Articolo n°14 La musicalità dell`architettura.
Transcript
Articolo n°14 La musicalità dell`architettura.
Articolo n°14 La musicalità dell’architettura. di Alessandra Fanì Ci sono periodi in cui interrompo il mio ritmo vitale per immergermi in una spazialità differente. Percorro spazi architettonici in cui il significato del movimento, del cambiamento e della percezione sensoriale acquistano altre connotazioni. La ricerca di nuove spazialità mi restituisce empatie in cui provo sensazioni legate all’intorno, diverse da come sono solita vivere nei luoghi di tutti i giorni . Si tratta di entrare in un’altra dimensione ed imparare a comunicare con essa, appunto perché nuova. Vivere un’architettura, oltre che essere nel progetto stesso, significa, per me, desiderare di essere nello spazio fisico e metafisico di altri autori, conoscere e modificare la visione della realtà ed andare oltre i limiti dell’immaginazione, trasferitaci da altri, dai mezzi d’informazione e dalla stessa cultura consolidata. Liberi da ogni preconcetto spaziale, possiamo compiere il naturale sforzo di amalgamarci sensorialmente con l’intorno fisico. Quando siamo dentro, intorno e fra gli spazi, avvertiamo una sensazione di pienezza ed appartenenza, se riusciamo a dare ed accettare la restituzione dell’anima dello spazio stesso e se tentiamo di trasportare il suo spirito lungo il viaggio nel tempo in e di quest’ architettura. Ma cos’è quella sensazione di movimento dello spazio che percepiamo pur essendo fermi? Quella sensazione di cambiamento dell’intorno a noi, degli elementi fisici e mentali, degli ambiti misurabili, di quelli empi e non contenibili che in realtà non cambiano affatto? Cos’è, infine, quella sensazione di perdita del tempo, di acquisizione di un’irrazionalità spaziale e di un’immensità temporale che ci fanno perdere la percezione di noi e della relazione spazio – tempo che ci coinvolge? Passeggiamo e ci perdiamo, questa la sensazione. Mi viene in mente una citazione di Bergson, letta poco tempo fa in un articolo: “ E’ con l’udito che possiamo facilmente concepire il cambiamento senza che nulla stia cambiando: ascoltando una melodia abbiamo, infatti, la chiara percezione del movimento, senza che qualcosa si muova, o del cambiamento senza che qualcosa cambi. Perché ci sia movimento, non necessariamente ci deve essere qualcosa che si muove..”. L’udito è la condizione per cui ci poniamo in ascolto di qualcuno, ma anche di qualcosa. Questo qualcosa è il suono; è quel rumore piacevole ed immaginario che invade gli spazi e noi. Mi pongo in suo ascolto e di esso percepisco il ritmo e la musicalità. Allora è la musica che sento in quegli spazi, una musicalità dell’architettura che nasce dal mio pormi verso di essa secondo un personale stato d’animo e se attribuisco un valore antropologico agli spazi geometrici! Potrebbe sembrare improprio, a prima considerazione, pensare di associare la musica ed il concetto di musicalità ad uno spazio architettonico ed a quei luoghi fisici che possiamo fruire. La musica è l’arte di associare suoni e rumori ed ha come unica dimensione il tempo. Lo spazio architettonico vive nelle tre dimensioni, si sviluppa in esse, si compone e si modifica secondo la quarta dimensione, il tempo. Musica ed Architettura hanno, quindi , un legame fortissimo che è la dimensione temporale. La concezione del tempo e del suo legame con lo spazio ha acquisito connotati differenti nel corso della storia, grazie ai cambiamenti socio-economici, scientifici e non per ultimi, anzi forse tra i primi, artistici. L’idea di un rapporto lineare del concetto spazio – tempo, in cui la sequenzialità di “passato”, “presente” e “futuro” legavano la visione della vita ed in cui uno spazio era percorribile in frazioni temporali dettate dalla velocità di percorrenza secondo un andamento lineare del tempo, è completamente cambiato, già dalla Teoria della Relatività. La Teoria di Einstein, secondo cui il tempo, dipendendo dallo stato e dal moto dell’osservatore, non può essere sincronizzato da un unico punto di vista. Da qui, e forse intuitivamente prima di questo momento, tutti i più grandi artisti dell’espressionismo hanno mutato il loro modo di concepire lo spazio dipinto nel quadro. Non più la prospettiva ma uno spazio bi-dimensionale dato da più punti di vista e non da uno soltanto, come si faceva nel classicismo, più intimistica ed addirittura basata da una bidimensionalità del tempo. Pensiamo a Wassily Kandinsky, Paul Klee, Pablo Picasso, Paul Gauguin , Paul Cezanne fino ad arrivare a Salvador Dalì. Per Dalì il tempo aveva un dimensione duale propria della sua effettiva durata: appunto perché i punti di vista sono più di uno, non può essere unico l’istante in cui agisce l’osservazione. “ Il pittore si trova ad esprimere il rapporto temporale della persistenza dell’immagine effettivamente percepito durante la ricostruzione emotiva e razionale della rappresentazione pittorica”. Quando vivo uno spazio è come se avessi la sensazione di vivere un’opera d’arte, un dipinto, dal punto di vista dell’autore. L’Architettura è una composizione di spazi, questi sono percepiti in differenti momenti dati dal mio movimento all’interno di essi. Il tutto accade in un arco temporale vario e non lineare, legato al mio stato d’animo ed alla mia condizione energetica. Nel contemporaneo, la realtà energetica, che costituisce la differenza sostanziale tra la staticità ed il movimento, ha una certa valenza, che cambiata il modo di vivere lo spazio architettonico , rispetto al passato. Entriamo in uno spazio e trasformiamo la sua energia fisica ed emotiva tramite la nostra. Nella fisica, le onde di energia fanno oscillare le molecole della materia e provocano vibrazioni che producono suoni. Nelle emozioni, la nostra energia ci mette in condizione di sentire una musica che non è fisica, ma sensoriale e che, al contatto con lo spazio che restituisce percezioni emotive, ci coinvolge e ci introduce in dimensioni sempre nuove. Creiamo una spazialità immaginaria dentro la quale ci muoviamo e che si muove e si trasforma perché siamo noi a cambiarla. Tornando ora al concetto da cui siamo partiti e dopo questa digressione, che ho trovato necessaria per motivare una sensazione, metto in relazione l’energia ed il tempo che accomuna musica ed architettura e posso dare una possibile interpretazione del perché si riesca a percepire una musicalità degli spazi architettonici quando siamo immersi e persi in essi. “La musica è ritmo e tempo, che permette alla musica di essere”. L’architettura si esprime attraverso il tempo mediante la fruizione delle sue parti e del suo tutto. Sbagliamo, quindi, quando associamo il movimento solo ad una facoltà visiva, perché esso va immaginato diversamente, attribuendogli una valenza uditiva. Una sensazione che non si sviluppa nel vuoto, nell’assenza di aria dove il tempo non ha dimensione, ma nella densità, sia di spazio pieno che vuoto che veicola l’energia. Attraverso di essa, che segue il movimento della melodia, possiamo immaginare spazi in continua trasformazione. Diventa, quella tra musica ed architettura, una relazione biunivoca. Possiamo ascoltare una melodia musicale ed immaginiamo un cambiamento, perché essa si modifica col tempo, e allo stesso tempo immaginiamo uno spazio, fatto di frammenti e di altri nuovi spazi che si generano dalle sensazioni. Il risultato è l’attribuzione di una forma che la nostra mente crea dietro le sensazioni: la forma del suono in uno spazio che è immagine mentale. Anche questo il grande potere della musica. Ascoltiamo un brano musicale ed immaginiamo spazi e mondi legati al significato del brano. E’ anche immagine fisica, è esperienza, è interazione tra suono e forma (un esempio è condotto da DECOI) Nella sua sperimentazione, “la forma cambia in funzione del suono che le persone emettono attraversandolo. L’intensità del suono modifica una superficie elastica”. Possiamo vivere in uno spazio e ci sentiamo immersi in una melodia, abbiamo la sensazione di entrare a far parte di un buon disco di musica jazz o di un’opera d’arte contemporanea. Chissà che veramente quella musicale sia la spinta per l’ispirazione di creazione del progetto. Un architetto potrebbe pensare da musicista ed un musicista da architetto. “Il risultato potrebbe essere da un lato la progettazione del tempo, dall’altro il suono dello spazio (nel senso di musicalità e non di acustica)”. Non sono poche, a tal proposito, le associazioni di brani musicali con opere architettoniche; per citarne alcune: “il classicismo di Le Corbusier con l’armonica compiutezza del cool jazz di Lennie Tristano – C Mirror Complex, una partitura di Daniele Lombardi – Sinfonia n.1 per 21 pianoforti, la base per la progettazione di un paesaggio, possibile, reale o soltanto mentale, se pensiamo al ‘Museo a Crescita illimitata’ di Le Corbusier, si fa riferimento al vortice generatore di Thelonius Monk – Trinkle Tinkle, se si ascolta al buio o ad occhi chiusi una delle composizioni istantanee del sassofonista Mario Schiano – Unlike, 1st set , si iniziano a percepire dei suoni indefiniti che segnano presenze presenze in un vuoto , il capolavoro di David Holland – Conference of the Birds, in cui le analogie tra musica ed architettura si fortificano, per finire con la versione di A Foggy Day eseguita da Charles Mingus in Pithecantropus Erectus in cui l’ascolto porta alla descrizione del paesaggio urbano". Ascoltando un particolare brano musicale, possiamo arrivare a definire lo spazio attraverso il tempo. Tornando a noi, vivendo intensamente uno spazio, sentiamo il suo suono nel tempo in cui esso è vissuto e nel tempo in cui siamo noi a viverlo. Siamo pervasi da un vibrare emozionale che è la voce della vitalità di quello spazio e dalla relazione che la nostra energia sviluppa in collisione e relazione con la sua. Un legame che non può prescindere dal tempo, perché è proprio questa dimensione che differenzia la percezione dello spazio stesso. Quanto tempo impieghiamo per percorrere quello spazio, quante le pause e le accelerazioni, quante le interruzioni e le fluidità. Riporto una citazione che mi ha colpito del famoso compositore Italo – Americano Frank Zappa, anche questa letta recentemente in un blog: “La porzione di spazio temporale che divide l’inizio di un brano dalla sua conclusione è, per il compositore, qualcosa di simile a ciò che le dimensioni della tela rappresentano per un pittore, Il compito del pittore consiste nel riempire di qualcosa lo spazio vuoto di una tela fino a farlo diventare quadro-opera. Analogamente il compito di un compositore consiste nell’aggiungere, nel suscitare e nel far muovere delle cose all’interno di un determinato tempo”. C’è un’emotività nel comporre un brano musicale e c’è un’emotività nel comporre uno spazio e nel vivere musicalmente la sua composizione architettonica. Non possiamo più parlare solo di spazi geometrici; Merleau Ponthy ci parla di spazi esistenziali come “la scena di una esperienza di relazioni con il mondo”. Qui ci viene da pensare a tutte quelle architetture che entrano in connessione con le nostre percezioni sensibili e con i fenomeni esterni: le architetture sensoriali e l’interattività fisica e sonora: l’emblema suonante dell’Expo 02 del team di architetti austriaci Coop Himmelb(l)au, le tre torri dell’Art Plage di Briel come luogo della Klangturm (torre del suono), le Torri del Vento di Renzo Piano, le opere di Toyo Ito in cui esiste una stretta relazione tra ambiente domestico e spazio urbano. Anche ascoltare il suono e/o immaginarlo in uno spazio è un’importante attività sensoriale che si mette in azione. L’Architetto franco – svizzero Le Corbusier rilevava che fino a quel momento “ tutto ciò che è edificato, costruito, distribuito in lunghezza, larghezza o volume non ha beneficiato di una misura equivalente a quella della musica. Strumento di lavoro al servizio del pensiero musicale” Le Corbusier spiega la necessità di trovare “ una musica comune capace di ordinare le dimensioni dei contenenti e dei contenuti” portando ad esempio la scrittura del suono. “Elementi afferrabili (..) traendone una serie di progressioni” che “ costituiranno i gradini di una scala – una scala artificiale – del suono (..) secondo una regola accettabile da tutti, ma soprattutto capace di flessibilità, diversità, sfumature e ricchezze”. Lo stesso approfondimenti che farà Scarpa con un approccio però opposto a quello di Le Corbusier. Invece di formare certezze con il MOdulor, Scarpa “metteva in discussione il suo linguaggio (..) frangendo i ritmi, le sillabe” lasciando “ il certo per l’incerto”. Entrambi, in modo differente, hanno avuto una percezione musicale dello spazio architettonico. C’è, quindi, un possibile sentire ed avvertire musicalità negli spazi che viviamo, così come mi trovo a fare ogni volta che percorro nuove architetture. Chiudo qui ricordando una dedica che il compositore Nono fece a Scarpa “A Carlo Scarpa, architetto, ai suoi infiniti possibili”. C’è una profonda analogia tra il partito musicale e lo spazio complessivamente costruito da Scarpa secondo una successione di “frammenti infiniti possibili”, a differenza di Le Corbusier, seguendo “l’incessante ricerca di una via che tracci una liberazione del mondo” come disse Nono, “per non dire addio alla speranza”. 04 luglio 2015