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SUR 23
Julio Cortázar
Chi scrive i nostri libri.
Lettere editoriali
(Lettere – Volume II)
titolo originale: Cartas
traduzione, selezione e cura di Giulia Zavagna a partire dall’edizione
in spagnolo curata da Aurora Bernárdez e Carles Álvarez Garriga
Opera pubblicata nell’ambito del Programma «Sur»
di sostegno alla traduzione del Ministero degli Affari Esteri
e Culto della Repubblica Argentina.
Obra editada en el marco del Programa «Sur»
de apoyo a las traducciones del Ministerio de Relaciones Exteriores
y Culto de la República Argentina.
© Eredi di Julio Cortázar, 2012
© SUR, 2014
Tutti i diritti riservati
Edizioni SUR
redazione: via della Polveriera, 14 • 00184 Roma
tel. e fax 06.83514309
sede legale: viale Parioli, 73 • 00197 Roma
[email protected]
www.edizionisur.it
I edizione: agosto 2014
ISBN 978-88-97505-39-6
Progetto grafico di Riccardo Falcinelli
Composizione tipografica degli interni:
Miller (Matthew Carter, 1997)
Julio
Cortázar
Chi scrive
i nostri libri
Lettere editoriali
a cura di Giulia Zavagna
prefazione di Francesco Piccolo
Avvertenza:
Per agevolare la fruizione del testo al lettore italiano, le note dell’edizione
originale sono state integrate e ampliate dal curatore.
In appendice al volume sono riportate delle brevi note biografiche sui destinatari delle lettere e una bibliografia selezionata delle opere citate.
A Mercedes Arias
Negli anni Trenta e Quaranta, mentre Cortázar insegna
prima a Bolívar, poi a Chivilcoy, e infine a Mendoza, iniziano a delinearsi le sue prime produzioni, soprattutto poetiche, per le quali l’autore cerca fin da subito il confronto
con amici e conoscenti.
Chivilcoy, 14 ottobre 1939
My dear friend,
mi limito a scrivere in inglese l’intestazione; so bene che
le mie poesie sono oscure – e forse tenebrose; ma sono altrettanto consapevole di risultare inintelligibilmente cavernoso quando tento di farmi capire nella dolce lingua di
Shelley. Oserei scriverle in inglese solo se contassi sulla correzione preventiva di qualcuno che capisce la lingua; ma
qui, a Chivilcoy, il nazionalismo raggiunge espressioni assolute, e non c’è da aspettarsi nulla da un paese in cui la lettura di The Standard è considerata un «atto sovversivo sintomo di ideologie esotiche» (!).
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Molte grazie per ciò che dice della mia promessa – che,
pensandoci a freddo, è piuttosto un abuso, tanto più poiché
non ignoro la fatica che lei dedica a decifrare alcune delle
mie poesie più crudeli. La sua lettera diceva: «Your poems
will be always welcome». La ringrazio, e considero la frase
anche in relazione alla chiusura del paragrafo: «...if not
always understood».1 Ho sempre pensato che non dovrei
dare le mie cose da leggere a nessuno, perché in fondo non
sono scritte per nessuno. Mi spiego: solitamente sono scritte pensando a qualcuno, o riferite a un determinato momento della mia vita che, per la fatalità propria della nostra
condizione, implica la relazione con qualcuno – uno o vari
individui legati in un modo o nell’altro al sottoscritto. Tuttavia, per quanto riguarda l’opera in sé, non è creata in funzione di un lettore. Mi spiego? Ciò che intendo dire è che
scrivo, molte volte, prendendo come riferimento altre persone; ma che non le vedo mai come possibili lettori. Possono dettare la mia opera, certo; ma non è per loro che la creo.
Tutte, o quasi tutte le mie poesie, sono scaturite da x o z;
ma non erano mai destinate a x o z. Da ciò deriva, nella
maggior parte dei casi, un’oscurità che io sono il primo a
deplorare, ma della quale non mi libererò mai, a meno che
un’imprevista grazia non scenda dal cielo con il solo fine di
mostrarmi una bellezza meno complessa.
E, nonostante questo, capita che io consegni i miei scritti
alle pagine di un libro, e ad alcuni amici. Lei mi ha detto molte volte che non capiva a fondo alcuni componimenti raccolti nel mio libro;2 può forse consolarla sapere che, finora, nes1. «Le sue poesie saranno sempre benvenute... per quanto non sempre
comprese».
2. Si tratta probabilmente di Presencia, la prima raccolta di poesie dell’autore, pubblicata a Buenos Aires nel 1938, con lo pseudonimo di Julio Denis,
che Cortázar utilizza spesso anche nelle lettere risalenti a questi anni.
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suno mi ha dato la gioia di comprenderli fino in fondo? Nemmeno alcuni di coloro grazie ai quali i sonetti sono stati scritti; anzi, loro – e glielo confesso con dolore – sono stati i primi
a non capire, a dirmi, in modo critico, che non vi era nulla di
più freddo e distante dalla Poesia di quel povero mucchio di
versi. Forse crederà che sia il mio risentimento a parlare; non
è così. So – ora, soprattutto, che è trascorso un po’ di tempo –
quanti e quanto gravi sono i difetti del mio libro; so che, in
fondo, non avrei dovuto pubblicare versi che non erano stati
scritti per essere letti. E, tuttavia, lei e forse uno o due amici
avete interpretato con intuizione ammirevole alcuni passaggi e allusioni proprio come io li avevo intuiti e desiderati. Lei
ha una grande sensibilità per la Poesia. (Non è un complimento scontato né una lusinga; perché dovrebbe esserlo?) È
per questo che ho il piacere di mandarle ciò che riesco a scrivere; mi creda quando le dico che per me è impossibile interpretare la Poesia in altro modo; se scrivessi per il pubblico,
forse i miei componimenti sarebbero di una bellezza più universale; la verità è che non lo so proprio. Tuttavia, lei rientra
da molto tempo nella minuscola cerchia di spiriti amici che
mi consolano dalla vita; e per questo è una gioia consegnare
le mie musiche nelle sue mani. Lei è troppo modesta, a volte;
so che legge nella mia Poesia molto più di ciò che confessa.
Forse vi legge tutto; e se non trova di più, è perché non c’è.
Quante volte, dietro l’oscurità si nasconde il vuoto.
Credo di non averle mai chiesto – con un egoismo pieno
d’incoscienza – se anche lei scrive. Ci ho pensato poco tempo fa, e mi tortura il fatto di non aver sospettato già molto
prima che uno spirito tanto ricco potesse trasferire molto
bene il proprio élan nella Poesia o nella letteratura. Forse
starà sorridendo; ma, molto seriamente, io le chiedo: non
ha mai scritto un verso, un racconto, una prosa? E se li ha
scritti, sarebbe molto chiederle, prima o poi, di potermi affacciare alla sua opera?
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Forse i miei sospetti non sono fondati. Ma, in tal caso,
posso darle un consiglio? Dear friend, nella sua natura c’è
tutto ciò che fa la grandezza di un’opera scritta. Non ci ha
mai pensato? Forse no, perché è troppo modesta. Tuttavia,
le persone modeste vanno fatte uscire dalla tana, e occorre
esigere da loro ciò che si crede possibile; altrimenti, la modestia finisce per assomigliare molto all’egoismo. E non mi
creda moralista; nessuno è più lontano dai precetti etici di
me. Ma sarò innamorato della poesia finché vivrò, e lì dove
sospetto che ardano le sue fiamme, cerco di scoprirla...
[...]
A presto, con amicizia,
Julio Denis
A Sergio Sergi
Dal luglio del ’44 al dicembre del ’46, Cortázar insegnò letteratura
francese presso l’Università di Cuyo, a Mendoza. Oltre a permettergli di dedicarsi a tempo pieno alla letteratura, l’ambiente mendocino garantì all’autore nuove conoscenze e amicizie, su tutte
quella con il pittore Sergio Sergi – da lui soprannominato l’Orso –
e la moglie Gladys Adams, testimoniata da un vero e proprio cambio di registro nella sua corrispondenza, marcata a partire da quel
momento da una versatilità e spontaneità sempre maggiori. Tuttavia, il periodo mendocino si concluse ben presto, anche per ragioni politiche, e segnò la fine dell’esperienza di Cortázar come
professore: una volta tornato a Buenos Aires, darà inizio alla sua
carriera di scrittore con le prime pubblicazioni: il racconto «Casa
occupata», ancora oggi tra i più celebri, e il dramma I re.
Buenos Aires, 2 febbraio 1947
Mio caro Sergio,
che ci vuol fare, è scritto che io e Mendoza siamo nati
per guardarci da lontano. Ho ricevuto la sua lettera (dopo
i molti andirivieni) e quello stesso giorno mi hanno comu18
nicato alla Casa del Turismo di Mendoza che sarebbe stato
impossibile trovare un hotel o un alloggio a Uspallata. Lei
sa che il mio piano era di passare tre o quattro giorni in città, per poi andarmene immediatamente in montagna, a riposare. (Ho bisogno di riposo; sono un po’ sovraccarico di
lavoro, e a volte sento che la nevrastenia mi sfiora la schiena con le sue dita affilate, come direbbe la signora Delfina
Bunge de Gálvez.)3 La notizia ha fatto saltare tutti i miei
progetti perché, se non a Uspallata, dove si può andare a
riposare in provincia di Mendoza? Odio le zone turistiche.
I dintorni (Lunlunta, ecc.) non sono abbastanza montuosi
da calmare le mie ansie andine. E per giunta, il mio periodo di permesso inizierà il 14, ovvero il giorno in cui lei riceverà la graditissima visita del suo compagno Aizenberg.4
A proposito, mi sembra splendido che venga a farle visita.
Sebbene sembri non ricordarsene – stando a quanto mi dice nella sua lettera – mi ha parlato molte volte di questo
suo amico, ha rievocato il vostro periodo a Santa Fe e mi
ha perfino dato da leggere alcune pagine di Aizenberg, che
ha scritto cose magnifiche. (C’era un racconto, si ricorda?
Con un uomo che entra in un locale di cabaret... Non ho
ben presente la trama, ma so che mi era sembrato denso e
molto bello.)
Insomma, mi dispiace molto che siamo costretti a non
incontrarci. Da parte mia, sono rimasto con le pive nel sacco e piuttosto demotivato. Andrò in Uruguay con un amico,
e passeremo l’abietto e orrido periodo di carnevale ben nascosti nei boschi della Colonia Svizzera (dove il carnevale
appartiene al dominio dell’imponderabile).
3. Delfina Bunge de Gálvez (1881-1952) fu una scrittrice e poetessa argentina di ispirazione cattolica.
4. Roberto Aizenberg (1922-1996) fu un pittore e scultore argentino, considerato tra i maggiori esponenti del surrealismo.
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Sono contento che il racconto le sia piaciuto nuovamente. Sono così tremendi i disegni di Norah?5 A me piace quello dei due fratelli; l’altro – la casa – non corrisponde al racconto. La casa è molto diversa, ma l’immagine dei fratelli
alla luce della lampada mi piace molto.
[...]
Lavoro intensamente. Sono d’accordo con lei sul fatto
che la mia fuga da Mendoza sia stata provvidenziale. (Le ho
già detto in un’altra occasione che «me la do a gambe» sempre in tempo, cosa che possono testimoniare varie città e
varie ragazze.) Non ho molto più tempo rispetto a quando
ero lì – dove non ne avevo per niente – ma senz’altro vivo in
un clima migliore e ho voglia di lavorare a qualcosa che duri un po’ più di me. Vanitas vanitatem [sic], ecc. Ho appena finito di scrivere una cosa che si intitolerà I re.6 È una riscrittura del mito di Teseo e del Minotauro, ma visto da
un’angolazione essenzialmente diversa. Contiene anche alcuni riferimenti attuali, alla condizione umana dei giorni
nostri. Teseo è l’ordine, la legge. Perché Teseo uccideva le
creature mostruose, perché uccise il Minotauro? Perché il
mostro è colui che sfugge alle codificazioni, è la libertà, l’individuo puro, che non appartiene a nessuna specie. Da qui
il fatto che gli altri lo chiamino mostro, parola che non ha
senso per lui. Teseo è il re perfetto; vuole che tutto sia impeccabile, legale, a misura di impero. Per questo non può
tollerare le creature mostruose. Il Minotauro rappresenterà
quindi l’individuo libero e anarchico, e in certa misura il
5. Si tratta del racconto «Casa occupata», pubblicato nel 1946 sulla rivista
Los Anales de Buenos Aires, diretta da Jorge Luis Borges, con illustrazioni di
Norah Borges, sorella dello scrittore e intellettuale argentino.
6. L’opera teatrale I re fu pubblicata per la prima volta da Jorge Luis Borges
sulla rivista Los Anales de Buenos Aires nel 1947 (vedi lettera a Jorge Luis
Borges in Carta carbone. Lettere ad amici scrittori, SUR, Roma 2013, p. 13)
e in seguito dalla casa editrice Gulab y Aldabahor, a Buenos Aires, nel 1949.
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poeta (anarchico spirituale). Si lascerà uccidere da Teseo
poiché solo così raggiungerà una libertà mitica, nella vita
fuori dal tempo. Inoltre – ulteriore variante – Arianna non
è innamorata di Teseo ma del Minotauro. Ha consegnato il
filo a Teseo convinta che questi sarebbe morto e che il Minotauro ne avrebbe approfittato per scappare dal Labirinto
e tornare da lei. Ecc., ecc. È finito (sono quattro scene dialogate) ma devo iniziare a rileggere, rielaborare... Sono abbastanza contento, credo di essere riuscito a creare delle
belle scene; una cosa ieratica, fredda (calore interno, come
nel marmo ben lavorato) e assolutamente impossibile da
rappresentare. Ci sono momenti che mi sembrano molto
plastici. Per esempio, c’è un monologo di Arianna, sola sulla scena, mentre il gomitolo di filo le si disfa tra le mani.
Quando il gomitolo si ferma, Arianna smette di parlare,
perché sa che in quell’istante Teseo e il Minotauro si stanno
affrontando.
Molte grazie per gli auguri per il 1947. Spero si compiano, come i miei per lei. Non so se le ho scritto che sono andato a prendere Gladys a Retiro. Per colpa delle famose cavallette, il treno è arrivato in ritardo. C’erano Zezette (si
scrive così?) e la famiglia – credo – di Ruiz Daudet (mi sbaglio?). Gladys e l’Orsetto7 sono arrivati benissimo, freschi
come lattughe (ammesso che le lattughe siano fresche, cosa
improbabile in questi giorni da cani, canicolari). Li ho visti
solo per dieci minuti, finché non abbiamo trovato un taxi.
Gladys ha promesso di avvisarmi quando sarebbe passata
nuovamente a Buenos Aires, e spero che si ricordi.
Bene, amico bulinatore e sgorbiatore, continua a dispiacermi moltissimo congedarmi da lei fino a chissà quando.
Divertitevi con Aizenberg e lo porti a conoscere i luoghi di
7. Nomignolo con cui Cortázar chiamava Sergito, il primogenito di Sergio
Sergi e Gladys Adams.
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Dáneo8 (di cui ho letto il racconto che le dedica su Égloga e
che mi piace, anche se non in tutto e per tutto; la tesi è in
fondo di un romanticismo puerile; chi non uccide in questa
epoca, sebbene non con un pugnale?). Un abbraccio a
Dáneo, a Felipe9 se lo vede da quelle parti e di cui misteriosamente non ho alcuna notizia, e agli amici di Égloga. Un
bacio a Sergito, e per lei un grande abbraccio da
Julio
8. Alberto Dáneo, scrittore argentino originario di Mendoza.
9. Luis Felipe García de Onrubia (1914-1986) fu un professore di filosofia e
poeta argentino.
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