DOCUMENTO CONGIUNTO “Sostegno al Made in Italy e lotta alla

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DOCUMENTO CONGIUNTO “Sostegno al Made in Italy e lotta alla
DOCUMENTO CONGIUNTO
Presentato in occasione dell’incontro
“Sostegno al Made in Italy e lotta alla contraffazione”
(Prato - 15 giugno 2010)
Alla cortese attenzione dell’On.le Andrea RONCHI
Ministro per le Politiche Europee
Prato è una delle province più industrializzate del Paese ma è attraversata da una crisi molto
pesante iniziata nel 2001 e che ha portato a processi di trasformazione gravosi e laboriosi sui
quali si è innestata la crisi finanziaria della fine del 2008. Infatti la crisi del tessile, l’esplosione della
comunità cinese, le difficoltà delle imprese e dell’occupazione, insieme alla crescita delle aree di
marginalità, hanno disegnato un quadro drammatico che si è ulteriormente aggravato a causa
della recessione internazionale.
Le imprese, che stavano attraversando il percorso difficile della riorganizzazione, si sono trovate
senza quei supporti finanziari ed economici indispensabili per un rilancio dello sviluppo.
I dati aggiornati allo scorso dicembre ci mostrano che il settore Manifatturiero è il comparto che
soffre maggiormente la crisi, con un calo di fatturato del 21,2%, contro il 11,8% delle Costruzioni,
il 6,3% dei Servizi e il 7,5% del Commercio. Purtroppo il calo nel settore Manifatturiero è doppio
rispetto alla media, non solo, il calo è maggiore al crescere della quota di subfornitura delle
imprese, infatti il calo del fatturato per un’azienda che lavora quasi esclusivamente in subfornitura
(–27,2%) ha un’intensità doppia rispetto all’impresa produttrice in conto proprio (-16,5%).
Diventa fondamentale quindi procedere a misure che concretizzino politiche atte sia a difendere il
grande patrimonio del saper fare dei nostri imprenditori, sia aggredire nuovi mercati
permettendo una maggiore visibilità ed esauriente commercializzazione del “Made in Italy”.
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In generale:
Le imprese vanno accompagnate a trovare soluzioni per restare sul mercato. In passato
le soluzioni indicate sono state innovazione di processo e di prodotto, aggregazione,
internazionalizzazione ma le difficoltà per le imprese che lavorano in subfornitura sono maggiori.
A questo proposito si ritiene opportuno che la programmazione regionale, con risorse del FSE
(Fondo Sociale Europeo), sostenga i processi di ricomposizione e riorganizzazione del ciclo
produttivo, anche attraverso processi di accorpamento delle imprese, di penetrazione
commerciale, di innalzamento della qualità, di innovazione e espansione della ricerca tecnologica
di processo e di prodotto, di valorizzazione del lavoro e della professionalità come complemento
qualitativo della flessibilità e la formazione. Bisognerebbe inoltre aiutare le imprese a
comprendere quali strategie possano essere attuabili per il loro potenziamento.
Sul versante della tutela del mercato interno dobbiamo assolutamente adottare misure specifiche
per:
evitare il fenomeno delle importazioni illegali nel nostro Paese di capi di
abbigliamento originari di paesi extracomunitari, marchiati Made in Italy. Tale fenomeno sta
assumendo proporzioni non più tollerabili dalle nostre imprese sul piano della concorrenza. Si
deve intervenire seriamente su questo problema perché quanto prima sia dato seguito alla
decisione del Parlamento UE in materia di marchio di origine. Si richiede un forte impegno sui
controlli delle merci in ingresso in tutte le frontiere della UE.
Limitare l’importazione di prodotti tessili e dell’abbigliamento realizzati mediante
processi produttivi che non garantiscano il rispetto, se non degli standard previsti in
Europa, quantomeno di uno standard minimo di tutela ambientale e del lavoro (in
particolare verso i minori), da definire a livello internazionale. Applicare tutte le misure già
attualmente in vigore in tema di clausole di salvaguardia nei confronti di dumping economico
effettuato attraverso sussidi finanziari anche occulti alle imprese. Adozione di misure per
contrastare importazioni illegali e contraffatte. È utile a questo proposito sottolineare come il
fenomeno della contraffazione non coinvolga solo i prodotti delle griffes più affermate sul
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mercato internazionale, ma investa prodotti tessili e dell’abbigliamento di qualunque fascia di
mercato, da quelle a basso costo a quelle di alta qualità, che entrano in Europa senza rispettare le
norme vigenti in materia di importazione e denominazione di provenienza. La contraffazione, che
spesso si unisce a pirateria e abusivismo, si configura come fattispecie delittuosa il cui tratto
distintivo è quello di alimentare economie parallele e sommerse rispetto a quelle legali e di
colpire numerosi interessi pubblici e privati. Si tratta di una pratica che accompagna ed alimenta
altri reati ed è portatrice di fenomeni di degrado e di malessere sociale. Diversi i danni procurati:
da quello economico a carico delle imprese per le mancate vendite e dalla conseguente riduzione
di fatturato; per l’Erario pubblico attraverso l’evasione dell’Iva e delle imposte sui redditi; per il
mercato alterando il suo funzionamento attraverso l’esercizio di una concorrenza sleale basata sui
minori costi di produzione e commercializzazione.
Ed è ormai evidente che un mercato così ampio, border line fra legale ed illegale non potesse che
attirare l’attenzione della criminalità organizzata.
La contraffazione movimenta in Italia un giro d’affari di 7,8 miliardi di euro l’anno.
Per il 60% colpisce il settore moda: tessile, pelletteria, calzature.
In Toscana sono presenti tutti i tasselli della “filiera della contraffazione”: produzione,
distribuzione, commercializzazione.
A Prato la presenza della più grande comunità cinese d’Italia garantisce un approvvigionamento
certo e continuo, le città d’arte mercato sempre più aperto.
Il Tavolo della sicurezza presso la Prefettura, presieduto dal Ministro Maroni, l’impegno e l’azione
delle Istituzioni e delle forze dell’Ordine a Prato hanno già prodotto importanti risultati. Ma il
fenomeno va ben oltre i confini della Città e della stessa Regione, ed è per questo che
richiamiamo l’attenzione del Ministro sulla necessità di adottare quei provvedimenti in sede
nazionale ed europea capaci di contrastare questa attività illegale e criminosa.
Naturalmente, la soluzione ai problemi di importazione illegale e contraffazione dei prodotti
passa in primis per l’attuazione di controlli efficaci, anche di quelli sull’applicazione delle
regole di origine dei prodotti, in modo da limitare i fenomeni di etichettatura illegale e tutelare
il “Made in Italy”.
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Il Made in Italy nella moda è apprezzato per lo stile e il design, che prendono forma
sicuramente attraverso il confezionamento dei capi di abbigliamento. Appare quindi ovvio
che questa fase di lavorazione debba essere svolta in Italia perché il capo possa definirsi
Made in Italy. Si potrebbe obiettare che uno volta creato il prototipo in Italia la produzione in
serie potrebbe essere delocalizzata altrove con gli stessi risultati di immagine ma a costi di
realizzazione nettamente inferiori. Tuttavia i capi di abbigliamento Made in Italy sono valorizzati, e
quindi apprezzati nel mondo, anche dalla loro manifattura, da come sono sostanzialmente
realizzati, di quali stoffe e finiture siano composti. È per questo che si ritiene che due sole
lavorazioni tessili su quattro non siano sufficienti a garantire il Made in Italy. Come è
pensabile che stoffe prodotte all’estero, senza i nostri standard qualitativi, importate in Italia e qui
solo rifinite o tinte possano dar vita a capi da abbigliamento Made in Italy solo perché
confezionati in Italia, magari da confezionisti stranieri? Sicuramente perché si continuino ad avere
gli stessi standard qualitativi che hanno reso famose nel mondo le nostre produzione occorre che
i tessuti siano realizzati in Italia secondo le nostre alte capacità manifatturiere, di innovazione,
ricerca e fantasia. Per tutto questo, perché un capo di abbigliamento possa fregiarsi del Made in
Italy occorre secondo noi che almeno tre, delle quattro fasi di lavorazione tessile che lo
concretizzano, siano realizzate in Italia comprendendovi tra queste necessariamente la tessitura
delle stoffe ed il confezionamento, ossia le due componenti veramente in grado di dare ad un
capo di abbigliamento quel valore aggiunto che possa essere riassunto nel Made in Italy. Quindi
sul versante dell’evoluzione della cosiddetta Legge “Reguzzoni” a tutela del made in Italy si ritiene
che le attuali proposte di emendamento presentate tendono ad introdurre proposte
“rafforzative”. In effetti è necessario poter ampliare l’obbligatorietà della produzione sul territorio
nazionale di almeno tre fasi di lavorazione anziché due come previste. In subordine, qualora ciò
non fosse possibile si ritiene che almeno le due fasi vincolanti siano fasi caratterizzanti il prodotto
stesso e cioè il Confezionamento e la Tessitura.
Emanare una normativa specifica che renda obbligatoria un’etichetta che consenta la
tracciabilità del capo di abbigliamento commercializzato all’interno dell’UE, che consenta al
consumatore di avere l’informazione necessaria per valutare i caratteri distintivi del bene
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acquistato attraverso la conoscenza del paese di origine del capo e delle sue componenti
principali, vale a dire tessuto e filato. L’etichetta di tracciabilità consentirebbe di elevare il livello di
tutela dei consumatori, garantendo una maggiore trasparenza non solo attraverso le informazioni
sul luogo di realizzazione delle varie fasi del ciclo produttivo (filatura, tessitura e confezione), ma
anche escludendo l’impiego di materiali nocivi per la salute dei consumatori o, comunque, in
contrasto con le normative comunitarie in materia sanitaria
Sul versante dello sviluppo dei mercati e una migliore presa del prodotto italiano (europeo) nel
mondo dobbiamo assolutamente adottare misure specifiche per:
migliorare l’accesso dei prodotti comunitari sui mercati terzi. Purtroppo l’Unione
Europea è l’area più permeabile alle importazioni di prodotti tessili e dell’abbigliamento a livello
mondiale. A fronte di questo, molti paesi, in particolare paesi che ormai non possono più essere
definiti in via di sviluppo o di nuova industrializzazione ma che sono con il tempo diventati vere e
proprie potenze economiche nel settore, continuano a mantenere elevati dazi sulle importazioni e
significative barriere non tariffarie che rendono estremamente difficile per le imprese europee
esportare in quei mercati. Quindi, il primo obiettivo da perseguire è quello di garantire condizioni
di reciprocità negli scambi, nel quadro di una liberalizzazione del commercio internazionale:
qualsiasi concessione da parte europea dovrebbe essere accompagnata da precise e verificabili
garanzie di apertura dei mercati dei paesi terzi, finora quasi sempre dimostratisi inadempienti
rispetto agli impegni assunti con la stipula di accordi bilaterali o multilaterali. L’accordo siglato a
Doha era alquanto generico e lascia a successive trattative l’approfondimento degli argomenti. Il
settore TAC non ha mai avuto molto peso in queste trattative, anzi è sempre stato trattato come
merce di scambio a favore dei cosiddetti Paesi in via di sviluppo. Ora è necessario che il Governo
italiano si impegni affinché nessuna concessione sia più adottata dall’UE senza precise e
misurabili garanzie di apertura dei mercati terzi. Particolare importanza riveste l’obiettivo di un
livellamento dei dazi consolidati ad un massimo del 15% e l’ottenimento di impegni concreti per
la rimozione delle barriere non tariffarie.
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Promuovere a livello UE lo sviluppo concreto della presenza di nostri prodotti in nuovi
mercati (Emirati Arabi, Paesi B.R.I.C. ) dove il numero dei consumatori che dispongono di
redditi elevati cresce ogni giorno di più.
Facilitare i finanziamenti per gli investimenti: occorre continuare sulla strada
dell’incentivazione alle attività di ricerca e innovazione, ma tenendo presente quella che è la realtà
dimensionale delle imprese del settore TAC.
Prato, 15 giugno 2010
Presidente Confesercenti
Alessandro Giacomelli
Presidente Unione Commercianti
Giuseppe Nardini
Presidente CNA
Anselmo Potenza
Presidente Confartigianato
Luca Giusti
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