vinci-contributoricardoantunes
Transcript
vinci-contributoricardoantunes
A cura di Luigi Vinci Milano, 2015 Le trasformazioni planetarie intervenute nel contesto della Terza Rivoluzione Industriale nella composizione, nella centralizzazione e nella dislocazione geografica del proletariato e del semiproletariato produttivi di plusvalore In premessa Si è venuta determinando in questi decenni, nel contesto di una Terza Rivoluzione Industriale inoltrata1, una generalizzazione dell’industria urbana alla sostanziale totalità del pianeta, dapprima nella forma di delocalizzazioni di attività di media tecnologia e ad alta intensità di lavoro, poi anche nella forma di investimenti nell’industria avanzata. Qui di seguito è analizzata, grazie a Ricardo Antunes2, la composizione degli attuali proletariato e semiproletariato mondiali. Tra le varie insensatezze antiscientifiche usate dalla borghesia capitalistica, dai suoi funzionari nella politica, nei mass-media e nelle università, inoltre fatte proprie da un po’ di pseudo-antagonismo radical-chic, c’è stata a lungo l’invenzione dell’estinzione tendenziale del proletariato, dunque della possibilità stessa della lotta di classe. Anche per questa via si è potuto (efficacemente, per tutto un periodo) tentare di giustificare e al tempo stesso di mistificare la lotta di classe sempre più determinata e brutale scatenata in Europa occidentale dalla borghesia capitalistica, più in generale dagli strati ricchi della società, contro la totalità delle condizioni di vita e di lavoro delle classi popolari. Grazie ad Antunes c’è modo invece di constatare che il proletariato mondiale è raddoppiato, nel periodo avviato dalle grandi liberalizzazioni dei movimenti di capitale operate dalle presidenze statunitensi Reagan e Clinton (cioè dagli anni ottanta in avanti); inoltre di constatare come, data quella Terza Rivoluzione Industriale che a queste liberalizzazioni si è strettamente combinata, si sia sempre più modificata, nel quadro di una nuova e molto più complicata divisione mondiale del lavoro tra centro capitalistico e resto del mondo, la morfologia del proletariato mondiale. La parola ad Antunes. L’avvio del processo Antunes intanto ci rammenta come “l’ampio processo” mondiale “di ristrutturazione del capitale” in corso sia stato “scatenato… agli inizi degli anni settanta”: in risposta alla crisi creata, a partire dal 1973, dagli shock petroliferi, a cui faranno successivamente seguito le liberalizzazioni capitalistiche delle presidenze statunitensi Reagan e Clinton. Quindi Antunes sottolinea la portata “multiforme” di tale processo, che presenta “tendenze all’intellettualizzazione della forza-lavoro, specialmente nelle cosiddette tecnologie dell’informazione e della comunicazione”, e al tempo stesso, su scala più ampia, accentua i “livelli di precarizzazione e informalità dei lavoratori e delle lavoratrici”. Di qui 1. E in procinto di passare senza soluzione di continuità a una Quarta Rivoluzione, tramite il passaggio alla produzione diretta rappresentato da 4.0 e 3-D. 2 Ricardo Luis Coltro Antunes (1953) è un sociologo brasiliano. Attualmente è docente presso l’Università Statale di Campinas (Unicamp). Ha una laurea in amministrazione pubblica della Getulio Vargas Foundation (FGV-SP) e un master in Scienze Politiche da Unicamp (1980), è Dottore in Sociologia presso l’Università di San Paolo ed è docente presso l’Istituto di Filosofia e Scienze Umane (IFCH), dove insegna discipline come Sociologia del Lavoro e Sociologia in Karl Marx.Di Antunes qui riassumiamo i contenuti del suo La nuova morfologia del lavoro e le sue principali tendenze. Informalità, infoproletariato, (im)materialità e valore), 2009. Sempre di Antunes è uscito in Italia nel gennaio del 2016, edito da Punto Rosso, con una prefazione di István Mészáros, il saggio Il lavoro e i suoi sensi. Affermazione e negazioni del mondo del lavoro, che contiene in appendice il saggio da noi riassunto. 1 l’ipotesi, egli dichiara, che, al contrario delle tesi che sostengono l’obsolescenza o la falsificazione della legge del valore, “il mondo capitalista contemporaneo stia assistendo a un significativo ampliamento dei suoi meccanismi di funzionamento, in cui il ruolo svolto dal lavoro – o ciò che” denomino “nuova morfologia del lavoro – è emblematico” (cioè fondamentale). Di quest’ampliamento sono parte, aggiunge Antunes, nuovi e solidi “meccanismi generatori di lavoro eccedente, attraverso i quali… un’infinità di lavoratori viene espulsa dalla produzione” e diventano “disoccupati. E questo processo è ben funzionale per il capitale”: riducendo, “su scala globale, la remunerazione della forza-lavoro, attraverso la retroazione” di tale espulsione sulla situazione “salariale di quei salariati e salariate che si trovano occupati”. Non solo. “Nel pieno dell’esplosione della più recente crisi globale, che colpisce centralmente i paesi del nord del mondo”, questo “quadro si allarga significativamente e ci mostra” anche “un’enorme “spreco” di forza-lavoro umana” consistente in “una corrosione maggiore del lavoro a contratto e di quello regolamentato di matrice taylorista-fordista… a lungo dominante durante il XX secolo”. Un processo prima di tutto di precarizzazione Dunque, indica Antunes, stiamo nel complesso “assistendo a una processualità multitendenziale” di portata planetaria la cui unità fondamentale è data dalla precarizzazione o la semiprecarizzazione del lavoro. Nel quadro complessivo del capitalismo attuale, cioè, “la riduzione del proletariato dei nuclei più avanzati dell’industria e il parallelo ampliamento del lavoro intellettuale procedono in chiara interrelazione con la diffusione” di “grandi contingenti” di “nuovi proletari… intensamente precari o che perdono il loro impiego” (o che non ne troveranno mai uno). “E questo processo sta avvenendo tanto nell’industria quanto nell’agricoltura e nei servizi (e nelle corrispondenti aree di intersezione: l’industria agricola, l’industria dei servizi e i servizi industriali)”. Dunque è in stretta unità “all’ampliamento” di tali “grandi contingenti” l’“espansione” in corso “di nuovi modi di estrazione” di “superlavoro” e di creazione di “plusvalore” così come di modalità” operative “capaci di articolare un macchinario altamente avanzato – di cui sono esempio le tecnologie di comunicazione e di informazione – che hanno invaso il mondo delle merci. Queste attività sono dotate di “qualificazione” e “competenze” maggiori, essendo fornitrici di maggiore potenzialità intellettuale (qui intesa nel suo ristretto significato dato dal capitale)”, anche in quanto si integrano “con il lavoro sociale, complesso e combinato”, che a sua volta “aggiunge valore. In altri termini, è come se tutti gli spazi esistenti di lavoro fossero potenzialmente convertiti in generatori di plusvalore, a partire da quelli che ancora mantengono tratti di formalità e contrattualità fino a quelli che si caratterizzano per l’aperta informalità, nella frangia integrata al sistema”; né è importante se le attività realizzate sono prevalentemente manuali o più accentuatamente “intellettualizzate”, cioè “dotate di conoscenza”. Riassumendo, il processo di ristrutturazione globale della forza-lavoro oscilla sempre più “tra la perennità di un lavoro sempre più ridotto, intensificato nei suoi ritmi e sprovvisto di diritti, e una superfluità crescente, generatrice di lavori più precarizzati e informalizzati”. Ovvero “lavori più qualificati per un contingente ridotto – di cui sono esempio i lavoratori delle industrie di software e delle tecnologie di informazione e comunicazione – e, dall’altro polo del pendolo, modalità di lavoro sempre più instabili per un universo crescente di lavoratori e lavoratrici… Al vertice della piramide… del mondo del lavoro… troviamo i lavori ultraqualificati che si realizzano nell’ambito dell’informazione e della conoscenza. Alla base e in mezzo troviamo… il lavoro qualificato che può sparire o erodersi, in relazione alle alterazioni temporanee e spaziali che raggiungono gli impianti produttivi o i servizi in tutte le parti del mondo”. 2 Il diffondersi dell’ “informalità” nei rapporti lavorativi L’“informalità”, nei suoi “più distinti e diversificati modi”, argomenta poi Antunes, è una delle due forme fondamentali (quantitativamente la principale) nella quale è venuto evolvendo, nel capitalismo attuale, il “lavoro stabile, erede della fase taylorista-fordista” e “modellato da contrattazione e regolamentazione”. Alcuni suoi esempi sono “il lavoro atipico, i lavori terziarizzati (con la loro enorme gamma e varietà), il “cooperativismo”, l’“impreditorismo” e il “lavoro volontario”. Nel momento stesso”, inoltre, “in cui abbraccia i più distinti modi di essere dell’informalità”, la “nuova morfologia del lavoro va ampliando l’universo del lavoro invisibilizzato, e contemporaneamente potenzia nuovi meccanismi generatori di valore, seppure sotto l’apparenza del non-valore, utilizzando nuovi e vecchi meccanismi di intensificazione (e persino di autosfruttamento) del lavoro”. Perciò, in realtà, “l’apparente invisibilità del lavoro” è un’“espressione fenomenica che copre la reale generazione di plusvalore praticamente in tutte le sfere del mondo lavorativo”. Infine, ora Antunes cita Tosel3, data una tale “centralità del lavoro astratto” capace di creare “noncentralità del lavoro”, la grande “massa” contemporanea “degli esclusi del lavoro vivo” tenta “disperatamente” di realizzare “forme” di auto-identità “e di socializzazione nelle sfere isolate del non-lavoro” (nelle “attività di formazione, di benevolenza e di servizio)4”. Segue una larga analisi dei “modi d’essere dell’informalità”. Essa intanto, argomenta Antunes, va collocata come fenomeno mondiale, operante nei paesi sviluppati come in quelli in via di sviluppo; e si tratta del grande “ampliamento… dei lavoratori sottomessi a contratti temporanei consecutivi, senza stabilità, senza registrazione legale”, operanti “dentro o fuori rispetto allo spazio produttivo delle imprese, sia in attività più instabili o temporanee, sia sotto la minaccia diretta della disoccupazione”. Perciò, quando avviene una “rottura” a danno delle forme tradizionali della contrattazione e della regolazione della forza-lavoro, anche se non ne segue una formale situazione di precarietà si hanno comunque “con grande frequenza e intensità” condizioni “di lavoro sprovviste di diritti”, quindi simili a quelli precari 5. Ciò significa che il processo di “informalizzazione della forza-lavoro” sta “costituendosi come meccanismo centrale” dell’“ingegneria del capitale”. Essendo quest’“ingegneria” operante sulla scala più estesa della creazione del plusvalore, data la mondializzazione della produzione e della circolazione delle merci, essa è prima di tutto interessata “ad accrescere l’intensificazione dei ritmi e dei movimenti del lavoro”. Di qui dunque la richiesta del grande capitale di un processo generalizzato di “precarizzazione strutturale del lavoro”6, che si esprime in quasi tutto il mondo (attraverso strumenti 3 Ricardo Antunes: La nuova morfologia del lavoro e le sue principali tendenze. Informalità, infoproletariato, (im)materialità e valore, 2009 4 André Tosel: Centralité et non-centralité du travail ou la passion des hommes superflus, nell’opera collettiva Jacques Bidet, Jacques Texier: La crise du travail, Actuel Marx confrontation, 1995, menzionato in Ricardo Antunes: La nuova morfologia del lavoro e le sue principali tendenze. Informalità, infoproletariato, (im)materialità e valore, cit. 5 Ecco gli esempi proposti da Antunes: la creazione di false cooperative, utili a ridurre il livello generale di remunerazione dei lavoratori, a eroderne i diritti, ad aumentarne lo sfruttamento; e la diffusione delle “partite IVA”, sempre più una forma occulta di lavoro salariato, utili alla realizzazione della massima flessibilità di retribuzioni e orari lavorativi. Si possono a ciò aggiungere i JOBS Act italiani. 6 Al contrario di ciò che affermano i “decostruttori della teoria del valore”, tutto ciò definisce, prosegue Antunes con questi e altri esempi, come avvenga concretamente da parte del capitalismo attuale parte importante del processo di creazione e di espansione del plusvalore. “Se così non fosse”, esemplifica Antunes, non si spiega “perché, in pieno XXI secolo, a San Paolo ci siano giornate di lavoro che arrivano a diciassette ore… nell’industria delle confezioni”, effetto di “contrattazione informale” tra “lavoratori immigrati boliviani o peruviani (o di altri paesi latino–americani)” e “padroni spesso coreani o cinesi”. Né “questa realtà… è specifica della società brasiliana”. In un paese altamente avanzato come il Giappone vivono nella periferia di Tokyo giovani che non hanno risorse per affittare una stanza o andare in una 3 come l’OMC) nella richiesta di “smantellamento della legislazione sociale protettrice del lavoro”; sicché, in Occidente, nella “distruzione dei diritti sociali… duramente conquistati dalla classe lavoratrice a partire dagli inizi” della Prima Rivoluzione Industriale. La tendenza inoltre a “superlavoro” in situazioni tecnologicamente “avanzate” L’altra grande tendenza è quella dei nuovi modi di “superlavoro” e di creazione di plusvalore nelle situazioni di utilizzo di “macchinari” altamente avanzati. Anch’essa si caratterizza per un processo di generale precarizzazione della condizione lavorativa (ovviamente in forme specifiche). Di essa Antunes individua alcuni dati formativi nel toyotismo praticato estesamente in Giappone fin dall’immediato secondo dopoguerra in luogo del fordismo. Si tratta, intanto, della produzione just in time, realizzata nel momento immediatamente successivo all’effettuazione della domanda, quindi si tratta della gestione in tempo reale contemporaneamente del flusso produttivo e di quello commerciale (la lean production)7. Parimenti si tratta del coinvolgimento “partecipativo” dei lavoratori, nonostante la “decostruzione monumentale” dei loro diritti: risultando esso “interiorizzato” grazie a meccanismi di “accomandita”, a varie forme di “collaborazione” e “individualizzazione”, alla definizione di “mete” e “competenze”. Si tratta in breve di un semitoyotismo altamente degradato. Dunque, propone Antunes, si può definire “toyotismo flessibilizzato” ciò che viene attualmente allargandosi a forte velocità in situazioni di utilizzo di macchinari altamente avanzati. Al contrario il toyotismo storico sta subendo la medesima tendenziale sparizione del fordismo8. Una variante importante dentro al “toyotismo flessibilizzato”, anche in quanto in rapida crescita occupazionale, prosegue Antunes, citando Castillo, è data da una sorta di “flessibilità liofilizzata” in sede di “modalità di organizzazione e controllo” in ambiti determinati del “processo di lavoro”. Si tratta principalmente delle attività di software, call center e telemarketing. Mentre Ursula Huws, cita sempre Antunes, “ha denominato suggestivamente” tale contingente di lavoratori pensione e che utilizzano i cybercaffè all’alba per riposare, dormire un poco, usare internet e cercare lavoro.Ma soprattutto è quello delle grandi masse di immigrati che si spostano verso i paesi del centro capitalistico il contributo “strutturale” maggiore alla “tendenza… alla precarizzazione del lavoro”. Ciò ha determinato “un enorme incremento” del “nuovo proletariato informale”, del “sottoproletariato di fabbrica e dei servizi”, come “il Gastarbeiter in Germania, il chicano negli USA”, nonché del complesso degli immigrati “dall’est Europa (polacchi, ungheresi, rumeni, albanesi, ecc.) nell’Europa Occidentale”, dell’“haitiano in Brasile e Argentina”, ecc. 7 Il Giappone era uscito dalla guerra distrutto, privo di quelle risorse di cui prima si appropriava in altre parti dell’Asia, inoltre con impianti industriali che tendevano a rimanere assai arretrati rispetto a quelli statunitensi o in via di ricostruzione in Europa, infine privo di mercati di sbocco. La Toyota era in quel momento un’impresa automobilistica di ridotte dimensioni e dotata di impianti arretrati, e tutto questo non le consentiva il passaggio all’organizzazione fordista della produzione e del lavoro. Il suo direttore Tajichi Ohno tentò così una nuova strada, quella dell’uso flessibile dei macchinari e il loro affidamento alla responsabilità e all’intelligenza di dirigenti, tecnici e operai, in modo da passare alla produzione di quantitativi ridotti di automobili poiché corrispondenti esattamente alla domanda contestuale di mercato; quindi dovendo riprogrammare di continuo la produzione, ma con il beneficio di evitare impegni eccessivi di materie prime in ampi stoccaggi così come di evitare sprechi.Tale coinvolgimento della forza-lavoro evidentemente richiedeva un’altissima professionalizzazione degli operai e l’organizzazione soprattutto della parte conclusiva della produzione (l’assemblaggio) per gruppi integrati di operai e di tecnici (per “celle di produzione”). Ciò a sua volta richiese investimenti sul terreno dell’automazione dei macchinari, in modo che ogni singolo operatore della cella potesse seguire (sorvegliare ecc.) contemporaneamente più macchinari, quindi, per esempio, potesse fermare in ogni momento, in presenza di anomalie, la produzione. 8 Ricardo Antunes: La nuova morfologia del lavoro e le sue principali tendenze. Informalità, infoproletariato, (im)materialità e valore, it.E’ indicato più avanti a come, a sua volta, questo “toyotismo flessibilizzato” abbia cominciato a subire l’erosione dell’estensione dell’uso di robot polivalenti strettamente associati a un singolo operaiotecnico (si tratta del processo lavorativo denominato 4.0). 4 “cybertariato”, “Ruy Braga e io” lo abbiamo definito “infoproletariato” 9. “Innumerevoli ricerche stanno” anche “dimostrando che l’infoproletariato (o cybertariato)” tende a esprimere una “nuova condizione di salario nel settore servizi”: dunque viene definendo e articolando un “nuovo segmento” di “proletariato non-industriale” in crescita “esponenziale”, “sprovvisto di controllo e di gestione del proprio lavoro”, e più in generale collocato in una condizione estremamente disagiata. Lo studio di Huws, aggiunge Antunes, “è centrale per comprendere le interazioni tra i lavori materiali e immateriali e le rispettive connessioni con le nuove modalità” di creazione di valore 10. Castillo a sua volta, avendo “osservato l’evoluzione del lavoro nelle fabbriche di software”, offre al riguardo “prove empiriche e analitiche suggestive”. Riferendosi al lavoro di Michael Cusumano 11, Castillo afferma che “produrre software non è come qualsiasi altro affare”, poiché, “una volta creato, costa tanto farne una copia quanto un milione”, dunque è proprio di “un tipo di impresa, il cui profitto sulle vendite può arrivare al 99%”, inoltre poiché è qualcosa che può articolarsi ulteriormente, nel senso di giungere a “fabbricare prodotti” che servono a “fabbricare servizi” 12. Castillo poi aggiunge come “molti ricercatori” abbiano “richiamato l’attenzione” sulla “ricchezza” nelle “fabbriche di software” non solo di “figure produttive” ma anche di “vissuti” in sede di “esperienze di lavoro” così come in sede di “ripercussioni nella vita privata e nell’organizzazione del tempo”, e su come ciò riguardi soprattutto quei lavoratori i cui posti di lavoro si muovono tra la “routine e i posti di maggior livello13”. “Nella seconda metà degli anni Novanta, richiama a sua volta Antunes, “si stima”, computando “dall’inizio del ciclo di privatizzazioni attraverso cui è passato il settore” in Brasile “delle telecomunicazioni, che nel 2013 il numero di teleoperatori operanti dentro e fuori i call centers” raggiungesse il “milione e mezzo circa” e che di essi “quasi l’80%” fossero donne. Si tratta quindi in Brasile di “una delle maggiori categorie di salariati”. Ma la rapida crescita di questo settore risulta anche “su scala globale”. Inoltre “la privatizzazione delle telecomunicazioni”, causando “un processo accelerato di terziarizzazione del lavoro”, ha portato alla creazione di “molteplici forme di precarizzazione” e di “intensificazione dei tempi e dei movimenti” lavorativi. Dunque si configura “una chiara confluenza tra terziarizzazione e precarizzazione del lavoro, all’interno della… mercatizzazione dei servizi… privatizzati14”. 9 Vedi Juan Castillo: A la búsqueda del trabajo perdido (Alla ricerca del lavoro perduto), nell’opera collettiva Juan Castillo: Sociologia del Trabajo, 1996, menzionato in Ricardo Antunes: La nuova morfologia del lavoro e le sue principali tendenze. Informalità, infoproletariato, (im)materialità e valore, cit. Vedi inoltre Ricardo Antunes, Ruy Braga: Infoproletários (Degradação Real do Trabalho Virtual), 2009 10 Ursula Huws: The Making of a Cybertariat: virtual Work in a real World (La creazione di un cybertariato: il lavoro virtuale in un mondo reale), 2003, menzionato in Ricardo Antunes: La nuova morfologia del lavoro e le sue principali tendenze. Informalità, infoproletariato, (im)materialità e valore, cit. 11 Michael Cusumano, statunitense, docente presso il Massachusetts Institute of Technology in Avanced Strategy Management e in Software and Internet Entrepreneurship. 12 Va anche rammentata la creazione crescente di merci il cui elemento materiale è costituito da apparecchiature elettroniche dal prezzo infimo, tramite le quali possono però essere fruiti una quantità di servizi offerti dai gruppi oligopolistici operanti sul web con proprio motore di ricerca (vedi Google, ecc.). Ciò fa sì che al valore infimo delle apparecchiature e alla limitatezza degli investimenti loro necessari corrispondano profitti tra i più elevati. 13 Juan Castillo: El trabajo fluido en la sociedad de la información: organización y división de trabajo en las fabricas de software en España. Miño y Dávila, 2007, menzionato in Ricardo Antunes: La nuova morfologia del lavoro e le sue principali tendenze. Informalità, infoproletariato, (im)materialità e valore, cit. 14 Vedi Ricardo Antunes, Ruy Braga: Infoproletários (Degradação Real do Trabalho Virtual), cit. 5 Qualche conclusione di livello generale C’è infine da trattare, indica Antunes, il seguente tema. La legge del valore opera anche in sede di attività prevalentemente immateriali? La mia ipotesi, risponde a se stesso Antunes, è che il lavoro immateriale, esprimendo anch’esso, pur sui modo, “modalità di lavoro vivo”, è partecipe del “processo di valorizzazione”. Esso pure, in altre parole, crea valore e, quindi, plusvalore. E’ inoltre bene “ricordare che le formulazioni che iperdimensionano il lavoro immateriale”, cioè lo pongono come elemento che risulterebbe ormai “dominante” nella produzione capitalistica, non considerano le tendenze reali operanti “nel sud del mondo, dove si trovano paesi come Cina, India, Brasile, Messico, Sudafrica” che sono “dotati di un enorme contingente di forza lavoro” in gran parte addetto a lavori “materiali”15. Infine è bene ricordare “come scienza e lavoro” attualmente si mescolino “ancora più direttamente” di prima “nel mondo della produzione”: per questo oggi “la potenza creatrice del lavoro vivo” può assumere “tanto la forma del lavoro materiale” che quella “del lavoro immateriale” che quella di un’unità tra essi organica. In quest’unità, orientata a essere sempre più presente sull’intera superficie delle attività lavorative16, accade che i lavoratori trasferiscano parte dei loro “attributi soggettivi” (delle loro capacità intellettuali e manuali soggettive) alle nuove macchine e ai loro sistemi, cioè “oggettivino” attività “soggettive”. Come scrisse Marx nel Capitale, ci sono “organi del cervello umano” che sono stati “ottenuti dalle mani umane” 17: e “questo, nel capitalismo dei nostri giorni, finisce per conferire nuove dimensioni e configurazioni alla teoria del valore” (alla condizione, ovviamente, che le capacità cognitive dei lavoratori “suscitate dalla produzione” siano al tempo stesso “costitutive del lavoro sociale, complesso e combinato creatore di valore”) 18. Come scrive Vincent, sottolinea Antunes, “l’immaterialità diventa… espressione del lavoro intellettuale astratto, che non porta all’estinzione del tempo socialmente medio di lavoro per la configurazione del valore ma, al contrario, inserisce crescenti coaguli di lavoro immateriale nella logica dell’accumulazione inserendoli nel tempo sociale medio di un lavoro sempre più complesso”, data la “nuova fase della produzione del valore19”. 15 Quest’iperdimensionamento del lavoro immateriale, argomenta Antunes, serve a giustificare la tesi di una tendenziale se non realizzata obsolescenza della legge del valore (in Italia la tesi di un tale iperdimensionamento è alla base della pretesa da parte negriana che qualsiasi attività che richieda uno sforzo intellettuale o fisico crei valore). 16 Va aggiunto che ciò accade anche nelle attività lavorative non creative di plusvalore: in un ministero, in un sindacato, nella cura della famiglia, in una chiesa, ecc. ecc. 17 Vedi Karl Marx: Il Capitale, libro III, il processo complessivo della produzione capitalistica, 1894 18 Ricardo Antunes: La nuova morfologia del lavoro e le sue principali tendenze. Informalità, infoproletariato, (im)materialità e valore, cit. 19 Jean-Marie Vincent: Les automatismes sociaux et le “General Intellect”, 1993 6