La rosa nera | L`informazione libera

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La rosa nera | L`informazione libera
25/01/2011
La rosa nera | L'informazione libera
Numero 10 del 18/01/2011
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Dopo Silvio il diluvio, altro che Bengo…
Numero 10 del 18/01/2011
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Dopo Silvio il diluvio, altro che Bengodi!
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MARTEDÌ, 18 GENNAIO 2011 20:01
Attualità
NESSUN COMMENTO
Io sono convinto che in un Paese libero ognuno
di noi fino a quando non invade lo spazio di un
altro o degli altri può scegliere di vivere la sua vita
senza doverne dare conto a nessuno ne
tantomeno ad una schiera di guardoni togati che
utilizzano il potere che gli deriva dal ruolo
istituzionale, per abbattere un uomo sotto
l’aspetto politico, là dove una schiera di mediocri
leader
politici della sinistra italiana hanno
tentato inutilmente in questi anni.
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Certo che sarebbe veramente il disastro se in questo Paese un governo venisse abbattuto dal potere
anarchico e incontrollato di una parte della magistratura politicizzata che da anni supplisce alla anemia
e alla incapacità degli avversari politici di Berlusconi, costruendo teoremi fantastici spesso poggianti
solo su sabbia e fango.
Io ho detto cose simili anche quando è stato malmenato e cacciato il presidente della regione Lazio
Marrazzo che secondo me andrebbe reintegrato nel ruolo e nella dignità tolta.
Piano e Forte
Politica
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Caccerei invece lestofanti come Fini che approfittando del ruolo che indegnamente ricopre è stato
coinvolto in affari ben più loschi, poi coperti dai magistrati amici che vedono in lui l’unico in grado di
abbattere il Cavaliere.
Come dice Facci, “Gli effetti dell’anti-berlusconismo giudiziario si sono ormai permeati nella falda civile
di questo Paese, ne hanno inquinato la capacità di giudizio, mentre il pregiudizio viceversa è stato
elevato a definitiva forma di (non) comunicazione politica, a target di un mercato editoriale e culturale.
Tante persone anche perbene, ormai esauste, per anni hanno obiettato che in fondo i magistrati fanno
solo il loro lavoro, che è andato tutto bene, che Berlusconi è ancora incensurato, che se i processi sono
caduti tutti come birilli – complici le leggi ad personam – è anche perché la giustizia a suo modo
funziona, e i tribunali cioè hanno il coraggio di porre tutti i distinguo del caso. L’hanno detto per anni, ora
sono cose che non dice più nessuno: non in buonafede.”
Se dopo diciassette anni di politica – e di magistratura – Silvio Berlusconi è ancora presidente del
Consiglio ed è sottoposto a un’indagine per sfruttamento della prostituzione, significa soltanto che se
vuole vincerà ancora una volta.
Il problema è che stavolta il Cavaliere è stanco, ha perso la voglia di combattere, in fondo anche
superman dopo tanti attacchi alla Kriptonite non avrebbe più la forza per difendersi e Silvio per fortuna è
ancora un uomo, io nei suoi panni mi ritirerei in una delle meravigliose ville di Antigua circondandomi di
schiere di giovani ancelle, sicuro che nessun guardone giustizialista potesse più eccitarsi dietro le mie
imprese e i miei vizi.
E l’Italia?
Ci sarebbe sempre un Prodi
o ancor peggio un Fini, pronto a traghettare il Paese verso la catastrofe, altro che Bengodi!
Vincenzo Branca
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Di' che ti piace questo elemento prima di tutti i tuoi amici.
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Parole, Parole, Parole… | La rosa nera
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MARTEDÌ, 18 GENNAIO 2011 23:15
Attualità
NESSUN COMMENTO
“Il tempo va, passano le ore, vorrei poter non
lavare l’odore, di questa notte ancora da
capire però peccato che dovrà finire…” recitava
una canzone del celebre cantautore italiano Alex
Britti. Si potrebbe parafrasarlo e dire “Il tempo va,
passano i giorni, vorrei poter non rimpiangere
questa stagione, di questa squadra e di questo
presidente ancora da capire, però peccato che il
mercato a gennaio dovrà finire”.
Il tempo scorre eppure tutto tace. Il Napoli, come
già annunciato nelle scorse settimane su questo
giornale, rischia un crollo vertiginoso nella seconda metà del campionato (il misero pareggio con la
Fiorentina ne è un esempio) ma al presidente De Laurentiis questo aspetto sembra proprio lasciarlo
indifferente. Gli azzurri hanno una panchina corta e di scarsissima qualità. I migliori “panchinari” da
Quagliarella a Cigarini, passando per Dénis Calaiò e Dàtolo arrivando fino a Contini (ma il Napoli non
cercava un Mancino?) sono stati TUTTI ceduti per fare un bel bottino. Ma a che pro?
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E’ normale poi che quando si è con l’acqua alla gola il Torino ti chieda 10 milioni per Ogbonna che ne
vale al massimo 2. E’ ovvio che il Genoa te ne chieda 20 per Criscito quando ne vale la metà, stesso
discorso per Inler e così via.
La strategia, quindi, è stata sbagliata a priori, volendo cedere a tutti i costi pezzi pregiati della rosa per
“sfoltire” termine tanto caro a Mazzarri e De Laurentiis quest’estate. Ed ecco che i partenopei si ritrovano
in questa situazione “Vorrei comprare, ma non compro perché le altre chiedono troppo allora resto così,
però perdo la quarta posizione per la Champions e quindi non miglioro il cammino della passata
stagione e allora…”. No così non va. I tifosi non meritano questo. Soprattutto quando questi tifosi
rappresentano un bacino d’utenza capace di portare cifre a otto zeri nelle casse societarie. Cosa fare
allora?
Se bisogna spendere che almeno si spenda bene.
Che senso ha spendere 10 milioni per Ogbonna quando parlando per bene col Genoa, per poco più, si
può arrivare a Criscito?
Che senso ha prendere una riserva (Cristiano Zanetti) della Fiorentina, dodicesima in classifica, a
centrocampo quando è ormai lapalissiano che l’uomo giusto per il Napoli è Gökhan Inler?
Così non si va da nessuna parte. A questo punto è chiaro che il presidentissimo Aurelio debba aprire il
portafogli (rimpinguato dai soldi dei tifosi) e dare alla città la squadra che merita. Basta coi tempi lunghi,
basta col vorrei ma non posso. E’ ora di fare non di parlare. E’ ora della verità non dell’ipocrisia.
Se De Laurentiis parla di rilancio di Napoli come città, parta da quello che è il suo compito: portare il
Napoli in alto. Ricordo sempre, come scriveva un filosofo negli anni 80 “Quando Maradona segnava, nei
vicoli di Napoli la delinquenza spariva perché la stessa era impegnata a gioire insieme agli altri della
vittoria della propria squadra”.
Marco Branca
A Marco Branca, Briony Tallis e altri 5 piace questo elemento. Non mi piace più
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Povero Berlusconi! | La rosa nera
Numero 10 del 18/01/2011
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Povero Berlusconi!
Sezioni
GIOVEDÌ, 20 GENNAIO 2011 16:07
NESSUN COMMENTO
Si può dire che da quando è nata la seconda
Repubblica tranne brevi periodi in cui la
ondeggiante e policroma sinistra italiana è stata
al governo del Paese, Silvio Berlusconi è stato
preso di mira in tutti i modi dai magistrati italiani,
hanno indagato sulle sue aziende e sugli affari
connessi, sulla sua discesa in campo
teorizzandone l’appoggio della mafia siciliana,
poi le dichiarazioni bomba dai soliti pentiti fino al
bordello del bunga bunga esercitato da
centinaia di ragazze alla corte del sultano, eppure
nonostante questa
particolare guerra dei
magistrati “rossi” fino ad oggi non è mai
successo veramente niente di importante contro
la sua persona, mai una condanna, solo assoluzioni o perenzioni di termini per tutte le cause in cui è
stato tirato dentro. Certo che è strano, cosi come lo fu il fatto che per ben cinque anni la sinistra italiana
al governo del Paese non fu capace di emanare la famosa Legge del conflitto di interessi contro l’uomo
di Arcore, se lo avesse fatto, da anni non avremmo più sentito parlare del Cavaliere.
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Allora quale veramente la verità? Cosa c’è dietro la ormai più che devastante incapacità della
opposizione italiana di sostituire Berlusconi alla guida del Paese? Possibile che il teatrino della politica
abbia preso e continua a prendere in giro gli italiani utilizzando l’uomo di Arcore come il colpevole dei
mali italiani, colpendolo continuamente senza però mai fargli male veramente, ben consci che uno
come Lui nasce una volta ogni paio di generazioni e che sarebbe difficile sostituirlo? In buona sostanza
tutta una simulazione, come avviene nei migliori incontri di Catch dove un lottatore viene sballonzato
sotto scariche di potenti cazzottoni e quando sembra ormai morto riprende vita e uno dopo l’altro mette
al tappeto tutti gli avversari. Una scena questa che nel corso di questi sedici anni abbiamo rivisto più di
una volta e Lui è ancora al suo posto, più invecchiato ma sempre tonico e pronto a difendersi e a
ricominciare.
Su questo vivono i Santoro, i Floris, i Vespa, i Sallusti, i Belpietro e i Travaglio poi i Fini, i Bersani,
qualche Di Pietro e altre centinaia di cortigiani loro simili che sicuramente la sera prima di dormire
dicono sempre la preghiera per Silvio sperando che ci sia anche il giorno dopo e poi domani ancora.
E’ questa la ignobile verità della sceneggiata che questi scadenti teatranti ripetono sul palcoscenico
sinuoso dell’italico stivale da quando hanno trovato il loro Dalai Lama?
Se è cosi mi chiedo se è già nato il prossimo piccolo Budda e se nell’ombra di qualche sagrestia non ci
sia già chi lo sta addestrando alla sceneggiata di cui comunque sarà la vittima sacrificale, cosi come
accadrà o sta già accadendo per il Cavaliere di Arcore.
E gli italiani? Loro, noi, siamo già pronti nella grande sala accalcati ad assistere allo spettacolo della
morte del vecchio sultano mentre tra le quinte è già pronto a fare il suo ingresso in scena il nuovo re e
la corte di sempre, dove non mancherà la chiesa e i suoi esponenti.
Povero Berlusconi! Altro che utilizzatore finale, anche lui è solo uno strumento nelle mani di chi muove,
ha mosso e continuerà sempre a muovere le marionette.
A Marco Branca piace questo elemento. Non mi piace più
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Chi ci ha tolto il pane di bocca? | La ro…
Numero 10 del 18/01/2011
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Chi ci ha tolto il pane di bocca?
Sezioni
MARTEDÌ, 18 GENNAIO 2011 23:12
1 COMMENTO
Milano, 1628. Scoppia la rivolta del pane. La
siccità, la guerra e l’incapacità gestionale dei
governanti portano a un rincaro dei prezzi del
pane. Il popolo esasperato assedia prima i forni,
poi si reca a far giustizia a casa del vicario.
Tunisi, 2011. Scoppia la rivolta del pane. Gli
incendi in Russia, le inondazioni in Australia e la
siccità in Argentina, da sole sono bastate, senza
scomodare la menzione di guerre e malgoverno,
a danneggiare i campi e ridurre i raccolti,
provocando un conseguente aumento dei prezzi
dei generi di prima necessità.
I secoli sono passati, ma niente sembra
cambiato. Le tecnologie hanno senza dubbio fatto passi da gigante, e la globalizzazione dei mercati ha
facilitato i commerci internazionali, certo. Proprio per questo una crisi alimentare oggi non può restare
confinata in un singolo Stato, ma si trova ad assumere una portata mondiale.
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Who's who
Alessandro Manzoni, ne “I promessi sposi” ci ha regalato una descrizione suggestiva, nonché
politicamente valida, degli avvenimenti che caratterizzarono la rivolta del pane milanese del 17esimo
secolo. Oggi, alla luce dei recenti avvenimenti in Maghreb, quella descrizione appare più che mai
verosimile e attuale. Poche sono le differenze, molte le somiglianze tra la cronaca romanzata e la realtà
odierna: se nel lontano milleseicento la scintilla che appiccò le fiamme della rivolta fu la vista di alcune
sporte di pane caldo trasportate da un garzone, oggi, nell’era moderna, a far esplodere il fuoco della
protesta è stato un carretto di legumi, sequestrato a un giovane laureato/ambulante tunisino senza
licenza, che, in mancanza di una occupazione più consona al suo titolo di studio, cercava di sbarcare il
lunario alla men peggio. Il giovane, esasperato dall’ennesima difficoltà, raggiunge il Municipio della sua
città, Sidi Bouzid, e si dà fuoco in segno di protesta. Morirà due settimane dopo, il suo esempio seguito
da molti altri disperati, mentre in Tunisia già impazza la rivolta, e il numero dei morti aumenta, arrivando,
secondo le stime più ottimistiche, ad almeno cinquanta anime. Poi, come nell’episodio di manzoniana
memoria, la furia del popolo inizia a dirigersi verso i ricchi e i potenti. E nessuno meglio dei congiunti del
Presidente Ben Ali, in carica da oltre 23 anni (molto, troppo tempo perché sia ancora possibile parlare di
democrazia) riesce a incarnare il simbolo di un divario sociale che ha ormai assunto le proporzioni di un
baratro: un nipote e un cugino del Presidente vengono uccisi a coltellate, i loro palazzi saccheggiati,
mentre Ben Ali, ben lungi dall’essere equiparato al buon manzoniano Ferrer, piuttosto che impersonare
il ruolo dell’uomo risolutore preferisce mettere in salvo la pelle, anche a costo di recitare la parte del
vigliacco, e ripara in Arabia Saudita. Perché si sa che quando un vulcano, da anni quiescente, decide di
eruttare, le conseguenze possono essere devastanti. Un gesto estremo e inatteso, quello di Ben Ali, che
non ha mancato di provocare altri danni in un governo già mezzo sfasciato, provocando il decesso per
infarto di Abdelaziz Bin Dhiya, consigliere e portavoce del presidente, morto letteralmente di crepacuore
dopo aver appreso la notizia della sua fuga.
Intanto la miccia della rivolta non si spegne, anzi percorre lesta chilometri e chilometri fino a raggiungere
l’Algeria, dove il Primo Ministro Ahmed Ouyahia, fiutando il pericolo, tenta immediatamente di raffreddare
gli animi annunciando una riduzione del 41% dei prezzi di grano e olio – da ottenersi grazie alla
sospensione di diritti doganali, IVA e imposta sui profitti – nonché una loro permanente stabilizzazione.
Ma la rivolta non si arresta: pochi giorni dopo tocca alla Giordania fare i conti con 5000 manifestanti, che
giovedì scorso sono scesi in piazza ad Amman per protestare contro il rincaro dei prezzi dei generi di
prima necessità, mentre Marocco, Egitto e Sudan iniziano a tremare. E se il governo di El Cairo, memore
delle proteste “alimentari” del 2008, è immediatamente corso ai ripari acquistando mucche dall’Etiopia
e aumentato l’importazione di carne dal Kenya, la questione si fa più complessa a Karthoum, dove la
protesta contro l’aumento dei prezzi di alcuni studenti universitari arriva in un Sudan già alle prese con
un referendum secessionista. Referendum che ha catalizzato non poco l’attenzione di USA e Cina, visto
che una vittoria dell’ala scissionista comporterebbe l’indipendenza di un Sud povero, anzi poverissimo
in canna, dove buona parte della popolazione muore letteralmente di fame, ma ricchissimo di petrolio,
un petrolio di cui la Cina è oggi la migliore acquirente, ma su cui, in questi tempi di penuria, nessuno
scommetterebbe che non abbiano puntato gli occhi anche gli USA. Sarà forse questa la ragione per cui,
quando il presidente sudanese Omar Bashir, incalzato dalla minaccia della rivolta della denutrizione
popolare, ha chiesto la cancellazione di un debito di 39 miliardi di dollari con l’estero, l’ex Presidente
statunitense Jimmy Carter, peraltro incaricato di monitorare il corretto svolgimento del referendum
secessionista, ha dato parere favorevole dichiarando: “Non vedo nessuno nella lista dei creditori che
non possa permettersi di condonare il deb ito”. D’altronde, già in precedenza Washington aveva
considerato la possibilità di sospendere i debiti sudanesi a fronte di un “pacifico e regolare”
svolgimento del referendum. E se in Tunisia la rivolta del pane pare intrecciarsi a motivazioni di ordine
politico, in Sudan la stessa rivolta sembra svolgersi prevalentemente sullo scacchiere petrolifero.
La più grande bizzarria in tutta questa faccenda è che la Fao aveva già previsto tutto nel 2008, nel
consueto rapporto annuale sulla fame nel mondo, in cui si legge non solo che il numero complessivo
delle persone sottonutrite nel mondo è aumentato in un anno di 40 milioni, fino a sfiorare il miliardo, ma
anche che “se i prezzi più b assi e la stretta creditizia associati alla crisi economica costringeranno gli
agricoltori a diminuire le semine, l’anno prossimo potreb b e verificarsi un’altra drammatica ondata di
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Chi ci ha tolto il pane di bocca? | La ro…
prezzi alimentari alti”, e che “la situazione potreb b e ulteriormente deteriorarsi man mano che la crisi
finanziaria colpirà le economie reali di nuovi paesi”. Una tragedia annunciata dunque? Forse, anche se
come testimoniano svariati missionari, la fame e le carestie in Africa sono compagne di vita costanti,
spauracchi con cui lottare quotidianamente. Come afferma Padre Albanese, missionario comboniano,
la rivolta del pane è prima di tutto una questione economica: “Un po’ tutti i paesi del nord Africa stanno
attraversando momenti difficili e c’è un forte malcontento soprattutto nei ceti meno ab b ienti che in molti
casi rappresentano la stragrande maggioranza della popolazione. Il paradosso è evidente. Stiamo
parlando di nazioni che hanno fonti energetiche (vedi il petrolio del Sudan, ndr) con grandi potenzialità
che però non riescono a rispondere a quelle che sono le istanze della gente. E da questo punto di vista
io credo che il tema ab b ia a che fare ancora una volta con quelle che sono le relazioni tra nord e sud del
mondo, ovvero tra Paesi ricchi e Paesi in via di sviluppo”.
E mentre molti già gridano alla strumentalizzazione islamista della rivolta o preannunciano il temuto
aumento dei flussi migratori verso l’Europa, nessuno pare preoccuparsi del fatto che la crisi alimentare
abbia colpito, prima di tutti gli altri Paesi, la più “ricca e avanzata” Tunisia, che a differenza di altri Stati
africani può vantare un’economia turistica invidiabile e uno sviluppo industriale che si avvicina ai livelli
occidentali, pur essendo concentrato prevalentemente al Nord, nelle zone marittime. E se stavolta la
crisi non si arrestasse davanti alla mera distinzione tra paesi sviluppati e sottosviluppati, tra Nord e Sud
del mondo? La Tunisia non è poi così lontana dall’Italia, e niente assicura che la rivolta del pane non
possa “migrare” oltre il Mediterraneo. Soprattutto alla luce di una considerazione: se l’Europa non
importa né esporta cereali, provvedendo autonomamente alla propria sussistenza, l’Italia fa eccezione a
questa politica, ed è il primo Paese Europeo importatore di frumento. E, con l’aumento vigente dei costi
di produzione dei cereali, i prezzi del pane potrebbero lievitare anche da noi. Fino a ridurre ulteriormente
il numero di persone che potranno permettersi di beneficiare di un prodotto che, come il petrolio e
l’acqua, inizia anch’esso a scarseggiare: il pane.
Nessuna considerazione pare quindi più appropriata di questa felice frase del Manzoni: “Ora è scoperta,
– gridava uno, – l’impostura infame di que’ b irb oni, che dicevano che non c’era né pane, né farina, né
grano. Ora si vede la cosa chiara e lampante; e non ce la potranno più dare ad intendere. Viva
l’ab b ondanza!”
Giuliana Gugliotti
A Marco Branca, Briony Tallis e altri 7 piace questo elemento. Non mi piace più
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Chi ci ha tolto il pane di bocca? | Linea di confine 20 gennaio 2011 at 16:03
[...] gentile concessione di Giuliana Gugliotti tratto da La Rosa Nera Etichette: Ben Ali, La Rosa
Nera, pane, [...]
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25/01/2011
Famiglia sterminata da una BMW: qua…
Numero 10 del 18/01/2011
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Famiglia sterminata da una BMW: quali sono i rischi
della strada?
MARTEDÌ, 18 GENNAIO 2011 23:07
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Attualità
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Cinema
Due bambini di 12 e 10 anni, e la loro madre,
Lidia Mangiaracina di 37 anni, sono morti in un
incidente stradale a Campobello di Mazara
(Trapani), mentre il padre, Baldassarre Quinci di
43 anni, rischia di rimanere paralizzato a causa
di lesioni alla colonna vertebrale e agli organi
interni. E’ l’ultimo bilancio dell’ennesima tragedia
della strada. L’incidente è avvenuto nei pressi
dell’incrocio tra via Vittorio Emanuele e via IV
Novembre, quando la famiglia Quinci, a bordo di
una Fiat 600, è stata travolta dal BMW 320 B del
giovane Fabio Gulotta di 21 anni. Il giovane,
rimasto illeso, andava ad una velocità di 120 chilometri orari, come dimostrano le orme lasciate sulla
strada, oltre il punto dello scontro, dalla lunga frenata. In seguito agli esami effettuati, è emerso che
Gulotta aveva nel sangue un tasso alcolico di 0,72 milligrammi per litro, di poco eccedente al limite, ma
sufficiente a indicare uno stato di ebbrezza alcolica.
E' vero che?
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Questo tragico episodio è solo uno dei tanti incidenti stradali causati dall’assunzione di alcol. Secondo
l’Osservatorio Nazionale Alcol in collaborazione con l’Oms, l’alcol rappresenta, in Italia, la causa del 3050% degli incidenti stradali e la prima causa di morte per i giovani di età compresa fra i 18 e i 24 anni.
La guida in stato di ebbrezza si riscontra soprattutto nei soggetti di sesso maschile e le percentuali di
fermi ed incidenti per l’uso di alcol si rivelano più alte soprattutto al Nord Italia, al Centro e in Calabria.
Il consumo di alcol provoca una riduzione dei riflessi, colpi di sonno e annebbiamento della vista, inoltre
attiva un meccanismo psichico di svalutazione del pericolo, oltre che una maggiore sensibilità
all’abbagliamento e una riduzione della velocità di trasmissione degli stimoli, quindi tempi di reazione
più lunghi. Se si vuole comprendere quali siano gli effetti del bere sul nostro organismo e quali siano le
ripercussioni sensibili sulla vista e sugli altri sensi quando ci si deve mettere alla guida, Brain drive
fornisce un simulatore di guida al link seguente: http://www.braindrive.it/guidare-con-la-testa-allunga-lavita/drunk-simulator
Ma alcol e stupefacenti non sono l’unica causa di incidenti stradali. Si rischia di morire anche per
semplici distrazioni, come superare un veicolo in presenza della striscia o doppia striscia continua,
guidare parlando a cellulare o fumando una sigaretta; oppure a causa delle condizioni non ottimali della
carreggiata (fondo ghiacciato o innevato, presenza di materiale scivoloso sulla carreggiata quale
fanghiglia, pietrisco, fogliame e olio); o ancora, per fattori che dipendono dalla struttura della strada
(strettoie, mancanza della segnaletica, presenza di ostacoli rigidi sul ciglio della strada, fondo stradale
liscio); oppure a causa di condizioni metereologiche avverse (pioggia, nebbia fitta, forte vento laterale,
abbagliamento).
In Italia ogni anno sono stimati 1.300.000 incidenti, in cui si registrano più di 40.000 morti e 1.700.000
lesioni. Particolarmente colpiti certi gruppi della popolazione e certe categorie d’utenti, quali: giovani di
età compresa fra i 15 e i 24 anni (10.000 morti l’anno), pedoni (7.000 morti) e ciclisti (1.800 morti). I
giovani tra i 25 e i 29 anni sono la categoria più colpita dalle conseguenze degli incidenti stradali,
mentre i conducenti feriti sono più frequenti tra i 30 e i 34 anni. Tra i passeggeri sono più frequenti le
morti dei giovanissimi tra i 15 e i 19 anni, mentre tra i pedoni i più colpiti sono gli anziani.
I luoghi in cui avvengono maggiormente gli incidenti stradali in Italia sono le città. Gli incidenti si
registrano principalmente sulle strade urbane e risultano più frequenti negli orari di punta: alle 18:00, tra
le 8:00 e le 9:00 del mattino e tra le 12:00 e le 13:00, quando le strade sono maggiormente trafficate.
Diverso è invece il discorso per la mortalità: gli incidenti mortali si registrano nelle ore notturne tra le
21:00 e le 7:00 del mattino e raggiungono un picco alle 5:00 (6 decessi ogni 100 incidenti). Di notte
quindi si verifica un minor numero di incidenti, ma sono i più pericolosi, e spesso si verificano nei
weekend, in cui avvengono il 45,1% dei decessi.
Si stima che senza le adeguate contromisure entro il 2020 gli incidenti stradali rappresenteranno la
terza causa globale di morte e disabilità. Per questo occorre fare un lavoro preventivo di sicurezza
stradale con campagne di sensibilizzazione alla guida sicura, promuovendo innanzitutto il rispetto delle
norme del codice e della segnaletica stradale, oltre che dei limiti di velocità, che ricordiamo sono: 50
km/h in città, 70 km/h su strade urbane a scorrimento veloce, 90 km/h per le extraurbane, 110 km/h per
le extraurbane principali e 130 km/h in autostrada. Necessario l’uso della cintura di sicurezza, che riduce
il rischio di morte del 40-65% per chi occupa i sedili anteriori e del 25-75% per chi invece si trova nei
sedili posteriori; per i ciclomotori fondamentale è l’uso del casco, che abbassa del 40% il rischio di
morte e del 70% il rischio di danni gravi alla testa.
Simona Esposito
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25/01/2011
Aborto: tra scienza e chiesa, la donna …
Numero 10 del 18/01/2011
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Aborto: tra scienza e chiesa, la donna non ha voce
Sezioni
MARTEDÌ, 18 GENNAIO 2011 23:02
Attualità
NESSUN COMMENTO
Nessuno ha il diritto di giudicare. L’aborto, come altre
“problematiche di stallo” dei nostri tempi, è un argomento da
affrontare tenendo conto di tutte le variabili non calcolabili che
entrano in contatto. L’aborto è società, scienza, politica, chiesa
e psicologia. Ognuna di loro si pronuncia facendo leva
sull’opinione pubblica adoperando il proprio carisma.
La definizione della parola è: “interruzione della gravidanza
prima che il feto sia maturo”. La voce “maturo”, nella
terminologia medica, si proietta in un periodo minimo di 6
mesi. Il raggiungimento di tale lasso di tempo permette al
nascituro una vita extrauterina. L’aborto può essere naturale
oppure procurato (detto anche IVG -interruzione volontaria della
gravidanza). È quest’ultimo al centro della disputa tra chiesa e
scienza. Diverse le tecniche: le più diffuse sono quelle
dell’isterosuzione – ovvero aspirazione del feto attraverso
cannule nel canale cervicale della donna – e del raschiamento,
attraverso la quale si procede ad uno svuotamento della cavità
uterina. Discutibile per molti è anche l’utilizzo di farmaci
contragestativi. Uno di questi è la pillola RU486 (pillola del mese dopo) che ha diviso l’opinione
pubblica per mesi.
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Chiesa e scienza si dividono per incontrarsi solo in un punto. È consentita l’obiezione di coscienza. Il
Papa, e l’Istituzione che rappresenta, da sempre lotta per il diritto alla vita. Madre Teresa di Calcutta si
pronunciava in questi termini: “L’ab orto è il più grande distruttore della pace perché, se una madre può
uccidere il suo stesso figlio, cosa impedisce che io uccida te e tu uccida me? Non c’è più ostacolo”.
Parole forti che hanno inciso nella società a tal punto da portare le stesse donne a giudicarsi tra di loro.
La scienza va oltre e pone diverse “clausole” tali da rendere accettabile una decisione così drastica.
L’aborto terapeutico e quello preventivo seguono la stessa logica della cessazione della vita umana,
differenziandosi semplicemente per la giustificazione. Fino al quattordicesimo giorno, però, il feto non
viene considerato ancora come una persona, per cui il nascituro non ha diritti in quanto tale.
Diritti e moralità, quando si parla di aborto, vanno in contrasto. La legge 194 cerca di stabilire un
equilibrio. Novanta giorni è il termine che la legge consente alla donna per interrompere
volontariamente la gravidanza (come si legge nell’ art.4 : “che accusi circostanze per le quali la
prosecuzione della gravidanza, il parto o la maternità comportereb b ero un serio pericolo per la sua
salute fisica o psichica, in relazione o al suo stato di salute, o alle sue condizioni economiche, o sociali o
familiari, o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento, o a previsioni di anomalie o
malformazioni del concepito”). L’art. 6 della stessa legge pone due condizioni per l’interruzione dopo i
circa tre mesi: in caso di pericolo di vita della futura mamma e in caso di malformazione del nascituro.
L’obiezione di coscienza è prevista per il ginecologo, ma non per il personale sanitario qualora in
pericolo sia la vita della donna.
E la donna in tutto questo “chiacchierare” quale voce ha? Si tratta di una decisione sempre combattuta,
che sia volontaria o terapeutica. È una vita che si spegne e tutto si decreta con una firma su un foglio,
stereotipo di altra burocrazia. Diverse ricerche hanno dimostrato che gli stati di depressione e stress
legati all’aborto si differenziano. Qualora sia stato un aborto involontario, gli psicologi hanno riscontrato
un disagio per i sei mesi successivi all’evento, un’elaborazione del lutto per una perdita non voluta.
Cinque anni e anche più è invece il tempo per un aborto programmato. Lo stress, in tal caso, è alto e
mette in serio rischio la salute psicologica della donna.
Oggi si parla di un accordo tra scienza e chiesa. Gli esperti della Società Italiana di Neonatologia hanno
richiesto un abbassamento del limite per l’aborto terapeutico. A quanto pare due settimane (da 24 a 22)
è un accordo accettato di buon grado anche dalla chiesa. Un dubbio però rimane. Non si capisce
perché, se l’intervento deve essere subito dalla donna, continuano a parlare gli uomini, di fede e non,
che vedono la questione in maniera estraniante e distaccata.
Roberta Santoro
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25/01/2011
The RedCouchProject | La rosa nera
Numero 10 del 18/01/2011
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The RedCouchProject
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MARTEDÌ, 18 GENNAIO 2011 22:57
Attualità
NESSUN COMMENTO
Spulciare su Youtube oltre che divertente può
anche risultare interessante, come in questo
caso. Fra i video consigliati mi balza all’occhio un
filmato di RedCouchProject: indagando sul web
scopro che si tratta di una piccola (ma ben
strutturata) realtà creata da alcuni studenti della
Stanford University di Palo Alto, California.
Contatto il loro addetto stampa, Jeffrey Gerson,
una persona gentile e disponibile dal quale mi
faccio spiegare in cosa consiste il loro progetto,
davvero particolare.
Allora Jeff, puoi spiegare ai lettori de La Rosa
Nera che cos’è esattamente The Red Couch
Project?
The Red Couch Project è un’iniziativa che mira a fornire un’esperienza musicale unica e personale ad
artisti, produttori, filmographers e al pubblico. Interamente gestita e prodotta da studenti di Stanford,
TRCP promuove la musica indipendente del corpo studentesco e della nostra comunità in generale,
fornendo al contempo l’esperienza pratica nella produzione musicale e video. Invitiamo i musicisti a
suonare nella stanza di Emma, una delle fondatrici, per promuovere il loro lavoro e fornire al pubblico
degli studenti una personale, intima esperienza musicale. Ci auguriamo di creare un ambiente
informale e di permettere al pubblico di creare un legame con gli artisti e tutti noi del team. La maggior
parte dei nostri concerti ha un pubblico di circa 15-20 persone, che occupa completamente la stanza.
Ogni concerto viene registrato e pubblicato on line con i profili degli artisti e informazioni sulla loro
musica. La parte registrata del concerto di solito dura circa 15 minuti, gli artisti scelgono spesso di
eseguire brani extra e rispondono alle domande del pubblico. Stiamo cercando di creare un approccio
unico alla musica di oggi che lega insieme i diversi aspetti del suo processo: prestazioni, esperienza
del pubblico, produzione, pubblicità e gestione. TRCP offre l’opportunità agli studenti di acquisire
esperienza dietro le quinte della filmografia e produzione audio, aumentando la visibilità per gli artisti in
crescita, e di promuovere la comprensione e l’apprezzamento della musica che piace a noi.
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Quante persone, o studenti sono coinvolti in The Red Couch Project?
Stephen Henderson e Emma Sedivy, due studenti universitari, hanno iniziato TRCP nel mese di Ottobre
2010. Il nostro team di base comprende sei studenti, anche se altri partecipano in modo più casuale.
Emma funge da produttore, recluta artisti e organizza il calendario, mentre Stephen, il nostro direttore
tecnico, è responsabile per il missaggio audio, sia durante i concerti che in post-produzione. Alex Trytko
(il cameramen) e Chris Sonne condividono le responsabilità di editing con Emma e Steve. Io, come
manager pubblicitario, gestisco i nostri profili di social media, le comunicazioni con agenzie di stampa,
ed eventi promozionali. Infine, il nostro sito web, sebbene ancora in sviluppo, è gestito da Frank Huang.
Nella nostra prima stagione, i nostri artisti erano tutti studenti di Stanford che suonavano una varietà di
generi musicali, quali hip-hop e bluegrass. Tuttavia, siamo entusiasti di espanderci ad altri artisti
provenienti da tutta la Bay Area al più presto. Inoltre, siamo estremamente fortunati ad alloggiare e ad
essere in collaborazione con la vera e propria base dell’accademia delle belle arti di Stanford, la Kimbal
Hall. E’ un gran bel posto per noi, ospita più di 200 allievi interessati alle arti più disparate, ed è il centro
nevralgico dei nostri fan!
Ho scoperto il tuo canale Youtube grazie ad un suggerimento della homepage: quanto è importante
Youtube per la musica indie, al giorno d’oggi?
L’esistenza e l’uso delle tecnologie dei social media è stato assolutamente fondamentale per la musica
indie su tutti gli aspetti ed ha svolto un ruolo analogo per noi. I video di YouTube sono una parte
intrinseca della meta del nostro progetto. Registrare i nostri concerti e pubblicarli via Internet ci ha
permesso di conservare il senso intimo di un concerto casual soggiorno, aumentando al contempo la
visibilità dei nostri artisti. I media digitali sono stati assolutamente preziosi per noi per la costruzione di
visibilità. Attraverso una forte rete su YouTube, siamo stati in grado di costruire uno zoccolo duro di fans
e amici. Allo stesso modo, Facebook ha permesso a coloro che ci trovano anche su YouTube di unirsi a
noi, seguendo più da vicino il nostro sviluppo e gli artisti che si esibiscono da noi.
Quali band americane (in particolare dalla California) avete intenzione di invitare, in futuro? Date a noi
italiani qualche bel nome da seguire, su!
Abbiamo tanti sogni! Emma sta parlando con una dance band di San Francisco chiamata Fans Of
Jimmy Century, stiamo lavorando sullo sviluppo di un set personalizzato in acustico per esibirsi al Red
Couch. Molti dei nostri membri amano bands indie e alternative, come Arcade Fire, Andrew Bird, Belle
and Sebastian, Sia, e The Shins. Ci piace molto anche Fiest, Regina Spektor, Katie Melua, e i canadesi
Tegan and Sara. Alcuni dei nostri preferiti, ma meno famosi, sono gli A Fine Frenzy, Jenny Lewis, Thao
Nguyen, e Lissie. The Low Anthem è una grande band dalla città natale di Emma, Providence, Rhode
Island. Una grande artista della California è la cantautrice metà messicana metà americana Julietta
Venegas. Un altro gruppo con sede in California che ha acquisito notorietà negli ultimi anni è The
Weepies. A Stanford in particolare, c’è Vienna Teng, un cantautore nato in California, laureatosi da noi
nel 2000. I Pomplamoose, un duo di neo-laureati di Stanford con sede a San Francisco, è diventato
recentemente molto popolare su YouTube, date un’occhiata ai loro video online. Ci piace molto l’artista
http://www.larosanera.it/?p=1499
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25/01/2011
The RedCouchProject | La rosa nera
gallese Marina and The Diamonds, per non parlare di brillanti cantautori come Lisa Hannigan, Jay
Brannan, Antje Duvekot, Matt Wertz, e Kate Rusby. Se uno qualsiasi di questi gruppi o artisti si siederà
sul nostro divano, moriremo felici! (e, naturalmente, se Lady Gaga volesse venire a trovarci, non
diremmo di no).
Sapevate che in Italia ci sono molti problemi di fondi per la ricerca universitaria? Un progetto come il
vostro è praticamente un sogno per i nostri atenei. Siete economicamente indipendenti?
Siamo, ad oggi, indipendenti, ci auto-finanziamo fra di noi. I nostri costi sono abbastanza ridotti, perché
la nostra partnership con Kimball Hall ci fornisce apparecchiature di registrazione audio e la nostra
troupe per i filmati usa le loro macchine fotografiche. Stiamo chiedendo un finanziamento per le nostre
attività, e siamo sicuri che Stanford ci sosterrà ancora una volta.
La S.I.C.A. (Stanford Initiative for Creativity and the Arts), ci sostiene in diversi progetti d’arte che
coinvolgono il campus. La Stanford University è un posto meraviglioso per essere uno studente, perché
ci sono molte opportunità per sovvenzionare e finanziare progetti nel campo delle arti, così come la
ricerca in molte discipline accademiche.
http://www.facebook.com/pages/The-Red-Couch-Project/143638339017912
http://www.youtube.com/user/RedCouchProject
Marco Della Gatta
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Golden Globe, The Social Network str…
Numero 10 del 18/01/2011
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Golden Globe, The Social Network stravince
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MARTEDÌ, 18 GENNAIO 2011 22:52
NESSUN COMMENTO
Facebook non è più un fenomeno solo
informatico, e se qualcuno ancora ne dubitava
dopo ieri dovrà certamente ricredersi perché The
Social Network, il film che ricostruisce le origini di
Facebook attraverso gli occhi del suo giovane
fondatore, Mark Zuckerberg (Jesse Eisenberg), è
l’indiscusso trionfatore della 68esima edizione
dei Golden Globe Awards, i premi che ogni anno
vengono consegnati dall’Hollywood Foreign
Press, l’associazione dei giornalisti stranieri
residenti a Los Angeles. Si dice spesso che i
Golden Globes siano l’anticamera degli Oscar e
non solo perché si svolgono con un abbondante
anticipo rispetto alla magica serata degli
Academy Awards. Portarsi a casa un globo d’oro
è un passaggio quasi obbligato sulla strada per
il trofeo cinematografico più ambito al mondo.
Certo i casi di scelte che non combaciano ci
sono eccome nella storia di questi due premi. Un
esempio? L’anno scorso a trionfare ai Globes fu Avatar che però non riuscì a bissare il successo agli
Oscar dove fu battuto, per sei statuette a quattro, da The Hurt Locker.
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Con quattro statuette vinte (su sei Nomination) nelle categorie più importanti (Miglior Film Drammatico,
Miglior Regia, Migliore Sceneggiatura, e Migliore Colonna Sonora), e con critica e pubblico stranamente
d’accordo nel lodarla, la pellicola di David Fincher si lancia spedita nella corsa all’Oscar, lasciandosi a
distanza di sicurezza gli altri super favoriti: Inception, Black Swan, The Fighter, e Il Discorso del Re di
Tom Hooper che si è dovuto accontentare del globo d’oro per il migliore attore drammatico, andato
all’attore inglese Colin Firth (qualche giorno fa insignito della 2.429esima stella della Hollywood Walk of
Fame) che ha decisamente conquistato tutti con il suo re Giorgio VI. Miglior attrice Natalie Portman, per
la sua straordinaria interpretazione di una ballerina anoressica in Black Swan di Darren Aronofsky, una
pellicola che al di là dei consensi di critica e pubblico ha portato molta fortuna alla sua bella
protagonista di origini israeliane, che proprio sul set del film ha conosciuto il futuro marito e il padre del
figlio che ha da poco annunciato di aspettare. Premiati anche Christian Bale e Melissa Leo, entrambi
nella categoria Migliore Attore non Protagonista per The Fighter. Nella categoria commedia/musical
vincono a sorpresa l’outsider Paul Giamatti come attore brillante per La versione di Barney stracciando il
favorito Johnny Depp in gara con ben due nomination (Alice in Wonderland e The Tourist) e Annette
Bening per I ragazzi stanno b ene.
Ancora una volta l’Italia resta a bocca asciutta, battuta dalla Danimarca nella corsa al globo per il miglior
film straniero. Dato per favorito alla vigilia, assieme a Biutiful di Inarritu, Io sono l’amore di Luca
Guadagnino è stato superato da Un Mondo migliore della danese Susanne Bier, nonostante il
successo che il film ha trovato in America dove ha incassato finora (è uscito a Giugno) più di 5 milioni di
dollari. Si mette così a tacere la polemica a distanza che nei giorni scorsi ha tenuto banco tra
Guadagnino e Virzì, candidato italiano con La prima cosa b ella per la corsa agli Oscar. Momenti speciali
della serata hanno visto per protagonisti tre grandi icone del cinema americano contemporaneo: Robert
De Niro ha ricevuto il premio alla carriera dalle mani di un emozionatissimo Matt Damon; standing
ovation per Michael Douglas riapparso in pubblico dopo aver vinto la sua battaglia contro il cancro.
Pubblico ancora in piedi per un altro grandissimo, Al Pacino, premiato per il ruolo del dottor morte Jack
Kevorkian nel Tv Movie You don’t know Jack. E nella sezione televisione, l’edizione di quest’anno ha
visto la riconferma di Glee (Migliore Serie Commedia) per cui sono stati premiati anche Jane Lynch e
Chris Colfer come migliori attori non protagonisti per le commedie. Due Globes sono andati alla serie
prodotta da Martin Scorsese per la HBO Boardwalk Empire, come migliore serie drammatica e miglior
attore protagonista (Steve Buscemi).
Ecco nel dettaglio la lista completa dei vincitori dei Golden Globes 2011 per la categoria cinema:
Miglior film drammatico: The Social Network Miglior film comico o musicale: I ragazzi stanno bene
Miglior regista: David Fincher, The Social Network Miglior attore di un film drammatico: Colin Firth, The
King’s Speech Miglior attrice di un film drammatico: Natalie Portman, Cigno Nero Black Swan Miglior
attore di un film comico o musicale: Paul Giamatti, La versione di Barney Miglior attrice di un film
comico o musicale:Annette Bening, I ragazzi stanno bene Miglior attore non protagonista: Christian
Bale, The Fighter Miglior attrice non protagonista: Melissa Leo, The Fighter Miglior colonna sonora
originale: Trent Reznor, Atticus Ross, The Social Network Miglior canzone originale: You Haven’t Seen
the Last of Me (scritta da Diane Warren), Burlesque Miglior film in lingua straniera: In un mondo
migliore Miglior film animato: Toy Story 3 Miglior sceneggiatura: Aaron Sorkin, The Social Network.
PREMI PER LA TV
Migliore serie drammatica: Boardwalk Empire Migliore serie musical o commedia: Glee Migliore
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Golden Globe, The Social Network str…
attrice serie drammatica: Katey Sagal, Sons of Anarchy Migliore attore serie drammatica: Steve
Buscemi, Boardwalk Empire Migliore attrice serie musical o commedia: Laura Linney, The Big C
Migliore attore serie musical o commedia: Jim Parsons, The Big Bang Theory Migliore attrice non
protagonista serie, miniserie o film per la TV: Jane Lynch, Glee Migliore attore non protagonista per
serie, miniserie o film per la TV: Chris Colfer, Glee Migliore miniserie o film TV: Carlos, di Oliver
Assayas Migliore attore miniserie o film per la TV: Al Pacino, You Don’t Know Jack Migliore attrice
miniserie o film per la TV: Claire Danes, Temple Grand.
Enrica Raia
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Mutatis…mutande | La rosa nera
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Mutatis…mutande
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MERCOLEDÌ, 19 GENNAIO 2011 18:24
Attualità
NESSUN COMMENTO
Cosa pensereste di una donna che non indossa le mutande?
Sicuramente che è una poco di buono. Ebbene dovete
ricredervi: nella storia non è sempre stato così, anzi. Nel 1700
le mutande erano un accessorio sconcio, addirittura
considerato satanico dalla chiesa, indossato esclusivamente
dalle femmine di strada o dalle più libertine e ripudiato dalle
nobildonne. Ebbene si. Il capo d’abbigliamento che oggi quasi
tutte le donne reputano indispensabile è stato invece a lungo
considerato indecente nel corso dei secoli.
Il termine “mutande” deriva da un gerundio latino che significa
“da cambiare”; una caratteristica, almeno questa, che
fortunatamente le mutande sembrano aver avuto sin dalla
nascita. Ma per il resto, nel passaggio da un’era all’altra le
mutande sono cambiate molto, tenendo fede al significato del
loro nome, sia nelle forme che nelle dimensioni, facendo
anche cambiare la reputazione della donna che le indossava:
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pudicizia, moralità o lussuria?
Le vicissitudini delle mutande sono inaspettatamente controverse, e offrono uno spaccato interessante
sulla storia dei costumi. Il primo paio di mutande compare approssimativamente nel lontano 3.300 a.C.,
presso l’avanzata civiltà egizia: un elegante esemplare, più simile a un moderno slip che ai mutandoni
ottocenteschi a mezza coscia, è stato ritrovato addirittura nella tomba del faraone Tutankhamon. Un uso
simile ne facevano anche gli antichi Greci, mentre le matrone romane non indossavano nulla sotto le
ampie tuniche. Le mutande erano già divenute simbolo di libidine, un oggetto sessuale da utilizzare per
stuzzicare la fantasia del partner celandogli l’oggetto del suo desiderio, e per questo accantonate come
un vezzo superfluo, addirittura sconveniente. Per vederle ricomparire sotto le gonne bisogna aspettare
l’iniziativa di alcune nobildonne di carattere, come Lucrezia Borgia e Caterina de’ Medici, che nel 1500,
dopo un morigerato Medioevo, pieno di cinture di castità ma assolutamente privo di biancheria,
rilanciarono le mutande come capo d’abbigliamento intimo, da indossarsi per coprire le gambe durante
l’equitazione, quando le donne cavalcavano ancora all’amazzone.
La moda si diffuse ben presto in tutta Europa, ma le mutande erano destinate a una nuova disfatta: gran
parte delle nobildonne infatti mal tollerava l’indumento, all’epoca lungo fino al ginocchio, e preferiva
farne a meno, celando le proprie nudità sotto le ampie gonne a campana. Per contro, le mutande,
riccamente decorate di filamenti d’oro e d’argento, nonché ricamate con trine e merletti, fecero la fortuna
di cortigiane e prostitute, che si accaparravano i clienti proprio lasciandone intravedere i pizzi mentre
sollevavano maliziosamente le gonnelle. Ma la controversa faccenda delle mutande non riguarda solo il
gentil sesso.
Anche le mutande maschili hanno una storia affascinante: ricomparse – dopo la dipartita medioevale –
orientativamente durante il Rinascimento, furono rilanciate sotto i riflettori della moda contemporanea da
Carlo IX, che decise di imbottire l’allora attuale b raghetta, simile a una odierna calzamaglia di lana, con
cotone o lana, in modo da esaltare (artificiosamente) il membro virile, simbolo di forza e potenza. Una
moda che perdurò fin quasi alla fine del 1500, per poi decadere lentamente, riconducendo la biancheria
a più decenti e meno vistosi ruoli. Fino a scomparire nuovamente nella Francia illuminista, dove anche
le mutande maschili erano considerate inadeguate: Luigi XV le liquidò, pur decidendone l’obbligatorietà
per ginnaste e ballerine, affermando che “un uomo in mutande non sarà mai un eroe”. Alternativamente
considerate segno di debolezza o di virtù durante tutto l’800 (Napoleone considerava i “pantaloni”
femminili una “elastica virtù”; Vittorio Emanuele di Savoia le aborriva terrorizzato, mentre Oscar Wilde,
convinto fautore della loro utilità, sfilò in mutande addirittura per Oxford Street), le “brache da culo” o
“scrigno delle chiappe”, secondo alcune accezioni colorite, si impongono infine come oggetto di uso
quotidiano solo nel XIX secolo, quando le gonne femminili si accorciano e le mutande diventano una
pudica necessità: ma la strada da fare per arrivare agli slip è ancora lunga e irta di ostacoli. Se già negli
anni ’20 fu possibile constatare la notevole riduzione delle sue dimensioni grazie all’impudenza delle
ballerine di can-can, che si mostravano in mutande e guêpièries, appaiate a provocanti calze nere, lo
slip vero e proprio farà la sua comparsa sul mercato soltanto nel 1935, nei come sempre progressisti
Stati Uniti, dove per la prima volta fu lanciato un modello a Y che andò subito a ruba, trasformando le
mutande in un oggetto di uso comune. Fino a divenire oggi, grazie alla pubblicità mediatica (consentita
per la prima volta solo nel tardo 1967) un vero e proprio “culto di massa”.
Per approfondimenti: Luciano Spadanuda, Storia delle mutande. Dalle b riglie da culo rinascimentali fino
al culto contemporaneo, Coniglio Editore.
Giuliana Gugliotti
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David Sarnoff e il suo gioco di prestig…
Numero 10 del 18/01/2011
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David Sarnoff e il suo gioco di prestigio
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MARTEDÌ, 18 GENNAIO 2011 23:19
NESSUN COMMENTO
Per quanto tutti conoscano la tragedia del Titanic, a non molti
suonerà familiare il nome di David Sarnoff, all’epoca del fatto un
semplice e anonimo marconista dell’American Marconi. Nel 1912,
prima che la nave diretta a New York si inabissasse nei freddi mari
del nord decretando la morte dei due terzi dei suoi passeggeri, fu
inviato un segnale radio di soccorso ricevuto proprio dal suddetto
David Sarnoff che poi lo trasmise alla nave Carpatia la quale
recuperò i supersiti.
All’epoca in cui si svolse il fatto, il principio di trasmissione
attraverso onde radio – ingegnerizzato da Guglielmo Marconi –
veniva usato nella trasmissione di segnali Morse senza l’ausilio
dei cavi, tanto che il mezzo prese il nome di “telegrafo senza filo”.
Inutile sottolineare che il primo uso di tale mezzo di comunicazione
fu a scopo militare e mai nessuno, almeno all’epoca, avrebbe
scommesso su un suo utilizzo commerciale. Se si considerava
che per inviare e ricevere servivano apparecchi grossi e costosi,
sarebbe stata una follia la sola ipotesi.
A meno che non si fosse modificato abilmente l’uso del mezzo.
L’intuizione venne a David Sarnoff, proprio l’oscuro marconista di
cui abbiamo detto poco sopra. Nel 1916, Sarnoff indirizzò un promemoria ai suoi superiori, suggerendo
un diverso tipo di utilizzo della radio. Di seguito riporto alcuni stralci:
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“Ho in mente un piano di sviluppo che fareb b e della radio un «apparecchio d’uso domestico» come lo
sono il grammofono o il pianoforte. L’idea è di portare nelle case la musica attraverso la radio. Il
ricevitore può avere la forma di una semplice «radio music b ox» ed essere fatto in modo da ricevere un
certo numero di lunghezze d’onda diverse con la possib ilità di camb iare semplicemente azionando un
interruttore o premendo un b ottone. (…) Questa soluzione è particolarmente interessante per chi vive
fuori città. Acquistando la «radio music b ox» essi potreb b ero ascoltare concerti, letture, musica e recital.”
Sembra che i dirigenti della società accantonarono l’idea, rispondendo in questo modo all’originale idea
di Sarnoff:
“Non è pensab ile che la cosiddetta «radio music b ox» ab b ia valore commerciale. Chi mai paghereb b e
per un messaggio che non è inviato ad una persona specifica?”
Se oggi l’affermazione degli alti papaveri dell’American Marconi ci suscita un’allegra risatina, pensiamo
a quante se ne faranno i nostri successori quando scopriranno che molti di noi hanno avuto a portata di
mano una tecnologia così facile e intuitiva come Internet senza sapere come sfruttarla a dovere.
Sarnoff non si lasciò abbattere e perseverò nella sua idea che gli avrebbe permesso, negli anni
successivi, di divenire presidente della RCA – ancora oggi, colosso discografico, tra le più grandi major
che la storia annoveri – e “padre-padrone” della radio e della TV americana.
Il successo della radio dimostro che c’era più di una persona interessata a ricevere soltanto un
messaggio, senza obbligatoriamente inviarne un altro, soprattutto se il messaggio consisteva in una
canzone jazz o un radiogiornale. Il sistema di b roadcasting – trasmissione circolare via etere di
contenuti di interesse generale, musica e parole non indirizzati ad un destinatario in particolare – dava
l’idea al consumatore di un flusso continuo gratuito, un po’ come l’acqua potabile dalla fontana di casa.
In seguito, con l’invenzione del transistor, le dimensione del “music box” ipotizzato da Sarnoff si
ridussero enormemente, introducendo per la prima volta la radio portatile che raggiunse il suo picco nel
mercato di massa soprattutto negli anni cinquanta.
Sarnoff, tra le varie cose, non sapeva di inventare la nuova “commestibilità” dei media, quella con cui
avrebbe “cibato” i propri utenti fino all’avvento della rete informatica, che ha visto un ritorno, in un certo
qualmodo, alla comunicazione punto a punto del telegrafo senza fili di Marconi. Internet non ha fatto altro
che realizzare ciò di cui parlavano i dirigenti della American Marconi, servendosi non più dell’etere ma di
cavi coassiali, satellite e fibra ottica.
Da questo punto di vista, si potrebbe perciò vedere Internet più come una importante innovazione che
una vera e propria rivoluzione nell’ambito delle comunicazioni. I rivoluzionari di un tempo lo sapevano,
non basta la polvere da sparo, il cannone e il fucile per sovvertire l’ordine precostituito. La rivoluzione si
fa con gli uomini e le idee e Internet è la migliore delle armi sul mercato.
Siamo un po’ tutti come i vicini di casa della Xerox e non sappiamo se scavalcare la finestra per rubare
quello splendido televisore è un rischio da correre oppure la spesa non vale l’impresa.
Marco Branca
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Incontro con Libero Mancuso | La ros…
Numero 10 del 18/01/2011
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Incontro con Libero Mancuso
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MARTEDÌ, 18 GENNAIO 2011 22:49
Attualità
NESSUN COMMENTO
In occasione delle primarie del Partito
Democratico, che si terranno domenica 23
gennaio, i candidati che aspirano a concorrere
contro il centro-destra per la carica di sindaco di
Napoli stanno “girando” la città allo scopo di
promuovere, presso la cittadinanza, il proprio
impegno per Napoli.
Libero Mancuso, proposto da Sinistra Ecologia e
Libertà e appoggiato da circa tremila cittadini che
ne hanno richiesto la candidatura con una
raccolta di firme, è in lizza per le primarie contro
Gino Sorbillo, voluto dai Verdi, e i “prescelti” del
PD Umberto Ranieri e gli ex bassoliniani Nicola
Oddati e Andrea Cozzolino, ed ha incontrato ieri
pomeriggio i cittadini dell’area Nord di Napoli
presso l’auditorium dell’VIII Municipalità.
Alla presenza del Presidente della Municipalità, Carmine Malinconico, e degli assessori e consiglieri in
carica, l’ex magistrato, che ha iniziato la propria carriera politica come assessore a Bologna nella giunta
Cofferati, ha presentato sinteticamente il proprio progetto per la città e, nello specifico, per le periferie.
Poco prima dell’incontro ho potuto rivolgergli alcune domande proprio in relazione a questo argomento.
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Dottor Mancuso, perché oggi lei è qui in periferia, a Scampia?
“Non è la prima volta che vengo qui. Credo che sia fondamentale partire dalle periferie perché è qui che
deve essere istituito e rafforzato il senso di comunità. Alle periferie vanno dati strumenti: le stesse risorse
degli altri quartieri, la stessa qualità/quantità di servizi e diritti. E naturalmente anche la stessa quantità di
doveri.”
Quelli che lei elenca sono obiettivi centrali per il territorio dell’area Nord di Napoli: come crede di
poter operare affinché siano realizzati?
“E’ necessario integrare le periferie alla città affinché diventino tante città all’interno di una stessa area
metropolitana. Nel caso di Scampia, ad esempio, c’è b isogno di potenziare i collegamenti con il centro
puntando su un miglioramento dei trasporti e sul completamento dei lavori alla stazione della
metropolitana.”
In quest’ottica, crede che anche il completamento della sede dell’Università sia uno degli obiettivi da
realizzare?
“Certamente, l’università è un punto nevralgico. Potreb b e rappresentare un inizio, la possib ilità di aprire
al territorio nuove prospettive di cultura e lavoro. A Scampia sono molti i giovani laureati, il territorio è
ricco di eccellenze: è sui giovani che b isogna puntare per contrastare la cultura criminale, quindi sul
progetto dell’università, ma anche sul potenziamento delle scuole e dei servizi sociali.”
Ben disposto ad ascoltare i cittadini presenti all’incontro, Mancuso ha sottolineato la necessità di
ristabilire un rapporto serio tra l’amministrazione pubblica e il territorio, specificando come la
Municipalità sia preposta ad ascoltare la cittadinanza per potervi dare voce, focalizzando gli interventi
politici sui bisogni concreti del territorio: “Lo Stato deve riappropriarsi delle periferie, valorizzandone le
risorse e creando condizioni reali di sviluppo che contrastino le politiche dell’emergenza”.
Strumento di grande democrazia, che rende la cittadinanza partecipe della vita politica, le primarie
danno la possibilità di scegliere il candidato dal quale maggiormente ci si sente rappresentati
(ovviamente sempre attingendo alla rosa proposta dai dirigenti di partito della coalizione). Tuttavia,
sembra una scelta difficile quella posta il prossimo week-end all’elettorato: sarà possibile scegliere tra
ben cinque candidati e non c’è alcun dubbio che, vista la fama impopolare guadagnata dal
centrosinistra in Campania con le ultime ondate di emergenza rifiuti, molti cittadini valuteranno
principalmente i legami del futuro sindaco di Napoli con i governi locali degli ultimi anni piuttosto che i
progetti politici proposti per la città. Del resto anche il candidato scelto “dal popolo delle primarie” avrà
dinanzi a sé una sfida titanica: prima le elezioni, poi il mantenimento delle gravose promesse che oggi
sembra così semplice enunciare ad una comunità ancora in attesa di un rilevante cambiamento politico
e sociale.
Sara Di Somma
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Patto di stabilità nell’Agro Aversano | …
Numero 10 del 18/01/2011
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Patto di stabilità nell’Agro Aversano
Sezioni
MERCOLEDÌ, 19 GENNAIO 2011 18:18
Attualità
NESSUN COMMENTO
Il Comune di Cesa, provincia di Caserta, uno dei
venti Comuni dell’Agro Aversano, è stato
premiato dal Ministero dell’Economia e delle
Finanze, presieduto dal Ministro Giulio Tremonti,
come Comune “virtuoso”, nell’ottica della
gestione
economica-finanziaria. Il
premio
ricevuto ammonta a una somma di € 30.000,00,
ed è stato elargito al Comune per aver rispettato
il patto di stabilità in riferimento ai conti pubblici
dell’anno 2009.
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Il patto di stabilità consiste in un accordo,
stipulato dai paesi membri dell’Unione Europea,
inerente al controllo delle rispettive politiche di bilancio, al fine di mantenere fermi i requisiti di adesione
all’Unione Economica e Monetaria Europea. Per il monitoraggio degli adempimenti relativi al patto di
stabilità interno e per acquisire elementi informativi utili per la finanza pubblica anche relativamente alla
loro situazione debitoria, le Province ed i Comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti
trasmettono semestralmente al Ministero dell’Economia e delle Finanze, Dipartimento della Ragioneria
Generale dello Stato, le informazioni riguardanti le risultanze in termini di competenza mista.
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La trasmissione deve avvenire entro trenta giorni dalla fine del periodo di riferimento: il Comune, sentita
la Conferenza Stato – Città ed Autonomie Locali, compila un prospetto, secondo le modalità definite con
decreto del predetto Ministero, e provvede a inviarlo utilizzando il sistema web appositamente previsto
per il patto di stabilità interno nel sito web www.pattostabilita.rgs.tesoro.it.
La mancata trasmissione del prospetto dimostrativo degli obiettivi programmatici costituisce un
inadempimento al patto di stabilità interno, una circostanza che purtroppo si verifica troppo spesso.
Infatti, se è vero che il Comune di Cesa è stato premiato per la sua precisione, è anche vero che questa
circostanza è un’eccezione, piuttosto che la norma, nell’area dell’Agro Aversano: si tratta di un fenomeno
in controtendenza rispetto agli altri Comuni della zona, che infatti non riescono a far tornare i conti. Sarà
forse perché ogni Pubblica Amministrazione subisce delle proprie e vere richieste di pagamento da
parte della criminalità organizzata, al fine di “tenere in piedi” le varie funzioni amministrative? Non
possiamo affermarlo con certezza, ma è evidente che se così fosse il patto di stabilità non potrebbe mai
essere rispettato. Si auspica un massiccio intervento delle Forze dell’Ordine sul territorio al fine di
indagare per ridurre significativamente questa piaga.
Raffaele dell’Aversana
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