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Paolo Alberto Valenti
TUTTO IL FUOCO
DEL MONDO
Viaggio di un riservista in Afghanistan
tra fantasmi, polvere e morte
ARMANDO
EDITORE
Sommario
Prefazione di CLAUDIO MICHELONI
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Introduzione de LA REDAZIONE
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Il volo
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Alla base
21
A caccia del lupo
33
Farah/Boston
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Shakespeare in Afghanistan
45
Fiamme d’oriente/Fiamme d’occidente
51
La musica e il deserto
61
La rielezione
67
La morte
71
Don Chisciotte (l’invenzione del tempo non era
che una nostalgia feroce)
79
Esercito Italiano in Afghanistan, 53 vittime in incidenti
o combattimenti dal 2004
89
Ali silenziose (sulle bandiere del Vittoriano)
di MARIA LUIGIA RONCO VALENTI
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… dedicato all’Italia e all’Europa che verranno
Se la causa per la quale si combatte è buona, l’esito della battaglia non potrà essere cattivo; allo stesso
modo non sarà stimata buona conclusione quella che
non sia stata preceduta da una buona causa e da un
retto intento.
(San Bernardo di Chiaravalle, Elogio della nuova
cavalleria)
Non conta l’ubicazione / Il luogo – di stanza – sempre è pura immaginazione.
(Giorgio Caproni, Il Conte di Kevenhüller)
Prefazione
Claudio Micheloni*
Ho conosciuto Paolo Alberto Valenti nel mio lungo peregrinare
in Europa alla ricerca di quegli italiani che amano il nostro paese ma anche di quelli che bisogna riconquistare perché sono stati
maltrattati e hanno sofferto anche ingiustamente. In questi viaggi
ho visto facce di lavoratori stanchi e avviliti, di donne anziane rimaste vedove nelle più sperdute contrade d’Europa, magari perché
i mariti avevano perso la salute in miniera o in altoforno. Ho percepito anche il dolore dei giovani costretti a lasciare l’Italia perché
il paese non offre più le opportunità del passato. Credo che il mio
impegno sia quello di sostenere tutte queste persone, i loro cari, le
loro famiglie, i loro sforzi per il pane e per vivere decorosamente
in Europa e nel mondo sentendosi orgogliosi del proprio paese che
non li abbandona. Una grande nazione è, però, anche quella che sa
andare al di là dei suoi confini ed affrontare culture e drammi lontani resi vicini dalla mondializzazione.
Valenti è una presenza amica e in lui ho avuto modo di apprezzare il suo profondo rispetto delle istituzioni, il suo senso di appartenenza alla comunità nazionale e la sua costante volontà di mettersi al servizio dell’Italia, nonostante non abbia ricevuto il giusto
riscontro a questa sua disponibilità. Il suo è un desiderio di andare
lontano per essere vicini alle cose per le quali lottiamo e che danno
*
Senatore, Presidente del Comitato per le Questioni degli Italiani all’Estero
del Senato.
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un senso alla nostra esistenza. Nessuno ama la guerra ma siamo ancora lontani da un mondo senza pericoli o gestito da disinteressati
filantropi. In Afghanistan l’Italia si è fatta onore grazie al valore dei
suoi soldati di cui si parla troppo poco. Non dobbiamo dimenticare
nessuno degli italiani che vivono lontani, e soprattutto quelli che a
rischio della propria vita si avventurano per questioni importanti
nelle regioni più pericolose del pianeta.
Nelle pagine di Valenti due sono le cose che più mi colpiscono.
Il fatto di percepire che l’Italia per sua vocazione sia ovunque e lo
è stata ancora prima del dilagare della globalizzazione attraverso la
sua eroica emigrazione. Siamo chiamati tutti ad essere i testimoni
di questa Italia infinita che si spande sul pianeta, l’Italia a vocazione internazionale nata con le grandi migrazioni ed oggi rinascente
con l’impegno di quei cittadini che non senza dolore hanno lasciato
le loro città, le loro valli, le loro coste soleggiate per raggiungere
orizzonti a volte non accoglienti. Il secondo punto riguarda proprio l’importanza delle nostre Forze Armate, il ruolo difficile che
affrontano e quanto dobbiamo al loro impegno e al loro coraggio,
Forze Armate che ricostruiscono il concetto di Patria ben indicato
da Valenti. Credo anch’io che oggi sia giunto il tempo d’immaginare e vivere un nuovo sentimento nazionale, inteso però come gara
della solidarietà internazionale nella quale l’Italia idealmente possa
tornare ad essere maestra nel mondo come lo è stata per secoli. Lo
splendore del popolo italiano lo abbiamo visto da poco a Lampedusa nello sforzo disperato dei soccorritori che cercavano di strappare
alla morte i migranti. Ma quello che abbiamo visto a Lampedusa
inizia proprio in città come Kabul ed Herat nelle quali bisogna continuare a costruire un mondo migliore nel profondo rispetto delle
culture che vogliamo solo aiutare e non conquistare o dominare.
Sappiamo che dobbiamo costruire modi nuovi di stare nel mondo
per garantire a tutti un avvenire di pace.
In questi capitoli ho ritrovato, inoltre, esempi di grandi italiani come quello del Professor Lorenzo Tomatis, che per 16 anni è
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stato il Direttore del grande centro di ricerca epidemiologica sul
cancro della OMS (lo IARC a Lione) e quello commovente della
casalinga abruzzese Onorina Santilli, che nessuno ricorda in Italia
nonostante la sua dedizione in Francia agli orfani e agli emarginati.
Nessuno deve essere dimenticato e non ci dimenticheremo neanche
dell’autore di queste pagine che ha portato anche lui la sua bandiera
di giornalista in Asia, una bandiera che gli giunge da lontano, dal
grande esempio di un nonno che fu un eroico ufficiale combattente
nella Guerra di Liberazione.
Oggi più che mai si ha bisogno del buon cittadino ma anche del
buon soldato che diventi più di ogni altro il campione della società
italiana nel nuovo millennio. È l’ora di gettare basi nuove. Non ci
sono altre strade e le strade del futuro passano anche per l’Afghanistan, per il Libano, passano nel processo di definitiva pacificazione
di tutti gli altri teatri di guerra in cui l’occidente deve dimostrare
valore e onestà, coraggio e solidarietà.
Non posso che invitarvi a leggere queste pagine scritte con
l’estro del cronista che riesce a vedere comunque più in là del semplice accadere dei fatti. Prima di iniziare il racconto Valenti profila
una riflessione su tutta la sua vita, si mette a nudo facendoci intravedere anche le sue intime sofferenze esistenziali e sentimentali al
momento della partenza per il teatro di guerra. Questo per dimostrare al lettore che prima del saggio sociologico o geopolitico qui
c’è soprattutto una profonda testimonianza umana davanti al dolore
del popolo afghano che diventa paradigma del dolore del mondo.
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