Stefania Belmondo

Transcript

Stefania Belmondo
STEFANIA BELMONDO:
PIÙ VELOCI DI AQUILE I MIEI SOGNI
LA PIÙ GRANDE ATLETA ITALIANA SI RACCONTA IN UN LIBRO-INTERVISTA
DI PROSSIMA PUBBLICAZIONE PRESSO SPERLING & KUPNER.
“Ho imparato a guardare alla meta
e a conquistarla con sacrificio”
Volevo sempre correre: per me la velocità
e il movimento sono qualcosa di innato, quasi
un istinto... Un ricordo particolare della mia
storia, che rivivo di tanto in tanto, è legato
al periodo in cui ho potuto frequentare la
colonia estiva dell’Enel, dove lavorava mio
papà (i miei fratelli ci sono andati una sola
volta, perché soffrivano troppo per la nostalgia di casa, ma io vi sono tornata per ben
cinque anni… ). A Riccione, durante il soggiorno, venivano organizzate le Miniolimpiadi
e io ho vinto. Avevo più o meno otto anni
quando ho partecipato alla prima gara di
corsa - percorrendo l’anello più piccolo - e
sono stata premiata con una medaglia gialla,
di cartone…la mia prima medaglia!
Ce l’ho ancora in un cassetto, e quando la
guardo mi sembra un segno del destino.
La cerimonia della premiazione è avvenuta di
sera, su un grande piazzale, con tutte le torce
accese: davanti a un grande pubblico di bambini, ognuno con la sua specialità, sono stata
chiamata al centro perché avevo vinto!…
Chissà perché ho scelto la corsa. Non so se
c’è un significato, davvero non lo so, ma, di
sicuro, è stato bellissimo ed ero così contenta!
Un’emozione così intensa l’ho provata soltanto molti anni dopo, sul podio delle Olimpiadi
vere! Quando poi ho compiuto dieci, undici
anni, ho iniziato a vincere le gare di corsa per
la festa del paese, e il fatto di essere la più
piccola di statura è forse diventato, via via,
uno stimolo ad andare più veloce per
dimostrare che, anche se si è minuti, si riesce
comunque ad arrivare, se si vuole. Può darsi
non sia altro che una mia idea, ma so che ho
sempre avuto tanta voglia, tanta volontà…
Cos’è per te la” volontà”?
Credo sia la spinta ad arrivare alla meta che
ti prefiggi, affrontando ad uno ad uno tutti i
vari passaggi intermedi. Immagino un podio
enorme, a cui puntare attraverso tanti, tantis-
Con la cortese
autorizzazione
della casa editrice
Sperling & Kupner,
Rassegna pubblica
in anteprima
alcune pagine
tratte dal libro
“Stefania
Belmondo: più
veloci di aquile i
miei sogni”, a cura
di Antonella
Saracco, in libreria
a fine gennaio.
È la storia
avvincente di una
vera campionessa;
un testo di
sorprendente
interesse su come
raggiungere gli
obiettivi e superare
i propri limiti.
simi cancelli, ognuno dei quali rappresenta
una difficoltà e, nello stesso tempo, una porta
che, se tu vuoi, puoi aprire per accedere a
quello successivo e così di seguito, via via…
Secondo me la volontà è il desiderio di
spalancarli tutti per arrivare a quel podio.
Possono essere di volta in volta, il dolore
fisico, la fatica, il sacrificio, la rinuncia, il male
(quanto bisogna combatterlo, per arrivare!),
il freddo, la lontananza, la sconfitta…
Una gara persa è comunque una vittoria, un
cancello che si apre per poter raggiungere il
podio. Chi non sente dolore, tristezza o malinconia, non può neppure provare piacere,
gioia o divertimento: lo dicevano già i filosofi
dell’antichità. Ho imparato a guardare alla
meta: “Io voglio arrivare lì!” e a conquistarla
con sacrificio. E finché non lo raggiungi,
sarà quel traguardo a dare un senso alle tue
azioni. Poi, una volta raggiunto ne appare
subito un altro a cui mirare. Il giorno dopo
la gara, infatti, quel podio non c’è più e nuovi
cancelli sono tutti da aprire.
Puoi fermarti a riflettere e condividere la
felicità con gli altri, ma non devi mai compiacerti. Guardo la vittoria: Tutto qui? e non
mi dò pace: Come…ho sopportato una fatica
bestiale, ho lavorato tanto e adesso è tutto
finito! Però voglio godermi la giornata e non
pensare ad altro. Ho in mente quando, ai
Mondiali di quest’anno, dopo la prima medaglia,
avrei davvero potuto calmarmi e dire basta.
Infatti ho gioito e festeggiato, gustando il
sapore di quel risultato tutto mio, senza preoccuparmi per la gara del giorno dopo, anche
perché sono momenti da assaporare pienamente. Alla sera, però, ero tutta concentrata
sull’impegno che mi aspettava.
Per me, infatti, la competizione è il processo
attraverso cui superare ostacoli progressivi
per esprimere al meglio la propria potenza e
non ha mai fine. Credo che il nostro sport,
basato com’è sulla fatica, ci chieda di saper
affrontare un percorso nelle sue singole parti,
come il maratoneta - che davanti a sé vede
strade lunghissime per arrivare all’orizzonte
che via via si avvicina - o il ciclista, il cui
metro di misura è la montagna.
Quando mi sento domandare cosa penso in
gara, quindi, so soltanto che…vedo la pista,
cioè la conosco a memoria, la studio di sera
nella mia testa e la percorro a tratti:
Stefania, devi arrivare fin là, poi c’è quella
altra distanza - durissima - ma se la superi
è fatta… Già negli allenamenti mi abituo
a scomporre le difficoltà punto per punto:
é un continuo parlare con me stessa e
autoconvincermi di andare, andare più forte…
Come spiegheresti a un bambino il senso
della conquista?
Se avrò la fortuna di averne uno, vorrei
raccontargli molte favole, ma so che, a un
certo punto della crescita, nell’età dei perché,
vorrà sapere tutto…e mi piacerebbe spiegargli
ogni cosa correttamente: “Immagina di dover
partire da qui, da questa zona pianeggiante,
per salire in cima a quella montagna. Sai fin
dall’inizio che è difficile riuscire ad arrivare
così in alto, perché potrai essere stanco, sudato, o forse non avere più voglia…Devi sapere
che per raggiungerla dovrai superare molte
difficoltà e affrontare problemi, perciò, se
vuoi portare a termine la tua impresa, evita
di pensare fin da subito: Parto da qui e arrivo
sulla vetta. A mano a mano che procedi,
invece, superi dapprima l’ostacolo Numero
Uno e devi già esserne contento; poi continui
con il Numero Due e sali sempre più su.
La fatica ti prende quando ti senti stanco,
sfinito. Non ce la faccio più. Basta, adesso mi
devo fermare, ma proprio in quel momento
devi motivarti: Io sono una persona, un essere
umano! (i bambini pensano: “Io sono
grande!”) e se arrivo in cima, poi sarò tanto,
tanto contento, perché da lassù vedrò un bel
paesaggio, scoprirò un mondo nuovo e potrò
raccontare ad altri ciò che ho visto.
Nel conquistare la meta, proprio perché qualsiasi traguardo, non solo sportivo, ha senso
soltanto se viene condiviso, si può vivere una
felicità allargata e dimenticare, almeno per
un momento, ogni sofferenza.
Hai nominato il dolore come primo
“cancello”.
Ho avuto innumerevoli problemi fisici, ma
non voglio sembrare patetica nel raccontare
le mie vicende, tanto più che di solito, al
momento, non ne parlavo nemmeno.
Nel tempo ho acquisito un buon rapporto
con il dolore, un limite di sopportazione
molto alto. Con un malessere fisico, a meno
che non sia intollerabile, adesso riesco
a convivere e ad allenarmi.
In passato, a causa di gravi problemi alla
schiena, si è perfino pensato che dovessi
Stefania Belmondo è testimonial del Conto Creso,
il conto corrente di nuova generazione della
Banca Regionale Europea.
La sua immagine compare su una serie di manifesti
personalizzati per città, riprodotti sulle pagine seguenti
(nell’ordine Cuneo, Alba, Mondovì , Bra , Fossano,
Saluzzo, Savigliano, Pavia, Piacenza).
lasciare l’agonismo e finire sotto i ferri, ma
per fortuna il dottor Bucci, diventato ormai
uno dei miei più grandi amici, ha trovato una
soluzione, anche attraverso il lavoro dei
massaggiatori davvero bravi. Altre grandi
difficoltà me le ha causate il piede sinistro:
in un primo tempo sembrava trattarsi soltanto
di un alluce valgo, ma purtroppo era presente
anche una frattura da stress dovuta ai forti
carichi di allenamento. E quindi mi sono
dovuta operare. Dopo l’intervento il chirurgo
ha comunicato ai miei genitori che dovevo
assolutamente smettere di sciare, perché non
sarei riuscita a sopportare altri sforzi: non
avendo più la cartilagine, mi sono ritrovata
con un dito semirigido; ma io non ci ho pensato nemmeno per un istante e, dopo tre mesi
di stop forzato, ho ripreso ad allenarmi.
Questo accadeva nel ’93, dopo i Mondiali di
Falun. L’anno seguente, con le Olimpiadi di
Lillehammer, è ricominciato il mio calvario.
In settembre, infatti, nell’asportare una cambra (il piccolo ferro che teneva gli ossicini
detti sesamoidi), sono subentrate varie complicazioni, tra cui un’infezione al dito.
Con il freddo, poi, perdevo sensibilità; per
alcuni anni sono stata costretta a gareggiare
con una scarpa rigida. Ancora adesso, non
riesco a sentirlo quando la temperatura è molto
bassa non provi più dolore nel muoverlo.
Ho dovuto perciò lottare con il dolore e ce
l’ho fatta, però mi sono anche trovata a combattere con persone che, forse non comprendendo, lo attribuivano a questioni psicologiche, insinuando addirittura che me lo
inventavo perché non riuscivo più a vincere.
Ora però sono in grado di sopportare meglio
le sofferenze, e ho la capacità di affrontare le
difficoltà (allenamento che, prima o poi, serve
a chiunque); mi è stata utilissima, soprattutto
in quel periodo così nero per me.
Il secondo “cancello” è rappresentato
dalla fatica.
La fatica… Eh, tutti i giorni, durante la
preparazione, ne sopportiamo tanta e, secondo me, ci si può anche allenare a essa.
Noi atleti, anzi, dobbiamo proprio farlo, perché la competizione è fatica, quindi, se non la
si prova prima, adattandosi progressivamente,
non si può nemmeno affrontare la gara, che
ne richiede ben di più. Ogni volta che esco a
fare allenamento, so che è fatica, e quando se
ne presenta uno in cui non ne provo, ho
l’impressione di non aver fatto il mio dovere,
perché non ho messo alla prova me stessa
nell’arrivare al limite e superarlo.
Il mio rapporto con la fatica di solito è
positivo, perché è bello vincerla: è una gioia
incredibile, un’esperienza meravigliosa saper
resistere per godersi il risultato. Evitare le
difficoltà, invece, significa negarsi il piacere
di realizzarsi, e secondo me chi non si mette
mai alla prova e non sperimenta i propri
limiti è una persona piatta, a cui non importa
nulla... che si lascia vivere e basta.
“Ma chi te lo fa fare!”… protesta sovente chi
non coglie alcun significato nel mio lavoro,
in questa continua attività di potenziamento
psico-fisico. In alcuni momenti, a dire il vero,
temo anch’io di non riuscire a sopportare lo
sforzo prolungato, soprattutto quando sono
un po’ stanca o non sto bene, allora mi viene
il dubbio: “Forse non ce la faccio!” Ma non
accetto di cedere. Quando ho la sensazione
di non trovarmi nelle condizioni giuste per
me, mi sembra di non poter colmare la
distanza tra ciò che devo e che riesco a fare.
Ma so che andrà bene, e mi rassicuro: Eppure
ho superato queste difficoltà tante altre volte,
in circostanze di gran lunga peggiori! E’ solo
questione di testa Ste’, vedrai che ce la fai.
Devi pensare che la spunterai. Cerco allora di
convincermi che riesco perché posso, avendo
ripetutamente sperimentato ogni genere di
ostacoli, e resisto, anche se è davvero arduo
affrontare minuto per minuto una realtà
pesante, che in alcuni casi riguarda il rendimento fisico, ma più sovente la capacità di
controllare mentalmente un lavoro severo.
E’ quella che noi chiamiamo appunto
fatica di testa.
Ogni allenamento, comunque, è per me una
vera e propria gara: non contro il tempo
o il cronometro, ma con me stessa, e sono più
soddisfatta quando arrivo stremata, perché
mi sento completamente appagata, proprio
come avessi vinto. Mentre non ottengo nulla
se vado tanto per fare (ma non capita quasi
mai…) A volte mi succede di svegliarmi
stanchissima: devo allenarmi, e non vorrei
neanche alzarmi. Allora rivedo le mie motivazioni: la voglia di fare, innanzitutto di
conquistare la Coppa del Mondo, il desiderio
di essere felice per una vittoria e il successo
personale, ma anche di far contenti gli altri
(penso a chi mi vuole bene, agli innumerevoli
tifosi che mi sostengono, come gli amici del
fan-club di Pietraporzio, alla gente che mi
guarda in televisione, agli sponsor e al mio
gruppo…) Queste componenti mi spingono a
uscire. Anche nei giorni in cui piove, magari
a dirotto, o fa freddo, oppure nevica… in quel
momento, è proprio la testa che gioca un
ruolo importante. Non ricordo di aver pronunciato una frase come: “Oggi non vado
perché non ho voglia”. Non è mai, mai capitato. Mai. Non ho voglia, ma vado lo stesso.
Tutto sta nel superare quei primi 5 minuti in
cui esci, hai freddo, senti la stanchezza…poi
vai, entri nella nebbia e ti lasci avvolgere…
come domenica scorsa, quando ce n’era tanta,
in montagna e non ho trovato nessuno:
soltanto mucche che pascolavano.
Era proprio bellissimo…ed ero così contenta!
D’altra parte, se per qualche motivo non
posso allenarmi, poi sto male, anzi malissimo
e per tutto il giorno esaspero mio marito o i
miei, perciò è meglio che esca, anche se si
tratta di correre sotto la pioggia.
L’altra mattina diluviava e in più avevo mal
di gola, ma volevo seguire alla lettera il mio
programma. Cercherò un posto adatto, mi
sono detta. Dove fare corsa in salita e
all’asciutto? Pensa pensa, ho poi trovato la
soluzione del Forte di Vinadio. Ben coperta,
mi sono arrampicata per le tante gradinate
ripide: ho evitato di bagnarmi e alla fine ero
stanchissima, ma felice. L’allenamento per me
è quasi una fissazione, che a lungo andare
può rendere forse un po’ ossessivi, me ne
rendo conto. Ovviamente non metto a rischio
la salute sotto la grandine o la pioggia scrosciante, ma aspetto che torni il sereno: ma mi
alleno in giornata.
Ti alleni anche a un calcolo ottimale del
tempo e delle tue risorse.
Per la mia attività ha un valore particolarissimo ogni singolo istante, tanto che, in due ore
di allenamento, devo perfino organizzarmi
per bere. Sul ghiacciaio usiamo tutti la
borraccia, ma molti di noi non staccano il
cronometro quando si fermano, mentre io
lo blocco sempre, per non togliere tempo agli
esercizi: se mi interrompo per 3 minuti dopo
ogni giro, moltiplicando per cinque arrivo
a un quarto d’ora e va a finire che, in capo
a qualche giorno, segno sul diario esercizi che
non ho eseguito. In passato qualcuno mi ha
derisa per questa mia attenzione alla durata
dell’attività, ma se è prevista un’ora, non
la riduco a 58 minuti, perché i due di oggi
e quelli di domani, dopo un anno diventano
ore! Se poi ne sono state stabilite due, non
mi fermo 5 minuti prima, piuttosto 5 minuti
dopo. “Che cosa contano quei pochi minuti
in più?” mi rimproverano spesso, ma io
insisto che quel poco di ogni giorno conta!
Mi chiedo, allora, perché timbrare il cartellino sul lavoro: non si potrebbe andare via
tutti mezz’ora prima?
Sei stata abituata fin da piccola al rigore
del comportamento?
Credo che la famiglia abbia un ruolo fondamentale nella vita di ogni persona e, se sono
arrivata fin qui con certe idee, lo devo
sicuramente all’educazione ricevuta.
I miei genitori non mi hanno mai incitata a
gareggiare, anzi ho sempre deciso in libertà,
mentre oggi vedo tanti adulti sollecitare
troppo i figli, fino a comprar loro l’attrezzatura migliore, perché li vorrebbero subito
campioni…
No, io non sono mai stata spinta, però mi
hanno fatto capire che, per raggiungere
qualcosa, si devono sopportare tanti sacrifici,
principio che, senza dubbio, ho assimilato
fin da bambina. In casa nostra, d’altra parte,
non si navigava certo nell’oro, visto che
soltanto mio papà lavorava e si era in cinque.
Non avevamo molto e si viveva come una
famiglia normale, perciò mi hanno sempre
insegnato a rispettare tutti, ma anche tutto,
ad apprezzare ciò che si ha e si riceve.
I commenti negativi che sento sovente quando
vengono fornite le giacche alla squadra:
“Oh, che brutta, che colore!” mi fanno
ricordare che ero la bambina più contenta di
questo mondo, se ricevevo semplicemente
una maglia…
Pensa che soltanto in quinta elementare ho
avuto i primi sci “belli” (ma anche gli unici!),
un paio di Spalding verdi e bianchi, che mi
hanno mandato per i Giochi della Gioventù.
E se allora qualche ragazzina metteva già la
tuta da fondo, io portavo ancora quella da
ginnastica, azzurra e bianca, che mio zio
aveva comprato a Torino: ero contentissima
lo stesso e non me ne sono mai fatta un
problema, pur senza possedere niente di ciò
che sfoggiavano le mie compagne.
Ho imparato lo spirito di sacrificio, di cui mi
ricorderò sempre, vedendo i miei lavorare
tanto, anzi tantissimo e continuamente.
Non mi hanno mai portata in vacanza, ma
mi hanno sempre dato l’affetto necessario.
Se penso ai momenti più belli della mia vita
li ritrovo negli anni dell’infanzia, quando si
andava sul carro a far legna tutti insieme.
Mio papà guidava il trattore e si stava tutto
il pomeriggio nel bosco, facendo merenda
con pane e nutella…che ricordi fantastici!
“Ogni cima mi affascina”
Come ti descrivi?
Mi ritengo una persona qualunque, con la
fortuna di aver intrapreso un’attività che ha
portato dei frutti, grazie a tutti coloro che
mi hanno aiutata a raggiungere obiettivi
entusiasmanti. Per arrivare a questi traguardi
ho dovuto naturalmente soffrire tantissimo,
anche se, considerando dall’esterno ciò che
ho dovuto passare, forse non tutti riescono
a vedervi motivi di sofferenza, né di patimento…Nella vita, però, le situazioni non vengono percepite allo stesso modo, proprio perché sono soggettive e in quel momento, ti
assicuro, per me le difficoltà erano grandi.
D’altra parte non sempre l’adulto capisce
le fatiche del bambino e non si accorge nemmeno che a volte un minimo ostacolo gli
richiede già un enorme sforzo. Riconosco,
comunque, di aver avuto molto coraggio…
Sì, sovente mi sono lanciata anche se avevo
paura, una componente che mi ha sempre
accompagnata (e che non riguarda il timore
di trovarmi da sola al buio, di notte, in posti
sconosciuti, ma piuttosto di non riuscire a
raggiungere la meta prefissata). Per anni,
con un’altra ragazza, ho viaggiato con il treno.
Ci è successo un po’ di tutto ma abbiamo
sempre affrontato, momento per momento, gli
inconvenienti che ci capitavano, accumulando
così un bagaglio di esperienza e di maturità.
Quando poi, dopo le Olimpiadi di Albertville,
mi è stata data in uso una macchina (essendo
da sempre appassionata di automobili, toccavo il cielo con un dito per la felicità!) sono
partita da sola verso Auronzo di Cadore,
per il corso di guardia Forestale: un viaggio
di sette ore che ho affrontato senza quasi
conoscere l’itinerario… Sì, sono convinta che
occorra avere il coraggio di fare esperienze,
di buttarsi e provare: se non ti lanci una
volta, rischi di non farlo più.
Durante le trasferte in giro per il mondo mi
piace molto capire e scoprire il più possibile
dei vari aspetti della vita. Se vedo qualcosa di
nuovo, chiedo insistentemente: “Cos’è, cos’è?”
e, arrivando in luoghi sconosciuti, appena
trovo un attimo di tempo, nel pomeriggio
o di sera, vado in giro a osservare come vive
la gente. In questo modo ho potuto esplorare
diverse realtà, soprattutto in Russia e, poiché
adoro viaggiare (anche se sono andata
soltanto due volte in vacanza, in tutti questi
anni!) ho potuto constatare situazioni spaventose di povertà, accanto ad altre in cui si vive
bene, sereni e tranquilli. Sono sempre più
convinta che l’Italia è il paese in cui si sta
meglio: abbiamo di tutto ed è una gran fortuna, anche se non ce ne accorgiamo e non
sfruttiamo le risorse esistenti. Sono molto
curiosa, non del privato (un aspetto che non
mi interessa, infatti abito in questo posto
un po’ isolato, dove non vedo mai nessuno
e non so niente dei vicini) quanto, piuttosto,
di come funzionano le cose, la vita…
Voglio sapere come è fatto il motore di una
macchina, perché c’è la luce nelle lampadine,
come funziona la radio, perché bolle l’acqua…
come scrivi un libro! Devo sempre chiedere,
perché voglio sapere e a volte diventa quasi
imbarazzante, soprattutto quando incontro
persone che forse pensano: “Cosa vuole questa qui? “. Se però trovo chi risponde alle mie
richieste sono proprio soddisfatta.
Mi fa piacere coltivare l’amicizia e la vicinanza umana anche attraverso il rispetto e il
saluto, che mi hanno sempre insegnato a casa
e che, secondo me, sono fondamentali per
tutti. Quando scio al Nord non incontro
nessuno, perché lassù è sempre buio e soltanto
la pista è in parte illuminata, ma se nel
pomeriggio vado a correre e in palestra, trovo
una vera folla e ci si saluta tutti, proprio tutti,
con un “Ehi”. E’ fantastico! In quell’oscurità,
talvolta a venti sotto zero, la gente passeggia
col cane e ti lancia il suo “Ehi!”, a cui rispondi quasi come un’eco. Ho preso quest’abitudine e adesso, in giro sui ghiacciai, tra atleti
ci incrociamo sempre con quel segnale…
Il saluto è già rispetto dell’altro, perché
dicendogli: Ci sei, ti vedo! Riconosci la sua
esistenza. Credo in Dio e penso sia il valore
più bello che i miei genitori mi abbiano
trasmesso, perché, di conseguenza, vengono
gli altri: essere buoni con tutti, non fare mai
del male e perdonare quello ricevuto.
Non mi vergogno di dichiararmi credente,
quando talvolta me lo domandano, la fede
per me è scopo di vita.
La montagna è la tua grande passione…
Ogni cima mi affascina, ma è ovvio che adori
i miei posti, perché vi sono nata e fin da
bambina li ho scoperti con mio papà, quindi
li conosco bene: nel guardarli provo una
particolare felicità e, nello stesso tempo, una
certa malinconia, però anche piacevole…
Stamattina, per esempio, facendo colazione,
ho sollevato gli occhi oltre le tendine ed era
tutto rosso: uno spettacolo magnifico che
varia momento per momento, nel corso del
giorno e dell’anno... Secondo me le stagioni
sono la cosa più bella che Dio ha creato.
Sia in posti nuovi, sia in quelli che conosco,
mi riempiono la vita: amo la primavera in
modo incredibile, perché mi sembra che da
qualcosa di morto rinasca tutto: i fiori, le
piante, i germogli…Mi perdo a veder comparire nell’orto le foglie piccole e le fioriture,
a guardare le piante che rinverdiscono e gli
uccellini… Meraviglioso!
L’estate mi piace, sì, per il caldo (se non è
esagerato, altrimenti lo soffro) ma preferisco
questa magnifica atmosfera autunnale, con
quel po’ di vento tra le foglie nelle giornate
serene, quando risaltano tutte le tonalità dei
boschi… Sì, le stagioni mi fanno impazzire di
gioia, anche se, forse, sono un po’ indifferente
all’inverno, perché paradossalmente, gareggiando da tanto tempo ormai, non posso gustarlo davvero. Qui a casa non lo vivo quasi
per nulla, infatti, e se aspetto la neve proprio
come da bambina, esaltandomi per la felicità
con la stessa magica attesa di allora, non la
vedo mai arrivare, perché ai primi di novembre parto per la Scandinavia, dove è già scesa
da un po’. Tra una gara e l’altra, però, non
me la posso godere. Quando sono a casa, poi,
a volte diventa addirittura un problema, per
la difficoltà di andare a sciare, per la strada,
la pista… Domenica era una bella giornata e,
correndo, respiravo a fondo l’inizio dell’autunno, anzi, lo assorbivo come una spugna.
Le foglie ti cadono in faccia, quelle che
calpesti ammorbidiscono il passo e vivi nel
colore…Sola in mezzo ai campi, mi sono
soffermata a pensare con nostalgia alla primavera, perché adesso vedo davanti a me un
tunnel con eventi anche entusiasmanti, ma
molto difficili da affrontare e la fine dell’inverno è quasi un’uscita da quell’imbuto.
Per fortuna, però, arriva presto e allora mi
entusiasmano tutti i colori, le sensazioni
naturali, il profumo dell’aria e gli animali
tranquilli, che si lasciano ammirare quando
non hanno ancora paura. Un’esperienza meravigliosa è quella di salire a Sant’Anna a fine
aprile, quando puoi vedere mufloni, camosci,
marmotte e stambecchi in libertà…
In quel momento sentivo dentro nostalgia e
felicità insieme e mi domandavo: “Quando
avrò smesso di gareggiare, sarò di nuovo in
grado di vivere pienamente la stagione in un
solo posto, momento per momento, attraversando gradualmente tutti i cambiamenti?”
Di fronte a casa dei miei, a Pontebernardo,
c’è una montagna chiamata Monte Panieris.
Se esco sulla soglia me la trovo davanti, così
gigantesca e, quando sono lontana, la immagino tutta carica di neve, nella sua veste
invernale, o molto nuda e spoglia durante il
disgelo, oppure animata da un verde esaltante.
Ma è l’atmosfera luminosa, calda e colorata
dell’autunno che la rende più incantevole ai
miei occhi. Non sono mai arrivata fin lassù,
proprio in punta, però la conosco benissimo,
perché le ho vissuto accanto giorno per
giorno, interpretando il suo difficile umore.
Non ricordo di averla vista con altri occhi
da bambina, anzi, mi sembra che non sia mai
cambiata nella mia percezione ed é davvero
strano, perché di solito, mentre si cresce,
ci si rapporta alla realtà in modo diverso.
Quella montagna, invece, io l’ho sempre vista
com’è, forse perché c’è qualcosa dentro di me
che richiama costantemente la sua immagine:
un vertice alto, fisso, invalicabile, ma anche
rassicurante, che segna il mio punto d’arrivo.
Così il Monte Panieris, diventato il mio
simbolo, dà un senso reale alla mia impresa,
all’obiettivo di raggiungere la vetta, perché
rappresenta concretamente tutti quei gradini
che, come dicevo, bisogna superare per
arrivare in cima.
“Continuo a sognare e sognare,
senza limiti... ci sono giornate in cui
mi sento davvero una farfalla”
Le tue innumerevoli esperienze di gara
hanno qualche elemento in comune?
In pista mi accompagna sempre il consiglio
che Giulietto Gerardi, (olimpionico e persona
di esperienza di cui ho già parlato), mi ha
dato quando avevo quattordici o quindici
anni: “Stefania, devi pensare che in qualunque
gara, sia che tu perda o vinca, che vada bene
o male…c’è il momento di crisi. Ti sembrerà
interminabile, ma ricordati che dura poco:
pochi secondi. Se riesci a superarli, dopo vai.”
E’ vero, in ogni gara ho la crisi, ma io penso
sempre a ciò che mi ha detto. Quando l’ho
superata mi butto, ma prima so che deve
arrivare…perciò l’aspetto e l’affronto.
Ogni volta sembra senza fine, e talmente dura
che non ce la faccio più. Passerà? mi chiedo,
mentre vedo quasi nero e mi sembra che
continui per minuti e minuti:
In realtà non sono che attimi, ma è anche
bello affrontarli e uscirne perché se fosse
tutto facile, allora…
Il resto è davvero “facile”?
Se sto bene, sì. Ci sono giornate in cui mi
sento davvero una farfalla. Quando mi alleno
sul ghiacciaio, se sono in forma e tutto è a
posto, a volte sono così allegra, come dicevo,
che parto cantando a squarciagola e al ritorno
racconto ai miei allenatori: ”Oggi ero proprio
una libellula, andavo via tranquilla!” Sono
i giorni in cui vado bene, come ad Albertville,
che ricordo ancora adesso, con sensazioni di
leggerezza e sogno…Il momento della vittoria
arriva quando l’ho desiderato così intensamente da poterlo vivere davvero, perciò mi
piace molto il titolo di questo libro, perché io
continuo a sognare e sognare, senza limiti…
Che cosa sogni?
Forse la velocità, il volo…quello dell’aquila,
il mio animale preferito, simbolo delle montagne e delle imprese più riuscite…Sì, voglio
essere più veloce delle aquile, ma i sogni,
ancora più leggeri di me, mi precedono e si
fanno inseguire, portandomi sempre più in
alto… L’anno scorso qui da noi c’era tanta
neve e sono andata a sciare nella pineta di
Pontebernardo. In un attimo sono arrivata in
cima, nel posto che chiamiamo Cumiscent,
perché vi cresce l’assenzio. Era stupendo:
mi sono soffermata un attimo a guardare le
montagne e la distesa pianeggiante davanti a
me. Mancavano forse venti giorni ai Mondiali
ed ho immaginato di essere in gara: mi
trovavo sulla traiettoria d’arrivo ed ero prima!
Ho volato velocissima quel tratto di piano,
poi, come per tagliare un traguardo ideale, ho
alzato le braccia e gridato: ”Iiuhu!”, ripetendo
a me stessa: Stefania Belmondo, campionessa
mondiale… Sognavo! Però mi sono ripresa
subito: se qualcuno ti vede, può prenderti
per matta! mi dicevo. Per la verità, continuo
a farlo in molte occasioni…Sì, confesso
che non mi è capitato soltanto quella volta!
Ricordo per esempio un’altra bella giornata
in cui fantasticavo di vincere una gara.
Questi sogni si sono poi avverati puntualmente:
io avevo già immaginato la situazione ed è
stato poi magnifico viverla nella realtà!
Cosa rappresenta il “sogno” per te?
L’attesa, l’aspettativa di ciò che rincorri
lavorando duramente e che puoi ottenere se
lo vuoi davvero, che sia un bene materiale
da possedere o soprattutto una conquista
interiore per migliorare te stessa: è una meta
che puoi raggiungere soltanto se lo desideri
veramente, fino in fondo. Certo, non devi
pretendere l’impossibile, ma qualcosa alla
tua portata, che puoi acquisire o “diventare”,
per apprezzarlo poi in tutto e per tutto:
è ovvio però che, se sogni di andare sul Sole,
quella rimarrà per forza una pura illusione!
Sono stata abituata dai miei genitori, come
ho già detto, a gioire delle piccole o grandi
cose che riuscivamo a guadagnare con volontà
e fatica, proprio perché non avevamo granché,
quindi, sia prima, sia quando ho cominciato
a vincere, ma anche adesso e credo sempre…
ho dato e vorrò dare valore a ciò che desidero
e che riesco a conquistare poco alla volta.
Ogni vittoria è perciò un desiderio che si
realizza?
Sì…ma che sudi. Quando vedevo vincere,
sognavo anch’io la medaglia. Nell’88 guardavo
Marjo Mathikainen trionfare a Calgary:
Che bella, che bella la vittoria! Voglio anch’io
salire sul podio delle Olimpiadi! Quando poi
è successo, per me è stata una felicità
incredibile! Così è stato per i Mondiali e per
tutte le conquiste… ma ho nutrito anche altri
sogni, come quello del matrimonio, un
progetto costruito anch’esso pian piano:
per me quel giorno è stato come una vittoria
olimpica… però della vita, che mi ha portato
una gioia inesprimibile…
“Chi semina raccoglie”
La gradualità è la tua strategia vincente
per raggiungere la meta …
Una buona preparazione richiede costanza,
come per fabbricare una casa o un castello:
devi sistemare i mattoni con un determinato
ordine, una certa regolarità e non metterne
uno qui, l’altro là, oggi sì e domani no,
altrimenti quando arrivi in cima il muro
cade…Invece si consolida se la costruisci
giorno per giorno rispetto a un obiettivo
circoscritto, che realizzi ogni volta al meglio.
A volte mi interpellano i genitori di qualche
bambino che ha appena cominciato a sciare
ed è bravissimo: “Di’ qualcosa a nostro figlio”.
La prima raccomandazione è che non deve
pensare di vincere subito: non andrai mai
da nessuna parte se ti arrendi solo per non
essere stato in testa nella prima gara e vuoi
già abbandonare il campo: Basta, non
gareggio più, tanto non vinco! Secondo me,
prima di arrivare in cima, devi superare
tante difficoltà.
Io non ho mica vinto subito, però i miei mi
hanno sempre insegnato a perseverare:
“Non importa, bisogna avere pazienza, perché
chi semina poi raccoglie”. Questo concetto mi
è sempre piaciuto tanto: raccoglie chi semina,
chi semina bene, certo. Non serve spargere
qualche granello a caso, tanto per farlo.
Devi cercare le motivazioni e gli stimoli giusti
o, almeno, quelli che ti sembrano tali.
Chi mi può dire, infatti, che cosa va bene, qual
è il modo corretto di agire? L’anno scorso,
almeno dieci persone mi hanno ripresa:
”Ti alleni troppo!” Dal primo all’ultimo,
ogni giorno mi riempivano la testa come una
mongolfiera…Ma io, zitta zitta, seguivo i
consigli dell’allenatore, perché ho fiducia
in lui e vado avanti per la mia strada.
Quando ho vinto i Mondiali, però, hanno
dovuto tacere loro…
Come tieni conto delle valutazioni altrui ?
Io so quello che devo fare. Se sento che non
ce la faccio più, se sono tanto stanca, capisco
che, probabilmente sì, sto esagerando.
In questo senso, mi capita di pensare sovente
ai tanti bambini che vengono esasperati,
spinti a forza in qualche direzione, dopo di
che, dentro di sé, perdono la giusta misura.
Che rabbia, che rabbia per questo!
L’altro giorno, in una gara, mi è capitato di
“prendere” davanti a me un ragazzo degli
juniores di circa diciott’anni, considerato
da parecchi una promessa, i cui genitori,
seguendoci su e giù con il pulmino per quei
10 chilometri, mi hanno fatta letteralmente
impazzire: “Vai, vai! Passala via! Vai, scia
bene, vai via, dai!” E giù bestemmie…
Ma dico, siamo pazzi? Io ho tenuto duro
ma, appena arrivata, per trattenermi dal
dirgliene quattro, mi sono subito allontanata
da sola per il defaticamento. Non so come
sarò io, se diventerò madre: forse la peggiore
educatrice di questo mondo, non posso
escluderlo… ma trattare così i figli vuol dire
rovinarli! La mia fortuna, non mi stanco
di ripeterlo, è stata che i miei genitori non
mi hanno mai stressata! Se però mio padre
si fosse comportato così con me, mi sarei
fermata, questo è certo. Giuro che mi bloccavo.
Un allenatore ha poi commentato il caso:
“Sono contento che me ne abbia parlato tu,
cercherò ancora di farlo capire a quei genitori, anche se ho già provato per almeno
venti volte. Non si rendono conto di quanto
pressano questo ragazzo. Lo fanno impazzire.
Ma sai quanti sono nelle stesse condizioni?
Un’infinità! Su cinquanta ragazzi che praticano un’attività sportiva, almeno quaranta
vengono talmente esasperati da rischiare di
considerarsi poi dei falliti, quando, dal loro
punto di vista, non saranno riusciti a centrare
l’obiettivo”.
La gioia dello sport pulito
In gara non hai mai l’impressione che
le forze di chi compete con te siano
“truccate”?
No, questo no, perché non ci penso nemmeno,
altrimenti diventerei pazza! E poi, finché
non si hanno prove… D’altra parte, ci sono
i controlli. No, penso solo di andare forte,
soltanto quello, essendo comunque contenta
di come sono. La più grande frustrazione può
arrivare dopo la gara, con la squalifica per
doping di un’atleta, quando capisci che la sua
vittoria ti è costata una posizione o addirittura un podio…
Ho letto tanto in proposito, mi documento e
chiedo, perché mi piace informarmi.
Ho appena finito un libro in francese,
Ma vérité sur le dopage, in cui un ciclista
racconta la sua drammatica esperienza di
ciclista, quando, facendo uso di sostanze
molto pesanti, si era ridotto peggio di un
cavallo. Mi domando come facesse a vivere.
Non ne vale la pena! No, per me non ci sono
giustificazioni che tengano.
Chi fa uso di sostanze è sconfitto in
partenza, perché tende a “consumare”
giorni, vittorie e premi per riempire il
vuoto, anziché vivere imparando
dell’esperienza.
Sì, questa persone sprecano qualcosa di sacro,
che tutti tocchiamo, nell’esistenza: mettersi
in gioco lavorando o studiando significa
coltivare ciò che Dio ci ha dato, altrimenti
è come buttare all’aria tutto… e la nostra vita
A te piace correre e vincere padroneggian- è unica. Certo, non è facile perseverare,
do le tue sensazioni…
perché ci vuole fatica e molta, ma - insisto Non solo… Penso proprio che morirei di
le migliori vittorie, le più grandi soddisfazioni,
paura prima ancora di prendere qualcosa.
i momenti di vera gioia sono quelli per i quali
Sì, sono fatta così: ho il terrore di danneggia- si sono impiegati più tempo, energia e forza,
re la mia persona, e so che le sostanze usate
in cui ci si è spesi completamente.
per il doping possono causare seri problemi.
L’altro ieri la giornata era splendida,
senza neppure una nuvola.
Non ho trovato macchine e, mentre
mi allenavo, ho colto l’attimo!
Ma della mia vita! Come? Ho guardato
le cime, la superficie del lago…
E’ stato il mio carpe diem:
“Cogli l’istante, sentilo, goditelo,
vivilo, così potrai ricordarlo”.