Una introduzione filosofico-giuridica e una ricostruzione di storia del

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Una introduzione filosofico-giuridica e una ricostruzione di storia del
Una introduzione filosofico-giuridica
e una ricostruzione di storia del diritto
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EGUAGLIANZA E DIFFERENZA. ALCUNI PUNTI FERMI
Agata C. Amato Mangiameli 
1. – Con il nostro tema, diritti umani e genere, si corre il rischio di non voler vedere la realtà
dei fatti, anche quando essa è del tutto evidente. Altrimenti detto, si corre il serio rischio di vedere
la realtà, di leggere la storia, di interpretare i fenomeni, e con questi le battute d’arresto e le conquiste, attraverso – e solo attraverso – i filtri delle proprie appartenenze, delle proprie ideologie o anche
molto più semplicemente delle proprie inclinazioni.
Non deve destare meraviglia se, in modo provocatorio, Catharine MacKinnon, per alcuni forse irriverente pensatrice le cui questioni di principio si trasformano immediatamente in battaglie legali, ha titolato una sua raccolta di saggi Are Women Human? Qui, grazie anche alle sue lenti bosniache, sua è infatti la rappresentanza legale delle donne bosniache e croate contro i serbi accusati
di genocidio, l’avvocata e filosofa del diritto MacKinnon suggerisce alcuni significati e alcune implicazioni della violenza sessuale (più in particolare dello stupro, della schiavitù sessuale, della prostituzione forzata e di altre forme di tortura), quale specifica arma intenzionale e organizzata di una
politica di genocidio.
In tempo di guerra, per piegare e distruggere un gruppo etnico, religioso, nazionale, in tempo
di pace, per asservire o al contrario per liberare una comunità, una famiglia, un individuo, le istanze
di dominio ripropongono i soliti modelli, sviluppano stessi usi, utilizzano stessi luoghi. La sessualità è in molti casi il luogo privilegiato ora per reprimere, ora per affrancare, quel che in ogni caso resta conquistato e schiavizzato è il corpo delle donne, perpetuando così il processo di stereotipizzazione dei ruoli sessuali.
Due esempi: la gravidanza forzata, ovvero la violenza o la minaccia con le quali si costringono le donne rese gravide a proseguire la gravidanza, al fine in caso di conflitto di modificare la
composizione etnica di un gruppo o di una popolazione; il matrimonio forzato e precoce, ovvero la
violenza o la minaccia fisiche e psicologiche con le quali si costringono le minori a contrarre matrimonio, perché utile alle famiglie d’origine o a loro stesse.
I due esempi qui proposti, le cui ragioni sono molteplici (ignoranza, povertà, diseguaglianza)
e le circostanze diverse (guerra, lotta, contrasti), hanno un unico comune denominatore, e cioè la
continua ed endemica violenza contro le donne, “manifestazione delle relazioni di potere storicamente diseguali tra uomini e donne, che ha portato alla dominazione e alla discriminazione nei confronti delle donne da parte degli uomini e ha impedito il pieno sviluppo delle donne, e la violenza
contro le donne è uno dei meccanismi sociali cruciali per mezzo dei quali le donne sono costrette in
una posizione subordinata rispetto agli uomini”, in particolar modo le donne appartenenti a gruppi
minoritari, le donne indigene, le donne rifugiate, le donne migranti, le donne abitanti in comunità
rurali e remote, le donne indigenti, le donne in istituti o in stato di detenzione, le donne in situazioni
di conflitto armato, le donne con invalidità, le bambine, le anziane 1.
*
Professore ordinario di Filosofia del Diritto e Informatica giuridica, Facoltà di Giurisprudenza, Università degli
Studi di Roma “Tor Vergata”.
1
Dichiarazione delle Nazioni Unite sull’eliminazione della violenza contro le donne, 23 febbraio 1994.
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2. – Con il nostro tema, diritti umani e genere, non possiamo sottacere che lo sguardo con il
quale le donne sono state e sono viste è frutto di una diffusa, quanto violenta, misoginia. Meno di
10 minuti e il cortometraggio di Eléonore Pourriat, La majorité opprimée, cortometraggio che segue
la pratica del subvertising, mostra le diverse e numerose molestie quotidiane che il protagonista subisce e che si rivelano oltremodo violente proprio invertendo i ruoli di genere.
Qui la regista immagina infatti una società in cui vengono stravolti i ruoli: l’uomo è la vittima, le donne sono invece gli aguzzini e i seccatori. E tanto basta per mostrare la violenza degli atti,
delle parole, degli atteggiamenti e dei modi di essere, che nel quotidiano non solo sono tollerati, ma
assai spesso sono condivisi e compresi da entrambi i sessi, se ovviamente gli uomini e le donne restano per l’appunto legati a quelle differenti caratteristiche sociali assegnate a uomini e donne nei
più vari contesti culturali e politici.
Sesso/genere: nella sua istanza massima la teoria (l’ideologia) del gender, laddove dissocia
del tutto la sessualità dalla personalità, può minacciare la differenza maschile/femminile, e tuttavia
non vi è dubbio che l’identità (di genere) si riferisce anche a ciò che vuol dire essere un bambino o
una bambina, un uomo o una donna, in una determinata cultura e in una società, e l’una e l’altra
tramandano modelli, comportamenti, posizioni. Altrimenti detto, l’appartenere a un genere significa
rivestire o meno alcuni ruoli, essere considerati più o meno responsabili, godere o meno di alcune
opportunità e di certi privilegi, incontrare o meno alcune limitazioni. Questi ruoli, come pure le responsabilità, le opportunità e le limitazioni, definiscono i rapporti di forza tra i membri di un gruppo
e di una società, e com’è intuitivo si traducono in diseguaglianza e squilibrio di potere. La violenza
contro le donne, nelle sue diverse forme (fisica, sessuale, psicologica) in famiglia, nella comunità,
nello Stato, non è altro che una manifestazione di tale diseguaglianza e squilibrio.
3. – Ewig-Weibliche, l’eterno femminino ci farà salire in cielo: Tutto ciò che passa non è che
un simbolo, l’imperfetto qui si completa, l’ineffabile è qui realtà, l’eterno femminino ci attira in alto accanto a sé.
Quanto ripreso dal Coro mistico, alla fine del Faust, che indica il mistero del mondo,
l’elemento eterno nell’uomo che anela all’eterno nel mondo 2, finisce in realtà con l’essere citato erroneamente, come allusione diretta e inequivocabile al fascino della donna e alla facilità con cui
l’uomo vi soggiace, preso com’è da quegli impulsi che caratterizzano lo stato di natura e che riemergono ogniqualvolta viene bandita la dimensione culturale e con essa le verità scientificospirituali.
Ma se anche l’Ewig-Weibliche può essere citato impropriamente, a maggior ragione può esserlo il Weiblich senza Ewigkeit, legato com’è a quelle culture che hanno coltivato e coltivano il
culto della forza e quindi il rapporto maschio/femmina in una accezione che solo la forza può giustificare: violazione, umiliazione, cosificazione, della personalità di colei che la subisce, ma anche
violazione, umiliazione, cosificazione, della personalità di colui che la usa. In questo pari, se è vero
che la forza non risparmia alcuno, né chi la patisce, né chi la pratica.
3.1. – Alla forza operante nella storia e alla sua denuncia, Simone Weil ha dedicato pagine,
oltre che particolarmente significative, appassionate e intense. Può essere utile riproporre qui in
2
E che, come scriveva STEINER, non si riferisce a qualcosa di femminile in senso ordinario. L’eterno femminino
lo si può cercare sia nell’uomo, sia nella donna, è il mistero dell’uomo di ogni tempo: l’eterno femminino che eleva
l’anima verso l’eterno immortale, la sapienza eterna, e che si dona all’eterno mascolino (Goethes “Faust” vom Geisteswissenschaftlichen Standpunkt – Straßburg, 23 Januar 1910, in R. S., Bausteine zu einer anthroposophisch orientierten
“Faust” – Deutung, Rudolf Steiner Online Archiv, 2010, 25-26).
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breve alcuni brani. Intanto il più noto, riguardante la centralità della forza: “il vero eroe, il vero soggetto, il centro dell’Iliade, è la forza. La forza usata dagli uomini, la forza che sottomette gli uomini,
la forza davanti alla quale la carne degli uomini si ritrae. L’anima umana vi appare di continuo alterata dai suoi rapporti con la forza: trascinata, accecata dalla forza di cui crede di disporre, curva sotto il gioco della forza che subisce” 3.
Di qui la forza della forza. Essa rende l’uomo cadavere: c’era qualcuno e, un istante dopo,
non c’è più nessuno. La forza non risparmia i vinti e neppure i vincitori, la sua potenza reificante è
tale, perché chi uccide, ucciderà, e chi uccide, sarà ucciso. Del resto, “chi ascoltava l’Iliade sapeva
che la morte di Ettore doveva dare una breve gioia ad Achille, la morte di Achille una breve gioia ai
Troiani e l’annientamento di Troia una breve gioia agli Achei” 4.
Di qui ancora la necessità di sottrarsi al dominio della forza. Ed è peraltro proprio questo a
rendere miracolosa l’Iliade. Scrive Weil: “la straordinaria equità ispirata dall’Iliade ha forse degli
esempi a noi conosciuti, ma non ha avuto imitatori. A stento si sente che il poeta è greco e non
troiano … La tragedia attica, almeno quella di Eschilo e Sofocle, è la vera continuazione dell’epopea. Il pensiero della giustizia la rischiara senza intervenire mai. La forza vi appare nella sua fredda
durezza, accompagnata sempre da effetti funesti ai quali non sfugge né chi la usa, né chi la patisce:
l’umiliazione dell’anima sotto costrizione non viene mascherata, né avvolta da facile pietà, né esposta al disprezzo; più di un essere ferito dal degrado della sventura diviene oggetto di ammirazione.
Il Vangelo è l’ultima meravigliosa espressione del genio greco, come l’Iliade ne è la prima” 5.
4. – Maschio/femmina, virile/femminile: non sempre il secondo termine di queste coppie ha
una connotazione nobile. Qualche volta anzi tradisce un certo fastidio: l’accesso delle donne nello
spazio pubblico è visto come un esproprio di un territorio che gli uomini hanno considerato di loro
proprietà. D’altra parte, quel Weiblich, quel femminino senza Ewigkeit, sfrutta e baratta la costruzione di sé con la presenza nello spazio pubblico stesso. Detto altrimenti, l’identità femminile si
scontra con innumerevoli costrizioni, con numerosi atteggiamenti, non ultimi quelli delle stesse
donne che utilizzano a fini non proprio di emancipazione la sensibilità del loro essere donna.
Si pensi all’accesso delle donne nello spazio politico e, più in generale, negli spazi decisionali. Qui spesso i c.d. metodi democratici (voto) si accompagnano di fatto a forme di cooptazione (designazione), alle quali è corrisposta un’attiva adesione delle designate, ma non sempre in sintonia
con una libera partecipazione e nel segno di una reale eguaglianza. L’essere ammesse negli spazi
decisionali, più che a una politica di pari dignità ed eguale attenzione, sembra assai spesso il risvolto di una politica che, compiaciuta per il suo formale adeguarsi alla parità di genere, distribuisce posizioni e ruoli, perpetuando a suo modo il gruppo dominante. Con il risultato che, in nome di questa
benevola concessione, quantomeno si esita ad assumere atteggiamenti e impegni che potrebbero
porsi contro colui che presiede, o coloro che presiedono, alla distribuzione medesima.
Maschio/femmina, virile/femminile: non sempre il secondo termine di queste coppie ha una
connotazione felice. Se in das Glasperlenspiel 6, il protagonista è l’orfanello Josef Knecht le cui doti
gli consentono di essere ammesso nella piccola comunità di Kastalien e di avere accesso all’élite dei
giocatori di perle, nella vita e nella società reali l’orfanello è l’orfanella, il cui rapporto di dipendenza e sottomissione, naturalmente a partire da alcune doti, è condizione per la sua ammissione, o al
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Così ha inizio L’Iliade o il poema della forza, trad. it., www.asterios.it, p. 39.
Ivi, p. 62.
5
Ivi, p. 80 ss.
6
H. HESSE, Zürich 1943.
4
4
contrario per la sua esclusione. Poche o tante pedine, ma non è affatto detto (che sia buona cosa)
che le pedine diventino dame!
5. – Il nostro tema, diritti umani e genere, ripropone – e non potrebbe essere diversamente –
la politica della differenza. L’uguale rispetto che si deve a ogni essere umano passa attraverso la
possibilità di formare e definire la propria identità, sia come individuo e sia come appartenente a un
gruppo, con proprie e differenti storie, tradizioni, pratiche. Detto in altro modo, è necessario riconoscere e coltivare la particolarità, garantendo così l’identità individuale e culturale, perché ogni essere umano è un individuo unico, artefice di se stesso, creativo, portatore di cultura (anzi di culture
che variano secondo auto-identificazioni passate e presenti).
5.1. – Per il nostro tema di grande rilevanza è la questione del velo 7 (o più propriamente, dei
pur diversi burqa, niqab, khimar, chador) che alcune donne indossano e che è reclamato quale momento essenziale della propria identità, della propria libertà, della propria appartenenza. Le ragioni
sono molteplici: culturali, politiche, religiose; le soluzioni altrettanto: culturali, politiche, religiose,
legate il più delle volte all’affermazione della libertà di determinarsi al sì o al no rispetto a una medesima cosa (abbigliamento, comportamento, tradizione) secondo una personale vocazione e attitudine, qualche altra volta legate al timore che la negazione di una libertà di determinarsi al sì o al no
rispetto a una cosa determini delle ricadute ben più ampie e negli ambiti più disparati. In questa seconda ipotesi, però, piuttosto che alla libertà di determinarsi, certo fondamentale, sembra farsi appello alla libertà di indifferenza, che qui è molto semplicemente l’attenzione (e la cura) per le altrui
vocazioni, così che non siano compromesse le proprie.
In realtà, in entrambe le posizioni (sì/no secondo una personale vocazione e attitudine, sì/no
per il timore di ricadute ben più ampie) sfugge la considerazione secondo la quale non sempre stessi, o diversi, simboli identitari e/o religiosi possono essere (e anzi sono) trattati e giudicati in modo
analogo.
Nel caso ad esempio del crocefisso che una dipendente di British Airways intendeva indossare
sul posto di lavoro, sospesa perciò dal suo impiego, la Corte europea dei diritti umani ha riconosciuto la violazione del diritto fondamentale alla libertà religiosa; non altrettanto è invece accaduto
nell’ipotesi dell’infermiera licenziata per avere rifiutato di togliersi la croce, come richiesto dall’ospedale per ragioni d’igiene e sicurezza. Qui, infatti, rispetto a un medesimo oggetto e simbolo, ma
in condizioni diverse e con diritti in gioco tra loro in possibile contraddizione (libertà religiosa/diritto del paziente), la Corte di Strasburgo ha ritenuto di dovere respingere l’istanza della ricorrente 8.
5.2. – Altro caso: si tratta della nota ordinanza del sindaco di Cannes (poi anche di Villeneuve-Loubet, di Sisco, ecc.) che ha vietato l’accesso alle spiagge di chi non ha un vestito idoneo, ovvero rispettoso delle regole dell’igiene, del buon costume, dell’ordine pubblico e della laicità. Così,
è stato vietato l’accesso a chi in spiaggia ostenta con il suo abbigliamento un’appartenenza religiosa, in particolare il costume integrale che copre tutto il corpo delle donne (burkini). Com’è noto, il
7
Si veda in particolare l’ampia analisi storica di G. GALEOTTI, Il velo. Significati di un copricapo femminile, Bologna 2016.
8
La decisione è particolarmente significativa, anche alla luce dei quattro ricorsi che la Corte ha riunito perché
tutti (anche se in modo diverso, di qui le differenti soluzioni) riguardanti il rapporto di lavoro e l’esercizio della libertà
religiosa: Case of Eweida and others v. The United Kingdom (Applications nos. 48420/10, 59842/10, 51671/10 and
36516/10) Judgment Strasbourg 15 January 2013.
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Consiglio di Stato francese si è pronunciato contro il provvedimento, poiché rappresenta una violazione grave delle libertà fondamentali (libertà di movimento, di coscienza, personale), che possono
essere limitate dalle autorità locali, ma soltanto se vi è un rischio certo per la sicurezza pubblica.
Burqa e tonaca: perché l’uno non sarebbe idoneo e l’altra al contrario dovrebbe esserlo? 9 La
domanda non è affatto peregrina, specie se si sottolineano le molteplici somiglianze. Il loro tratto
comune, protezione dallo sguardo e dagli sguardi, non deve però far perdere di vista quella che è la
vera differenza. Entrambi vesti da indossare (come del resto il kimono, il sari), entrambi vesti che in
parte non dipendono dalle mode (diversamente dal kimono e dal sari), entrambi vesti che manifestano un’appartenenza (come può esserlo il salvar kameez o la cornetta), eppure l’uno (il burqa) è
una misura sociale di genere, riguarda lo status: in quanto donna ci si copre, l’altra (la tonaca) invece esprime un ufficio (come del resto la toga, la divisa, il camice, l’uniforme) e nel caso di specie
una vocazione. Le espressioni prendere il velo/indossare il velo non indicano la stessa cosa e non si
tratta solo di diversi ambiti (profano e sacro), di differenti realtà (vita quotidiana e vita religiosa), di
diversi livelli (tradizione culturale e tradizione religiosa). Prendere il velo, farsi suora, significa assumersi un compito previa decisione; indossare il velo, essere donna, significa innanzitutto appartenere a un genere, e perciò come già detto nella condizione di rivestire o meno alcuni ruoli, di essere considerati più o meno responsabili, di godere o meno di alcune opportunità e di certi privilegi, di
incontrare o meno alcune limitazioni. Tutto ciò definisce i rapporti di forza tra i membri di un gruppo e di una società, e se com’è intuitivo tali rapporti di forza determinano diseguaglianze e squilibri
di potere, anche la scelta di indossare il velo, perché donna, è da inserire tra le manifestazioni di
prevaricazione e strapotere dell’una parte sull’altra.
Come spesso accade, le ragioni di opportunità (culturali, economiche, sociali, politiche) possono richiedere nel breve periodo il sacrificio di alcune prerogative e di qualche interesse, anche in
nome di soluzioni che neutralizzano e riducono i conflitti, non si deve tuttavia dimenticare che le
ragioni giuridiche richiedono invece che tutti gli uomini abbiano pari dignità sociale, siano eguali
davanti alla legge, senza distinzione di sesso (di razza, di lingua, ecc.), e che siano comunque (nel
breve o nel lungo periodo) rimossi gli ostacoli (culturali, economici, sociali, politici) che di fatto limitano libertà ed eguaglianza.
6. – In nome delle differenze e contro il falso neutro. Non deve sorprendere che diversi orientamenti, anche quelli per certi versi molto distanti tra loro (ad esempio: pensiero tradizionale maschilista e pensiero moderno femminista), si trovino spesso accomunati da una sorta di ostilità rispetto a impostazioni che incoraggiano la fusione o confusione dei generi, e che in ogni caso assecondano il venire meno di un rigido dualismo sessuale.
La difesa della differenza fra i sessi, che in alcune ricostruzioni costituisce l’unico possibile
argine al disordine morale, passa attraverso l’attenzione tanto per la dimensione biologico-sessuale
(la procreazione), quanto per la dimensione psicologico-individuale che è rappresentata dell’integrazione di maschile e femminile quali ordini simbolici differenti e parziali. Così diversi e incompleti da dover prospettare un modello integrato, un modello di integrazione-collaborazione secondo
Edith Stein 10, che rispetti le diverse esigenze di una natura umana articolata nel maschile e nel
femminile e che ritrova dei precedenti anche nella tradizione religiosa, basti pensare al passo paoli-
9
È la domanda che BARBERIS (Il fatto quotidiano, 18 agosto 2016) si pone a seguito dell’ordinanza del sindaco
di Cannes. Richiamando le sue due anime (laica e liberale), oltre che il suo essere giurista, ammette che “sì velo e burkini sono strumenti di sopraffazione maschile”, e tuttavia devono essere le donne “a decidere cosa sia sopraffattorio e
cosa no”, per evitare forme di paternalismo.
10
La donna. Il suo compito secondo la natura e la grazia, trad. it., Roma 1987.
6
no in cui si dice che in Cristo non c’è più né maschio né femmina, o alla figura biblica di Adam che
è insieme maschio e femmina, e solo dopo averlo così creato, Dio lo separa come primo uomo e
prima donna.
6.1. – Non c’è alcun dubbio che ci siano delle fondamentali differenze tra uomo e donna.
Scriveva Stein: “non solo il corpo è strutturato in modo diverso, non sono differenti solo alcune
funzioni fisiologiche particolari, ma tutta la vita del corpo è diversa, il rapporto dell’anima col corpo è differente, e nell’anima stessa è diverso il rapporto dello spirito alla sensibilità, come rapporto
delle potenze spirituali tra loro” 11.
Diversa è l’intensità con cui l’anima è presente, diverso è il legame con il corpo, diverse le
dimensioni e le funzioni del cervello e dell’amigdala, differenti le peculiarità biologiche e con queste lo sviluppo cognitivo, sociale e comportamentale. E intanto che si precisano le tante possibili
differenze 12, si insinua qualche dubbio.
6.2. – L’attenzione scientifica per le diverse età della vita, in particolare l’età riproduttiva, in
combinato con quella diffusa e penetrante misoginia prima detta, può aver prodotto una disattenzione scientifica per tutto quello che riguardava e che avrebbe potuto scalfire il virile.
Se da tempo è noto che le capacità riproduttive in donne con età superiore ai 35 anni diminuiscono parecchio e che aumenta in modo esponenziale il rischio genetico per la prole, non era
sino a poco tempo fa altrettanto conosciuta l’influenza dei rischi dell’età paterna sulla fertilità e
sui figli. Soltanto di recente gli studi hanno sfatato il mito che il maschio non incontri limiti di età
per riprodursi, e d’altra parte solo negli ultimi tempi i ricercatori hanno evidenziato come l’avanzare dell’età paterna sia associata a un aumento del tasso di aborto precoce e che i bambini nati da
padri di età avanzata corrono anche un rischio più elevato rispetto a patologie come l’acondroplasia (nanismo), la sindrome di Apert (cranio piccolo, fusione delle dita delle mani e dei piedi), la
neurofibromatosi (tumori benigni della pelle e delle cellule nervose), così come la schizofrenia e
la depressione 13.
7. – Si tratta allora di capire in che modo le differenze rilevano, anche perché le differenze
prima accennate, insieme naturalmente a tante altre, possono essere il presupposto di significative
discriminazioni che in tutti i tempi e a tutte le latitudini si sono avute e tuttora si hanno.
È in nome della differenza che la donna è stata vista come appendice dell’uomo, è stata sottoposta al volere del padre, del marito, del primogenito. È in nome della differenza che alla donna è
stato impedito il piacere degli studi e della lettura, e le è stata praticata violenza come arma di guerra. Ed è sempre in nome della differenza che l’aborto selettivo di genere diventa una pratica frequente e diffusa.
11
Ivi, p. 204.
Studiosi dell’Università della Pennsylvania hanno sottoposto a risonanza magnetica un numero significativo di
persone, maschi e femmine di varie età, e hanno trovato che nel cervello maschile le connessioni corrono da avanti a
dietro lungo lo stesso emisfero, mentre in quello femminile le connessioni sono anche trasversali, dall’emisfero destro
(legato all’intuizione) a quello sinistro (legato al pensiero logico).
Inoltre, ricercatori della Harvard Medical School, grazie alle tecniche di neuroimaging, hanno riscontrato a fronte di un numero minore di neuroni una loro maggiore densità nelle aree della corteccia temporale femminile collegate
con le funzioni linguistiche ed emozionali.
13
Ridotta capacità riproduttiva degli uomini e declino della qualità interna degli spermatozoi sono i rischi che
corrono le coppie dei paesi più sviluppati quando ritardano la scelta di avere un figlio, secondo l’allarme lanciato da
Eberhard Nieschlag dell’Università di Münster.
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7.1. – Che il principio di differenza, con l’ovvia separazione, possa essere il presupposto di
significative discriminazioni non deve destare meraviglia. Sartre usava dire di Simone de Beauvoir:
ha l’intelligenza di un uomo e la sensibilità di una donna. E Simone diceva: lungi dal soffrire della
mia femminilità, ho piuttosto cumulato, dai vent’anni in poi, i vantaggi di entrambi i sessi 14.
Una grande divisione dunque: l’uno legato al mondo del razionale, l’intelligenza, l’altra al
mondo dell’emozionale, la sensibilità. Ma già questo può essere usato in modo discriminatorio.
7.2. – Anche il termine complementarietà non è esente da difficoltà e complessità. E ciò è reso
evidente dalla vicenda della carta costituzionale tunisina. Oggi l’art. 21 recita: “Tutti i cittadini maschi e femmine hanno gli stessi diritti e doveri e sono uguali davanti alla legge senza discriminazioni”. Inoltre, con l’art. 46 è prevista anche “la realizzazione di parità di uomini e donne nelle assemblee elette”. In altri termini, allo stesso modo dell’art. 3 della Costituzione italiana, i due articoli insieme compongono la norma di principio (uguaglianza) e la norma programmatica (rimozione degli
ostacoli che limitano il principio di uguaglianza).
In realtà, gli artt. 21 e 46 sono stati il risultato di un aspro dibattito che ha visto tra loro opposti la Commissione dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà dell’Assemblea, che intendeva inserire
nell’articolo della nuova Carta il riferimento alla complementarietà della donna rispetto all’uomo, e
una gran parte del popolo tunisino che con forza si è opposta a tale introduzione, sostenuta peraltro
da politici e membri della coalizione di governo. Anche il Comitato Onu che vigila sul rispetto della
Convenzione Internazionale sull’eliminazione delle discriminazioni nei confronti della donna (Cedaw) aveva invitato l’assemblea tunisina a riformulare il testo perché in contrasto con l’art. 2 della
Cedaw, che al primo capoverso e alla lettera a) così recita: “Gli Stati Parti condannano la discriminazione contro le donne in tutte le sue forme, convengono di perseguire con ogni mezzo appropriato
e senza indugio una politica volta ad eliminare la discriminazione contro le donne e, a tal fine, si
impegnano a: a) iscrivere il principio dell’uguaglianza dell’uomo e della donna nella loro costituzione nazionale o in altra disposizione legislativa appropriata, se non lo hanno ancora fatto, e assicurare, mediante la legge ed altri mezzi appropriati, la realizzazione pratica di tale principio”.
8. – Storie varie, di ordinaria follia o di straordinaria genialità, degne di derisione o meritevoli
d’attenzione, confinate nel privato o incastonate nel pubblico. Non sempre, quando c’è stato di
mezzo una donna è il secondo termine a prevalere, perché anzi follia e derisione, attratte da quei
tanti spunti che la dimensione privata provoca, hanno la meglio nelle ricostruzioni ammiccanti.
Tra le tante storie, vere o false, ce ne è una che proprio per il combinarsi e prevalere della follia sulla genialità, della derisione sull’attenzione, del privato e del confidenziale sul pubblico e
sull’ufficiale, è parecchio significativa.
Auguste Rodin, scultore e pittore moderno tra i più importanti, ha rappresentato la mano nel
migliore dei modi, perché grazie alla sua passione per le mani (ad esempio: La Main de Dieu ou La
création, La Main du Diable, La Cathédrale, Le Secret, Mains d’amants) ha dato a questa parte del
corpo una sua vita autonoma, l’ha resa capace di trasmettere di volta in volta significati simbolici,
espressioni dell’anima, tensioni (sensuali, erotiche), idee, sogni. Ha in altre parole ridato a questo
organo muto la dignità e complessità espressiva del gesto, l’ha rappresentato quale organo complesso, ovvero un delta, dirà Rilke 15, i cui fiumi di vita provenienti da lontane sorgenti si fondono nel
mare dell’azione.
14
15
http://isentieridellaragione.weebly.com/un-handicap-essere-donna.html.
Rodin, trad. it., Milano 2004.
8
Pare però che alcune opere, soprattutto alcune mani, attribuite a Rodin, siano state il risultato
di una passione e creazione comuni di Rodin e di Camille Claudel, così da non potere sempre in
senso proprio distinguere il lavoro artistico dell’uno o dell’altra. Del resto, c’è una lettera allusiva,
inviata da Camille al fratello Paul, qui infatti si legge: “In questo momento, vicino alle feste, penso
alla nostra cara mamma. Non l’ho mai più rivista dopo il giorno in cui avete preso la decisione di
mandarmi in un manicomio! Penso a quel bel ritratto che le avevo fatto all’ombra del nostro bel
giardino. I grandi occhi in cui si leggeva un dolore segreto, lo spirito di rassegnazione che regnava
sul suo volto, le mani incrociate sulle ginocchia in totale abbandono: tutto indicava la modestia, il
sentimento del dovere portato all’eccesso, tutto questo era proprio la nostra povera mamma. Non ho
più rivisto il ritratto (e nemmeno lei). Se per caso ne senti parlare, me lo dirai. Non penso che
l’odioso personaggio di cui ti parlo spesso abbia l’audacia di attribuirselo, come altri miei lavori;
sarebbe troppo, il ritratto di mia madre” 16.
16
Per il brano e le ulteriori considerazioni vedi la scheda di A. PROTA GIURLEO: http://oltreluna.women.it/vocidi
artiste/camilleclaudel.htm.
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