Stefania Belmondo
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Stefania Belmondo
STEFANIA BELMONDO: PIÙ VELOCI DI AQUILE I MIEI SOGNI LA PIÙ GRANDE ATLETA ITALIANA SI RACCONTA IN UN LIBRO-INTERVISTA DI PROSSIMA PUBBLICAZIONE PRESSO SPERLING & KUPNER. “Ho imparato a guardare alla meta e a conquistarla con sacrificio” Volevo sempre correre: per me la velocità e il movimento sono qualcosa di innato, quasi un istinto... Un ricordo particolare della mia storia, che rivivo di tanto in tanto, è legato al periodo in cui ho potuto frequentare la colonia estiva dell’Enel, dove lavorava mio papà (i miei fratelli ci sono andati una sola volta, perché soffrivano troppo per la nostalgia di casa, ma io vi sono tornata per ben cinque anni… ). A Riccione, durante il soggiorno, venivano organizzate le Miniolimpiadi e io ho vinto. Avevo più o meno otto anni quando ho partecipato alla prima gara di corsa - percorrendo l’anello più piccolo - e sono stata premiata con una medaglia gialla, di cartone…la mia prima medaglia! Ce l’ho ancora in un cassetto, e quando la guardo mi sembra un segno del destino. La cerimonia della premiazione è avvenuta di sera, su un grande piazzale, con tutte le torce accese: davanti a un grande pubblico di bambini, ognuno con la sua specialità, sono stata chiamata al centro perché avevo vinto!… Chissà perché ho scelto la corsa. Non so se c’è un significato, davvero non lo so, ma, di sicuro, è stato bellissimo ed ero così contenta! Un’emozione così intensa l’ho provata soltanto molti anni dopo, sul podio delle Olimpiadi vere! Quando poi ho compiuto dieci, undici anni, ho iniziato a vincere le gare di corsa per la festa del paese, e il fatto di essere la più piccola di statura è forse diventato, via via, uno stimolo ad andare più veloce per dimostrare che, anche se si è minuti, si riesce comunque ad arrivare, se si vuole. Può darsi non sia altro che una mia idea, ma so che ho sempre avuto tanta voglia, tanta volontà… Cos’è per te la” volontà”? Credo sia la spinta ad arrivare alla meta che ti prefiggi, affrontando ad uno ad uno tutti i vari passaggi intermedi. Immagino un podio enorme, a cui puntare attraverso tanti, tantis- Con la cortese autorizzazione della casa editrice Sperling & Kupner, Rassegna pubblica in anteprima alcune pagine tratte dal libro “Stefania Belmondo: più veloci di aquile i miei sogni”, a cura di Antonella Saracco, in libreria a fine gennaio. È la storia avvincente di una vera campionessa; un testo di sorprendente interesse su come raggiungere gli obiettivi e superare i propri limiti. simi cancelli, ognuno dei quali rappresenta una difficoltà e, nello stesso tempo, una porta che, se tu vuoi, puoi aprire per accedere a quello successivo e così di seguito, via via… Secondo me la volontà è il desiderio di spalancarli tutti per arrivare a quel podio. Possono essere di volta in volta, il dolore fisico, la fatica, il sacrificio, la rinuncia, il male (quanto bisogna combatterlo, per arrivare!), il freddo, la lontananza, la sconfitta… Una gara persa è comunque una vittoria, un cancello che si apre per poter raggiungere il podio. Chi non sente dolore, tristezza o malinconia, non può neppure provare piacere, gioia o divertimento: lo dicevano già i filosofi dell’antichità. Ho imparato a guardare alla meta: “Io voglio arrivare lì!” e a conquistarla con sacrificio. E finché non lo raggiungi, sarà quel traguardo a dare un senso alle tue azioni. Poi, una volta raggiunto ne appare subito un altro a cui mirare. Il giorno dopo la gara, infatti, quel podio non c’è più e nuovi cancelli sono tutti da aprire. Puoi fermarti a riflettere e condividere la felicità con gli altri, ma non devi mai compiacerti. Guardo la vittoria: Tutto qui? e non mi dò pace: Come…ho sopportato una fatica bestiale, ho lavorato tanto e adesso è tutto finito! Però voglio godermi la giornata e non pensare ad altro. Ho in mente quando, ai Mondiali di quest’anno, dopo la prima medaglia, avrei davvero potuto calmarmi e dire basta. Infatti ho gioito e festeggiato, gustando il sapore di quel risultato tutto mio, senza preoccuparmi per la gara del giorno dopo, anche perché sono momenti da assaporare pienamente. Alla sera, però, ero tutta concentrata sull’impegno che mi aspettava. Per me, infatti, la competizione è il processo attraverso cui superare ostacoli progressivi per esprimere al meglio la propria potenza e non ha mai fine. Credo che il nostro sport, basato com’è sulla fatica, ci chieda di saper affrontare un percorso nelle sue singole parti, come il maratoneta - che davanti a sé vede strade lunghissime per arrivare all’orizzonte che via via si avvicina - o il ciclista, il cui metro di misura è la montagna. Quando mi sento domandare cosa penso in gara, quindi, so soltanto che…vedo la pista, cioè la conosco a memoria, la studio di sera nella mia testa e la percorro a tratti: Stefania, devi arrivare fin là, poi c’è quella altra distanza - durissima - ma se la superi è fatta… Già negli allenamenti mi abituo a scomporre le difficoltà punto per punto: é un continuo parlare con me stessa e autoconvincermi di andare, andare più forte… Come spiegheresti a un bambino il senso della conquista? Se avrò la fortuna di averne uno, vorrei raccontargli molte favole, ma so che, a un certo punto della crescita, nell’età dei perché, vorrà sapere tutto…e mi piacerebbe spiegargli ogni cosa correttamente: “Immagina di dover partire da qui, da questa zona pianeggiante, per salire in cima a quella montagna. Sai fin dall’inizio che è difficile riuscire ad arrivare così in alto, perché potrai essere stanco, sudato, o forse non avere più voglia…Devi sapere che per raggiungerla dovrai superare molte difficoltà e affrontare problemi, perciò, se vuoi portare a termine la tua impresa, evita di pensare fin da subito: Parto da qui e arrivo sulla vetta. A mano a mano che procedi, invece, superi dapprima l’ostacolo Numero Uno e devi già esserne contento; poi continui con il Numero Due e sali sempre più su. La fatica ti prende quando ti senti stanco, sfinito. Non ce la faccio più. Basta, adesso mi devo fermare, ma proprio in quel momento devi motivarti: Io sono una persona, un essere umano! (i bambini pensano: “Io sono grande!”) e se arrivo in cima, poi sarò tanto, tanto contento, perché da lassù vedrò un bel paesaggio, scoprirò un mondo nuovo e potrò raccontare ad altri ciò che ho visto. Nel conquistare la meta, proprio perché qualsiasi traguardo, non solo sportivo, ha senso soltanto se viene condiviso, si può vivere una felicità allargata e dimenticare, almeno per un momento, ogni sofferenza. Hai nominato il dolore come primo “cancello”. Ho avuto innumerevoli problemi fisici, ma non voglio sembrare patetica nel raccontare le mie vicende, tanto più che di solito, al momento, non ne parlavo nemmeno. Nel tempo ho acquisito un buon rapporto con il dolore, un limite di sopportazione molto alto. Con un malessere fisico, a meno che non sia intollerabile, adesso riesco a convivere e ad allenarmi. In passato, a causa di gravi problemi alla schiena, si è perfino pensato che dovessi Stefania Belmondo è testimonial del Conto Creso, il conto corrente di nuova generazione della Banca Regionale Europea. La sua immagine compare su una serie di manifesti personalizzati per città, riprodotti sulle pagine seguenti (nell’ordine Cuneo, Alba, Mondovì , Bra , Fossano, Saluzzo, Savigliano, Pavia, Piacenza). lasciare l’agonismo e finire sotto i ferri, ma per fortuna il dottor Bucci, diventato ormai uno dei miei più grandi amici, ha trovato una soluzione, anche attraverso il lavoro dei massaggiatori davvero bravi. Altre grandi difficoltà me le ha causate il piede sinistro: in un primo tempo sembrava trattarsi soltanto di un alluce valgo, ma purtroppo era presente anche una frattura da stress dovuta ai forti carichi di allenamento. E quindi mi sono dovuta operare. Dopo l’intervento il chirurgo ha comunicato ai miei genitori che dovevo assolutamente smettere di sciare, perché non sarei riuscita a sopportare altri sforzi: non avendo più la cartilagine, mi sono ritrovata con un dito semirigido; ma io non ci ho pensato nemmeno per un istante e, dopo tre mesi di stop forzato, ho ripreso ad allenarmi. Questo accadeva nel ’93, dopo i Mondiali di Falun. L’anno seguente, con le Olimpiadi di Lillehammer, è ricominciato il mio calvario. In settembre, infatti, nell’asportare una cambra (il piccolo ferro che teneva gli ossicini detti sesamoidi), sono subentrate varie complicazioni, tra cui un’infezione al dito. Con il freddo, poi, perdevo sensibilità; per alcuni anni sono stata costretta a gareggiare con una scarpa rigida. Ancora adesso, non riesco a sentirlo quando la temperatura è molto bassa non provi più dolore nel muoverlo. Ho dovuto perciò lottare con il dolore e ce l’ho fatta, però mi sono anche trovata a combattere con persone che, forse non comprendendo, lo attribuivano a questioni psicologiche, insinuando addirittura che me lo inventavo perché non riuscivo più a vincere. Ora però sono in grado di sopportare meglio le sofferenze, e ho la capacità di affrontare le difficoltà (allenamento che, prima o poi, serve a chiunque); mi è stata utilissima, soprattutto in quel periodo così nero per me. Il secondo “cancello” è rappresentato dalla fatica. La fatica… Eh, tutti i giorni, durante la preparazione, ne sopportiamo tanta e, secondo me, ci si può anche allenare a essa. Noi atleti, anzi, dobbiamo proprio farlo, perché la competizione è fatica, quindi, se non la si prova prima, adattandosi progressivamente, non si può nemmeno affrontare la gara, che ne richiede ben di più. Ogni volta che esco a fare allenamento, so che è fatica, e quando se ne presenta uno in cui non ne provo, ho l’impressione di non aver fatto il mio dovere, perché non ho messo alla prova me stessa nell’arrivare al limite e superarlo. Il mio rapporto con la fatica di solito è positivo, perché è bello vincerla: è una gioia incredibile, un’esperienza meravigliosa saper resistere per godersi il risultato. Evitare le difficoltà, invece, significa negarsi il piacere di realizzarsi, e secondo me chi non si mette mai alla prova e non sperimenta i propri limiti è una persona piatta, a cui non importa nulla... che si lascia vivere e basta. “Ma chi te lo fa fare!”… protesta sovente chi non coglie alcun significato nel mio lavoro, in questa continua attività di potenziamento psico-fisico. In alcuni momenti, a dire il vero, temo anch’io di non riuscire a sopportare lo sforzo prolungato, soprattutto quando sono un po’ stanca o non sto bene, allora mi viene il dubbio: “Forse non ce la faccio!” Ma non accetto di cedere. Quando ho la sensazione di non trovarmi nelle condizioni giuste per me, mi sembra di non poter colmare la distanza tra ciò che devo e che riesco a fare. Ma so che andrà bene, e mi rassicuro: Eppure ho superato queste difficoltà tante altre volte, in circostanze di gran lunga peggiori! E’ solo questione di testa Ste’, vedrai che ce la fai. Devi pensare che la spunterai. Cerco allora di convincermi che riesco perché posso, avendo ripetutamente sperimentato ogni genere di ostacoli, e resisto, anche se è davvero arduo affrontare minuto per minuto una realtà pesante, che in alcuni casi riguarda il rendimento fisico, ma più sovente la capacità di controllare mentalmente un lavoro severo. E’ quella che noi chiamiamo appunto fatica di testa. Ogni allenamento, comunque, è per me una vera e propria gara: non contro il tempo o il cronometro, ma con me stessa, e sono più soddisfatta quando arrivo stremata, perché mi sento completamente appagata, proprio come avessi vinto. Mentre non ottengo nulla se vado tanto per fare (ma non capita quasi mai…) A volte mi succede di svegliarmi stanchissima: devo allenarmi, e non vorrei neanche alzarmi. Allora rivedo le mie motivazioni: la voglia di fare, innanzitutto di conquistare la Coppa del Mondo, il desiderio di essere felice per una vittoria e il successo personale, ma anche di far contenti gli altri (penso a chi mi vuole bene, agli innumerevoli tifosi che mi sostengono, come gli amici del fan-club di Pietraporzio, alla gente che mi guarda in televisione, agli sponsor e al mio gruppo…) Queste componenti mi spingono a uscire. Anche nei giorni in cui piove, magari a dirotto, o fa freddo, oppure nevica… in quel momento, è proprio la testa che gioca un ruolo importante. Non ricordo di aver pronunciato una frase come: “Oggi non vado perché non ho voglia”. Non è mai, mai capitato. Mai. Non ho voglia, ma vado lo stesso. Tutto sta nel superare quei primi 5 minuti in cui esci, hai freddo, senti la stanchezza…poi vai, entri nella nebbia e ti lasci avvolgere… come domenica scorsa, quando ce n’era tanta, in montagna e non ho trovato nessuno: soltanto mucche che pascolavano. Era proprio bellissimo…ed ero così contenta! D’altra parte, se per qualche motivo non posso allenarmi, poi sto male, anzi malissimo e per tutto il giorno esaspero mio marito o i miei, perciò è meglio che esca, anche se si tratta di correre sotto la pioggia. L’altra mattina diluviava e in più avevo mal di gola, ma volevo seguire alla lettera il mio programma. Cercherò un posto adatto, mi sono detta. Dove fare corsa in salita e all’asciutto? Pensa pensa, ho poi trovato la soluzione del Forte di Vinadio. Ben coperta, mi sono arrampicata per le tante gradinate ripide: ho evitato di bagnarmi e alla fine ero stanchissima, ma felice. L’allenamento per me è quasi una fissazione, che a lungo andare può rendere forse un po’ ossessivi, me ne rendo conto. Ovviamente non metto a rischio la salute sotto la grandine o la pioggia scrosciante, ma aspetto che torni il sereno: ma mi alleno in giornata. Ti alleni anche a un calcolo ottimale del tempo e delle tue risorse. Per la mia attività ha un valore particolarissimo ogni singolo istante, tanto che, in due ore di allenamento, devo perfino organizzarmi per bere. Sul ghiacciaio usiamo tutti la borraccia, ma molti di noi non staccano il cronometro quando si fermano, mentre io lo blocco sempre, per non togliere tempo agli esercizi: se mi interrompo per 3 minuti dopo ogni giro, moltiplicando per cinque arrivo a un quarto d’ora e va a finire che, in capo a qualche giorno, segno sul diario esercizi che non ho eseguito. In passato qualcuno mi ha derisa per questa mia attenzione alla durata dell’attività, ma se è prevista un’ora, non la riduco a 58 minuti, perché i due di oggi e quelli di domani, dopo un anno diventano ore! Se poi ne sono state stabilite due, non mi fermo 5 minuti prima, piuttosto 5 minuti dopo. “Che cosa contano quei pochi minuti in più?” mi rimproverano spesso, ma io insisto che quel poco di ogni giorno conta! Mi chiedo, allora, perché timbrare il cartellino sul lavoro: non si potrebbe andare via tutti mezz’ora prima? Sei stata abituata fin da piccola al rigore del comportamento? Credo che la famiglia abbia un ruolo fondamentale nella vita di ogni persona e, se sono arrivata fin qui con certe idee, lo devo sicuramente all’educazione ricevuta. I miei genitori non mi hanno mai incitata a gareggiare, anzi ho sempre deciso in libertà, mentre oggi vedo tanti adulti sollecitare troppo i figli, fino a comprar loro l’attrezzatura migliore, perché li vorrebbero subito campioni… No, io non sono mai stata spinta, però mi hanno fatto capire che, per raggiungere qualcosa, si devono sopportare tanti sacrifici, principio che, senza dubbio, ho assimilato fin da bambina. In casa nostra, d’altra parte, non si navigava certo nell’oro, visto che soltanto mio papà lavorava e si era in cinque. Non avevamo molto e si viveva come una famiglia normale, perciò mi hanno sempre insegnato a rispettare tutti, ma anche tutto, ad apprezzare ciò che si ha e si riceve. I commenti negativi che sento sovente quando vengono fornite le giacche alla squadra: “Oh, che brutta, che colore!” mi fanno ricordare che ero la bambina più contenta di questo mondo, se ricevevo semplicemente una maglia… Pensa che soltanto in quinta elementare ho avuto i primi sci “belli” (ma anche gli unici!), un paio di Spalding verdi e bianchi, che mi hanno mandato per i Giochi della Gioventù. E se allora qualche ragazzina metteva già la tuta da fondo, io portavo ancora quella da ginnastica, azzurra e bianca, che mio zio aveva comprato a Torino: ero contentissima lo stesso e non me ne sono mai fatta un problema, pur senza possedere niente di ciò che sfoggiavano le mie compagne. Ho imparato lo spirito di sacrificio, di cui mi ricorderò sempre, vedendo i miei lavorare tanto, anzi tantissimo e continuamente. Non mi hanno mai portata in vacanza, ma mi hanno sempre dato l’affetto necessario. Se penso ai momenti più belli della mia vita li ritrovo negli anni dell’infanzia, quando si andava sul carro a far legna tutti insieme. Mio papà guidava il trattore e si stava tutto il pomeriggio nel bosco, facendo merenda con pane e nutella…che ricordi fantastici! “Ogni cima mi affascina” Come ti descrivi? Mi ritengo una persona qualunque, con la fortuna di aver intrapreso un’attività che ha portato dei frutti, grazie a tutti coloro che mi hanno aiutata a raggiungere obiettivi entusiasmanti. Per arrivare a questi traguardi ho dovuto naturalmente soffrire tantissimo, anche se, considerando dall’esterno ciò che ho dovuto passare, forse non tutti riescono a vedervi motivi di sofferenza, né di patimento…Nella vita, però, le situazioni non vengono percepite allo stesso modo, proprio perché sono soggettive e in quel momento, ti assicuro, per me le difficoltà erano grandi. D’altra parte non sempre l’adulto capisce le fatiche del bambino e non si accorge nemmeno che a volte un minimo ostacolo gli richiede già un enorme sforzo. Riconosco, comunque, di aver avuto molto coraggio… Sì, sovente mi sono lanciata anche se avevo paura, una componente che mi ha sempre accompagnata (e che non riguarda il timore di trovarmi da sola al buio, di notte, in posti sconosciuti, ma piuttosto di non riuscire a raggiungere la meta prefissata). Per anni, con un’altra ragazza, ho viaggiato con il treno. Ci è successo un po’ di tutto ma abbiamo sempre affrontato, momento per momento, gli inconvenienti che ci capitavano, accumulando così un bagaglio di esperienza e di maturità. Quando poi, dopo le Olimpiadi di Albertville, mi è stata data in uso una macchina (essendo da sempre appassionata di automobili, toccavo il cielo con un dito per la felicità!) sono partita da sola verso Auronzo di Cadore, per il corso di guardia Forestale: un viaggio di sette ore che ho affrontato senza quasi conoscere l’itinerario… Sì, sono convinta che occorra avere il coraggio di fare esperienze, di buttarsi e provare: se non ti lanci una volta, rischi di non farlo più. Durante le trasferte in giro per il mondo mi piace molto capire e scoprire il più possibile dei vari aspetti della vita. Se vedo qualcosa di nuovo, chiedo insistentemente: “Cos’è, cos’è?” e, arrivando in luoghi sconosciuti, appena trovo un attimo di tempo, nel pomeriggio o di sera, vado in giro a osservare come vive la gente. In questo modo ho potuto esplorare diverse realtà, soprattutto in Russia e, poiché adoro viaggiare (anche se sono andata soltanto due volte in vacanza, in tutti questi anni!) ho potuto constatare situazioni spaventose di povertà, accanto ad altre in cui si vive bene, sereni e tranquilli. Sono sempre più convinta che l’Italia è il paese in cui si sta meglio: abbiamo di tutto ed è una gran fortuna, anche se non ce ne accorgiamo e non sfruttiamo le risorse esistenti. Sono molto curiosa, non del privato (un aspetto che non mi interessa, infatti abito in questo posto un po’ isolato, dove non vedo mai nessuno e non so niente dei vicini) quanto, piuttosto, di come funzionano le cose, la vita… Voglio sapere come è fatto il motore di una macchina, perché c’è la luce nelle lampadine, come funziona la radio, perché bolle l’acqua… come scrivi un libro! Devo sempre chiedere, perché voglio sapere e a volte diventa quasi imbarazzante, soprattutto quando incontro persone che forse pensano: “Cosa vuole questa qui? “. Se però trovo chi risponde alle mie richieste sono proprio soddisfatta. Mi fa piacere coltivare l’amicizia e la vicinanza umana anche attraverso il rispetto e il saluto, che mi hanno sempre insegnato a casa e che, secondo me, sono fondamentali per tutti. Quando scio al Nord non incontro nessuno, perché lassù è sempre buio e soltanto la pista è in parte illuminata, ma se nel pomeriggio vado a correre e in palestra, trovo una vera folla e ci si saluta tutti, proprio tutti, con un “Ehi”. E’ fantastico! In quell’oscurità, talvolta a venti sotto zero, la gente passeggia col cane e ti lancia il suo “Ehi!”, a cui rispondi quasi come un’eco. Ho preso quest’abitudine e adesso, in giro sui ghiacciai, tra atleti ci incrociamo sempre con quel segnale… Il saluto è già rispetto dell’altro, perché dicendogli: Ci sei, ti vedo! Riconosci la sua esistenza. Credo in Dio e penso sia il valore più bello che i miei genitori mi abbiano trasmesso, perché, di conseguenza, vengono gli altri: essere buoni con tutti, non fare mai del male e perdonare quello ricevuto. Non mi vergogno di dichiararmi credente, quando talvolta me lo domandano, la fede per me è scopo di vita. La montagna è la tua grande passione… Ogni cima mi affascina, ma è ovvio che adori i miei posti, perché vi sono nata e fin da bambina li ho scoperti con mio papà, quindi li conosco bene: nel guardarli provo una particolare felicità e, nello stesso tempo, una certa malinconia, però anche piacevole… Stamattina, per esempio, facendo colazione, ho sollevato gli occhi oltre le tendine ed era tutto rosso: uno spettacolo magnifico che varia momento per momento, nel corso del giorno e dell’anno... Secondo me le stagioni sono la cosa più bella che Dio ha creato. Sia in posti nuovi, sia in quelli che conosco, mi riempiono la vita: amo la primavera in modo incredibile, perché mi sembra che da qualcosa di morto rinasca tutto: i fiori, le piante, i germogli…Mi perdo a veder comparire nell’orto le foglie piccole e le fioriture, a guardare le piante che rinverdiscono e gli uccellini… Meraviglioso! L’estate mi piace, sì, per il caldo (se non è esagerato, altrimenti lo soffro) ma preferisco questa magnifica atmosfera autunnale, con quel po’ di vento tra le foglie nelle giornate serene, quando risaltano tutte le tonalità dei boschi… Sì, le stagioni mi fanno impazzire di gioia, anche se, forse, sono un po’ indifferente all’inverno, perché paradossalmente, gareggiando da tanto tempo ormai, non posso gustarlo davvero. Qui a casa non lo vivo quasi per nulla, infatti, e se aspetto la neve proprio come da bambina, esaltandomi per la felicità con la stessa magica attesa di allora, non la vedo mai arrivare, perché ai primi di novembre parto per la Scandinavia, dove è già scesa da un po’. Tra una gara e l’altra, però, non me la posso godere. Quando sono a casa, poi, a volte diventa addirittura un problema, per la difficoltà di andare a sciare, per la strada, la pista… Domenica era una bella giornata e, correndo, respiravo a fondo l’inizio dell’autunno, anzi, lo assorbivo come una spugna. Le foglie ti cadono in faccia, quelle che calpesti ammorbidiscono il passo e vivi nel colore…Sola in mezzo ai campi, mi sono soffermata a pensare con nostalgia alla primavera, perché adesso vedo davanti a me un tunnel con eventi anche entusiasmanti, ma molto difficili da affrontare e la fine dell’inverno è quasi un’uscita da quell’imbuto. Per fortuna, però, arriva presto e allora mi entusiasmano tutti i colori, le sensazioni naturali, il profumo dell’aria e gli animali tranquilli, che si lasciano ammirare quando non hanno ancora paura. Un’esperienza meravigliosa è quella di salire a Sant’Anna a fine aprile, quando puoi vedere mufloni, camosci, marmotte e stambecchi in libertà… In quel momento sentivo dentro nostalgia e felicità insieme e mi domandavo: “Quando avrò smesso di gareggiare, sarò di nuovo in grado di vivere pienamente la stagione in un solo posto, momento per momento, attraversando gradualmente tutti i cambiamenti?” Di fronte a casa dei miei, a Pontebernardo, c’è una montagna chiamata Monte Panieris. Se esco sulla soglia me la trovo davanti, così gigantesca e, quando sono lontana, la immagino tutta carica di neve, nella sua veste invernale, o molto nuda e spoglia durante il disgelo, oppure animata da un verde esaltante. Ma è l’atmosfera luminosa, calda e colorata dell’autunno che la rende più incantevole ai miei occhi. Non sono mai arrivata fin lassù, proprio in punta, però la conosco benissimo, perché le ho vissuto accanto giorno per giorno, interpretando il suo difficile umore. Non ricordo di averla vista con altri occhi da bambina, anzi, mi sembra che non sia mai cambiata nella mia percezione ed é davvero strano, perché di solito, mentre si cresce, ci si rapporta alla realtà in modo diverso. Quella montagna, invece, io l’ho sempre vista com’è, forse perché c’è qualcosa dentro di me che richiama costantemente la sua immagine: un vertice alto, fisso, invalicabile, ma anche rassicurante, che segna il mio punto d’arrivo. Così il Monte Panieris, diventato il mio simbolo, dà un senso reale alla mia impresa, all’obiettivo di raggiungere la vetta, perché rappresenta concretamente tutti quei gradini che, come dicevo, bisogna superare per arrivare in cima. “Continuo a sognare e sognare, senza limiti... ci sono giornate in cui mi sento davvero una farfalla” Le tue innumerevoli esperienze di gara hanno qualche elemento in comune? In pista mi accompagna sempre il consiglio che Giulietto Gerardi, (olimpionico e persona di esperienza di cui ho già parlato), mi ha dato quando avevo quattordici o quindici anni: “Stefania, devi pensare che in qualunque gara, sia che tu perda o vinca, che vada bene o male…c’è il momento di crisi. Ti sembrerà interminabile, ma ricordati che dura poco: pochi secondi. Se riesci a superarli, dopo vai.” E’ vero, in ogni gara ho la crisi, ma io penso sempre a ciò che mi ha detto. Quando l’ho superata mi butto, ma prima so che deve arrivare…perciò l’aspetto e l’affronto. Ogni volta sembra senza fine, e talmente dura che non ce la faccio più. Passerà? mi chiedo, mentre vedo quasi nero e mi sembra che continui per minuti e minuti: In realtà non sono che attimi, ma è anche bello affrontarli e uscirne perché se fosse tutto facile, allora… Il resto è davvero “facile”? Se sto bene, sì. Ci sono giornate in cui mi sento davvero una farfalla. Quando mi alleno sul ghiacciaio, se sono in forma e tutto è a posto, a volte sono così allegra, come dicevo, che parto cantando a squarciagola e al ritorno racconto ai miei allenatori: ”Oggi ero proprio una libellula, andavo via tranquilla!” Sono i giorni in cui vado bene, come ad Albertville, che ricordo ancora adesso, con sensazioni di leggerezza e sogno…Il momento della vittoria arriva quando l’ho desiderato così intensamente da poterlo vivere davvero, perciò mi piace molto il titolo di questo libro, perché io continuo a sognare e sognare, senza limiti… Che cosa sogni? Forse la velocità, il volo…quello dell’aquila, il mio animale preferito, simbolo delle montagne e delle imprese più riuscite…Sì, voglio essere più veloce delle aquile, ma i sogni, ancora più leggeri di me, mi precedono e si fanno inseguire, portandomi sempre più in alto… L’anno scorso qui da noi c’era tanta neve e sono andata a sciare nella pineta di Pontebernardo. In un attimo sono arrivata in cima, nel posto che chiamiamo Cumiscent, perché vi cresce l’assenzio. Era stupendo: mi sono soffermata un attimo a guardare le montagne e la distesa pianeggiante davanti a me. Mancavano forse venti giorni ai Mondiali ed ho immaginato di essere in gara: mi trovavo sulla traiettoria d’arrivo ed ero prima! Ho volato velocissima quel tratto di piano, poi, come per tagliare un traguardo ideale, ho alzato le braccia e gridato: ”Iiuhu!”, ripetendo a me stessa: Stefania Belmondo, campionessa mondiale… Sognavo! Però mi sono ripresa subito: se qualcuno ti vede, può prenderti per matta! mi dicevo. Per la verità, continuo a farlo in molte occasioni…Sì, confesso che non mi è capitato soltanto quella volta! Ricordo per esempio un’altra bella giornata in cui fantasticavo di vincere una gara. Questi sogni si sono poi avverati puntualmente: io avevo già immaginato la situazione ed è stato poi magnifico viverla nella realtà! Cosa rappresenta il “sogno” per te? L’attesa, l’aspettativa di ciò che rincorri lavorando duramente e che puoi ottenere se lo vuoi davvero, che sia un bene materiale da possedere o soprattutto una conquista interiore per migliorare te stessa: è una meta che puoi raggiungere soltanto se lo desideri veramente, fino in fondo. Certo, non devi pretendere l’impossibile, ma qualcosa alla tua portata, che puoi acquisire o “diventare”, per apprezzarlo poi in tutto e per tutto: è ovvio però che, se sogni di andare sul Sole, quella rimarrà per forza una pura illusione! Sono stata abituata dai miei genitori, come ho già detto, a gioire delle piccole o grandi cose che riuscivamo a guadagnare con volontà e fatica, proprio perché non avevamo granché, quindi, sia prima, sia quando ho cominciato a vincere, ma anche adesso e credo sempre… ho dato e vorrò dare valore a ciò che desidero e che riesco a conquistare poco alla volta. Ogni vittoria è perciò un desiderio che si realizza? Sì…ma che sudi. Quando vedevo vincere, sognavo anch’io la medaglia. Nell’88 guardavo Marjo Mathikainen trionfare a Calgary: Che bella, che bella la vittoria! Voglio anch’io salire sul podio delle Olimpiadi! Quando poi è successo, per me è stata una felicità incredibile! Così è stato per i Mondiali e per tutte le conquiste… ma ho nutrito anche altri sogni, come quello del matrimonio, un progetto costruito anch’esso pian piano: per me quel giorno è stato come una vittoria olimpica… però della vita, che mi ha portato una gioia inesprimibile… “Chi semina raccoglie” La gradualità è la tua strategia vincente per raggiungere la meta … Una buona preparazione richiede costanza, come per fabbricare una casa o un castello: devi sistemare i mattoni con un determinato ordine, una certa regolarità e non metterne uno qui, l’altro là, oggi sì e domani no, altrimenti quando arrivi in cima il muro cade…Invece si consolida se la costruisci giorno per giorno rispetto a un obiettivo circoscritto, che realizzi ogni volta al meglio. A volte mi interpellano i genitori di qualche bambino che ha appena cominciato a sciare ed è bravissimo: “Di’ qualcosa a nostro figlio”. La prima raccomandazione è che non deve pensare di vincere subito: non andrai mai da nessuna parte se ti arrendi solo per non essere stato in testa nella prima gara e vuoi già abbandonare il campo: Basta, non gareggio più, tanto non vinco! Secondo me, prima di arrivare in cima, devi superare tante difficoltà. Io non ho mica vinto subito, però i miei mi hanno sempre insegnato a perseverare: “Non importa, bisogna avere pazienza, perché chi semina poi raccoglie”. Questo concetto mi è sempre piaciuto tanto: raccoglie chi semina, chi semina bene, certo. Non serve spargere qualche granello a caso, tanto per farlo. Devi cercare le motivazioni e gli stimoli giusti o, almeno, quelli che ti sembrano tali. Chi mi può dire, infatti, che cosa va bene, qual è il modo corretto di agire? L’anno scorso, almeno dieci persone mi hanno ripresa: ”Ti alleni troppo!” Dal primo all’ultimo, ogni giorno mi riempivano la testa come una mongolfiera…Ma io, zitta zitta, seguivo i consigli dell’allenatore, perché ho fiducia in lui e vado avanti per la mia strada. Quando ho vinto i Mondiali, però, hanno dovuto tacere loro… Come tieni conto delle valutazioni altrui ? Io so quello che devo fare. Se sento che non ce la faccio più, se sono tanto stanca, capisco che, probabilmente sì, sto esagerando. In questo senso, mi capita di pensare sovente ai tanti bambini che vengono esasperati, spinti a forza in qualche direzione, dopo di che, dentro di sé, perdono la giusta misura. Che rabbia, che rabbia per questo! L’altro giorno, in una gara, mi è capitato di “prendere” davanti a me un ragazzo degli juniores di circa diciott’anni, considerato da parecchi una promessa, i cui genitori, seguendoci su e giù con il pulmino per quei 10 chilometri, mi hanno fatta letteralmente impazzire: “Vai, vai! Passala via! Vai, scia bene, vai via, dai!” E giù bestemmie… Ma dico, siamo pazzi? Io ho tenuto duro ma, appena arrivata, per trattenermi dal dirgliene quattro, mi sono subito allontanata da sola per il defaticamento. Non so come sarò io, se diventerò madre: forse la peggiore educatrice di questo mondo, non posso escluderlo… ma trattare così i figli vuol dire rovinarli! La mia fortuna, non mi stanco di ripeterlo, è stata che i miei genitori non mi hanno mai stressata! Se però mio padre si fosse comportato così con me, mi sarei fermata, questo è certo. Giuro che mi bloccavo. Un allenatore ha poi commentato il caso: “Sono contento che me ne abbia parlato tu, cercherò ancora di farlo capire a quei genitori, anche se ho già provato per almeno venti volte. Non si rendono conto di quanto pressano questo ragazzo. Lo fanno impazzire. Ma sai quanti sono nelle stesse condizioni? Un’infinità! Su cinquanta ragazzi che praticano un’attività sportiva, almeno quaranta vengono talmente esasperati da rischiare di considerarsi poi dei falliti, quando, dal loro punto di vista, non saranno riusciti a centrare l’obiettivo”. La gioia dello sport pulito In gara non hai mai l’impressione che le forze di chi compete con te siano “truccate”? No, questo no, perché non ci penso nemmeno, altrimenti diventerei pazza! E poi, finché non si hanno prove… D’altra parte, ci sono i controlli. No, penso solo di andare forte, soltanto quello, essendo comunque contenta di come sono. La più grande frustrazione può arrivare dopo la gara, con la squalifica per doping di un’atleta, quando capisci che la sua vittoria ti è costata una posizione o addirittura un podio… Ho letto tanto in proposito, mi documento e chiedo, perché mi piace informarmi. Ho appena finito un libro in francese, Ma vérité sur le dopage, in cui un ciclista racconta la sua drammatica esperienza di ciclista, quando, facendo uso di sostanze molto pesanti, si era ridotto peggio di un cavallo. Mi domando come facesse a vivere. Non ne vale la pena! No, per me non ci sono giustificazioni che tengano. Chi fa uso di sostanze è sconfitto in partenza, perché tende a “consumare” giorni, vittorie e premi per riempire il vuoto, anziché vivere imparando dell’esperienza. Sì, questa persone sprecano qualcosa di sacro, che tutti tocchiamo, nell’esistenza: mettersi in gioco lavorando o studiando significa coltivare ciò che Dio ci ha dato, altrimenti è come buttare all’aria tutto… e la nostra vita A te piace correre e vincere padroneggian- è unica. Certo, non è facile perseverare, do le tue sensazioni… perché ci vuole fatica e molta, ma - insisto Non solo… Penso proprio che morirei di le migliori vittorie, le più grandi soddisfazioni, paura prima ancora di prendere qualcosa. i momenti di vera gioia sono quelli per i quali Sì, sono fatta così: ho il terrore di danneggia- si sono impiegati più tempo, energia e forza, re la mia persona, e so che le sostanze usate in cui ci si è spesi completamente. per il doping possono causare seri problemi. L’altro ieri la giornata era splendida, senza neppure una nuvola. Non ho trovato macchine e, mentre mi allenavo, ho colto l’attimo! Ma della mia vita! Come? Ho guardato le cime, la superficie del lago… E’ stato il mio carpe diem: “Cogli l’istante, sentilo, goditelo, vivilo, così potrai ricordarlo”.