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POSTFAZIONE
IL PADRINO A HELSINKI
di
Goffredo Fofi
Il Padrino, abile romanzetto dell’italo-americano Mario
Puzo, è diventato uno degli ultimi film della storia del
cinema a essere entrato nelle mitologie collettive della cultura di massa. Oggetto di studio, termine di paragone. Per
molti motivi. Perché Coppola, nel 1972 ancora un giovane regista in attesa di affermazione (all’epoca del primo
film della serie, aveva trentatré anni) era un italo-americano molto astuto che conosceva bene la peculiare antropologia dei siculo-americani, ma seppe anche fare di questo film “un film sulla famiglia” che, scriveva negli stessi
anni un grande sociologo, Christopher Lasch, era tornata
a essere, dopo le speranze cadute dei movimenti, “l’unico
rifugio in una società senza cuore”. Alla base, c’era l’incertezza degli individui in un ambiente sempre meno protettivo, in uno stato sempre più manipolato dai potenti, sempre più nemico del cittadino. Eravamo all’inizio di quella
mutazione sconvolgente in cui siamo ancora immersi, di
crisi evidente della democrazia e di corruzione crescente
delle classi dirigenti, tale da mettere in crisi la distinzione,
per esempio, che è esistita in passato, almeno nella storia
della borghesia, tra economia legale ed economia criminale.
Quel film romanticizzava la mafia, ne narrava le ragioni idealizzandole, ma allo stesso tempo sapeva raccontarla come mai il cinema italiano era riuscito a fare, e cioè
“dal di dentro”, come un sistema culturale non estraneo a
coloro che lo mettevano in scena. Ed è invero paradossale
che gli italiani abbiano cominciato a capire un po’ meglio
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cos’è la mafia dal cinema degli italo-americani, soprattutto da un analista più solido come Scorsese e da uno più
sregolato come Ferrara, ma anche il “sistema” della famiglia meridionale o, in Toro scatenato, i tradizionali caratteri psicologi del maschio italiano, anche se in gran parte
ormai superati. Un altro motivo del suo successo fu il ritorno di un attore che aveva segnato, assieme a James
Dean, col suo modo di recitare e con la sua immagine
pubblica, l’immaginario giovanile degli anni Cinquanta
non solo negli USA. Marlon Brando (che aveva 38 anni
nel 1972) esplose di nuovo sugli schermi di tutto il
mondo con due film diversissimi, Ultimo tango a Parigi
di Bertolucci, partecipe descrizione della crisi del maschio,
e Il Padrino, vita, carriera e morte di un fondatore di
dinastia, dalle stalle alle stelle, epopea dell’affermazione
della minoranza italo-americana e anzitutto della sua
forte componente siciliana, elogio del maschio capo-tribù
di una tradizione perduta ma che, nel disordine contemporaneo, può anche rinascere… E in ogni caso, la famiglia è la famiglia.
Ovviamente Il Padrino venne girato in California
con qualche esterno altrove, certamente non in una periferia di Helsinki come ipotizza sapendo di scherzare l’autore di Colpi al cuore, il cui sottotitolo è Come fu girato Il
Padrino. L’ipotesi ha però una base attendibile, se ricorriamo a canoni hollywoodiani, e pensiamo ad altre convenzioni e fantasticherie romanzesche: la mafia avrebbe
potuto, negli USA, rompere le scatole ai realizzatori del
film, complicarne la lavorazione. E a Helsinki la mafia
non è (ancora) arrivata.
Kari Hotakainen è narratore spregiudicato e sbrigativo, che controlla perfettamente i meccanismi della narrazione e sa ritmarli alternando ambienti e figure con grande disinvoltura, eccedendo soltanto in parolacce. La sua
simpatia sta anche nella capacità di imbrogliare le piste e
di saper giudicare come dall’interno l’operato dei media e
i suoi effetti – soprattutto via tv – sugli spettatori cultural350
mente più sprovveduti e succubi, diciamo pure il proletariato o ciò che esso è diventato. Mostra come possibile e
vicino ciò che non lo è, con un’operazione molto intellettuale, in definitiva, nonostante le sue invettive, o meglio,
quelle del suo protagonista, lo sprovveduto e aggressivo e
pervicacemente “macho” Raimo.
La capacità di Hotakainen di identificarsi con Raimo, di “inventare” Raimo a partire da caratteri che certamente appartengono a un certo proletariato non solo finlandese, è la chiave di volta di una narrazione vivacissima, che gioca con la mitologia e la realtà del cinema,
anche se non sempre siamo convinti – tanta è la sua forza
mimetica – che egli davvero voglia distaccarsi da Raimo e
farcelo “leggere” a distanza, perché indubbiamente egli
Raimo lo ama, e probabilmente in qualcosa deve pur somigliare a Raimo (un po’ come accadeva a Paasilinna per
i suoi primi protagonisti, e Paasilinna è un probabile
punto di riferimento, chissà, anche per Hotakainen, come
forse lo è il grande regista Aki Kaurismäki, però più poetico e più serio, ma è chiaro che azzardiamo, tanto scarsa e
parziale è la nostra conoscenza della cultura finlandese).
In ogni caso, oltre il divertissement e il pastiche, per parlare di “generi”, qui, ridendo e inveendo e sia pure procedendo per paradossi, si costruiscono impalcature di giudizio, si danno chiavi di lettura molto spiritose ma con un
loro fondo di serietà.
L’autore ci descrive un piccolo mondo esemplare e
reale, che si fa netto nel confronto con il mondo virtuale
della irreale lavorazione del Padrino a Helsinki. Interessa
a Hotakainen deridere il mondo del cinema, ma anche
qui con un certo affetto, e i suoi inventati Marlon Brando
o Francis Coppola o Al Ruddy, pur essendo latamente
degli invasori – la cultura USA che fagocita le altre per
annientarle – fanno parte di un gioco, che viene rigorosamente condotto dal protagonista finlandese Raimo, aggressivo disoccupato rompiscatole e cinefilo a modo suo,
ma come tanti, loro però che si fingono colti o semicolti,
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che finiscono per preferire i mestieranti dei “generi” ai veri
artisti, agli Autori con la maiuscola. Raimo detesta il
cinema d’autore alla svedese (Bergman!), e non crede
“alla critica che più volte l’aveva infinocchiato, costringendolo a vedere un mattone di un’ora e mezza, dove alla
fine non si arrivava mai a chiarire niente e ci si perdeva in
chiacchiere da qualche parte tra la riva del mare e la
veranda con primissimi piani di volti angosciati. Nel frattempo l’inquadratura riprendeva un temporale d’autunno
che rappresentava il travaglio interiore della coppia”. E “il
concetto di temporale secondo gli svedesi consisteva in un
paio di rametti di betulla caduti a terra in cortile e trascinati brutalmente dal vento del sud fino alla barca di
mogano del padrone di casa”. No, Raimo ama il prodotto
locale, e non Kaurismäki, ma il regista per eccellenza del
“genere”, in Finlandia, Mikko Niskanen regista-attore di
Otto colpi mortali, un film d’azione, un film per veri
maschi.
Però questi film Raimo li vede in casa, sul suo televisore da disoccupato e litigando di quando in quando con
la moglie Ilona, che manda avanti la baracca e che è proprio felice di questo marito brutalone e “vero uomo” – e
non farebbe certo cambio con quello appena un po’ più
organizzato e tranquillo dell’amica Mirja, che sta dalla
parte della polizia. Ma intanto il suo venerato idolo
Mikko (che, tra parentesi, è un regista-attore vero, e il suo
film amato da Raimo è stato un grande successo di cassetta) si presta a fare da aiuto a Coppola, per la lavorazione
in Finlandia del Padrino, e non è che sia proprio contento quando Raimo invade il set e gli frega la sceneggiatura
e ne contesta le parti poco violente e raggira Brando e
vuol dare consigli a tutti, in verità un po’ schizzato. Questa parte è annunciata dagli spassosi consigli di Raimo ai
programmisti dei film in televisione, chiedendo sempre gli
stessi prodotti, ma fingendosi sempre un utente diverso.
Per Raimo il risveglio sarà amaro solo relativamente. C’è
sempre Ilona, ci sono i bambini, c’è il sussidio di disoccu352
pazione, c’è la televisione. E “Mikko è Mikko”, il Mikko
che i media propongono e non quello della realtà, beninteso, qualche specificità locale e nazionale ancora rimane,
per un po’. Di irrealtà che sa mediare, di follia controllata
vive Raimo. Irrealtà è la lavorazione del Padrino a Helsinki. Ma davvero non avrebbe potuto succedere? La globalizzazione ce ne farà vedere di peggio, e c’è del vero, alla
fine, anche nella più assurda delle equivalenze, quella teorizzata dallo pseudo-Coppola sui vantaggi della lavorazione a Helsinki, non solo economici, perché un elemento
fortemente unificante tra Sicilia e Finlandia c’è: “Come la
Sicilia anche la Finlandia lo ha provato sulla propria pelle. L’odio per le autorità. Questa è la benzina. Noi abbiamo i fiammiferi”. I media ci mettono i fiammiferi, e a saltare è la testa dei milioni di Raimo del pianeta.
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