Estratto - Carocci editore

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Estratto - Carocci editore
Premessa
a Jaap e Margot
Sono trascorsi già quasi due decenni da quando ho cominciato a interessarmi al problema affascinante delle pratiche della composizione di
un’opera letteraria e al metodo di lavoro degli autori antichi. Agli inizi
degli anni Novanta, avevo pubblicato le prime conclusioni delle mie ricerche in due articoli: Den Autoren über die Schulter geschaut. Arbeitsweise und Autographie bei den antiken Schriftsteller, in “ZPE”, 87, 1991,
pp. 11-33 e Zwischen Autographie und Diktat: Momente der Textualität in
der antiken Welt, in W. Kullmann, J. Althoff (hrsg.), Vermittlung und
Tradierung von Wissen in der griechischen Kultur, Narr, Tübingen 1993,
pp. 71-83; una sintesi ne avevo anche presentato nel primo capitolo della Einleitung in die griechische Philologie diretta da H.-G. Nesselrath,
Teubner, Stuttgart-Leipzig 1997, pp. 3-13, intitolato Tradierung der Texte
im Altertum; Buchwesen, ora disponibile anche in traduzione italiana
con il titolo Trasmissione dei testi nell’antichità: Storia del libro, in H.-G.
Nesselrath, Introduzione alla filologia classica, ed. it. a cura di S. Fornaro, Salerno, Roma 2004, pp. 23-40.
L’insieme dei miei argomenti aveva trovato un’accoglienza favorevole; ad esempio, Hans Christian Günther aveva tentato di ricostruire il
metodo di lavoro di Virgilio (Überlegungen zur Entstehung von Vergils
Aeneis, Vandenhoeck & Ruprecht, Göttingen 1996, pp. 63-84: Vergils Arbeitsweise und die Ausgabe des Varius) a partire dai miei risultati (cfr. anche N. Horsfall, in “RFIC”, 125, 1997, p. 470). Alcuni aspetti particolari,
tuttavia, non avevano convinto tutti i lettori: Valérie Naas proponeva
un’interpretazione diversa del metodo di lavoro di Plinio il Vecchio e
David Blank criticava la mia esegesi del termine ÍποµνηµατικÒν nelle
subscriptiones dei rotoli della Retorica di Filodemo. Avevo dunque ragioni sufficienti per mettere alla prova i miei risultati alla luce dei progressi della ricerca.
L’opportunità mi venne offerta dal professor Alain Blanchard, quando mi chiese di tenere cinque seminari all’Istituto di papirologia della
Sorbona durante l’anno accademico 1998-99; in questa occasione prepa9
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rai il testo di cinque lezioni cui detti il titolo provvisorio Écrire au temps
de l’Antiquité classique.
Il testo delle cinque lezioni rappresentò la redazione “ipomnematica” di un libro pubblicato nel 2000 in francese presso la casa editrice Les
Belles Lettres e intitolato Le Stylet et la Tablette. Dans le secret des auteurs antiques.
Grazie all’intervento e alla sollecitazione di diversi amici, ho infine
deciso di riprendere in mano, per l’ultima volta, l’insieme delle mie indagini e di preparare questo nuovo volumetto che si ispira, in larga misura, all’edizione francese. Non si tratta di una traduzione (anche se diverse pagine sono rimaste immutate), ma di una vera e propria “seconda edizione” rivista e corretta, frutto di lunghi e proficui ripensamenti e
della riorganizzazione dei miei risultati. Il lettore paziente che abbia voglia di confrontare le due versioni si renderà conto dei numerosi ritocchi, delle soppressioni, delle aggiunte e delle rielaborazioni che ho apportato al testo e alle note, talvolta indicandoli, talvolta in maniera tacita. Questa redazione rappresenta lo stadio ultimo delle mie ricerche e
rimpiazza, nelle mie intenzioni, tutto quanto avevo finora scritto su questo soggetto: deve essere pertanto considerata come l’espressione definitiva delle mie riflessioni.
Nel primo capitolo mi soffermo sull’uso di foglietti di papiro o di
pergamena e di tavolette per riunire appunti e per redigere brogliacci.
Il secondo capitolo ha come oggetto la preparazione di raccolte di
estratti in vista della composizione di un’opera letteraria. Vi analizzo,
in particolare, il metodo di lavoro di Plinio il Vecchio e di Aulo Gellio
alla luce della testimonianza del PHerc. 1021 di Filodemo. Il terzo capitolo affronta la questione se, nell’antichità greca e latina, un autore
scriveva personalmente i propri testi, almeno nella prima fase della loro composizione, oppure se li dettava. Il quarto capitolo studia la pratica comune a diversi autori antichi di riservare una parte della loro
produzione letteraria a una circolazione ristretta, limitata a uno o più
amici o compagni di studio, pratica che li portava a rinunciare a pubblicare quegli scritti. Era tuttavia in vista di una pubblicazione, cioè di
una diffusione fra un vasto pubblico, che un autore antico componeva
i propri libri (quinto capitolo). Il sesto capitolo è consacrato al divenire di un’opera dopo la sua pubblicazione: questione dei diritti di autore e di editore; casi di libri pubblicati da un autore in due o più esemplari; possibilità di preparare una “seconda edizione” di un’opera. Nel
settimo e ultimo capitolo ho infine ripreso l’annoso problema delle varianti d’autore.
Ho analizzato le testimonianze che ci vengono dalle fonti letterarie
– passi di autori che contengono osservazioni e note sul proprio meto10
PREMESSA
do di lavoro o su quello di altri scrittori – e ho cercato anche di presentare alcuni esempi di documenti originali – papiri, tavolette di cera
o di legno, pergamene – che conservano resti di veri o presunti testi autografi, di brogliacci, di redazioni di un’opera non destinata alla pubblicazione, di “edizioni”. Nonostante lo sforzo e la volontà di essere
esaustivo, come scriveva Plinio il Vecchio, «non dubito che anche a me
molto sia sfuggito», nec dubitamus multa esse quae et nos praeterierint
(Nat. hist., praef. 18).
Sarebbe stato interessante allargare l’indagine e chiedersi se queste
pratiche abbiano lasciato tracce nel mondo moderno. In un articolo intitolato Humanisme et culture de la note, Jean-Marc Chatelain (in “Revue de la Bibliothèque nationale de France”, 2, 1999, pp. 26-36) ha studiato «l’operazione tecnica della nota» nel Rinascimento e nel mondo
moderno. L’abitudine di riunire estratti, incontestabilmente assai antica,
trovò la sua “razionalizzazione” a cominciare dal XVI secolo, momento
in cui «Le guide degli studi [...] accordano in generale una estrema attenzione alla tecnica che noi chiameremmo “prendere appunti” e che si
chiamava allora ars excerpendi, cioè l’arte o piuttosto la tecnica dell’estratto» (p. 27). Vennero pubblicati i manuali di padre Francesco Sacchini, De ratione libros cum profectu legendi libellus (ap. Joan. Abelem,
Lugduni 1614), di padre Jeremias Drexel, Aurifodina artium et scientiarum omnium (ap. uiduam J. Cnobbari, Antverpiae 1638), di Vincentius
Placcius, De arte excerpendi (Liebezeit, Holmiae et Hamburgi 1689) e di
Daniel Georg Morhof, Tractatus polystoricus de excerpendi ratione (ap.
P. Boeckmannum, Lubecae 1708), che spiegano e insegnano l’ars o ratio
excerpendi. Ciò che per Filodemo, Plinio il Vecchio, Aulo Gellio e altri
autori antichi era una pratica innata e naturale diveniva un metodo razionalizzato, che si impara artificialmente.
Questo libro è stato concepito per un pubblico che va al di là degli
specialisti; è per questo motivo che tutti i passi in greco e in latino sono
stati tradotti in italiano. Ho deciso di proporre una mia traduzione che,
senza pretese letterarie, dia un’idea di come leggo e interpreto quei testi, talora controversi o ambigui.
Per ragioni indipendenti dalla mia volontà, ho rinunciato a un apparato di immagini, ma ho segnalato dove è possibile consultare una riproduzione dei principali documenti scritti oggetto di discussione.
Non mi resta, infine, che ringraziare Alain Blanchard per l’invito
ad animare i cinque seminari papirologici. Con lui siano ringraziati anche tutti coloro che parteciparono attivamente a quei seminari, senza
dimenticare Guglielmo Cavallo, Riccardo Chiaradonna, Pierre-Paul
Corsetti, Cristina D’Ancona, Angelo Giavatto, Richard Goulet, Emidio Spinelli, Philippe Vachoux e Bernard Vitrac. Un grazie particolare
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va ad Alain Segonds per la fiducia che mi aveva accordato accettando
Le Stylet et la Tablette nella collezione “L’Âne d’or” da lui diretta: non
dispero di vedere un giorno pubblicata una ristampa, anch’essa rivista
e corretta, di quel libro ormai da tempo non più disponibile.
Le Stylet et la Tablette era dedicato a Jaap e Margot Mansfeld. Che
la dedica sia rinnovata nel rimpianto profondo di Margot. Ancora una
volta, non ho bisogno di spiegare i motivi, splendidiores uitro, che mi
hanno dettato questo gesto.
Chartres, 6 giugno 2006
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