PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE TANA DE ZULUETA La

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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE TANA DE ZULUETA La
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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE
TANA DE ZULUETA
La seduta comincia alle 14,30.
(La Commissione approva il processo
verbale della seduta precedente).
Sulla pubblicità dei lavori.
PRESIDENTE. Avverto che, se non vi
sono obiezioni, la pubblicità dei lavori
della seduta odierna sarà assicurata anche
attraverso l’attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Cosı̀ rimane stabilito).
Audizione del direttore esecutivo dell’United Nations Office on Drugs and Crime
Control and Prevention (UNODCCP),
Antonio Maria Costa.
PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca,
nell’ambito dell’indagine conoscitiva sulle
istituzioni ed i processi di governo della
globalizzazione, l’audizione del direttore
esecutivo dell’United Nations Office on
Drugs and Crime Control and Prevention
(UNODCCP), Antonio Maria Costa, al
quale do subito la parola.
ANTONIO MARIA COSTA, Direttore
esecutivo dell’United Nations Office on
Drugs and Crime Control and Prevention
(UNODCCP). Ringrazio innanzitutto la
presidente della Commissione e i parlamentari per l’onore di questo invito. La
presentazione sarà soprattutto visuale,
ovvero basata su una serie di istogrammi,
fotografie e materiale analitico che vi
permetterà non solo di comprendere me-
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glio il nostro lavoro di responsabili dell’Ufficio droga, crimine e terrorismo delle
Nazioni Unite, ma anche di collegare i
tre temi del titolo (droghe, crimine, terrorismo) in un contesto globale, come è
doveroso per quanto riguarda le attività
e le preoccupazioni di una Commissione
di questa natura. Se nel corso della
presentazione i membri della Commissione volessero pormi domande, sarò ben
lieto di rispondere; infatti, vorrei che
l’incontro prendesse più la forma di una
conversazione, piuttosto che di una conferenza, a mio avviso non adeguata in
questo contesto.
Vorrei approfondire la presenza di temi
quali droga, crimine e terrorismo, le loro
interazioni, specificamente in certe regioni
definite vulnerabili, per poi concentrare
fondamentalmente l’attenzione su crimine
e droga; in proposito vorrei fare un’anticipazione dei temi trattati nel nostro rapporto annuale sulla droga, di cui lascio
una copia in inglese. Si tratta di materiale
pubblicato solo da qualche giorno (e
quindi molto recente), che delinea un
quadro del problema droga a livello mondiale, nel contesto dell’interazione con crimine e terrorismo.
Se potessimo rappresentare visivamente il nostro mandato, si potrebbero
immaginare due triangoli invertiti, di cui il
primo, rovesciato, rappresenta il nostro
lavoro e quindi il mandato conferito al
nostro ufficio (droga, crimini e terrorismo)
ed il secondo i nobili obiettivi delle Nazioni Unite (pace, sicurezza e sviluppo).
Personalmente ho un problema di immagine all’interno delle Nazioni Unite, perché
mi occupo di temi turpi, manifestazioni
della società « incivile » a fronte delle nobili cause delle Nazioni Unite. Scherzosamente, infatti, i miei colleghi mi chiamano
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il sottosegretario incaricato degli « affari
sinistri », ovvero di atteggiamenti distorti
dell’umanità. Vi presento però i nostri
temi in relazione a obiettivi molto nobili,
perché il traffico di droga, il crimine
collegato ad esso e il terrorismo costituiscono minacce alla piena realizzazione di
pace, sviluppo e sicurezza, laddove, al
contrario, un contesto di pace, sicurezza e
sviluppo riduce il rischio del consumo di
droghe, dei crimini e del terrorismo.
I nostri aspetti sono quindi profondamente legati agli obiettivi nobili delle Nazioni Unite, ma devono essere trattati in
quanto tali e soprattutto in base alle loro
relazioni. Si tratta forse della parte più
difficile del nostro lavoro. La droga riguarda fondamentalmente un problema di
sanità, ovvero la malattia della tossicodipendenza, ma anche il crimine legato allo
spaccio di droga. Se immaginiamo crimine, droghe e terrorismo come tre cerchi
tra di loro intersecanti, lo spicchio comune
tra crimine e droghe rappresenta i reati
legati allo spaccio di droga, mentre quello
comune tra crimine e terrorismo riguarda
l’ assistenza logistica e i finanziamenti al
terrorismo forniti dalle organizzazioni criminali. Lo spicchio comune tra droghe e
terrorismo riguarda addirittura casi di
terrorismo finanziato con il traffico di
droga. Lo spicchio comune a tutti e tre i
cerchi è costituito da una sorta triangolo
curvilineo centrale dove, in alcuni casi, i
tre fenomeni coesistono in maniera cosı̀
virulenta da delineare Paesi (failed States)
in cui l’autorità pubblica o ha fallito, o
non esiste o comunque è in fase di transizione.
Vorrei quindi trattare brevemente i tre
temi (crimine, droga e terrorismo), ma
anche la loro interazione, soprattutto laddove tutti e tre coesistono, ovvero nei
cosiddetti « buchi neri », riguardanti zone
totalmente sfuggite al controllo. L’indice di
questi Paesi non è stato realizzato da noi,
ma fornisce una rappresentazione chiara
delle aree che si possono considerare assolutamente pericolose per il sistema geopolitico.
Il Sudan è al primo posto, seguito
dall’Iraq e dalla Somalia. Conoscete la
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difficile situazione interna dello Zimbabwe, il conflitto tra il Ciad e il Sudan o
comunque tra i gruppi etnici che violano
l’integrità territoriale dei due Paesi. Al
sesto posto si trova la Costa d’Avorio,
dilaniata da una drammatica guerra civile
con conseguenze a tutti note. Il Congo è
tuttora attraversato dal dramma dei bambini soldati, dello sfruttamento e della
violenza etnica. Seguono l’Afghanistan, la
Guinea Bissau (forse il punto di maggior
transito di droga proveniente soprattutto
dalla Colombia), la Birmania, la Corea del
nord e il Pakistan. Tali Paesi, nella loro
totalità o in talune regioni, vengono considerati fallimentari dal punto di vista
dell’ordine pubblico, della società civile,
dei diritti dell’uomo, e, di conseguenza,
meritano un’attenzione particolare.
Stiamo analizzando in dettaglio le regioni dove tali problematiche sono concentrate. In un rapporto sull’America centrale e i Caraibi abbiamo una rappresentazione di una zona del mondo coinvolta
nel fuoco incrociato della cocaina, proveniente dall’America del sud, e del grande
mercato di consumo dell’America del
nord, con conseguenti flussi anche di traffico di risorse e di riciclaggio del denaro.
Si tratta di una zona del mondo molto
bella anche dal punto di vista turistico, ma
straordinariamente indebolita dal crimine
organizzato, dalla corruzione, dalle cosiddette baby gangs (o maras), costituite da
ragazzi di 14-15-16 anni e diventate un
pericolo pubblico in Salvador, Nicaragua e
Guatemala, dalla disoccupazione e cosı̀
via.
L’insicurezza umana è dunque il risultato della mancanza di sviluppo (quindi
della povertà), che generano l’intrinseca
insicurezza e indeboliscono la fiducia nelle
istituzioni, riducendo gli investimenti stranieri. Abbiamo approfondito questo tema
per quella regione in un rapporto di circa
duecento pagine diviso in due volumi, uno
sui Caraibi ed uno sull’America centrale,
per evidenziare il legame che unisce l’insicurezza causata dalla povertà e la mancanza di sviluppo, di impiego e di buon
governo.
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Uno studio analogo è stato fatto per
l’Africa, in cui sono rappresentate le zone
di un conflitto, che può essere etnico come
in Congo, ma anche riguardare piccole
esplosioni degli ultimi 15 anni, densamente collocate nella parte orientale del
continente (il cosiddetto « Corno d’Africa »,
Somalia, Etiopia ed Eritrea) e nella zona
centrale del Sudan occidentale, ai confini
con il Ciad. In esso si evidenziano la tratta
di essere umani, il traffico di armi, o il
traffico illegale di risorse, come lo sfruttamento di diamanti. Nel film hollywoodiano Blood Diamond si racconta come la
criminalità organizzata fomenti violenze di
matrice politica o etnica per approfittare
della mancanza di autorità e di sicurezza.
Si instaura quindi un circolo vizioso tra la
povertà e il conflitto, ingrediente che facilita la presenza della criminalità organizzata, laddove essa impedisce la ripresa
delle attività economiche.
Abbiamo poi realizzato un altro rapporto, che analizza la relazione tra crimine e mancanza di sviluppo in Africa.
Quando circa 18 mesi fa abbiamo cominciato a studiare il caso dell’Africa per
valutare le ragioni del tremendo livello di
crimine che la caratterizza, abbiamo individuato cause legate alla mancanza di
sviluppo. Si tratta di un continente molto
giovane, con circa metà della popolazione
sotto i 28 anni, caratterizzato da massiccia
disoccupazione, da aggregati urbani in
rapida crescita senza servizi in grado di
garantire sopravvivenza, da forti disuguaglianze di reddito. Tutto ciò porta al
traffico di armi provenienti soprattutto dai
nostri Paesi ricchi, che indirettamente partecipano ai conflitti. Questo crea un clima
che ha un impatto negativo sullo sviluppo.
La criminalità erode il capitale umano,
impedisce o scoraggia gli investimenti stranieri e porta l’intero sistema all’implosione
di tendenze perverse che ne alimentano
altre simili.
Stiamo studiando in profondità anche
il fenomeno delle grandi città in crisi,
sfuggite al controllo delle autorità, concentrando l’attenzione su una dozzina di
metropoli: in America Latina Rio de Janeiro, San Paolo, Città del Messico, Bogotà
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(a Medellin invece la situazione è migliorata, anche se è una città molto piccola
rispetto alle altre); in Africa Città del
Capo, Johannesburg, Lagos (Nigeria), Nairobi (Kenya). Queste città sono sfuggite al
controllo delle autorità e presentano situazioni esplosive a scoppio ritardato, caratterizzate dall’enorme presenza di umanità, in quanto contengono dai 12 ai 15
milioni di abitanti, realtà sconosciute in
Europa, e ben più popolose di Parigi e di
Londra. Esse rappresentano una minaccia
non solo per i loro cittadini ma anche per
i rispettivi Paesi e costituiscono una sfida
per tutti noi. Se infatti non daremo vita ad
un’assistenza allo sviluppo mirata proprio
alla loro crescita e alla creazione di occupazione in grado di evitare crisi, in un
futuro non troppo lontano si verificheranno violenze urbane simili a quelle riscontrate nei conflitti civili in Paesi dell’America Latina e soprattutto dell’Africa.
Questo mi induce a definire più specificatamente cosa intendano le Nazioni
Unite con il termine « crimine » e poi a
parlare di droga e delle relazioni tra i due
fenomeni. L’ONU definisce il crimine come
manifestazioni antisociali multilaterali,
quali il traffico di droga, la tratta di
persone (soprattutto donne ma anche
bambini) ridotte in forme di schiavitù
moderna, il contrabbando di armi, il furto
di identità soprattutto attraverso Internet
con la contraffazione dei marchi più famosi (furto della proprietà intellettuale), lo
sfruttamento illegale di risorse naturali, la
corruzione, il traffico di clandestini e cosı̀
via. Su queste aree concentreremo l’attenzione, tralasciando il crimine percepito dal
cittadino comune, come il furto nelle abitazioni o di auto, lo stupro o addirittura
l’omicidio. Non ci occupiamo di tali casistiche perché le Nazioni Unite concentrano l’attenzione sulle dimensioni transnazionali e internazionali e non sul crimine locale o tecnicamente definito convenzionale; l’ONU si occupa della mafia a
carattere internazionale.
La fotografia di cui voglio parlarvi è
stata scattata a sud di Lampedusa alcune
settimane addietro e ritrae una tonnara
con tonnellate di pesce vivo all’interno, che
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era in transito in quella zona. Vicino ad
essa è affondato un barcone di clandestini,
ma il comandante della nave si è rifiutato
di trarli in salvo per timore di perdere il
valore del pescato all’interno della tonnara
– rete con una circonferenza in legno al
cui interno sono imprigionati i tonni –
limitandosi a offrire a questi poveretti,
provenienti ovviamente dall’Africa, di stare
per due giorni appoggiati o seduti, senza
cibo né acqua, fino a quando una motovedetta italiana li ha portati in salvo a
Lampedusa.
Ritengo che questa sia una delle rappresentazioni più tragiche, (sulla destra
del lucido si vedono le operazioni di
recupero dei cadaveri e di salvataggio di
clandestini accompagnati dai carabinieri).
Mi soffermo su questo perché l’Assemblea
generale ci ha conferito lo specifico mandato di studiare non gli aspetti dell’immigrazione illegale in generale, bensı̀ il ruolo
della criminalità organizzata in questi
traffici, in questi transiti e in questi trasporti. I barconi – che talvolta sono pescherecci trasformati – usati per trasportare gli immigrati non solo in Italia ma
anche in Spagna sono gestiti infatti dalla
criminalità organizzata, che impone loro
un prezzo del transito. Su questo aspetto
abbiamo mandato di concentrare l’attenzione.
La foto di Lampedusa rappresenta uno
degli esiti dei traffici interni di clandestini
provenienti da tutte le zone di conflitto.
Come legislatori e soprattutto come deputati eletti nelle vostre circoscrizioni, siete
consapevoli della drammatica situazione
di sottosviluppo, povertà e conflitto in
Africa, che crea masse enormi delle quali
solo una frazione per ora ha raggiunto
l’Europa o altri Paesi del mondo. Le
potenzialità di traffico di clandestini sono
straordinarie, perché si tratta di un continente di 620 milioni di persone, delle
quali circa 500 milioni vivono in condizioni terribilmente disagiate. Il traffico di
clandestini e l’immigrazione illegale – per
la quale tuttavia non ho mandato – possono solo aumentare. Il problema non si
limita quindi alla necessità di contrastare
l’arrivo dei clandestini, che pure potrebbe
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essere importante per la sicurezza, ma
riguarda anche la forte esigenza di incrementare lo sviluppo dell’Africa proprio per
eliminare le motivazioni che inducono
questi disgraziati a rivolgersi alla criminalità organizzata per raggiungere l’Europa.
Questi flussi sono relativi soprattutto
alla parte disastrata del Corno dell’Africa
(Somalia), alla costa occidentale (Senegal,
Guinea, Costa d’Avorio, Liberia) caratterizzata da conflitti, oppure al Niger e al
Ciad. Tali flussi arrivano naturalmente in
Italia e a Malta attraverso le frontiere del
Nord Africa, o in Spagna, Portogallo e
Canarie, non più tanto dal Marocco e
neanche dalla Mauritania, ma soprattutto
dal Senegal e dalla Guinea Bissau.
Abbiamo lanciato un’iniziativa contro il
traffico di esseri umani, signor presidente,
e in proposito lascio copia di un piccolo
opuscolo esplicativo, purtroppo in inglese
perché il mio ufficio lavora in quella
lingua. L’iniziativa mira a trattare il tema
del traffico di esseri umani, fenomeno
diverso dal contrabbando degli immigrati
clandestini. Negli accordi internazionali
sottoscritti dall’Italia tale differenza è ben
conosciuta, ma a livello pratico ed analitico essa è talvolta molto sfumata, laddove
devono invece essere considerati due fenomeni diversi. La tratta riguarda donne
(non solo bianche) e bambini indirizzati
verso forme di schiavitù, non solo a sfondo
sessuale, quali lo sfruttamento in miniera
in Africa, nelle zone tropicali del Brasile o
domestico in alcuni Paesi arabi. Ciascuna
cultura ha sviluppato infatti una diversa
forma di schiavitù.
Abbiamo lanciato un’enorme iniziativa
su scala mondiale, per capire le motivazioni e i fenomeni che portano allo sviluppo di questa nuova forma di schiavitù
che coinvolge 1 o 1,5 milioni di persone
annualmente, tanto che nel mondo già
12-15 milioni di persone sono ridotte in
schiavitù. Tali cifre terrificanti rappresentano un dramma su cui è possibile intervenire. Esistono grandi accordi internazionali che l’Italia ha sottoscritto e ratificato;
soprattutto è in vigore un protocollo internazionale per prevenire il dramma,
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proteggere le vittime e punire i responsabili. Se siete interessati, potrei approfondire questo aspetto.
Vorrei passare al legame piuttosto controverso tra il terrorismo e la droga, o
meglio al problema di come il traffico di
droga alimenti o abbia alimentato in passato attività terroristiche. In Afghanistan,
il gruppo dei talebani di Al Qaeda è
finanziato in gran misura dal traffico di
eroina, mentre in Kosovo, il Kosovo Liberation Army, soprattutto nelle sue schegge
impazzite, è stato ampiamente coinvolto
nel traffico di eroina attraverso i Balcani;
inoltre, sappiamo che l’esercito WA nella
zona orientale del Myanmar tuttora è
coinvolto nel traffico di eroina locale, non
di quella afghana. In Colombia due dei tre
gruppi guerriglieri – l’AUC e il FARC – si
finanziano attraverso il traffico di cocaina,
mentre l’Ejército di Liberaciòn Nacional
(ELN) è meno implicato. I maoisti in
Nepal, per un certo periodo di tempo –
non abbiamo più prove in merito – si sono
alimentati attraverso la cannabis. In Sri
Lanka il traffico di eroina proveniente
dall’Afghanistan è tuttora in corso. Ovviamente anche il PKK della Turchia è stato
implicato. Persino l’IRA in Irlanda è stato
coinvolto, tanto che alcuni terroristi irlandesi sono stati arrestati in Colombia, la cui
cocaina veniva trafficata in Europa. In
Perù il gruppo terroristico di Shining Path
negli anni Novanta si è finanziato con il
traffico di cocaina, ma ormai si limita a
poche cellule di poche decine di persone.
È analitica e non causale la relazione
che abbiamo voluto deliberatamente
porre. Vi è stata un’enorme riduzione
delle coltivazioni di cocaina in Perù, passata dai 115.000 ettari del 1995 a meno
della metà del 2004. A tale grandezza
abbiamo correlato il numero di incidenti e
di morti causati dalla guerriglia. Il calo di
entrambe le tendenze – produzione di
cocaina e incidenti terroristici – e la
minima ripresa a partire dal 2000 inducono a ritenere che i due fenomeni siano
collegati tra loro. Ripeto che non necessariamente si tratta di un nesso di causalità, bensı̀ piuttosto di una correlazione,
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che alcuni interpretano secondo un rapporto di causa ed effetto. In proposito,
lascio decidere voi.
Lo stesso si verifica in Colombia, dove
si rileva la forte crescita delle coltivazioni
(da 14.000 a 166.000 ettari) e poi il calo
dell’ultimo periodo – aggiornato al 2006 –
a 78.000 ettari di coltivazioni. Anche l’attività in termini di dimensione dei gruppi
illegali si è ridotta ulteriormente. Ci siamo
fermati al 2004 perché volevamo fornire
un’indicazione per avviare un dibattito,
piuttosto che indicare la tendenza anno
per anno. I due aspetti si susseguono con
una minima distanza temporale, giacché la
crescita della coltivazione di cocaina precede di 2-3 anni quella dei gruppi illegali.
Si rileva quindi una certa correlazione tra
la crescita o la diminuzione della produzione di coca e quelle dei gruppi di attività
illegale.
Il rapporto che ho consegnato, signor
presidente, fornisce una panoramica aggiornata della situazione della droga a
livello mondiale. Copriamo tutte le aree
della tossicodipendenza: traffico, riciclaggio del denaro, produzione e coltivazione.
Dal rapporto si evince la preminente situazione dell’Afghanistan. La produzione
è rimasta relativamente stabile negli ultimi
15 anni, con un paio di punte all’inizio
dell’epoca talebana (1994 e 1999) e una
riduzione dell’80 per cento nel 2001, ovvero nell’ultimo anno di presenza talebana. Infine, un ulteriore picco è stato
registrato nel 2006, nel periodo di Karzai.
Si tratta quindi di una tendenza relativamente stabile; soprattutto nel 2006 la
produzione è risultata esagerata rispetto
alla domanda, che ammonta a circa 4.000
tonnellate, a fronte della produzione afghana di 6.100 tonnellate. Anche quest’anno l’ammontare non sarà molto diverso, per cui si registrerà un’eccedenza di
offerta che merita approfondimenti.
Inoltre, è analizzata la situazione del
Myanmar (Birmania), la cui produzione
diminuisce
considerevolmente
dai
120-130.000 ettari di quindici anni fa ai
27.000 ettari dell’ultimo dato, non ancora
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pubblicato. Pertanto, vi è un calo fortissimo mentre l’Afghanistan copre il 92 per
cento del mercato mondiale.
Pochi giorni fa ho partecipato alla
Conferenza internazionale sulla giustizia
in Afghanistan in cui questi temi sono
emersi. Il Paese non è totalmente coinvolto
nella produzione di droga, perché le province nella parte settentrionale e orientale
sono libere da oppio o comunque con una
percentuale di coltivazioni trascurabile,
cosı̀ come anche la parte centrale. Il
dramma riguarda la parte meridionale e
soprattutto la provincia di Helmand che
presenta livelli di coltivazione più alti
rispetto al resto del Paese. Si evidenzia
quindi come il problema dell’oppio in
Afghanistan sia soprattutto legato alla
guerriglia e alla presenza di centri operativi talebani che ne alimentano la coltivazione. La droga afghana transita verso il
nord per una percentuale relativamente
piccola (circa il 20 per cento) attraverso i
Paesi dell’Asia centrale, mentre l’80 per
cento transita attraverso il Pakistan, collocato nella zona sud-orientale del confine
afghano e soprattutto l’Iran, nella parte
meridionale. Nella nostra rappresentazione grafica, il volume delle tonnellate di
droga del traffico – che stimiamo transiti
attraverso l’Iraq, la Turchia e i Paesi
balcanici fino ad Amsterdam (grande centro di smistamento) e a Tirana – è indicato dallo spessore delle frecce. Questa è
la droga afghana, costituita soprattutto da
eroina, e secondariamente anche da morfina e da oppio.
Desidero presentarvi una nostra iniziativa per dimostrare come sia alta la nostra
attenzione, grazie anche alla forte presenza finanziaria dell’Italia in questi programmi. L’iniziativa lanciata poche settimane fa si rivela importante a livello
politico, perché ho separatamente incontrato i tre presidenti di Pakistan, Iran e
Afghanistan e invitato i relativi ministri
degli interni e del settore antinarcotico a
Vienna per discutere le modalità di potenziamento dei controlli al confine, che
rivestono grande importanza politica e
strategica. Infatti, i confini con il Pakistan,
l’Iran e quelli settentrionali sono caratte-
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rizzati dal transito non solo di morfina, di
eroina e di oppio ma anche di guerriglieri
e di cittadini.
Oggi si assiste al delinearsi di una
dimensione assolutamente nuova, che amplifica il dramma dell’Africa, il continente
più tragico a livello mondiale, in cui si
rilevano enorme povertà e disoccupazione.
Purtroppo negli ultimi dodici-diciotto mesi
devo confermare che l’Africa è assediata
dai trafficanti di cocaina dalle Ande e da
quelli di eroina dall’Afghanistan e dal
Pakistan.
Ciò è dovuto soprattutto al fatto che
l’Africa è diventata un punto di traffico, in
quanto i doganieri e i nostri controllori
alle frontiere, ai porti e agli aeroporti in
Europa non si aspettano che la droga
arrivi dall’Africa, magari nascosta in un
carico di banane; solitamente i carichi
provenienti dai Paesi andini, dell’America
centrale o dai Caraibi destano maggiori
sospetti. Stiamo cercando quindi di allertare i controllori e i doganieri nei vari
punti di ingresso in Europa affinché vaglino accuratamente anche le merci provenienti dall’Africa, perché esistono queste
nuove rotte. Analoga attenzione va posta
all’eroina che proviene dall’Afghanistan e
che attraversa i Paesi del Golfo. In effetti,
la droga passa attraverso lo Yemen, che è
all’estremo del Golfo, entra nel Corno
dell’Africa, in Paesi distrutti come la Somalia, per giungere poi in Europa. Tale
traffico rappresenta una tragedia per
l’Africa e dovrà essere analizzato anche
dal punto di vista geopolitico, aspetto che
interessa ovviamente questa Commissione.
Per quanto riguarda invece la domanda, ovvero la tossicodipendenza, essa
può essere rappresentata da una serie di
cerchi concentrici. Il cerchio più ampio
indica la popolazione mondiale (6.475 milioni di persone), mentre quello immediatamente successivo (4 miliardi e 177 milioni di persone) la popolazione di età
compresa tra i 15 e i 64 anni, a rischio di
droga o di altre forme di tossicodipendenza. Di questi, 3,9 miliardi non fanno
uso di droghe, mentre 200 milioni di
persone (il cerchio successivo) ha dichiarato di avere usato droga negli ultimi 12
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mesi. Non si tratta quindi necessariamente
di tossicodipendenza, ma di semplice uso
di droga, talvolta sporadico. I due cerchi
più vicini al centro sono quelli più significativi; il primo indica il numero di persone (circa 100 milioni) che fanno uso di
droga almeno una volta al mese (situazione sanitaria già più pericolosa), mentre il
secondo indica i 25 milioni di individui
con seri problemi di tossicodipendenza,
sui quali desideriamo concentrare l’attenzione. Come Nazioni Unite, miriamo a
impedire attraverso forme di prevenzione
che coloro che non usano droga o la usano
saltuariamente gravitino verso il centro dei
cerchi; inoltre, tentiamo di facilitare
l’uscita di coloro che sono nel tunnel della
droga, ponendo fine al loro tormento attraverso un’assistenza sanitaria adeguata.
La droga colpisce quindi 25 milioni di
persone su una totalità di popolazione
mondiale di circa 6 miliardi.
Per quanto riguarda il consumo della
cocaina, i tre Paesi a rischio in Europa
sono Spagna, Italia e Regno Unito, mentre
gli altri Paesi europei hanno tassi di dipendenza molto più bassi. Si fa riferimento alla popolazione dai 15 ai 64 anni;
il livello più alto al mondo è raggiunto
dalla Spagna con il 3 per cento, seguita
dagli Stati Uniti con il 2,8 per cento, dal
Regno Unito con il 2,4 per cento e dall’Italia con il 2,1 per cento.
Per quanto riguarda il consumo di
cannabis in Europa, tra i livelli più elevati
vi sono sempre Italia e Spagna, nonché
Svizzera, Francia – all’8 per cento – e
Regno Unito. Il livello europeo è del 5,6
per cento, mentre noi abbiamo una media
doppia. Di nuovo, l’età a rischio è quella
compresa tra i 15 e i 64 anni.
In ultima istanza, segnaliamo come
l’Italia sia tra i quattro o cinque maggiori
azionisti del mio ufficio con circa il 10
milioni di contributo; in passato l’Italia ha
partecipato a livelli ancora più elevati con
quote che hanno raggiunto anche i 18
milioni. Attraverso la sua persona, signor
presidente, e attraverso la Commissione,
vorrei quindi ringraziare le autorità italiane per la loro forte presenza.
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Rimango a disposizione per rispondere
a ogni domanda, scusandomi per aver
eventualmente occupato più tempo di
quanto necessario.
PRESIDENTE. La ringrazio, dottor Costa, per il suo intervento.
Do la parola ai colleghi che intendono
intervenire per porre quesiti o formulare
osservazioni.
SERGIO D’ELIA. Grazie, dottor Costa,
per la sua relazione. Desidero formulare
un’osservazione e porre una domanda
molto specifica sull’Afghanistan e sul ruolo
svolto dalle organizzazioni illegali rispetto
al traffico di droga, in particolare di
eroina, nel mondo. In una delle prime
immagini che lei ci ha mostrato, si evidenzia il nesso tra pace, sicurezza, sviluppo da un lato e droga, crimine organizzato, terrorismo dall’altro. Lei ha affermato che l’antidoto per queste gravi
emergenze del nostro tempo è costituito
proprio dallo sviluppo della pace, dallo
sviluppo umano ed economico e dalla
sicurezza.
Nei primi diciannove posti della lista, vi
sono i cosiddetti « Stati canaglia »; il termine può essere efficace dal punto di vista
giornalistico, ma tecnicamente potremmo
definirli come Stati nei quali non sono
rispettati i princı̀pi basilari di diritto internazionale, in particolare la libertà, la
democrazia, lo Stato di diritto. Dico questo
perché attribuisco grande importanza allo
sviluppo dei sistemi democratici e degli
standard internazionali in base ai quali
uno Stato si può definire Stato di diritto,
che sono molto più precisi e pregnanti
rispetto alle categorie della pace, della
sicurezza e dello sviluppo. Se consideriamo la lista che ci è stata illustrata, gli
Stati collocati dal primo al diciannovesimo
posto possono definirsi autoritari o illiberali. Nella sua classificazione, invece, sembra non essere considerato l’elemento pregnante dello sviluppo della democrazia,
dello Stato di diritto, delle libertà fondamentali, dal punto di vista economico,
umano e civile.
La domanda più precisa riguarda l’Afghanistan. La Camera dei deputati, in sede
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di approvazione del decreto di rifinanziamento delle missioni italiane all’estero, in
particolare per quanto riguarda l’Afghanistan, ha approvato una mozione che impegna il Governo non a tentare la strada
della legalizzazione dell’oppio e delle coltivazioni della droga, ma a promuovere un
esperimento pilota in Afghanistan, quantomeno nella zona in cui la presenza dei
talebani e delle organizzazioni dei narcotrafficanti risulta meno forte e si rileva un
controllo dello Stato, aiutato dalla coalizione, sul territorio in grado di consentire
la riconversione parziale di colture illegali
di oppio in colture legali al fine di produrre morfina per affrontare le gravi
emergenze della terapia del dolore. Questo
non riguarda solo l’Afghanistan, ma anche
altre parti del mondo, quali il continente
africano devastato dall’AIDS, dove la morfina è sconosciuta come sostanza da utilizzare nella terapia del dolore per i malati
terminali. Ho letto che lei sarebbe contrario a tale esperimento. Le chiedo dunque di chiarirci il suo punto di vista.
SABINA SINISCALCHI. La ringrazio
per questa purtroppo obbligatoriamente
sintetica illustrazione, risultata comunque
molto utile ai fini della nostra indagine
conoscitiva.
La mia domanda riguarda il crescente
fenomeno della corruzione, che purtroppo
aumenta di pari passo con il dinamismo
degli investimenti. Infatti, ad essere corrotti sono i Governi, ma tra i corruttori si
annoverano anche le imprese. A tal proposito, il caso Oil for Food in Iraq è stato
emblematico, giacché secondo ricerche
francesi alcune multinazionali risultano
coinvolte in questo odioso episodio, che da
un lato ha sostenuto la dittatura di Saddam Hussein e dall’altro ha sottratto beni
fondamentali alla popolazione di un Paese
oggetto del boicottaggio internazionale.
Gradirei quindi un approfondimento su
questo aspetto.
Lei ha sottolineato a più riprese nella
sua relazione la drammatica condizione
del continente africano, da cui la popolazione cerca di fuggire a causa della povertà e delle violazioni dei diritti umani.
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Mi ha molto colpito il dato che riguarda il
fenomeno della corruzione in questo continente (la fonte dovrebbe essere l’organizzazione non governativa Trasparency
International) secondo cui, a fronte dei 25
miliardi di dollari annui che l’Africa riceve
sotto forma di aiuto pubblico allo sviluppo, 150 miliardi vengano via a causa
dei Governi corrotti, ma anche dei corruttori, che spesso appartengono al nord
del mondo. Vorrei avere pertanto un suo
ulteriore contributo su questo aspetto.
PRESIDENTE. Vorrei aggiungere una
domanda. Ringraziando il dottor Costa per
aver delineato questo giro di orizzonte,
ricordo che sono stata relatrice per la
Commissione antimafia di un rapporto sul
traffico di esseri umani e, da quel momento, mi occupo del tema in modo
attento.
Lei ha rilevato come la distinzione tra
quello che la Convenzione denomina contrabbando di persone (migrants smuggling)
e il traffico sia teorica. Direi che questo è
vero in parte, perché l’esito può essere
drammaticamente diverso. È vero che le
persone trasportate illegalmente possono
morire e sono comunque a rischio di vita;
tuttavia, se il « pacco » viene consegnato la
persona trafficata è ridotta in schiavitù,
per cui il ruolo della criminalità non è solo
quello di trasportatore criminale, ma anche di sfruttatore.
Per evitare il rischio di un conflitto
teorico con le analisi di un altro organo
delle Nazioni Unite, l’UNCA, sarebbe forse
opportuno rilevare come la scheda da lei
titolata « Traffico di clandestini: dall’Africa
all’Europa », nella versione inglese diventi
« Migrants-smuggling routes », facendo riferimento a migranti contrabbandati dall’Africa. La distinzione è importante,
perché non sempre si tratta di clandestini.
La natura del motivo dello spostamento o
la sua illecità devono essere stabilite, altrimenti compromettiamo i loro diritti alla
protezione definendoli a priori clandestini.
Do la parola al direttore Costa per la
replica.
ANTONIO MARIA COSTA, Direttore
esecutivo dell’United Nations Office on
Camera dei Deputati
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Drugs and Crime Control and Prevention
(UNODCCP). Di queste osservazioni ringrazio sia la presidente che i colleghi.
Per quanto riguarda il primo punto,
concernente la mancanza di un’analisi
dello Stato di diritto, nella lista sono
inseriti « Paesi canaglia » e regioni sfuggite
al controllo. Accetto, quindi, il commento
fatto dall’onorevole, ma vorrei ricordare
che la lista di quei Paesi non è nostra, ma
desunta dalla Foreign Policy, al fine di
offrire un’indicazione e una mappa che
qualificasse i Paesi e dimostrasse la straordinaria concentrazione e il dramma dell’Africa. Tuttavia, accetto il commento.
Per quanto riguarda la proposta del
Senlis Council di utilizzare totalmente o in
parte l’oppio afghano a scopi terapeutici,
si tratta indubbiamente di un suggerimento molto nobile, che mira a risolvere
a un tempo il problema della sofferenza di
esseri umani in continenti come l’Africa e
l’America del sud dove non esiste la terapia del dolore, monopolio dei Paesi
ricchi (in effetti chi muore di cancro o di
AIDS in Africa soffre come chi muore nei
Paesi più ricchi), e il dramma dell’oppio
afghano.
La proposta rappresenta però per il
settore della droga il corrispettivo di un’altra proposta molto nobile, ma irrealistica,
secondo cui, per risolvere il problema
della fame dell’Africa, sarebbe opportuno
trasportarvi l’eccedenza alimentare – in
effetti straordinaria – dell’Europa e del
Nord America. In effetti, è impossibile
risolvere i due problemi in maniera tanto
semplicistica, perché esistono complesse
realtà economiche, sociali e di altra natura
che vanno prese in considerazione. Le
proposte sono entrambe nobili, ma assolutamente fuori dai tempi da noi concepiti
per quanto riguarda il dramma afghano.
La proposta del Senlis mirava a gestire
il Paese nella sua totalità, mentre lei
correttamente suggerisce di focalizzare
l’attenzione nelle province dove esiste
maggiore controllo del Governo. Il problema è che tale controllo del Governo
passa per le autorità nazionali o per quelle
che partecipano al consolidamento delle
strutture in Afghanistan. La capacità di
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controllare il flusso dell’oppio coltivato per
produrre morfina, piuttosto che eroina, è
assolutamente nulla, anche nelle province
di Balt, di Nangahar, di Badakshan, in cui
la presenza del Governo è migliore. Ritengo assolutamente irrealistico nell’arco
dei prossimi anni ipotizzare la possibilità
di controlli, come invece sono stati realizzati laddove l’oppio viene effettivamente
usato per scopi terapeutici, ovvero in India, Turchia, Tasmania, Inghilterra.
In India si è lavorato per circa 110 anni
per garantire il rispetto degli accordi originali sull’uso dell’oppio per scopi terapeutici, che risalgono all’inizio del secolo
scorso, e nell’ambito di un sistema di
governo molto forte, lasciato dall’autorità
coloniale preesistente. Non ravviso nulla
del genere in Afghanistan, che inoltre si
specializza in una gestione dell’oppio
molto diversa, simile a quella dell’India e
non a quella della Tasmania o dell’Inghilterra. Si specializza infatti nella raccolta
dell’oppio, invece che nel taglio della
pianta dell’oppio, come avviene in Turchia,
in Inghilterra o in Tasmania, per evitare di
far transitare l’oppio affinché non diventi
eroina. Questo non viene fatto, perciò
esiste un problema difficile, non risolvibile
nei prossimi anni.
Un secondo problema collegato a tale
questione riguarda i prezzi del mercato. A
livello internazionale il prezzo dell’oppio
usato a scopi terapeutici attraverso la
trasformazione in morfina, quindi in un
prodotto legale, varia dai 28 ai 30 dollari
al chilo, giungendo anche a 32 dollari in
alcune zone dell’India. Il prezzo dell’oppio
nel mercato afghano oggi è di 130 dollari,
perciò la tentazione di coloro...
SERGIO D’ELIA. Vanno tutti ai contadini questi 130 dollari ?
ANTONIO MARIA COSTA, Direttore
esecutivo dell’United Nations Office on
Drugs and Crime Control and Prevention
(UNODCCP). Sı̀, questo è il prezzo al
contadino, perché l’oppio viene comprato
direttamente nelle aziende dei piccoli villaggi. Poiché è inconcepibile pagare l’oppio
a scopo terapeutico a un prezzo quadru-
Camera dei Deputati
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plicato rispetto al mercato tradizionale, il
mercato illegale rimane.
Esiste inoltre un’altra triste considerazione: l’attuale carenza di domanda. La
gente muore senza essere trattata con
morfina, ma le scuole mediche o farmaceutiche e gli ospedali dei Paesi poveri, nei
quali si dovrebbe concentrare la morfina,
non hanno una cultura idonea ad utilizzarla nella terapia. La sua introduzione
appare dunque una responsabilità fondamentale delle Nazioni Unite e, in particolare, dell’Organizzazione mondiale della
sanità. Secondo le loro stime occorrono
una o due generazioni. Tale complessità di
fattori rende l’obiettivo nobile – sono il
primo a sottoscriverlo – ma le modalità
assolutamente inattuabili, come rimedio al
dramma corrente. Sebbene quindi a livello
politico gran parte degli osservatori siano
attratti dalla cosiddetta « pallottola d’argento » (the silver bullet) per risolvere due
problemi, in effetti ritengo che essi non
verrebbero rimossi. Sarei comunque disposto a discutere e ad approfondire questo tema, che ci appassiona ed emerge
molto spesso a livello politico, anche se
non a livello operativo.
Per quanto riguarda la domanda sulla
corruzione, devo scusarmi perché tale problema non è stato trattato nella mia esposizione. Mi dispiace perché costituisce uno
dei nostri grandi temi, giacché abbiamo
favorito il grande accordo internazionale,
poi trasformatosi nella Convenzione contro la corruzione, che spero l’Italia ratifichi presto. Concordo con lei, onorevole,
per quanto riguarda il ruolo delle imprese
private. Esse sono state coinvolte nello
scandalo Oil for Food che in fondo ha
riguardato le Nazioni Unite perché tale
operazione è stata gestita da noi; probabilmente non esiste alcuna grande azienda
europea o nordamericana che non sia
stata coinvolta negli ultimi tre o cinque
anni in scandali legati alla corruzione,
usata come strumento per acquistare mercati.
La Convenzione delle Nazioni Unite,
concordata tra i Paesi, non concentra
l’attenzione sul settore privato piuttosto
che su quello pubblico, bensı̀ sulla tipo-
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logia. La corruzione è visibile soprattutto
nel collegamento tra i due settori, pubblico
e privato. Si verifica infatti negli appalti
(tipico esempio dove il settore privato
corrompe quello pubblico) o nelle commesse di Stato, come nel caso degli aerei
venduti dall’Inghilterra all’Arabia Saudita,
emerso nelle ultime settimane. Il nostro
ufficio sta concentrando l’attenzione sul
legame tra queste due componenti.
È stato inoltre sottolineato il dramma
della corruzione in Africa, che è straordinario. Abbiamo appena lanciato una
grossa iniziativa con la Banca mondiale,
concentrando l’attenzione sui Paesi più
colpiti dal dramma della corruzione di
Stato, tra cui figurano Kenya, Nigeria e
Congo oltre naturalmente a Perù, Indonesia e ad altri ancora. Le cifre che lei ha
citato, onorevole, ovvero 25 miliardi di
aiuti allo sviluppo e il quadruplo di capitali che sfuggono alle autorità nazionali, in
quanto fondi espatriati illegalmente, sono
solo indicative, tuttavia ne riconosco l’ordine di grandezza. È in corso un dibattito
tra gli economisti e coloro che partecipano
allo sviluppo per valutare se dare priorità
a criteri come quello dell’integrità nella
politica di gestione della cosa pubblica, in
Africa come altrove. D’altra parte, esiste
una differente posizione secondo cui i
Paesi africani sono cosı̀ terribilmente poveri e hanno talmente bisogno di assistenza da rendere necessario continuare a
fornire aiuto allo sviluppo, nonostante la
consapevolezza dell’ammontare di fondi
espatriati illegalmente. Ritengo che il dibattito sia un po’ sterile. Alcune istituzioni
suggeriscono di sospendere l’aiuto allo sviluppo nei Paesi gestiti da autorità corrotte.
È tragico ipotizzare di sospendere gli aiuti
agli ospedali, alle scuole africane, a causa
dei capi di Stato e dei funzionari corrotti;
tuttavia in un Paese dell’Africa occidentale
addirittura l’80 per cento degli aiuti allo
sviluppo veniva espatriato illegalmente
dalle autorità. È un circolo vizioso che
bisogna rompere, anche attraverso il nostro sforzo per promuovere l’integrità di
governo, la formazione, lo Stato di diritto,
la presenza dell’autorità di repressione e
l’intervento di polizia.
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Per quanto riguarda la domanda della
presidente sul traffico di esseri umani,
forse sono stato troppo sintetico. Rileviamo infatti un’ampia casistica di situazioni contigue per quanto riguarda le
relazioni tra l’immigrazione e il traffico di
esseri umani. Infatti, esiste l’immigrazione
ordinaria e legale, l’immigrazione clandestina e illegale, il contrabbando di immigrati, il traffico di esseri umani, lo sfruttamento dei trafficanti e le forme di schiavitù. Si rileva quindi un continuum che i
Paesi membri nel concordare la Convenzione hanno voluto separare per distinguere tipologie effettivamente molto diverse dal punto di vista del diritto internazionale. Il clandestino che emigra senza
permesso viola una legge del Paese di
ricezione, ma niente di più. È necessario
considerare invece il ruolo della criminalità organizzata nel facilitare la migrazione
di questi clandestini. Non concentreremo
quindi l’attenzione sul clandestino, che
appartiene ad altra competenza.
A differenza di quanto avviene nel
contrabbando di clandestini, il traffico di
esseri umani viene subı̀to dalle vittime
sfruttate, obbligate e talvolta rapite. Nell’immigrazione clandestina è presente il
desiderio di emigrare, assente invece nel
traffico di esseri umani. Le ho definite
categorie teoriche perché spesso avviene
che l’essere umano transiti da una categoria all’altra, magari senza volerlo. Ad
esempio, arriva clandestino in Europa,
non ha lavoro, non ha casa, non ha
documenti, e viene catturato dalla mafia
internazionale o locale, che lo obbliga allo
sfruttamento sessuale o di altro genere. È
difficile immaginare che questa persona
possa sfuggire a tale condizione di sfruttamento e di schiavitù nella sua situazione
di clandestino, privo di documenti. Stiamo
quindi cercando di aiutare i Governi a
€ 0,30
Stampato su carta riciclata ecologica
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regolarizzare la posizione di coloro che
spesso i Governi considerano clandestini,
pur essendo sfuggiti alla tratta.
Dal punto di vista del diritto umanitario internazionale, queste classificazioni
sono valide, mentre nella realtà pratica
esiste confusione anche tra gli individui
coinvolti, sebbene personalmente comprenda la differenza legale e giurisprudenziale da lei sottolineata.
PRESIDENTE. La ringrazio moltissimo
per la sua relazione, per le risposte fornite
e per la documentazione che ci ha consegnato. Prendiamo nota in particolare
della sollecitazione, opportunamente rivoltaci, per la ratifica della Convenzione
contro la corruzione, auspicata in tempi
brevi anche da questa Commissione.
ANTONIO MARIA COSTA, Direttore
esecutivo dell’United Nations Office on
Drugs and Crime Control and Prevention
(UNODCCP). Ringrazio la signora presidente e la Commissione. Non ho lasciato la
copia del nostro rapporto sul traffico di
esseri umani, ma, poiché lei è interessata
a livello personale e professionale, lo faccio adesso.
Ringrazio la Commissione per l’onore
concessoci.
PRESIDENTE. Dichiaro conclusa l’audizione.
La seduta termina alle 15,40.
IL CONSIGLIERE CAPO DEL SERVIZIO RESOCONTI
ESTENSORE DEL PROCESSO VERBALE
DOTT. COSTANTINO RIZZUTO
Licenziato per la stampa
il 31 luglio 2007.
STABILIMENTI TIPOGRAFICI CARLO COLOMBO
*15STC0005010*
*15STC0005010*