
delle condizioni della domanda e dell’offerta, il presupposto per razionalizzare ed organizzare al meglio il sistema
dei trapianti”, spiega la ricercatrice del Ceis, Lara Gitto.
Quelle disponibili sono di vecchia data e relative a Paesi
stranieri. “In Italia, le analisi sull’argomento mancano qua-
Tabella - I TRAPIANTI IN ITALIA
(dati in valore assoluto, confronto 2008-2009. Le proiezioni per l’anno
2009 sono elaborate sulla base dei dati rilevati nel primo trimestre)
Trapianti effettuati
Totale
Rene
Fegato
Cuore
Polmone
Intestino
Pancreas
2008
3.382
1.720
1.152
406
126
4
85
2009
2.932
1.533
996
326
94
5
69
Pazienti in lista d’attesa
(al 28 febbraio 2009)
Tempo
2009
di attesa
9.777
6.988
3,05 anni
1.495
2,03 anni
727
2,24 anni
327
2,17 anni
263
3,62 anni
Fonte: il Bisturi su dati Cnt - Centro nazionale trapianti
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ATTUALITÀ TRAPIANTI
Tabella - LA RETE TRAPIANTOLOGICA IN NUMERI
Personale “dedicato” all’attività di coordinamento
si del tutto”, ma secondo la ricercatrice è possibile
fare una stima – seppur molto approssimativa – sulla base degli studi statunitensi. Tenendo conto dei
costi specializzabili, che sono, cioè, direttamente
imputabili al trapianto (lo staff medico, la diagnostica, l’unità di terapia intensiva, i farmaci, gli interventi terapeutici post operatori), i costi generali dell’Unità di Trapiantologia Epatica (la sala operatoria, le utenze, gli ammortamenti delle apparecchiature, etc.), i costi generali dell’Ospedale, e
considerato che i costi dell’intervento chirurgico
del trapianto rappresentano solo un terzo del costo
totale, avremmo che il costo finale di un trapianto
di cuore, escludendo eventuali complicanze, salirebbe a circa 151.500 euro, un trapianto di fegato
costerebbe circa 185.000 euro ed un trapianto renale circa 111.000 euro.
Intervista ad Alessandro Nanni Costa, direttore Cnt
Il nostro sistema trapianti
è un modello per l’Europa
Dottor Nanni Costa, cresce il numero di potenziali donatori
ma non aumentano le donazioni. In pratica gli organi ci sono, ma poi non si arriva all’espianto. Quali sono le ragioni di
questa che sembra una contraddizione?
Il primo dato è certamente un fatto molto positivo: vuol dire
che nelle rianimazioni sono stati effettuati più accertamenti di
morte cerebrale e dunque più segnalazioni. In altre parole, c’è
stata maggiore attenzione alla donazione e al quadro normativo in cui si realizza. Per spiegare perché, da questo rilevante
aumento dei donatori segnalati, si sia avuto un aumento più
ridotto del numero di donatori che entravano in sala operatoria occorre prendere in esame diversi elementi. Il primo è che
a questo incremento dei donatori segnalati si è accompagnato un aumento delle opposizioni. La seconda causa è che oggi abbiamo donatori più anziani, con un’età media di 53 anni,
quindi con maggiore rischio di arresto cardiaco e organi mediamente meno idonei al trapianto.
La terza è invece che da un anno e
mezzo stiamo utilizzando protocolli
più rigidi per quanto riguarda il rischio di trasmissione di infezioni.
Questo determina, anche nei gruppi chirurgici, un atteggiamento di
minore utilizzo di organi che potrebbero esporre a qualche rischio.
Sono protocolli nazionali, ma il fatto
che ci sia una direttiva europea rivolta
proprio alla qualità e alla sicurezza
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unità circa lavorano al Centro nazionale trapianti
unità nei coordinamenti interregionali
unità nei coordinamenti regionali (+ una struttura centrale
di coordinamento)
300 unità nei coordinamenti locali a fronte di 700 reparti
di rianimazione in tutta Italia
Personale “coivolto” nel processo di previevo e trapianto
• Personale della Rianimazione (équipe medica e personale infermieristico)
• Collegio medico nominato per l’accertamento di morte (un medico
legale, un anestesista rianimatore, un neurofisiopatologo)
• personale tecnico coinvolto degli accertamenti
• figure coinvolte nei colloqui con le famiglie (es. psicologi)
• personale del 118 addetto al trasporto degli organi
Personale delle Chirurgie
• Vi sono oggi in Italia 114 strutture autorizzate ad eseguire i trapianti. Ogni
équipe chirurgica è composta da un numero variabile di membri che rispecchia sia l’organizzazione del centro, sia il volume di attività dello stesso.
Fonte: il Bisturi su dati Cnt - Centro nazionale trapianti
degli organi nei trapianti ci dice che il problema è generale.
Donatori più anziani, minore qualità degli organi, maggiore severità nei protocolli di sicurezza: queste condizioni fanno sì che da più donatori ci siano meno trapianti.
Non si tratta di una contraddizione, ma di un passaggio in
un lungo percorso, che oggi ci ha portato ad una consapevolezza maggiore sulla nostra attività.
In che misura in Italia si riesce a rispondere positivamente
alla domanda di trapianti?
Abbiamo 9.500 pazienti in lista e facciamo circa 3.000 trapianti all’anno. Per poter dare maggiori risposte, la priorità
in questo momento sono le segnalazioni, perché se venissero a mancare le segnalazioni il processo si fermerebbe.
Lo sforzo del 2009 sarà di mantenere, e possibilmente aumentare, il numero di donazioni, ma soprattutto ridurre il
numero di opposizioni. Sia chiaro che i dati non sono drammatici, non c’è stato alcun segnale brusco, ma piuttosto
un’erosione che ha fatto salire le opposizioni dal 28 al 32%.
Secondo alcune stime, il costo complessivo un trapianto varia dai 111 mila ai 185 mila euro. Come valuta questi dato?
Francamente credo che queste stime siano troppo elevate, almeno per l’Italia. In ogni caso, sebbene, il singolo intervento
appaia costoso, il costo complessivo del sistema trapianti è relativamente “insignificante” rispetto al complesso dei costi della sanità pubblica perché di trapianti se ne effettua comunque un numero limitato. In certi casi, poi, può anche comportare dei risparmi per il sistema sanitario. Ad esempio, il trapianto di rene è più economico del costo della dialisi.
E soprattutto, bisogna considerare che il trapianto è l’unico modo per curare persone altrimenti destinate a morire in breve tempo.
Parlava prima di una direttiva europea sulla sicurezza dei trapianti. L’Italia riuscirà ad
adeguarsi?
ATTUALITÀ TRAPIANTI
Non dovrei forse dirlo io, ma noi abbiamo una situazione
di eccellenza, che in qualche modo ha fatto da modello per
la direttiva europea. Quindi non è davvero un problema
quello di adeguarsi.
Anche per quanto riguarda i registri delle donazioni, noi abbiamo sviluppato un sistema di grande efficienza e spesso
abbiamo difficoltà a confrontare i dati con altre realtà europee dove il metodo delle registrazioni è meno rigoroso.
Abbiamo creato un valore: oggi abbiamo una rete con centri
di eccellenza e centri di coordinamento che seguono regole
comuni. Questo è un elemento che qualche anno fa non c’era.
Qual è la situazione della formazione del personale sanitario sul tema dei trapianti?
Forse dobbiamo concentrarci ancora di più sulla formazione dei rianimatori, che sono la chiave di volta del trapianto. Il Centro nazionale organizza ogni anno molti corsi rivolti alle professionalità che si occupano del prelievo
(rianimatori, personale dei coordinamenti, ecc). Si tratta di
corsi gratuiti per chi vi partecipa, mirati alla crescita professionale di questi operatori e allo sviluppo di un’organizzazione che lavora con criteri omogenei.
Crediamo molto nella professionalizzazione degli infermieri,
che hanno un rapporto particolare anche con i familiari dei
pazienti e che danno un grande contributo alla crescita della rete dei trapianti.
Più o meno spesso si torna a parlare di traffico illegale di
organi. È davvero possibile che questo orrore coinvolga anche il nostro Paese?
Noi abbiamo una tracciabilità assoluta degli organi e quando un organo viene dall’estero deve arrivare attraverso un
nostro organismo ed avere una precisa identificazione. Nella rete senza la carta di identità non si entra.
Francamente mi sembra difficile. E, già che parliamo di orrori, sfatiamo un altro mito: gli adulti non possono usare
organi prelevati da bambini. Quindi l’allarme su possibili
omicidi di bambini di strada per prelievo d’organi sembra
non avere fondamento.
A livello internazionale un vero problema è, invece, il cosiddetto turismo trapiantologico, perché ci sono Paesi dove è possibile comprare organi da donatori viventi. E questo fenomeno della pay donation è piuttosto preoccupante,
anche perché si realizza in situazioni dove i controlli e la sicurezza sono scarsi. Ma, per il momento, non abbiamo notizia di broker italiani.
Intervista a Lucia Rizzato, dirigente infermieristico
presso il Centro nazionale Trapianti
Riconoscereilruoloinfermieristico
rafforza tutta la rete dei trapianti
Quanto sia strategico il ruolo dell’infermiere nella complessa realtà organizzativa e assistenziale dei trapianti è riconosciuto da tutti. Malgrado questo, però, la realtà delle strutture operative non è priva di contraddizioni e di problemi aperti, come ci spiega in questa intervista Lucia Rizzato, dirigente infermieristico presso il Centro nazionale Trapianti (Cnt).
Qual è il ruolo dell’infermiere nella rete dei trapianti italiana?
La legge n.91 del 1999, che ha ridisegnato l’assetto organizzativo del sistema trapianti in Italia, prevede che il Coordinatore Locale, cioè colui che è responsabile dell’attività di
procurement di organi e tessuti all’interno del proprio ospedale, sia un medico con maturata esperienza nel settore dei
trapianti e nominato dal Direttore Generale della stessa struttura. Sempre la stessa norma aggiunge che il Coordinatore
locale, per svolgere le proprie funzioni, può avvalersi di personale sanitario e amministrativo.
In riferimento al termine “sanitario”, nella realtà italiana si è
affermata l’idea che personale infermieristico, come è già avvenuto in numerosi Paesi europei, possa svolgere tali funzioni con adeguata preparazione, buone competenze e con
una forte motivazione personale e sociale.
In particolare, nei grandi
Ospedali, dove ci sono un
numero notevole di donatori di organi e un altrettanto importante numero di donatori di tessuti, la funzione di coordinamento che
comporta un pesante carico di lavoro e la pronta disponibilità 24 ore su 24, richiede un modello di “Ufficio di coordinamento” composto da medici ed infermieri che, in stretta collaborazione,
assicurano una continuità del processo.
Ma quella legge, per noi infermieri, è troppo generica e di
certo non ha aiutato la strutturazione della nostra figura
nel sistema trapianti.
Nel 2002 però, per la prima volta, un Accordo Stato-Regioni
ha cercato di superare la genericità del testo di legge indicando
e specificando l’importanza della presenza del ruolo infermieristico all’interno dei coordinamenti locali e regionali.
Alcune Regioni e aziende con apposite delibere, hanno applicato quanto previsto da questo documento e hanno introdotto nei loro coordinamenti personale infermieristico
adeguatamente formato e preparato. Purtroppo però, sono ancora molte le Regioni dove questo non è avvenuto e
dove manca un vero e proprio riconoscimento e inquadramento di questo personale che comunque continua a
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svolgere con dedizione e professionalità il proprio lavoro.
Inoltre, è ancora molto scarsa presso le direzioni sanitarie
e gli uffici infermieristici, la conoscenza di “chi è” il coordinatore infermieristico delle donazioni e dei trapianti; e spesso questa non conoscenza porta ad una non valorizzazione del ruolo stesso e soprattutto ad una superficialità nella gestione di una risorsa così importante.
Cosa può fare un infermiere che voglia lavorare in questo
settore?
Il coordinamento locale è in tutti gli ospedali che sono sede di donazione di organi o tessuti. Quindi il percorso più
semplice è prendere contatti con il coordinamento locale o
regionale. Certo non tutti gli infermieri possano andare a
lavorare in un coordinamento, ma l’obiettivo del Cnt è quello di dare una buona preparazione a tutta la rete e perciò
anche al personale delle terapie intensive, delle unità critiche, dei Pronto Soccorso, perché solo così si crea una vera rete e una stretta collaborazione con il coordinamento
per un obiettivo comune: il trapianto.
Ogni anno il Cnt organizza corsi di formazione specifici per
tutto questo personale o per il coordinatore clinico, cioè per
il personale infermieristico che lavora all’interno dei centri
di trapianto e che si prende carico del paziente dal suo inserimento in lista d’attesa, al follow-up post-trapianto.
Cosa pensate di fare per superare le criticità di cui parlavamo sopra?
Ritengo opportuno sensibilizzare le direzione generali perchè contribuiscano allo sviluppo del ruolo infermieristico.
I vertici non sono sempre al corrente di quella che è la prassi e spesso bloccano il lavoro infermieristico per il timore
che vi siano procedure non corrette.
Credo che i tempi siano maturi: se prima vi era un’esclusività del modello “medico”, ora non si può più non considerare il grande valore aggiunto dell’infermiere, anche in
relazione ai risultati ottenuti in altri Paesi Europei, vedi la
Spagna, che da tempo hanno adottato questa integrazione
professionale.
Sicuramente la prima cosa da fare è sensibilizzare e far co-
Grandicompetenze,pochiriconoscimenti
Dario Zambello è presidente del Collegio Ipasvi di Rovigo, ma è anche il referente infermieristico del Coordinamento locale trapianti
dell’Azienda Asl 18 di Rovigo. Conosce bene, dunque, la realtà operativa del lavoro infermieristico in questo settore. “In Veneto, ma
anche in molte altre realtà, si è arrivati ad avere dei professionisti
infermieri che lavorano nel sistema dei trapianti ad alto livello, che
lavorano a tempo pieno nei coordinamenti locali, che hanno acquisito grande professionalità e
competenza. Gestire il processo di una donazione multiorgano – spiega Zambello – è un
processo di grande complessità gestionale: un infermiere si
trova a coordinare cinque o sei
equipe di prelievo, ovvero 35-40
persone che arrivano tutte in sala operatoria, di solito in piena
notte, e che hanno bisogno con
urgenza e precisione della documentazione clinica. Così come l’infermiere ha grandi responsabilità anche nel momento in cui
propone un donatore, fornendo la documentazione clinica all’operatore del Centro regionale e avviando dunque il sistema”. Competenze e responsabilità che però spesso non trovano riscontri, come sottolinea lo stesso Zambello: “Questi infermieri sotto il profilo di carriera e di inquadramento amministrativo non sono in alcun
modo riconosciuti e per questo, nel momento in cui si pongono
esigenze diverse all’interno dell’azienda, possono essere trasferiti
ad altri settori, disperdendo così la loro competenza”.
noscere a tutte le direzioni in senso lato i compiti e le funzioni del coordinatore; in parallelo il Cnt si sta impegnando nella stesura di un prossimo documento che riconosca
e valorizzi il Coordinatore infermieristico.
La legge e il consenso alla donazione
“I cittadini sono tenuti a dichiarare la propria libera volontà in ordine alla donazione di organi e di tessuti del proprio corpo successivamente alla morte, e sono informati che la mancata dichiarazione di volontà è considerata quale assenso alla donazione”. È quanto stabilisce la legge 91 del 1° aprile 1999, che, insieme alle integrazioni dell’anno seguente, disciplina il consenso alla donazione degli organi in Italia. La donazione è possibile quindi “nel caso in cui dai dati inseriti nel sistema informativo dei trapianti (...) ovvero dai dati registrati sui documenti sanitari personali risulti che il soggetto stesso abbia espresso in vita dichiarazione di volontà favorevole al prelievo” e “qualora dai dati inseri-
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ti nel sistema informativo dei trapianti (...) risulti che il soggetto
sia stato informato (...) e non abbia espresso alcuna volontà”.
Quanto alla raccolta delle dichiarazioni, le norme istituivano una rete composta dalle aziende ospedaliere, le aziende unità sanitarie locali territorialmente competenti, gli ambulatori dei medici di medicina generale e, in un secondo tempo, i Comuni. Il flusso delle informazioni, dopo il passaggio per le aziende unità sanitarie locali di residenza dei pazienti, si conclude al Centro nazionale per i trapianti e
ai Centri interregionali. Ad oggi, secondo il Sistema Informativo Trapianti, sono 88.129 i cittadini che hanno registrato presso le Asl il
loro consenso alla donazione di organi, mentre oltre un milione di
persone ha affidato il proprio consenso alla donazione all’Aido, Associazione italiana donatori di organi, tessuti e cellule.