oss. comunitario applicabilità regole sulla concorrenza a enti
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oss. comunitario applicabilità regole sulla concorrenza a enti
CT 18178/12 Avv. Ferrante CORTE DI GIUSTIZIA DELL’UNIONE EUROPEA OSSERVAZIONI del GOVERNO DELLA REPUBBLICA ITALIANA, in persona dell’Agente designato per il presente giudizio, domiciliato presso l’Ambasciata d’Italia a Lussemburgo nella causa C-59/12 promossa ai sensi dell’art. 267 TFUE con ordinanza del 18 gennaio 2012, depositata in data 6 febbraio 2012 dal Bundesgerichtshof – Germania. ** ** ** 1. Con l’ordinanza in epigrafe, è stato chiesto alla Corte di Giustizia dell’Unione europea di pronunciarsi, ai sensi dell’art. 267 TFUE, sulla seguente questione pregiudiziale: “Se l’art. 3, paragrafo 1, in combinato disposto con l’art. 2 lett. d) della direttiva 2005/29/CE sulle pratiche commerciali sleali debba essere interpretato nel senso che l’azione di un professionista, la quale si configuri come pratica commerciale di un’impresa nei confronti dei consumatori, può ravvisarsi anche nel fatto che una cassa malattia del regime legale fornisca informazioni (ingannevoli) ai propri iscritti circa gli svantaggi derivanti agli stessi in caso di passaggio ad un’altra cassa malattia del regime legale”. Esposizione dei fatti di causa 2. La questione pregiudiziale trae origine dal ricorso proposto dalla Zentrale zur Bekämpfung unlauteren Wettbewerbs (Centro di repressione della concorrenza sleale) contro una cassa malattia del regime legale, 2 avente natura giuridica di ente di diritto pubblico, volto ad ottenere la condanna di quest’ultima all’inibizione dell’utilizzo di alcune affermazioni apparse nel proprio sito internet da ritenersi ingannevoli e quindi contrarie al diritto della concorrenza. 3. La resistente, infatti, avrebbe taciuto il fatto che, nel caso della riscossione di un contributo supplementare, gli assicurati avrebbero un diritto di recesso speciale previsto dalla legge. 4. La resistente eccepisce l’inapplicabilità delle disposizioni della legge tedesca sulla concorrenza sleale a fronte dell’effetto di “irraggiamento” della direttiva 2005/29/CE sulle pratiche commerciali sleali. 5. Infatti nel caso di specie la cassa malattia, in quanto ente pubblico, non agirebbe con scopo di lucro e, pertanto, non sarebbe qualificabile come “professionista” secondo la definizione di cui all’art. 2, lettere b) e d) della direttiva citata. Normativa comunitaria. 6. Ai sensi dell’art. 2, lett. b) della direttiva 2005/29/CE è qualificabile come professionista “qualsiasi persona fisica o giuridica che, nelle pratiche commerciali oggetto della presente direttiva, agisca nel quadro della sua attività commerciale, industriale, artigianale o professionale e chiunque agisca in nome o per conto di un professionista”. 7. imprese L’art. 2, lett. d) della direttiva definisce pratica commerciale tra e consumatori “qualsiasi azione omissione, condotta o dichiarazione, comunicazione commerciale, ivi compresi la pubblicità e il marketing, posta in essere da un professionista, direttamente connessa alla promozione, vendita o fornitura di un prodotto ai consumatori”. 8. A norma dell’art. 3, paragrafo 1 della direttiva 2005/29/CE, la stessa si applica alle pratiche commerciali sleali delle imprese nei confronti dei consumatori poste in essere prima, durante e dopo un’operazione commerciale relativa a un prodotto”. 3 Risposta al quesito 9. La questione sottoposta alla Corte di Giustizia riguarda sostanzialmente la possibilità di qualificare professionisti, ai fini dell’applicazione della direttiva sulle pratiche commerciali sleali, anche organismi o enti di diritto pubblico che svolgono funzioni istituzionali. 10. Il Giudice del rinvio ritiene che l’esito del ricorso, nella parte riguardante la condanna inibitoria, dipenda dall’interpretazione dell’artt. 2, lett. b) e d) della predetta direttiva, che offrono rispettivamente le definizioni di “professionista” e di “pratica commerciale”, e dell’art. 3 paragrafo 1 della direttiva 2005/29/CE che ne delimita l’ambito di applicazione. 11. Ritiene il giudice che non sia chiaro se, ai sensi della richiamate norme, la pratica contestata sia da ritenersi una pratica commerciale tra imprese e consumatori e se la resistente, che, in quanto ente di diritto pubblico, assolve le funzioni del regime legale di assicurazione malattia, abbia agito in qualità di professionista ponendo in essere la misura contestata.. 12. Con riferimento all’interpretazione delle nozioni giuridiche di “impresa” e di “attività economica” utilizzate dalla direttiva per definire le pratiche commerciali sleali, il giudice del rinvio richiama i principi emersi da alcune sentenze della Corte di Giustizia secondo i quali si considera un’impresa qualsiasi ente che eserciti un’attività economica a prescindere dal suo status giuridico e dalle sue modalità di finanziamento (sentenza 23 aprile 1991, causa C-41/90, Höfner e Elser, punto 21, sentenza 10 gennaio 2006, causa C-222/04, Cassa di risparmio di Firenze e a., punto 107, sentenza 11 dicembre 2007, causa C-280/06, ETI, punto 38 e sentenza del 3 marzo 2011, causa C-437/09, AG2R Prevoyance, punto 41) e si intende come attività economica ogni attività caratterizzata dal fatto di offrire beni o servizi su un determinato mercato (Corte di giustizia, sentenza 18 giugno 1998, causa C-35/96, Commissione/Italia, sentenza 11 luglio 2006, causa C- 4 205/03, FENIN/Commissione, punto 25 e sentenza 3 marzo 2011, causa C437/09, AG2R Prevoyance, punto 41). 13. Più nello specifico e con riferimento alla qualificazione come imprese dei regimi di previdenza sociale ai fini dell’applicazione degli articoli 81, 82 e 86 CE (ora 101, 102 e 106 TFUE), il giudice richiama una sentenza emblematica della Corte di Giustizia del 16 marzo 2004 (Cause riunite C-264/01, C-306/01, C-354/01 e C-355/01, AOK Bundesverband e altri). 14. In tale sentenza, la Corte ha ritenuto che la nozione di impresa, nel contesto del diritto comunitario della concorrenza, non riguarda gli organismi incaricati della gestione di regimi legali di assicurazione malattia e di assicurazione vecchiaia (e le loro associazioni) che perseguono un obiettivo esclusivamente sociale e non esercitano un’attività economica. 15. Così avviene nel caso delle casse malattia che, anche se il legislatore ha loro concesso un certo margine di libertà nella fissazione del tasso di contribuzione al fine di promuovere una buona gestione, sono legalmente tenute ad offrire ai loro iscritti prestazioni obbligatorie, essenzialmente identiche, che sono indipendenti dall’ammontare dei contributi. 16. Non avendo così alcuna possibilità di influire su tali prestazioni ed essendo riunite in una sorta di comunità fondata sul principio di solidarietà, che permette alle casse malattia di ripartire tra loro i costi e i rischi, esse non sono in concorrenza tra loro, né con istituti privati per la concessione delle prestazioni legali obbligatorie in materia di cure o di medicinali che costituiscono la loro funzione essenziale. 17. La Corte di Giustizia, con la medesima sentenza al punto 58, precisa: “Tuttavia non può escludersi che, ad eccezione delle loro funzioni di natura esclusivamente sociale, nell’ambito della gestione del sistema di previdenza sociale tedesco, la cassa malattia e gli enti che le rappresentano cioè le federazioni di casse, svolgano operazioni a fini diversi da quelli 5 sociali che sarebbero di natura economica. In tal caso le decisioni che esse sarebbero indotte ad adottare potrebbero eventualmente analizzarsi come decisioni di imprese o associazioni di imprese ”. 18. Il giudice del rinvio, nell’esprimere i propri dubbi sul fatto che detti principi sviluppati in ambito di applicazione degli artt. 101 e 102 del TFUE siano determinanti anche per l’interpretazione dell’articolo 2, lett. b) e d) della direttiva in materia di pratiche commerciali sleali, solleva dinanzi alla Corte di Giustizia, la questione pregiudiziale sopra richiamata. 19. Nell’ordinanza di rinvio, si dà atto che, al fine di rafforzare la concorrenza nel settore pubblico, il legislatore tedesco, attraverso diversi provvedimenti, ha introdotto margini discrezionali a favore delle casse malattie del regime legale per permettere una concorrenza, benché ridotta, in materia di prezzi e qualità tra le casse malattie del regime legale. Gli aventi diritto all’assicurazione sono legittimati, infatti, a scegliere la cassa malattia preferita tra diversi offerenti. 20. Anche se le casse malattia del regime legale non possono stabilire le aliquote contributive (determinate in maniera unitaria per tutte) esse hanno la possibilità di riscuotere contributi supplementari, concedere rimborsi contributivi ed offrire speciali tariffe a scelta. 21. Secondo il giudice del rinvio, se le casse malattia si avvalgono di queste possibilità, entrando in concorrenza con altre casse per attirare gli iscritti, per volontà del legislatore esse agiscono, sotto questo profilo, come imprese. 22. Ciò premesso, ad avviso del Governo italiano, la nozione di “professionista” al pari della definizione di “impresa” e di “attività economica” – strettamente connesse alla qualifica di professionista - va interpretata in modo ampio ed a prescindere dalla qualificazione giuridica rivestita dal soggetto, in piena coerenza con la finalità della direttiva 2005/29/CE di assicurare un livello elevato di protezione dei consumatori. 6 23. Condizione essenziale deve ritenersi la circostanza che si tratti di un soggetto che agisce sul mercato nell’ambito di un’attività professionale o imprenditoriale economicamente rilevante, ovvero per uno scopo connesso all’esercizio della sua attività d’impresa e che la condotta o l’omissione posta in essere nei confronti dei consumatori sia idonea a condizionarne in modo rilevante le scelte economiche. 24. Con specifico riguardo alla questione degli enti previdenziali c.d. casse malattia, l’Autorità antitrust italiana si è espressa nel senso di riconoscere la qualifica di professionista all’Inpdap - Istituto Nazionale di Previdenza per i Dipendenti dell’Amministrazione Pubblica. 25. Con la delibera del 17 settembre 2008 (Ps698 - Inpdap - Prestazioni Creditizie E Sociali), l’Istituto è stato ritenuto responsabile e sanzionato per la diffusione di una pratica commerciale scorretta ai sensi dell’articolo 22 del Codice del Consumo, che ha recepito nell’ordinamento italiano la direttiva 2005/29/CE, in quanto, nel prospettare l’offerta di prestiti e mutui erogati dalla Gestione unitaria delle prestazioni creditizie e sociali, aveva omesso di fornire informazioni rilevanti concernenti le condizioni cui resta subordinata la possibilità per il consumatore di fruire dei servizi finanziari reclamizzati. 26. La predetta Autorità, nel caso richiamato, ha rilevato che, se è vero che l’erogazione di prestazioni creditizie da parte dell’Inpdap è soggetta ad un regime normativo pubblicistico, la pratica scorretta ascrivibile all’Ente esula completamente dall’attività istituzionale relativa alla gestione del Fondo per il credito, risolvendosi in una forma di pubblicità volta ad attrarre i consumatori in concorrenza con l’attività creditizia di impresa svolta dalle banche. La natura pubblica del soggetto che opera con strumenti privatistici nei confronti dei consumatori, pertanto, non osta alla sua qualifica in termini di “professionista” ed alla conseguente applicazione della disciplina del Codice del Consumo. 7 27. Il principio secondo il quale la qualificazione di un soggetto come organismo di diritto pubblico non determina di per sé l'esonero dal rispetto delle regole della normativa antitrust trova conferma anche nelle decisioni della giurisprudenza italiana. 28. In tal senso si è espresso il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio (sent. n. 3954/2011), all’esito dell’impugnativa del procedimento PS4732 Passante di Mestre (in cui la natura di concessionario della rete autostradale rivestita da CAV - Concessioni Autostradali Venete non ha influito sulla qualifica dello stesso come imprenditore), rilevando come non sia condivisibile l’assunto secondo il quale una società concessionaria di pubblico servizio non possa qualificarsi quale professionista ai sensi del Codice del Consumo in quanto “la gestione di una infrastruttura stradale costituisce un’attività economicamente rilevante e, quindi, idonea a generare un reddito potenzialmente utile tanto a recuperare l’investimento profuso nella costruzione dell’infrastruttura che a remunerare il capitale”. 29. Il principio si è consolidato anche in seno al Consiglio di Stato (sez. VI, 20.5.2001, n. 3013) che ritiene applicabile la normativa antitrust anche agli organismi di diritto pubblico, in quanto l'esenzione prevista dal comma 2 dell' art. 8 legge n. 287 del 1990 (recante norme per la tutela della concorrenza e del mercato) per le imprese che gestiscono servizi di interesse economico generale, opera limitatamente "a tutto quanto strettamente connesso all'adempimento degli specifici compiti loro affidati". 30. Conseguentemente, qualora le summenzionate attività, pur se svolte da organismi di diritto pubblico, prescindano dallo scopo istituzionale per cui quelle pubbliche funzioni sono state conferite, viene meno il nesso funzionale con il carattere non economico dell'attività posta in essere, la quale rientra a pieno titolo nell'ambito dell'attività di impresa privatistica, con conseguente legittima applicazione, limitatamente a tali ipotesi, della disciplina a tutela della concorrenza, prevista dalla legge n. 287/1990. 8 31. In questa prospettiva, rientrano nella nozione di imprese per il diritto della concorrenza anche istituzioni pubbliche o i monopoli di Stato ovvero le aziende pubbliche, anche incaricate di un servizio pubblico, nella misura in cui essi svolgano un’attività economica a scopo di lucro. 32. La dimensione dell’impresa è assolutamente irrilevante, così come la sua forma giuridica o le modalità di suo finanziamento o il fatto che le sia o meno riconosciuta personalità giuridica o che sia di proprietà privata, pubblica o mista. 33. Alla luce di quanto sopra, il Governo italiano condivide l’impostazione espressa dalla Corte di cassazione tedesca nell’ordinanza di rinvio, ritenendo applicabile la direttiva sulle pratiche commerciali sleali alle casse malattie, che seppure enti pubblicistici, rientrano, nei limiti suddetti, nella definizione di “professionista”. 34. La tesi presuppone, quale imprescindibile condizione, che la condotta posta in essere da tali enti non persegua finalità sociali o assistenziali, ma sia connotabile come attività di tipo economico. In tali casi infatti l’Ente è qualificabile come professionista, in quanto agisce come un operatore economico in regime di concorrenza con altri operatori. 35. Di contro, va escluso che l’ente rientri nella nozione di professionista con conseguente inapplicabilità della direttiva, laddove l’attività svolta persegua esclusivamente, e pertanto senza margini di discrezionalità, gli obiettivi sociali pubblicistici ad esso conferiti per la gestione dei regimi di previdenza e assicurazione malattia. 36. In conclusione, il quadro delineato e la necessità di non comprimere la finalità di ampia tutela dei consumatori, che costituisce espresso obiettivo della direttiva, depongono per un’interpretazione ampia della nozione di professionista che ricomprenda, nei termini e con i limiti sopra individuati, gli enti previdenziali. Conclusioni 9 37. Il Governo italiano propone quindi alla Corte di risolvere il quesito nel senso che l’art. 3, paragrafo 1, in combinato disposto con l’art. 2 lett. d) della direttiva 2005/29/CE sulle pratiche commerciali sleali debba essere interpretato nel senso che l’azione di un professionista, la quale si configuri come pratica commerciale di un’impresa nei confronti dei consumatori, può ravvisarsi anche nel fatto che una cassa malattia del regime legale fornisca informazioni (ingannevoli) ai propri iscritti circa gli svantaggi derivanti agli stessi in caso di passaggio ad un’altra cassa malattia del regime legale. Roma, 5 giugno 2012 Wally Ferrante Avvocato dello Stato