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Progetto Forum SPL La regolazione economica della gestione dei rifiuti urbani: Piano d’Ambito, Tariffa, Affidamento Atti seminario 1 dicembre 2006 (testi non rivisti dai relatori) Franco Becchis, Fenoglio” direttore Fondazione per l’Ambiente “Teobaldo Questo è il secondo incontro nell’ambito del Forum sui Servizi Pubblici Locali, un progetto della Fondazione per l’Ambiente, sostenuto dalla Compagnia di San Paolo, dalla Provincia di Torino e dalla Regione Piemonte. La finalità del Forum è restituire un’analisi dei servizi pubblici locali attraverso una metodologia interdisciplinare e in una prospettiva europea. Dopo il seminario di luglio sulla governance degli ATO (Ambiti Territoriali Ottimali) che si occupano dei rifiuti, affronteremo oggi gli aspetti di costo, i piani industriali, il riversamento di questi elementi sulla tariffa per i cittadini. Gli aspetti più delicati risiedono negli impianti e negli investimenti. Infatti, mentre i servizi di spazzamento sono compatibili con il libero mercato, dove ci sono impianti e infrastrutture pesanti c’è il rischio di formarsi di rendite. Questo problema va posto in modo molto chiaro, soprattutto dove sono necessari grandi investimenti. L’ATO, l’autorità pubblica che deve governare il processo, ha il compito di rappresentare la collettività, affinché l’intero ciclo sia disegnato in modo ragionevolmente accettabile per tutti i cittadini e non solo per chi gestisce gli impianti. Il tema della giornata è analizzare come si deve formare un piano industriale, come si formano i costi e le tariffe. In particolare, cercheremo di rispondere a queste domande: È sostenibile una finanza locale che si appoggia sulle utilities? Qual è l’effetto delle utilities sulla finanza locale? Maria Rita Ebano, ricercatrice 1 La dimensione locale dei servizi pubblici possiede aspetti molto legati alla finanza dei Comuni, quindi la certezza della norma ha un’importanza fondamentale. Essa, tuttavia, è molto frammentaria. Il decreto legislativo 152 del 2006 è un tipico esempio di confusione normativa e, infatti, dopo la sua approvazione, sono venute sollecitazioni anche dall’Unione Europea per fare sì che il governo intervenisse con correttivi. L’ultimo decreto correttivo è del 24 novembre, mentre siamo ancora in attesa di una fotografia organica del settore. Rispetto al decreto 152, la Commissione europea ha rilevato che la definizione di rifiuto nella normativa italiana è troppo restrittiva e potrebbe dare luogo ad abusi. Con il decreto legislativo del 31 agosto il Ministero dell’Ambiente ha previsto la modifica di questa definizione, abolendo la classificazione del rifiuto come prodotto e inserendo una definizione più adatta alla realtà. Nel medesimo decreto si ha, inoltre, una disciplina diversa del deposito temporaneo dei rifiuti (sempre allo scopo di evitare abusi), per cui i rifiuti possono essere mantenuti per un tempo non superiore ad un anno. È stata modificata anche la disciplina dell’accordo di programma, nel tentativo di sottoporre la gestione e il recupero dei rifiuti ad un quadro più stringente. Anche la nozione di scarico diretto nelle acque è stata modificata, attraverso il decreto legislativo 284 del 24 novembre scorso, da cui si trae la disciplina attuale. Questo decreto ha apportato tre modifiche rispetto al d. lgs. 162: è concessa una proroga alle autorità di bacino; sono istituiti il comitato di vigilanza sulle risorse idriche e l’osservatorio nazionale sui rifiuti; è slittato lo statuto del CONAI, portato a 12 mesi. I Comuni devono appoggiarsi alle utilities per sostenere la finanza pubblica. Per le aziende è quindi necessario avere un quadro normativo certo, che però, ad oggi, non è ancora visibile. Bisogna evitare che, oltre l’onere gestionale, sulle imprese pesi anche un onere legislativo. Andrea Sbandati, coordinatore del progetto L’analisi che vi illustrerò ora è stata realizzata sulla base della normativa in vigore attualmente, anche se il quadro non è ancora stabilizzato. Prevale l’attenzione sugli aspetti ambientali, non su quelli economici. Nella regolazione, a differenza dell’acqua e dell’energia, per quanto riguarda i rifiuti c’è poca attenzione. Tuttavia, la regolazione economica è necessaria perché si trovi un punto di equilibrio tra tutela del consumatore e stabilità dei mercati. Quello dei rifiuti è un mercato più consistente di quanto si immagini, superiore a quello idrico per numero di addetti, fatturato, ecc. Gli strumenti di regolazione introdotti dalle nuove normative sono: il Piano d’Ambito; la tariffa; le procedure di affidamento e il contratto. 2 Se si tenta di collegare i tre aspetti, si riscontra una discontinuità logica, come se chi ha definito il decreto li avesse trattati esclusivamente come elementi separati, come se la tariffa non fosse pensata per quel determinato Piano d’Ambito ed entrambi fossero scollegati dall’affidamento. Il Piano d’Ambito è lo strumento di regolazione economica del settore. La nuova normativa ha chiarito la differenza tra la pianificazione ambientale e territoriale, cui si riferiva il Piano Regionale e/o Provinciale, e quella economico finanziaria, alla quale si rifà il Piano di Ambito, in un modello simile a quello idrico. Il Piano è approvato dall’Autorità d’Ambito. Il Piano contiene gli obiettivi da perseguire per garantire la gestione secondo criteri di efficienza, efficacia, economicità e trasparenza, ed in particolare esso descrive: il programma degli interventi; il modello organizzativo e gestionale; il piano finanziario e tariffario; le risorse disponibili Quali attività sono regolate dal Piano ? Primo problema: Il Piano di Ambito è lo strumento di Pianificazione di tutto il settore di gestione dei rifiuti urbani, o delle sole attività in monopolio ? Il Piano si riferisce solo ai contenuti del futuro affidamento o regola anche attività sul libero mercato (prezzo di accesso agli impianti di recupero e di smaltimento dei rifiuti speciali)?. E i rifiuti speciali dove stanno? Quando si parla di impianti di rifiuti urbani, di che cosa stiamo parlando esattamente? Questi sono i dubbi che potrebbero essere chiariti dalle Linee Guida Regionali previste dal D. Lgs 152/06. La discussione non è puramente accademica, perché, se si deve fare una gara, queste domande diventano problemi operativi essenziali. Per esempio, un impianto di selezione o di compostaggio dove sta? Rientra o no nella gara? Si pone il problema di distinguere attività in monopolio legale (raccolta/ spazzamento, impianti di smaltimento di rifiuti urbani), dalle attività in regime di concorrenza e autorizzazione (attività di recupero, smaltimento di rifiuti speciali derivanti dal trattamento di rifiuti urbani). Quello dei rifiuti, infatti, è un mercato aperto, in cui fasi in monopolio legale si affiancano ad altre in area “grigia”, per cui è difficile stabilire, ad esempio, se gli impianti di recupero (la nuova normativa dice che sono sottoposti ad autorizzazione) rientrano in una dimensione di monopolio legale o se, invece, stanno diventando parte del mercato. Si pone dunque il problema di sottrarre alla gara e regolare in un altro modo le attività che rientrano nel libero mercato. Il nuovo decreto precisa alcuni aspetti della tariffa poco chiari nella normativa precedente. In particolare, stabilisce che: la tariffa è decisa dall’Autorità d’Ambito (i Comuni sono esclusi); è riscossa dal gestore; copre i costi (entro 4 anni);33 rimane in vita il vecchio Regolamento (DPR 158/99) fino alla emanazione del nuovo; la tariffa si riferisce alla “gestione dei rifiuti urbani”; deve coprire tutti i costi (incluso lo spazzamento) secondo il principio “chi inquina paga”; è escluso il sussidio pubblico (alla fine di una fase transistoria di 4 anni). La formula tariffaria è la seguente: ∑Tn = (CG + CC)n-1(1+IPn – Xn) + CKn ∑Tn corrisponde all’ammontare globale del gettito tariffario per l’anno per cui si deve decidere la tariffa. CG sono i costi operativi di gestione, CC sono i costi operativi comuni, IP è l’inflazione programmata, X è il recupero di efficienza, CK sono i costi di capitale. Si pongono problemi di compatibilità fra il Piano di Ambito e la Tariffa in relazione sia ai tempi sia ai contenuti. La tariffa si ricalcola ogni anno, il che pone problemi in rapporto con il Piano, che, invece, ha validità quindicinale. Il Piano, quindi, stabilisce le regole generali per costruire la tariffa, ma determina solo quella del primo anno o prevede l’evoluzione tariffaria per tutti i 15 anni? Nel secondo caso, si avrebbe un dirigismo molto forte, con un ingresso assai pervasivo dell’ente pubblico nei conti delle aziende. Si fa nel sistema idrico, mentre la prima ipotesi è applicata per il gas. Come già accennato, i costi di investimento sono a piè di lista, il che significa che vanno ad incidere sulle tariffe. Forse questo aspetto andrà rivisto. La ‘X’ che compare nella formula rappresenta il recupero di efficienza. Il recupero di efficienza X non è regolato con precisione e non è collegato ad un sistema di costi standard come nel sistema idrico. Non esiste un tetto massimo al totale della tariffa che garantisca da escursioni tariffarie annuali troppo alte (come nel servizio idrico). La formula consente il recupero di costi operativi extra (maggiori rispetto a quelli regolati) dopo un anno. Sembra più adatta ad una tariffa di Piano piuttosto che ad una stabilita annualmente. La remunerazione del capitale investito è solo di due punti maggiore dei titoli di Stato. C’è quindi poca attenzione ad attirare investimenti. Secondo problema: Il sistema tariffario contenuto nel DPR 158/99 non si addice ad un Piano di Ambito, in quanto è una tariffa annuale. D’altra parte nel 1999 non era previsto il Piano di Ambito. Potrebbe diventare una tariffa di Piano (in questo modo si risolverebbero i problemi di calcolo dei costi operativi). In questo modo si opterebbe per una scelta di “Piano pesante”, come quello idrico. Si potrebbe anche pensare ad un Piano che fissa obiettivi e standard (Piano “leggero”), ma che lascia al gestore il calcolo annuale delle tariffa sulla base 4 dell’attuale schema (in questo caso andrebbero corretti alcuni problemi di regolazione contenuti nell’attuale Metodo). Andrebbe definito meglio il rapporto fra Piano e Tariffa, oggi non chiaro nel D.lgs 152/06. Mentre il DPR 158/99 parla di Piano finanziario dei comuni, la nuova normativa fa un generico riferimento ad un Piano finanziario (includendo al tempo stesso la tariffa fra le attività di Piano). Anche per questo potrebbero essere utili le Linee Guida Regionali. L’affidamento: Con le modifiche apportate al testo del D.lgs 152/06 sono di nuovo possibili le tre forme di affidamento previste dall’art. 113 del Testo Unico Enti Locali: Gara per la concessione; Affidamento a spa mista con gara per il partner; Affidamento in house. Le tre forme presentano problemi diversi di regolazione economica e di rapporti con il Piano di Ambito e la Tariffa. Anche in questo caso il D.Lgs 152/06 non è chiaro nello stabilire il rapporto fra l’affidamento, il Piano e la Tariffa. Nel caso della gara, infatti, si afferma che “i soggetti partecipanti devono formulare, con apposita relazione tecnico illustrativa allegata all’offerta, proposte di miglioramento della gestione, di riduzione della quantità di rifiuti da smaltire e di miglioramento dei fattori ambientali, proponendo un proprio piano di riduzione dei corrispettivi per la gestione al raggiungimento di obiettivi autonomamente definiti.” È tuttavia legittima questa domanda: Perché si fa il Piano e si determina la tariffa se poi si vogliono fare le gare? Non si capisce bene che cosa vada in gara. C’è uno scarso coordinamento del testo: se la gara deve appoggiarsi sul Piano d’Ambito e sulla tariffa è un conto, ma se la gara è indipendente, che ragione c’è di fare il Piano e di costruire la tariffa? Tutto ciò non è chiaro. La gara: In caso di gara occorrerà definire se la base su cui elaborare le offerte è il Piano di Ambito inteso come capitolato tecnico economico. In questo senso occorrerà risolvere in modo preciso i problemi posti precedentemente (quali attività si regolano e quindi si pongono in gasa, se il piano è dettagliato anno per anno o se è una cornice in cui si inserisce l’attività del gestore, con una tariffa decisa anno per anno). Va deciso quanta funzione di regolazione attribuire al Piano e quanta alla procedura di gara e alla elaborazione delle proposte dei diversi partecipanti (Piano pesante o Piano leggero). Complesso appare risolvere in termini di gara il problema della regolazione di impianti o attività che esulano dal monopolio legale (recupero, speciali). Complesso anche risolvere in fase di gara il tema della proprietà e gestione di impianti che non fanno direttamente parte del monopolio legale. Possibili rischi di contenzioso in un quadro così incerto, per la difficoltà di definire contratti non “aperti”. La spa mista: 5 In caso di spa mista si pongono gli stessi problemi anche se l’affidamento diretto limiti i rischi di contenzioso. La gara per il partner potrebbe essere basata sul miglioramento del Piano di ambito (sia nel caso di Piano “pesante” che “leggero”). I problemi di accesso ad impianti non in monopolio legale (magari gestiti dalla stessa spa mista) e di proprietà e gestione di tali impianti potrebbero essere meglio definiti, rispetto alla gara per la concessione. In house: Si tratta del modulo che più competitive, di accentuare i metodo tariffario. Si potrebbe anche pensare affidamenti (costi standard, superare tali rischi. rischia, non essendo sottoposto a procedure caratteri di “regolazione debole” dell’attuale a forme di regolazione specifica di questi yardstick competition, benchmarking), per Daniele Fortini, Presidente nazionale Federambiente Il governo sta lavorando alle correzioni del D.lgs. 152. Come parti sociali stiamo spingendo perché il nuovo decreto esca entro l’anno. Ci sono esigenze di correzione, in particolare sulla valutazione di impatto ambientale (titolo V) e sulla valutazione di impatto ambientale strategico. C’è un’ampia convergenza delle parti sociali sulla modifica di alcuni aspetti fondamentali del D.lgs. 152: in primo luogo, la definizione stessa di rifiuto, per cui una buona parte dei rifiuti urbani sarebbe stata considerata “altro”, in secondo luogo, l’assimilabilità dei rifiuti a prodotti, per cui il produttore ne organizza lo smaltimento o il trattamento in base ad accordi di programma con le parti sociali. Per il gas le gare di affidamento sono previste entro il 31/12/2012. Il processo di liberalizzazione è molto lungo, l’indirizzo politico deve trovare corrispondenza nel quotidiano. Per i rifiuti, tuttavia, forse si faranno le gare già nel 2007. Con il decreto 152, una percentuale che varia tra il 30 e il 35% di quelli che oggi sarebbero considerati rifiuti urbani non sarebbero stati più tali, ma chi li produce se ne sarebbe liberato in virtù degli accordi di programma firmati a livello ministeriale con le parti sociali. Ora, invece, per la definizione di rifiuto si farà riferimento alla normativa comunitaria. Spariscono le norme sulla assimilazione per tornare alla norma precedente. Per quanto riguarda la gara, si richiama l’art. 113 della normativa sugli Enti Locali. Questa parte del decreto dovrà legarsi alla legge delega sulla liberalizzazione dei Servizi Pubblici Locali Presso l’Unione Europea è in discussione la normativa quadro sui rifiuti urbani. Contemporaneamente è in discussione la correzione alla direttiva sullo smaltimento dei rifiuti. In gran parte dei Paesi europei la liberalizzazione non c’è, sono per la difesa dell’affidamento diretto contro la liberalizzazione (v. Gas de France e EDF per l’elettricità in Francia, RVE in Germania). In Italia la discussione circa i diritti dei consumatori è più avanzata rispetto all’Europa. 6 L’impianto di termovalorizzazione di Brescia è stato premiato come il migliore del mondo da un’Università americana. Federambiente associa 300 imprese, per la maggior parte a partecipazione pubblica, per un totale di 41.000 addetti. Quanto più è forte il regolatore, tanto più forte è l’impresa. Quando il regolatore è forte e autorevole e in grado di sollecitare l’impresa a standard di qualità, l’impresa è spinta a migliorarsi. Le imprese affidate direttamente hanno poca propensione alla sfida, però hanno un atteggiamento orientato all’interesse pubblico più che al profitto. L’elemento della terzietà, ovvero di autorità indipendenti, poste tra il concessionario di un servizio e il concedente, è tutto da conquistare nella nostra cultura. Il condizionamento politico nei Paesi anglosassoni è molto più mitigato, da noi la terzietà è un’ambizione. Oggi da noi il Comune, che è un’autorità di regolazione, perché fa parte dell’Autorità di Ambito, è anche socio del concessionario. La dimensione ottimale, cioè la possibilità di organizzare il servizio su scale (economiche, industriali, finanziarie) tali da poter garantire l’interesse generale (ad es. l’autosufficienza) è possibile solo oltre un determinato numero di abitanti. La sostenibilità ambientale del ciclo dei rifiuti è il fattore più importante, insieme alla sostenibilità economica e sociale. Nella finanziaria c’è un aspetto che nei prossimi mesi produrrà innovazione: sono previste iniziative che lo Stato riconosce per le class action, per cui gruppi di cittadini potranno adire le vie del contenzioso legale per far valere le proprie istanze. Inoltre, per gli ordini professionali sarà possibile organizzarsi in spa. Da questi due aspetti può venire fuori una miscela per cui le aziende che gestiscono servizi pubblici locali saranno fatte oggetto di sollecitazioni non solo dal regolatore o dai comitati di protesta, ma molto più aggressive. La risposta non potrà che essere quella di aprire alla comunicazione verso i cittadini molto di più di quanto sia fatto oggi attraverso le vie tradizionali (sindacati o enti pubblici). Quanto alla liberalizzazione del mercato, bisogna riconoscere che già oggi è molto più aperto di quanto non sia in altri settori. In Piemonte, ad esempio, c’è una società di Alessandria che gestisce un teatro comunale dei primi del ‘900, uno dei primi casi in Italia di affidamento all’esterno di servizi pubblici locali. È la tradizione sì di sinistra dell’Emilia Romagna, ma anche quella cattolica del Veneto, della Lombardia, del Piemonte. La più grande gara europea per la gestione di tutto il ciclo dei rifiuti degli ultimi cinquanta anni è stata fatta a Napoli e vinta dalla Fiat attraverso Impregilo, però dopo 4 anni Impregilo ha consegnato le chiavi al commissario straordinario e rinunciato. Il pubblico, probabilmente, a volte riesce a essere più efficiente e più trasparente. Paolo Foietta, Presidente ATO 3 Torinese Mi trovo sfortunatamente nei panni scomodi del neonato ente di regolazione. Come sempre, ci si attende che il nuovo ente risolva problemi incancreniti da tempo. L’ente deve avere un ruolo forte di regolazione e di terziarietà, ma c’è un elemento pesante di crisi del sistema. La crisi è vista come crisi impiantistica e, certamente, questo aspetto esiste, se la discarica sarà esaurita 7 nel 2009 e il termovalorizzatore non entrerà in funzione prima del 2011/2012. Quindi l’ATO nasce in un momento di forte esigenza impiantistica. In provincia di Torino ci sono cittadini che pagano 60 euro ad abitante ed altri che ne pagano 200, sempre per le stesse funzioni: ciò significa che non esiste un sistema di regolazione. La funzione di regolazione del ciclo deve essere unica. Come si è prima delineato, ora c’è una condizione di incertezza normativa, per cui si ritiene che il Piano di Ambito debba partire subito. Anche in questo caso saremo costretti ad assumere decisioni che non possono più essere procrastinate. Il Piano d’Ambito dovrebbe avere le caratteristiche di un piano industriale di sistema. Il problema principale è che l’azienda sia efficace ed efficiente, ossia che funzioni, indipendentemente dal fatto che essa sia pubblica o privata. Bisogna uscire dal “conflitto di interessi” e dalle contraddizioni interne all’ente pubblico, che si trova nella duplice posizione di concedente e concessionario, tra l’interesse dei cittadini e l’esigenza di salvare i posti di lavoro nell’azienda pubblica. Gli affidamenti in house sono destinati a finire (in provincia di Torino, il TAR ha recentemente annullato l’affidamento in house a SETA). Noi abbiamo attivato un percorso che parte dalla ricognizione delle attività esistenti. Non è un atto formale, ma andiamo verso una logica di ATO leggera, che sappia fornire indirizzi. In questo momento, tuttavia, non ha senso un’ATO leggera, ma un’ATO che sappia definire un vero piano industriale. È obbligatorio che nel Piano d’Ambito sia definita la tariffa, non basta stabilire i criteri. Deve inoltre indicare le modalità di gestione. Nei nove mesi di tempo che ci siamo dati, dovremo fare un’analisi precisa delle necessità di investimento e dei riferimenti tariffari esistenti. Dall’analisi dei piani tariffari emerge che la tariffa deve tenere conto di diversi aspetti, ma poi si scopre che la cifra effettivamente applicata è distante dal piano tariffario. In molti casi ci sono margini di plusvalenza dell’80%. Magari oggi servono per calmierare i costi di raccolta, ma non va bene. La tariffa deve essere equa, basata anche su elementi di confronto e benchmarking. La costruzione del Piano d’Ambito è rilevante, non può fermarsi ad una dimensione leggera. Con la Regione si apre un nodo che è necessario chiarire: una condizione in cui una legge regionale separa il ciclo della raccolta da quello degli impianti e demanda alle ATO solo il secondo aspetto è pericolosa, perché la legislazione nazionale rimanda invece ad un’integrazione del ciclo. A questo proposito è stato richiesto un parere al Ministero dell’Ambiente. Carlo Foppa, Presidente Agenzia dei Servizi Pubblici Locali Comune di Torino Uno dei nodi principali, visti dall’ottica del Comune di Torino, è il problema delle tariffe. Se si considera, ad esempio, un nucleo famigliare di quattro persone, si vede che il carico è molto oneroso. Il problema è che le aziende pubbliche rappresentano uno dei meccanismi della finanza pubblica impropria. Quando si ereditano costi dal passato per il Comune è un problema. E questo 8 non si può risolvere finché il Comune ha un doppio ruolo, da un lato l’interesse dei cittadini, dall’altro quello dell’azienda. Due città che guadagnano sono Milano, che ha due inceneritori, e Torino che ha la discarica più grande d’Europa. Ora, il problema dei costi e di come regolarli diventa immediato nel momento in cui si esaurisce la discarica e sorge il problema ambientale. Il diagramma della TARSU da noi continua a salire e le cose non cambieranno se non si metterà efficienza all’interno del sistema. Le nostre aziende hanno costi di personale abnormi, non corrispondenti al settore privato; costi che il cittadino sta pagando. Bisogna riuscire a fare politiche che aiutino i Comuni. Questo, come diceva Fortini, rafforza anche le aziende. Non si devono fare gare al massimo ribasso. I controllori devono essere gli stakeholders (i cittadini, i consumatori). Ora, nel meccanismo duale del controllo ci sono le maggiori aziende. Bisogna evitare che, nell’incapacità di rimettere in moto il mercato, siano le aziende pubbliche a fare da freno. Franco Becchis A Sbandati chiedo: “Hai citato sistemi regionali di definizione delle tariffe, puoi aggiungere qualche notazione tecnica e qualcosa sulla concorrenza tra impianti? Perché è il monopolio legale che crea il monopolio locale, non c’è monopolio naturale, di fatto. Il fattore X nel Price Cap è di competenza dell’ATO o è oggetto di contrattazione tra ATO e mercato?” Andrea Sbandati In Toscana ci sono quattro discariche regionalizzate, aperte a tutti i flussi concordati che provengono da tutta la regione. Questo ha fatto superare l’emergenza di 15 anni fa. Il sistema della Toscana prevede il 10% di incenerimento e il resto in discarica. Chi faceva il prezzo? Il gestore della discarica. Questa è una situazione di monopolio non regolato. L’economista inorridisce, il politico no: è evidente che questi ne approfittano, perché sono Comuni che si sono accollati l’onere di avere la discarica in casa. Come risolviamo la questione? In realtà la liberalizzazione c’è già, perché se i rifiuti diventano tutti speciali, è difficile mettere la tariffa nel Piano d’Ambito, visto che ciascuno può portarli dove meglio crede. Nel Lazio, ad esempio, il prezzo si stabilisce in sede autorizzativa. D’altra parte, l’alternativa è aprire il mercato; è scandaloso che in sede autorizzativa non si regoli il prezzo. La variabile X è decisa dall’Autorità d’Ambito, ma quanto è il recupero di efficienza? Come si fa a calcolarlo? Nei rifiuti non c’è un criterio; si fa un benchmarking, ma è molto complicato. Può essere pratico compensare questa X con l’inflazione, ma non è un atto di regolazione. Angela Massaglia, Assessore all’Ambiente Provincia di Torino 9 Ringrazio la Fondazione per averci offerto l’occasione di discutere senza attendere che il quadro normativo si stabilizzi. Sono reduce da una maratona per l’approvazione del piano provinciale, dove molti chiedevano che si aspettasse la stabilizzazione della norma, però ci sono urgenze che ci impongono di operare. Il piano provinciale è stato fatto, ora l’ATO deve occuparsi della realizzazione degli impianti. In Piemonte la regolazione è in capo a due soggetti: l’ATO per quanto riguarda gli impianti, i consorzi per l’organizzazione e il trasporto. Questa suddivisione rende complicata la regolazione delle tariffe. In provincia di Torino c’è il caos per questo motivo; alcuni comuni sono in subbuglio, i giornali locali sembrano un bollettino di guerra. C’è una leggenda metropolitana secondo la quale con la raccolta differenziata aumenterebbero i costi. In realtà ciò avviene solo in uno degli otto consorzi della provincia, in altri è una variabile indipendente, in altri ancora i costi diminuiscono. Con l’attuale legge sulla regolazione, l’ATO non può incidere su questo aspetto. Attualmente, in base alla legge regionale 24, è lo stesso soggetto che decide e gestisce la tariffa. Spalmare i costi facendoli pesare più sulla parte domestica o su quella non domestica è una scelta politica che dipende dai Comuni. Rispetto alla liberalizzazione, le nostre società pubbliche sono un patrimonio della collettività, ma per non soccombere – con i problemi che ne deriverebbero per la collettività stessa – devono evolversi e aggregarsi, perché in Piemonte sono troppo piccole. A questo proposito, è stato proposto di unire Amiat e TRM con Iride. In Piemonte su questo terreno si è perso molto tempo. Là Provincia dà gli indirizzi, ma i sindaci devono assumere le decisioni e agire di conseguenza. La legge Bersani Lanzillotta porrà la gara non dal 2007, ma più avanti, però i Comuni devono attrezzarsi per un servizio che abbia caratteristiche di economicità, efficienza ed efficacia. 10