La Psicoanalisi 23_Il partner-sintomo_Joyce il sintomo_articolo

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La Psicoanalisi 23_Il partner-sintomo_Joyce il sintomo_articolo
La Psicoanalisi n° 23
Il partner-sintomo
Nota editoriale: dal sintomo al sinthomo
In psicoanalisi si entra dalla porta del sintomo. Non ci sono altre porte. Tutte le domande di
analisi, per quanto varie possano essere, non conducono che ad anticamere dalle quali si accederà
all’analisi varcando la soglia del sintomo. Anche il futuro analista, sebbene si presenti con una
domanda di formazione, se avrà coraggio e fortuna - se il proprio analista non indietreggerà di
fronte al proprio atto che richiede un rigore senza compromessi - prima o poi metterà un termine al
suo trastullarsi con gli ideali e affronterà il modo in cui la pulsione ha morso traumaticamente la sua
carne, e scoprirà eventualmente che la domanda di divenire analista era una risposta a questo morso.
Una risposta sintomatica. Da lavorare in analisi come ogni altro sintomo.
Questo ci ha insegnato Freud.
Lacan ci insegna - da parte sua - che l’uscita dalla psicoanalisi avviene dalla porta del
sintomo.
Che storia è questa? Vuol forse dire che la psicoanalisi non è nient’altro che un modo come
un altro per arrivare a convivere con la propria sofferenza? Che, in fondo, la psicoanalisi è
paragonabile a una religione laica e monca: come una religione perché insegna a sopportare la vita
che è una valle di lacrime, ma monca poiché laicamente non sa promettere niente e non fa sperare in
nessun aldilà?
Non si tratta di questo. Effettivamente, seguendo l’insegnamento di Lacan, la fine dell’analisi
è sigillata dal rapporto del soggetto con il proprio sintomo. Con il proprio partner-sintomo, per
usare la felice espressione che Jacques-Alain Miller ha dato come titolo del X Incontro
Internazionale del Campo freudiano che si svolgerà al Palazzo dei Congressi di Barcellona il 24, 25
e il 26 luglio prossimo.
Ma il sintomo di uscita è lo stesso del sintomo di entrata? Il termine sintomo non ricopre forse
più dimensioni?
Abbiamo, in effetti, una dimensione del sintomo che chiamerei - dal punto di vista
psicoanalitico - di livello zero. È la dimensione comune del sintomo: è il sintomo medico. Il
sintomo medico non è il sintomo analitico, sebbene il sintomo analitico prenda le mosse dal
sintomo medico. Il sintomo medico può - eventualmente ma non necessariamente - avere una
dimensione preanalitica.
Che cosa contraddistingue il sintomo medico? Il fatto di essere segno di una malattia. Il segno
è qui inteso come una nozione che qualifìca un tipo di ragionamento logico che permette di
collegare un elemento, per esempio un dato diagnostico, con un altro, per esempio uno stato
morboso. E in patologia medica più il segno è univoco, più è operativo, poiché permette di
individuare più facilmente la malattia di cui è indice. Notiamo due proprietà del sintomo medico: da
un lato è un segno che indica un legame reale con il corpo malato; dall’altro è un segno per il
medico, ma non “fa segno” al paziente. Di per sé, al paziente come al medico, il sintomo medico
indica solo che c’è una malattia in corso. Per questo motivo Lacan preferisce chiamare il sintomo
medico indice diagnostico oppure indice naturale, piuttosto che segno.
Per spostarsi dal sintomo medico al sintomo psicoanalitico occorrono due scoperte di Freud.
La prima è la scoperta che il sintomo, da indice, ossia da segno logico, diventa un segno linguistico.
Da segno “indice” a segno “parlante”. Prima ancora che il paziente vada dallo psicoanalista, il
sintomo “fa segno” al soggetto di qualcosa che non va e che lo concerne in quanto soggetto e non in
quanto organismo. Gli fa segno tanto più quanto il sintomo si ripete identico a se stesso in
condizioni diverse. Fondamentalmente, quindi, il sintomo di cui soffre il nevrotico “parla”, ossia
vuol dire qualcosa, è un messaggio, anche se per il soggetto il suo significato rimane ignoto,
sconosciuto, rimosso, dirà Freud.
La seconda scoperta Freud l’ha fatta grazie alle isteriche che si lamentavano di sintomi
somatici, che erano sconnessi però con la realtà degli organi: si comportavano come se l’anatomia
non esistesse. Da una parte quindi il sintomo analitico non ha necessariamente un legame reale con
l’organismo e dall’altra il sintomo “fa segno” al soggetto di un senso, di un senso inconscio. Lacan
dirà che il sintomo è linguaggio la cui parola attende di essere liberata.
Ecco dunque inquadrato il sintomo in quella cornice che definisce l’inconscio freudiano. Il
sintomo, come del resto le altre formazioni dell’inconscio, quali il sogno, il lapsus, il motto di
spirito, rivela che l’inconscio freudiano è strutturato come un linguaggio. Il sintomo tuttavia
differisce dalle altre formazioni dell’inconscio quanto alla sua temporalità, poiché, diversamente
dalle altre formazioni dell’inconscio che sono puntuali o evanescenti, esso ha la caratteristica di
ripetersi, il che gli conferisce quel versante di sgradevole pesantezza quando la ripetizione dispiega
un dispiacere di cui però non se ne può fare a meno.
Il sintomo psicoanalitico, in quanto formazione dell’inconscio, partecipa dunque della
struttura di linguaggio che caratterizza l’inconscio freudiano. Esso ha la struttura di significante. In
quanto tale viene a rappresentare il soggetto, ne diventa la sua insegna, insegna da esibire o,
sovente, di cui vergognarsi. Inoltre lo rappresenta per un altro significante, per esempio per un
significante qualunque, che è la funzione di un qualunque psicoanalista, la cui articolazione potrà
produrre quell’effetto speciale di senso che Lacan chiama “soggetto supposto sapere”, che è il
fulcro della relazione transferale.
Ma come si forma il sintomo? Freud dirà che il sintomo si forma tramite il lavoro
dell’inconscio. Proprio a causa della struttura dell’inconscio freudiano, Lacan dirà che il sintomo si
forma come un’operazione di linguaggio e cioè come una metafora. Abbiamo una metafora quando
un significante viene sostituito da un altro significante e questa sostituzione ha come effetto un
certo guadagno, per esempio la creazione di un senso nuovo, poetico. Mentre ciò che si veicola
nello spostamento significante senza cristallizzarsi in un effetto metaforico è il desiderio inconscio,
e per questo Lacan dirà che il desiderio inconscio è una metonimia.
Per illustrare il valore di metafora del sintomo prendiamo l’esempio del piccolo Hans. Un
unico tratto ne rivela la struttura di nevrosi: la sostituzione del padre con il cavallo. Il guadagno
consiste in un doppio beneficio: localizzare l’angoscia sul cavallo e risolvere l’ambivalenza nei
confronti della figura paterna. Così Hans potrà amare il padre e temere il cavallo.
Lacan, però, successivamente, dovrà arrendersi all’evidenza che la struttura di metafora del
sintomo non rende conto della ripetizione. La ripetizione del sintomo non è la ripetizione
significante, ma è una ripetizione pulsionale e non tutto della pulsione riesce a metabolizzarsi
nell’ordine del simbolico. C’è un reale che è refrattario al simbolico e che si ripete. La causa di
questa ripetizione Lacan la definisce “godimento”.
In questa nuova prospettiva il sintomo non ha più la struttura di significante, che
necessariamente rinvia alla catena significante, la modalità quindi che ha il soggetto di
rappresentarsi presso l’Altro, ma ha struttura di lettera. Il sintomo è allora un marchio di godimento,
la cui significazione rimane enigmatica. Non si tratta più di un sintomo ripreso nell’ordine
simbolico, ma di un sintomo che Lacan situerà nel nodo borromeo nell’intersezione tra il reale e il
simbolico.
È la nuova versione del sintomo che Lacan scriverà sinthome. Si tratta della supplenza alla
mancanza del Nome-del-Padre che funzionerà come perno per lo psicotico. Ma si tratta anche
dell’osso di godimento con cui il soggetto si troverà a fare i conti alla fine della propria analisi,
quando il legame che il soggetto intrattiene ordinariamente con il godimento viene meno. Lacan
parla allora d’identificazione con il sintomo. Ora, mentre il sintomo, nel suo statuto di significante,
non dà un’identità al soggetto ma unicamente lo rappresenta, al contrario, il sintomo nel suo statuto
di lettera dà un’identità poiché non rinvia più a un significante per rappresentarlo, ma rinvia alla
“cosa”, la cosa di godimento che, in fondo, egli è.
Nel 1975-76 Lacan dedica il suo Seminario XXIII a questo nuovo statuto del sintomo, che in
italiano scriveremo sinthomo. Joyce serve a Lacan da falsariga per la sua questione. Ne abbiamo un
saggio nella conferenza su “Joyce il sintomo” di Lacan e sul commento fatto da Jacques-Alain
Miller in un seminario tenuto a Barcellona.
Così si va dal sintomo, che è un disfunzionamento, al sinthomo che è, per riprendere
l’espressione di Jacques-Alain Miller, “un funzionamento”, una cosa che funziona, anzi, per il
soggetto, la cosa che gli funziona meglio. Così l’analizzante scoprirà che il sintomo di cui si
lamentava è ciò che gli permette di stare al mondo. E di starci, perché no, bene.
La litografia di Félicien Rops riprodotta in copertina fa riferimento a quella prima coppia, Eva
e il serpente, di cui Lacan parla nella lezione del 18 novembre 1975 del Seminario Il sinthomo
(Astrolabio).
Antonio Di Ciaccia