Alex Zanardi, campione di amore verso la vita

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Alex Zanardi, campione di amore verso la vita
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Incontri
Alex Zanardi, campione
di amore verso la vita
di Paola Cavallero
Alessandro ‘Alex’ Zanardi, classe 1966, bolognese, 41 Gran Premi di Formula 1, un grave incidente, nel campionato per monoposto
Champ Car nel 2001 sul circuito tedesco di Lausitzring (dopo un testacoda la Reynard-Honda rimasta sulla pista è centrata da un’altra vettura e nell’urto il pilota perde gli arti inferiori).
Nonostante tutto, sempre atleta e tuttora vicente. Ai XIV Giochi paralimpici estivi di Londra 2012 conquista la medaglia d’oro Handbike a cronometro e su strada, la medaglia d’argento nella staffetta a squadre mista (con Francesca Fenocchio e Vittorio Podestà). Ai Mondiali di Roskilde 2011 si era aggiudicato l’Argento nella prova a cronometro. Ad ottobre il
Comitato Paralimpico Internazionale rende noto il risultato di un sondaggio online che premia Alex Zanardi “Atleta del mese”.
Le sue sfide sono prima con se stesso. Nel
2003, dopo quindici operazioni chirurgiche,
Zanardi ha voluto “concludere” i tredici giri della corsa sul Lausitzring con un’auto appositamente modificata. Quindi torna alle gare. Nel 2005 vince con BMW 320si WTCC
Alex Zanardi
Alex Zanardi, protagonista del medagliere d’oro e d’argento alle Paralimpiadi Londra 2012 e portabandiera della Nazionale nella cerimonia finale dei Giochi. Alle competizioni sportive si partecipa per passione, ma vincere è l’obiettivo. Credeva in questo successo?
“Al risultato sportivo sì. La valutazione obiettiva l’avevo già
fatta, tant’è vero che tecnicamente io non sono stato sorpreso delle mie prestazioni. Anzi, mi prometto di andare
oltre. A quello che è venuto dopo, in conseguenza del risultato sportivo, no.”
del team Italy-Spain la seconda prova del
Gran Premio di Germania a Oschersleben,
valida per il Mondiale Turismo (WTCC). Nello stesso anno, si aggiudica il Campionato
Italiano Superturismo.
Col tempo si allontana dal mondo dei motori (passione che coltivava da quando aveva 14 anni) ed ottiene continui successi nell’Handbike. Nel 2007 partecipa alla maratona di New York e si classifica quarto. Il 19
giugno 2010, ai campionati italiani di ciclismo su strada di Treviso, conquista la maglia tricolore. Il 6 novembre 2011 ha vinto
la maratona di New York, stabilendo il nuovo record della categoria Handbike. Il 18 marzo 2012 vince la maratona di Roma e segna il record del percorso.
Nel 2010 fa un’altra scelta che lo premia:
debutta come conduttore televisivo, su Rai
3, col programma di divulgazione scientifica “E se domani”. Nell’ottobre scorso accetta
di prendere la guida della quattordicesima
edizione del programma di divulgazione sportiva “Sfide”, stessa rete.
te. Io mollai l’automobilismo e sembrava che andassi a
fare le gare della parrocchia. Ecco: pensare che attraverso
la hand-bike, una disciplina paralimpica, lo stesso uomo
può apparire vincente. Io facevo il pilota automobilistico,
dove i riflettori sono molto più accesi. Invece, proprio attraverso questa esperienza sportiva mi sono visto tributare onori che, forse, se avessi fatto il Gran Premio di Monza con la Ferrari non avrei incamerato. È una sensazione meravigliosa, che emotivamente va oltre ogni più rosea aspettativa.”
Qual è stata la sorpresa?
Si dice che un atleta possa essere condizionato dalla responsabilità della vittoria.
“Mi sono sentito sempre molto amato, sostenuto, da un
sacco di persone che mi vedono un po’ come una rivincita, o piuttosto come un antidoto nei confronti della sfiga in generale per la particolarità della mia vicenda, non
tanto sportiva, ma di quanto è accaduto dopo l’inciden-
“Mi permetto di parlare di un fenomeno che è spesso tristemente associato al mondo del ciclismo, intendo il doping. La prima gara che feci in maglia azzurra presi cinque minuti dal vincitore, che era il campione del mondo
in carica, nonché campione paralimpico uscente Oscar ‘Oz’
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Sanchez, americano. Persone che sapevano certamente
più del sottoscritto di ciclismo mi dissero ‘hai visto che mascella che ha questo... è un chiaro segnale di assunzione
dell’ormone della crescita...’, una sostanza catalogata come dopante delle potenzialità dell’organismo sotto sforzo.
Vabbe’, se io avessi creduto che quella era l’unica strada per riuscire ad arrivare al suo livello non avrei neanche
tentato, perchè ci manca solo che io
a... fischia anni... mi metta a prendere
qualche porcheria per vincere la gara. Perchè ho deciso di continuare a
gareggiare? Perchè ho guardato all’attività sportiva con grande curiosità, ho cercato di farmi delle domande e secondo le risposte che mi sono dato il risultato era tecnicamente
raggiungibile, e quel ragazzo, Sanchez,
era arrivato al successo in modo onesto. Il fatto del mascellone è un aspetto genetico, come io ho il naso storto. Io ho lavorato su me stesso forte
della convinzione che il mio corpo poteva farcela. Se avessi creduto a quella diceria che cosa mi sarei perso! Già
dalla fine del 2009 mi sono messo nelle condizioni di prepararmi per le prove. È logico che in quel momento ignoravo la tecnica, che in seguito mi ha consentito di migliorare ed andar avanti. È stata la passione a guidarmi, ed il
fatto di scoprirla a poco a poco mi ha portato dove sono
arrivato. Non voglio essere retorico, è logico che fa piacere essere fermato per la strada dalla gente che ti ha visto,
per quello che hai fatto. Ma se questo non fosse arrivato
io non sarei qui ad interrogarmi: ne è valsa la pena? Perchè sono stati comunque tre anni bellissimi in cui mi sono divertito tantissimo, è quanto voglio fare, preparare nuove gare, che poi siano gare che possano muovere verso
di me simili attestati di affetto non lo posso preventivare.
Però se fosse solo questo a muovermi significherebbe che
starei ragionando per ambizione più che per passione. Avrei
sbagliato qualcosa. Non basta volere vincere una gara per
vincerla. Vinci se hai voglia di andar in bicicletta, diversamente è molto difficile che tu ci riesca.”
re qualche cosa che diventa un nuovo punto di partenza
per il giorno seguente. E che il nuovo punto di partenza
sarà migliore di quello da cui sei partito il giorno prima.
Sia che tu abbia già una buona posizione, o che tu sia caduto in basso, come si potrebbe dire anche del mio incidente. Sa che c’è di nuovo? Che alla
fine questo piccolo mio stratagemma
mi è servito nella vita a provare a fare sempre cose che avevo desiderio
di fare. È la differenza tra fare qualcosa che senti nelle tue corde o fare
quello che hai visto fatto da un altro
del quale invidi il risultato. È diametralmente opposta la motivazione. Se
non hai passione è difficile che tu riesca ad arrivare, perchè le stesse cose che hanno portato quell’individuo
a quel risultato tu le vivi come un sacrificio. Certo, sono molto fortunato
poichè sono partito da semplici passioni, che sono riuscito a trasformare in un mestiere. Mi prendo anche
qualche merito: perchè se oggi chiamarsi Zanardi vuole dire potere scegliere con molta più facilità che in passato è anche vero che sono convinto che anche nelle attività che dobbiamo fare per forza ci può essere
sempre qualche aspetto appassionante, che ci consente
di lasciare un po’ la firma in calce al progetto. In fondo,
se non avessi affrontato tutta la mia riabilitazione con grande passione, con entusiasmo, non sarei riuscito a rimettere a posto le funzioni del mio corpo e la mia vita. Per
appassionarmi a ‘quel progetto’, l’essere mezzo morto in
un letto d’ospedale e dovere ripartire da dov’ero... si capirà che è molto più naturale appassionarsi ad un’attività
sportiva che si è scelta.”
“Ogni giorno
ognuno di noi
può fare
qualche
cosa che
diventa un nuovo
punto di partenza
per il giorno
seguente”
Lei ha una grande forza di volontà...
“Sono assolutamente convinto che il mondo che ci circonda,
l’educazione che riceviamo, può aiutare ad esprimere o reprimere il meglio ed il peggio che alberga in ognuno di noi.
Io devo tantissimo ai miei genitori. Mio padre non sapeva
di attingere alla mentalità tipica del Kaizen giapponese, ossia la tendenza al miglioramento continuo, però egli mi ha
sempre raccontato che ogni giorno ognuno di noi può fa-
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Di che cosa si alimenta tanta tenacia: ha una spiritualità
che la guida?
“Contesto la parola tenacia, non credo si parli di questo.
Secondariamente, tutte le cose sono difficili e tutte sono
semplici. Mio padre faceva l’idraulico. In estate andavo a
lavorare con lui. Però litigavamo, come capita tra padre e
figlio che lavorano insieme. Così mi sono ritrovato ‘affidato’ ad un suo amico elettricista. Io guardavo i circuiti elettrici, per me complicatissimi, ed egli con fare molto amorevole mi diceva ‘ricordati che devi capire che giro fanno,
ma in fondo sono solo quei due fili’. È un principio che io
applico a tutte le difficoltà della vita, complicate sino al momento in cui non ne capisci il funzionamento. Cominci a
ragionarci sopra, magari finisci per fare quella cosa in modo diverso da come l’affronterebbe un’altra persona. Ti sei
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divertito, ti rendi conto che ci sono stati passaggi complessi
in cui hai dovuto tirare fuori delle soluzioni un po’ eccezionali. Ma tanto più sono eccezionali le soluzioni che dobbiamo trovare tantopiù grande è la soddisfazione nel riflettere
sul percorso e sul traguardo raggiunti. È estremamente difficile che le cose molto facili diventino passioni. Se tutto
nasce con una curiosità, ogni mattina ti alzi con un’idea
su come organizzare gli impegni, come modificare la mia
bicicletta, chi sono gli avversari, allora vai avanti con sempre più energia. Certo che nella vita capita che ci vengano offerte delle opportunità che altri vedrebbero eccezionali, e ti senti dire ‘ma sei un matto se non accetti...’. Se
tu ci pensi e decidi di fare quella cosa perchè ti piace è
un conto, ma se quello che ti spinge è ragionare che altri
sbaverebbero perdi il tuo tempo. Allora sì che servono tenacia, impegno, disciplina, che poi bisogna trovare, poichè non viene naturale arrivare in fondo al percorso intrapreso. Oggi la vita offre molte più possibilità rispetto alle vite dei nostri nonni, che forse avevano davanti un percorso in salita, ma rettilineo, per cui capita che le persone scelgano di fare qualcosa che non è proprio adatta a
loro, è il pane di altri.”
Nella vita non sempre capita di potere seguire le proprie
emozioni, fortunato chi ci riesce.
“Dico sempre che sono un privilegiato, solo che poi mi accusano di falsa modestia. In realtà, ne sono assolutamente
convinto. A mia parziale difesa posso dire due cose. La prima è che sono nato figlio di un idraulico e di una casalinga, genitori meravigliosi che mi hanno regalato la cosa
più importante: l’educazione, che è diventata la cassetta
per gli attrezzi per affrontare la vita. La seconda è che anche nelle attività che dobbiamo fare per forza, come può
essere lo studio per i ragazzi o il lavoro per chi deve timbrare un cartellino e vorrebbe prendere una bicicletta, proprio in quei momenti è necessario trovare degli aspetti appassionanti. E tutto diventa molto più semplice. Nella mia
testimonianza posso dire che gli aspetti appassionanti io
li ho trovati nel perdere due gambe. Un incidente che poteva essere la fine è diventata l’opportunità più grande della mia vita. Il fatto che tante delle cose che sto facendo
sono collegate alla mia condizione significa che ho voluto
farle diventare nascere, crescere, sviluppare quando ho riaperto gli occhi dopo otto giorni di coma. Mi ci sono buttato con entusiasmo, ma non perchè avessi già progettato quello che è venuto. Ero mosso dalla volontà di vivere
la mia vita e non sprecarne neppure un secondo. Alla fine anche i primi passi, la prima parte del percorso riabilitativo, coi medici ortopedici, i fisioterapisti che erano la
mia squadra, come ai tempi dell’automobilismo lo erano
i meccanici, quel clima che ho cercato di ricreare attorno
a me era il medesimo che avevo amato, ed è la ragione
per cui ho ottenuto i risultati. Mi sono fatto piacere ciò che
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dovevo fare sinchè è arrivato il momento in cui, grazie ai
risultati ottenuti, ho potuto cominciare a decidere le cose
che mi piaccono e di farle diventare quello che devo fare, non il contrario.”
Come uomo, dal punto di vista della sensibilità, pensa di
essere migliorato, o si riconosceva già particolarmente profondo e riflessivo?
“Mi fa piacere il complimento, alzo il cappello e ringrazio,
ma non mi attribuisco questa qualità. Io credo di esser una
persona che indubbiamente nella vita ha collezionato nei suoi
primi quarantasei anni, e spero ce ne siano altrettanti davanti, una quantità di esperienze che tante persone non accumulerebbero in dieci vite. Indubbiamente, le nuove esperienze contribuiscono a farti imparare sempre qualcosa, ad
aggiungere. Io sono sempre la stessa persona che va avanti. Forse la grossa differenza è che a trent’anni uno pensa
di avere già capito tutto, poi arriva un momento della vita
in cui credevi di aver imparato tante cose ma ti rendi conto che te ne mancano infinite. Ti senti più ignorante di quando eri più giovane, ed è un atteggiamento più efficace perchè in te rinasce quel senso della meraviglia che è tipico
dei bambini nel guardarti attorno e capire che le cose che
contano non sono tanto quelle materiali, anche se fanno comodo. Ad esempio, vai a trascorrere una giornata in solitudine con gli sci ai piedi, perchè di recente ho scoperto anche il fondo come attività sportiva che mi entusiasma, e guardi il mondo a bocca aperta: gli alberi, il cielo, la natura, che
sono di una bellezza sconvolgente. E nessuno sembra badarci, sono tutti in coda ad aspettare il nuovo telefonino.”
Spesso la malattia è un banco di prova per affinare le proprie doti interiori.
“Forse l’incidente ha accelerato la mia consapevolezza, ma
non è che mi ha regalato quel quid per dire ‘sono andato
così vicino a perdere tutto che allora proprio grazie a questo riesco ad apprezzare di più la vita’. Non è andata così. Ognuno ha il proprio carattere. La mia non è una reazione al trauma. Piuttosto il trauma e tutto quello che è avvenuto mi hanno insegnato che è possibile venire fuori da
problemi che d’emblée, soprattutto visti addosso agli altri,
farebbero dire ‘caspita, io al suo posto non ce la farei...’ .
Chissà quante persone hanno fatto questa considerazione
guardando il sottoscritto, soprattutto all’inizio, sapendo della mia riabilitazione, ed io probabilmente mi sarei aggiunto ancora a loro, qualora avessi visto quanto è accaduto a
me addosso a qualcun altro. Invece non è vero niente, a
volte ci sottovalutiamo. Più grandi sono i problemi e più grandi sono le soluzioni che dobbiamo trovare.”
Lei aveva già con sé una “cassetta degli attrezzi”, come la
definiva, delle risorse, che non sono comuni.
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“Mi fa piacere che si pensi così, sono in tanti che me lo
ripetono. Mi fa altrettanto piacere ricordare che io ho conosciuto tante persone mosse dallo stesso slancio interiore
durante il mio percorso riabilitativo, tra loro i miei compagni nella nazionale paraciclistica. Al minimo, hanno i miei
meriti. Ad uno di loro è capitato da bambino di entrare per
un dolore in ospedale, da cui è uscito tre anni dopo, con
soli due intervalli per i Natali che ci sono stati in mezzo,
ed era lui che dava coraggio ai genitori, che piangevano
tutti i giorni, sapendo che un tumore osseo, a quell’età,
ha una forte aggressività. L’altro compagno di squadra col
quale condivido una parte degli allenamenti si era rotto la
schiena, egli usa l’espressione ‘dalla vita in giù si è spenta la luce’, e quando è uscito dall’ospedale dove lo avevano operato con destinazione non casa, ma un centro di
riabilitazione, dove i pazienti vanno più a riabilitare l’anima che il corpo, perchè di fatto se ti si è spenta la luce
c’è poco da fare, possono insegnarti come espletare certi bisogni corporali in autonomia e non molto di più, ebbene era talmente preoccupato che... è riuscito a fare rompere il fidanzamento ad una delle infermiere che lo curavano, l’ha conquistata e si sono sposati. Per dire, che non
aveva in mente la rassegnazione. E tante altre persone che
incontro, magari non hanno i titoli sui giornali, ma si sono trovate a riflettere nella vita ‘io non riuscirei a sopportare...’ e poi per sfortuna è capitato anche a loro e hanno
verificato che non era così.”
Oltre la meravigliosa passione sportiva che l’accompagna
da sempre, ha scoperto in sé la verve di conduttore radiofonico e televisivo.
“Come sportivo sono avvantaggiato, se infilo due congiuntivi
giusti già la gente si sorprende, quando azzecco il terzo
pensa ‘ma guarda come parla bene quello lì’ perchè l’aspettativa non è un granchè. Ancora una volta il segreto
è scegliere le cose che puoi fare. Rispondere alla domanda
di un giornalista è relativamente semplice, perchè posso
raccontare solo del mio, l’ho già fatto tante volte che non
sono intimorito all’idea di quanti mi stanno ascoltando. Per
quanto riguarda la televisione, c’è una proposta, rifletto
attentamente e decido. Più volte, in passato, mi era stato proposto di partecipare a trasmissioni come commentatore, ospite fisso, ecc. Non avevo mai accettato perchè
non sentivo i progetti che mi presentavano particolarmente
affini a me, a quello che mi sarebbe piaciuto fare. Sino a
che un bel giorno non è arrivata una proposta che mi ha
incuriosito. Ho voluto sapere qualcosa di più ed è nata
l’esperienza di ‘E se domani’, un programma di informazione scientifica che mi ha appassionato poiché io, come telespettatore, sarei il primo a seguirlo con interesse.
Mi era richiesto di non essere me stesso, ma di dialogare con scienziati, professori, che venivano in studio a dibattere un tema dal punto di vista etico, filosofico. Pote-
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vo esternare i miei dubbi con domande, che sono le stesse che il pubblico da casa aveva voglia di porre. Poi questa esperienza ripetuta nella seconda edizione non aveva più tanto senso poiché, secondo me, per andar avanti dovevamo innovare e mancavano i soldi. Sono tornato
a fare lo sportivo. La stessa autrice, Simona Ercolani, per
la quattordicesima edizione del programma di divulgazione
sportiva ‘Sfide’ ha pensato a me. Io, come si dice dalle
mie parti, sono andato subito ‘in sugo’ perchè parlare di
sport mi viene facile.”
Nel mondo di oggi c’è ancora posto per la sensibilità? Quale insegnamento sta cercando di trasmettere a suo figlio?
“Uso una metafora, perchè molto spesso lo sport è una
metafora di vita. Spesso si parla di doping, come dicevo
poc’anzi, come strumento per aver un ingaggio più alto:
ottieni risultati, sale il tuo valore agli occhi di società sportiva e sponsors. Però attenzione a pensare che tutto lo sport
sia dominato dal male. Il fatto che un ragazzo, a seguito
della sua passione che riesce ad esprimere con talento
naturale, guadagni certe cifre non è ingiusto. Però ho il
dubbio che a vent’anni il risultato, il ‘dovercela fare’, sotto la pressione di chi va oltre il rispetto dell’atleta, presenti
grossi rischi. Ciò che richiede lo sport è dare il meglio delle capacità tirando calci ad un pallone, guidando un gokart, questo ti deve animare. Ma oggi tutto questo avviene ad un’età in cui dovrebbero essere le persone coi capelli bianchi che guardano a bordo campo a consigliarti
come vivere al meglio le tue passioni. La vita è la stessa
identica cosa. È quello che sto cercando di trasmettere
a mio figlio Niccolò, 14 anni. Oggi i ragazzi hanno tante
possibilità e noi, intendo gli adulti, li induciamo a credere che tutte queste possibilità debbano esser assurdamente
sfruttate. Ti sembra quasi doveroso provare a fare quella
cosa. Invece, occorre insegnare ai nostri ragazzi a domandarsi ‘qual è l’orizzonte verso cui mi voglio muovere’. Io ci ho messo un sacco di tempo a capirlo. Fortunatamente, quando ero ragazzino, c’erano i miei genitori che mi hanno fatto da sponda. Fare i genitori oggigiorno è se vogliamo più complicato, perchè se mio padre mi
ha detto tanti ‘no’ in famiglia tutti sapevamo che quei no
erano per arrivare alla fine del mese. Adesso si fa fatica
ad accettare che esista la risposta ‘no’. Ai nostri figli vorremmo dare tutto quello che ci chiedono. E quel ‘tutto’
confrontato con un contesto complessivo come quello attuale produce effetti diabolici. Non è che vivere in un mondo in cui ci sono tante più cose ci debba impedire di apprezzare la semplicità della natura, e dire ‘Niccolò guarda che bella quella montagna’ e lui a dire a ‘me guarda
che bella quell’altra’. Questo cerco di trasmettere a mio
figlio, e mi piace pensare che tanti altri stiano facendo altrettanto.”
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