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A cura di Luigi Vinci
Milano, 2015
Le trasformazioni planetarie intervenute nel contesto della Terza Rivoluzione
Industriale nella composizione, nella centralizzazione e nella dislocazione
geografica del proletariato e del semiproletariato produttivi di plusvalore
In premessa
Si è venuta determinando in questi decenni, nel contesto di una Terza Rivoluzione Industriale
inoltrata1, una generalizzazione dell’industria urbana alla sostanziale totalità del pianeta, dapprima
nella forma di delocalizzazioni di attività di media tecnologia e ad alta intensità di lavoro, poi anche
nella forma di investimenti nell’industria avanzata. Qui di seguito è analizzata, grazie a Ricardo
Antunes2, la composizione degli attuali proletariato e semiproletariato mondiali.
Tra le varie insensatezze antiscientifiche usate dalla borghesia capitalistica, dai suoi funzionari nella
politica, nei mass-media e nelle università, inoltre fatte proprie da un po’ di pseudo-antagonismo
radical-chic, c’è stata a lungo l’invenzione dell’estinzione tendenziale del proletariato, dunque della
possibilità stessa della lotta di classe. Anche per questa via si è potuto (efficacemente, per tutto un
periodo) tentare di giustificare e al tempo stesso di mistificare la lotta di classe sempre più
determinata e brutale scatenata in Europa occidentale dalla borghesia capitalistica, più in generale
dagli strati ricchi della società, contro la totalità delle condizioni di vita e di lavoro delle classi
popolari. Grazie ad Antunes c’è modo invece di constatare che il proletariato mondiale è
raddoppiato, nel periodo avviato dalle grandi liberalizzazioni dei movimenti di capitale operate
dalle presidenze statunitensi Reagan e Clinton (cioè dagli anni ottanta in avanti); inoltre di
constatare come, data quella Terza Rivoluzione Industriale che a queste liberalizzazioni si è
strettamente combinata, si sia sempre più modificata, nel quadro di una nuova e molto più
complicata divisione mondiale del lavoro tra centro capitalistico e resto del mondo, la morfologia
del proletariato mondiale.
La parola ad Antunes.
L’avvio del processo
Antunes intanto ci rammenta come “l’ampio processo” mondiale “di ristrutturazione del capitale” in
corso sia stato “scatenato… agli inizi degli anni settanta”: in risposta alla crisi creata, a partire dal
1973, dagli shock petroliferi, a cui faranno successivamente seguito le liberalizzazioni capitalistiche
delle presidenze statunitensi Reagan e Clinton. Quindi Antunes sottolinea la portata “multiforme” di
tale processo, che presenta “tendenze all’intellettualizzazione della forza-lavoro, specialmente nelle
cosiddette tecnologie dell’informazione e della comunicazione”, e al tempo stesso, su scala più
ampia, accentua i “livelli di precarizzazione e informalità dei lavoratori e delle lavoratrici”. Di qui
1. E in procinto di passare senza soluzione di continuità a una Quarta Rivoluzione, tramite il passaggio alla produzione
diretta rappresentato da 4.0 e 3-D.
2 Ricardo Luis Coltro Antunes (1953) è un sociologo brasiliano. Attualmente è docente presso l’Università Statale di
Campinas (Unicamp). Ha una laurea in amministrazione pubblica della Getulio Vargas Foundation (FGV-SP) e un
master in Scienze Politiche da Unicamp (1980), è Dottore in Sociologia presso l’Università di San Paolo ed è docente
presso l’Istituto di Filosofia e Scienze Umane (IFCH), dove insegna discipline come Sociologia del Lavoro e Sociologia
in Karl Marx.Di Antunes qui riassumiamo i contenuti del suo La nuova morfologia del lavoro e le sue principali
tendenze. Informalità, infoproletariato, (im)materialità e valore), 2009. Sempre di Antunes è uscito in Italia nel gennaio
del 2016, edito da Punto Rosso, con una prefazione di István Mészáros, il saggio Il lavoro e i suoi sensi. Affermazione e
negazioni del mondo del lavoro, che contiene in appendice il saggio da noi riassunto.
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l’ipotesi, egli dichiara, che, al contrario delle tesi che sostengono l’obsolescenza o la falsificazione
della legge del valore, “il mondo capitalista contemporaneo stia assistendo a un significativo
ampliamento dei suoi meccanismi di funzionamento, in cui il ruolo svolto dal lavoro – o ciò che”
denomino “nuova morfologia del lavoro – è emblematico” (cioè fondamentale).
Di quest’ampliamento sono parte, aggiunge Antunes, nuovi e solidi “meccanismi generatori di
lavoro eccedente, attraverso i quali… un’infinità di lavoratori viene espulsa dalla produzione” e
diventano “disoccupati. E questo processo è ben funzionale per il capitale”: riducendo, “su scala
globale, la remunerazione della forza-lavoro, attraverso la retroazione” di tale espulsione sulla
situazione “salariale di quei salariati e salariate che si trovano occupati”. Non solo. “Nel pieno
dell’esplosione della più recente crisi globale, che colpisce centralmente i paesi del nord del
mondo”, questo “quadro si allarga significativamente e ci mostra” anche “un’enorme “spreco” di
forza-lavoro umana” consistente in “una corrosione maggiore del lavoro a contratto e di quello
regolamentato di matrice taylorista-fordista… a lungo dominante durante il XX secolo”.
Un processo prima di tutto di precarizzazione
Dunque, indica Antunes, stiamo nel complesso “assistendo a una processualità multitendenziale” di
portata planetaria la cui unità fondamentale è data dalla precarizzazione o la semiprecarizzazione
del lavoro. Nel quadro complessivo del capitalismo attuale, cioè, “la riduzione del proletariato dei
nuclei più avanzati dell’industria e il parallelo ampliamento del lavoro intellettuale procedono in
chiara interrelazione con la diffusione” di “grandi contingenti” di “nuovi proletari… intensamente
precari o che perdono il loro impiego” (o che non ne troveranno mai uno). “E questo processo sta
avvenendo tanto nell’industria quanto nell’agricoltura e nei servizi (e nelle corrispondenti aree di
intersezione: l’industria agricola, l’industria dei servizi e i servizi industriali)”. Dunque è in stretta
unità “all’ampliamento” di tali “grandi contingenti” l’“espansione” in corso “di nuovi modi di
estrazione” di “superlavoro” e di creazione di “plusvalore” così come di modalità” operative
“capaci di articolare un macchinario altamente avanzato – di cui sono esempio le tecnologie di
comunicazione e di informazione – che hanno invaso il mondo delle merci. Queste attività sono
dotate di “qualificazione” e “competenze” maggiori, essendo fornitrici di maggiore potenzialità
intellettuale (qui intesa nel suo ristretto significato dato dal capitale)”, anche in quanto si integrano
“con il lavoro sociale, complesso e combinato”, che a sua volta “aggiunge valore. In altri termini, è
come se tutti gli spazi esistenti di lavoro fossero potenzialmente convertiti in generatori di
plusvalore, a partire da quelli che ancora mantengono tratti di formalità e contrattualità fino a quelli
che si caratterizzano per l’aperta informalità, nella frangia integrata al sistema”; né è importante se
le attività realizzate sono prevalentemente manuali o più accentuatamente “intellettualizzate”, cioè
“dotate di conoscenza”.
Riassumendo, il processo di ristrutturazione globale della forza-lavoro oscilla sempre più “tra la
perennità di un lavoro sempre più ridotto, intensificato nei suoi ritmi e sprovvisto di diritti, e una
superfluità crescente, generatrice di lavori più precarizzati e informalizzati”. Ovvero “lavori più
qualificati per un contingente ridotto – di cui sono esempio i lavoratori delle industrie di software e
delle tecnologie di informazione e comunicazione – e, dall’altro polo del pendolo, modalità di
lavoro sempre più instabili per un universo crescente di lavoratori e lavoratrici… Al vertice della
piramide… del mondo del lavoro… troviamo i lavori ultraqualificati che si realizzano nell’ambito
dell’informazione e della conoscenza. Alla base e in mezzo troviamo… il lavoro qualificato che può
sparire o erodersi, in relazione alle alterazioni temporanee e spaziali che raggiungono gli impianti
produttivi o i servizi in tutte le parti del mondo”.
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Il diffondersi dell’ “informalità” nei rapporti lavorativi
L’“informalità”, nei suoi “più distinti e diversificati modi”, argomenta poi Antunes, è una delle due
forme fondamentali (quantitativamente la principale) nella quale è venuto evolvendo, nel
capitalismo attuale, il “lavoro stabile, erede della fase taylorista-fordista” e “modellato da
contrattazione e regolamentazione”. Alcuni suoi esempi sono “il lavoro atipico, i lavori terziarizzati
(con la loro enorme gamma e varietà), il “cooperativismo”, l’“impreditorismo” e il “lavoro
volontario”. Nel momento stesso”, inoltre, “in cui abbraccia i più distinti modi di essere
dell’informalità”, la “nuova morfologia del lavoro va ampliando l’universo del lavoro
invisibilizzato, e contemporaneamente potenzia nuovi meccanismi generatori di valore, seppure
sotto l’apparenza del non-valore, utilizzando nuovi e vecchi meccanismi di intensificazione (e
persino di autosfruttamento) del lavoro”. Perciò, in realtà, “l’apparente invisibilità del lavoro” è
un’“espressione fenomenica che copre la reale generazione di plusvalore praticamente in tutte le sfere del
mondo lavorativo”.
Infine, ora Antunes cita Tosel3, data una tale “centralità del lavoro astratto” capace di creare “noncentralità del lavoro”, la grande “massa” contemporanea “degli esclusi del lavoro vivo” tenta
“disperatamente” di realizzare “forme” di auto-identità “e di socializzazione nelle sfere isolate del
non-lavoro” (nelle “attività di formazione, di benevolenza e di servizio)4”.
Segue una larga analisi dei “modi d’essere dell’informalità”. Essa intanto, argomenta Antunes, va
collocata come fenomeno mondiale, operante nei paesi sviluppati come in quelli in via di sviluppo;
e si tratta del grande “ampliamento… dei lavoratori sottomessi a contratti temporanei consecutivi,
senza stabilità, senza registrazione legale”, operanti “dentro o fuori rispetto allo spazio produttivo
delle imprese, sia in attività più instabili o temporanee, sia sotto la minaccia diretta della
disoccupazione”. Perciò, quando avviene una “rottura” a danno delle forme tradizionali della
contrattazione e della regolazione della forza-lavoro, anche se non ne segue una formale situazione
di precarietà si hanno comunque “con grande frequenza e intensità” condizioni “di lavoro
sprovviste di diritti”, quindi simili a quelli precari 5. Ciò significa che il processo di
“informalizzazione della forza-lavoro” sta “costituendosi come meccanismo centrale”
dell’“ingegneria del capitale”. Essendo quest’“ingegneria” operante sulla scala più estesa della
creazione del plusvalore, data la mondializzazione della produzione e della circolazione delle merci,
essa è prima di tutto interessata “ad accrescere l’intensificazione dei ritmi e dei movimenti del
lavoro”. Di qui dunque la richiesta del grande capitale di un processo generalizzato di
“precarizzazione strutturale del lavoro”6, che si esprime in quasi tutto il mondo (attraverso strumenti
3 Ricardo Antunes: La nuova morfologia del lavoro e le sue principali tendenze. Informalità, infoproletariato,
(im)materialità e valore, 2009
4 André Tosel: Centralité et non-centralité du travail ou la passion des hommes superflus, nell’opera collettiva Jacques
Bidet, Jacques Texier: La crise du travail, Actuel Marx confrontation, 1995, menzionato in Ricardo Antunes: La nuova
morfologia del lavoro e le sue principali tendenze. Informalità, infoproletariato, (im)materialità e valore, cit.
5 Ecco gli esempi proposti da Antunes: la creazione di false cooperative, utili a ridurre il livello generale di
remunerazione dei lavoratori, a eroderne i diritti, ad aumentarne lo sfruttamento; e la diffusione delle “partite IVA”,
sempre più una forma occulta di lavoro salariato, utili alla realizzazione della massima flessibilità di retribuzioni e orari
lavorativi. Si possono a ciò aggiungere i JOBS Act italiani.
6 Al contrario di ciò che affermano i “decostruttori della teoria del valore”, tutto ciò definisce, prosegue Antunes con
questi e altri esempi, come avvenga concretamente da parte del capitalismo attuale parte importante del processo di
creazione e di espansione del plusvalore. “Se così non fosse”, esemplifica Antunes, non si spiega “perché, in pieno XXI
secolo, a San Paolo ci siano giornate di lavoro che arrivano a diciassette ore… nell’industria delle confezioni”, effetto di
“contrattazione informale” tra “lavoratori immigrati boliviani o peruviani (o di altri paesi latino–americani)” e “padroni
spesso coreani o cinesi”. Né “questa realtà… è specifica della società brasiliana”. In un paese altamente avanzato come
il Giappone vivono nella periferia di Tokyo giovani che non hanno risorse per affittare una stanza o andare in una
3
come l’OMC) nella richiesta di “smantellamento della legislazione sociale protettrice del lavoro”;
sicché, in Occidente, nella “distruzione dei diritti sociali… duramente conquistati dalla classe
lavoratrice a partire dagli inizi” della Prima Rivoluzione Industriale.
La tendenza inoltre a “superlavoro” in situazioni tecnologicamente “avanzate”
L’altra grande tendenza è quella dei nuovi modi di “superlavoro” e di creazione di plusvalore nelle
situazioni di utilizzo di “macchinari” altamente avanzati. Anch’essa si caratterizza per un processo
di generale precarizzazione della condizione lavorativa (ovviamente in forme specifiche). Di essa
Antunes individua alcuni dati formativi nel toyotismo praticato estesamente in Giappone fin
dall’immediato secondo dopoguerra in luogo del fordismo. Si tratta, intanto, della produzione just
in time, realizzata nel momento immediatamente successivo all’effettuazione della domanda, quindi
si tratta della gestione in tempo reale contemporaneamente del flusso produttivo e di quello
commerciale (la lean production)7. Parimenti si tratta del coinvolgimento “partecipativo” dei
lavoratori, nonostante la “decostruzione monumentale” dei loro diritti: risultando esso
“interiorizzato” grazie a meccanismi di “accomandita”, a varie forme di “collaborazione” e
“individualizzazione”, alla definizione di “mete” e “competenze”. Si tratta in breve di un
semitoyotismo altamente degradato. Dunque, propone Antunes, si può definire “toyotismo
flessibilizzato” ciò che viene attualmente allargandosi a forte velocità in situazioni di utilizzo di
macchinari altamente avanzati. Al contrario il toyotismo storico sta subendo la medesima
tendenziale sparizione del fordismo8.
Una variante importante dentro al “toyotismo flessibilizzato”, anche in quanto in rapida crescita
occupazionale, prosegue Antunes, citando Castillo, è data da una sorta di “flessibilità liofilizzata” in
sede di “modalità di organizzazione e controllo” in ambiti determinati del “processo di lavoro”. Si
tratta principalmente delle attività di software, call center e telemarketing. Mentre Ursula Huws,
cita sempre Antunes, “ha denominato suggestivamente” tale contingente di lavoratori
pensione e che utilizzano i cybercaffè all’alba per riposare, dormire un poco, usare internet e cercare lavoro.Ma
soprattutto è quello delle grandi masse di immigrati che si spostano verso i paesi del centro capitalistico il contributo
“strutturale” maggiore alla “tendenza… alla precarizzazione del lavoro”. Ciò ha determinato “un enorme incremento”
del “nuovo proletariato informale”, del “sottoproletariato di fabbrica e dei servizi”, come “il Gastarbeiter in Germania,
il chicano negli USA”, nonché del complesso degli immigrati “dall’est Europa (polacchi, ungheresi, rumeni, albanesi,
ecc.) nell’Europa Occidentale”, dell’“haitiano in Brasile e Argentina”, ecc.
7 Il Giappone era uscito dalla guerra distrutto, privo di quelle risorse di cui prima si appropriava in altre parti dell’Asia,
inoltre con impianti industriali che tendevano a rimanere assai arretrati rispetto a quelli statunitensi o in via di
ricostruzione in Europa, infine privo di mercati di sbocco. La Toyota era in quel momento un’impresa automobilistica di
ridotte dimensioni e dotata di impianti arretrati, e tutto questo non le consentiva il passaggio all’organizzazione fordista
della produzione e del lavoro. Il suo direttore Tajichi Ohno tentò così una nuova strada, quella dell’uso flessibile dei
macchinari e il loro affidamento alla responsabilità e all’intelligenza di dirigenti, tecnici e operai, in modo da passare
alla produzione di quantitativi ridotti di automobili poiché corrispondenti esattamente alla domanda contestuale di
mercato; quindi dovendo riprogrammare di continuo la produzione, ma con il beneficio di evitare impegni eccessivi di
materie prime in ampi stoccaggi così come di evitare sprechi.Tale coinvolgimento della forza-lavoro evidentemente
richiedeva un’altissima professionalizzazione degli operai e l’organizzazione soprattutto della parte conclusiva della
produzione (l’assemblaggio) per gruppi integrati di operai e di tecnici (per “celle di produzione”). Ciò a sua volta
richiese investimenti sul terreno dell’automazione dei macchinari, in modo che ogni singolo operatore della cella
potesse seguire (sorvegliare ecc.) contemporaneamente più macchinari, quindi, per esempio, potesse fermare in ogni
momento, in presenza di anomalie, la produzione.
8 Ricardo Antunes: La nuova morfologia del lavoro e le sue principali tendenze. Informalità, infoproletariato,
(im)materialità e valore, it.E’ indicato più avanti a come, a sua volta, questo “toyotismo flessibilizzato” abbia
cominciato a subire l’erosione dell’estensione dell’uso di robot polivalenti strettamente associati a un singolo operaiotecnico (si tratta del processo lavorativo denominato 4.0).
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“cybertariato”, “Ruy Braga e io” lo abbiamo definito “infoproletariato” 9. “Innumerevoli ricerche
stanno” anche “dimostrando che l’infoproletariato (o cybertariato)” tende a esprimere una “nuova
condizione di salario nel settore servizi”: dunque viene definendo e articolando un “nuovo
segmento” di “proletariato non-industriale” in crescita “esponenziale”, “sprovvisto di controllo e di
gestione del proprio lavoro”, e più in generale collocato in una condizione estremamente disagiata.
Lo studio di Huws, aggiunge Antunes, “è centrale per comprendere le interazioni tra i lavori
materiali e immateriali e le rispettive connessioni con le nuove modalità” di creazione di valore 10.
Castillo a sua volta, avendo “osservato l’evoluzione del lavoro nelle fabbriche di software”, offre al
riguardo “prove empiriche e analitiche suggestive”. Riferendosi al lavoro di Michael Cusumano 11,
Castillo afferma che “produrre software non è come qualsiasi altro affare”, poiché, “una volta
creato, costa tanto farne una copia quanto un milione”, dunque è proprio di “un tipo di impresa, il
cui profitto sulle vendite può arrivare al 99%”, inoltre poiché è qualcosa che può articolarsi
ulteriormente, nel senso di giungere a “fabbricare prodotti” che servono a “fabbricare servizi” 12.
Castillo poi aggiunge come “molti ricercatori” abbiano “richiamato l’attenzione” sulla “ricchezza”
nelle “fabbriche di software” non solo di “figure produttive” ma anche di “vissuti” in sede di
“esperienze di lavoro” così come in sede di “ripercussioni nella vita privata e nell’organizzazione
del tempo”, e su come ciò riguardi soprattutto quei lavoratori i cui posti di lavoro si muovono tra la
“routine e i posti di maggior livello13”. “Nella seconda metà degli anni Novanta, richiama a sua
volta Antunes, “si stima”, computando “dall’inizio del ciclo di privatizzazioni attraverso cui è
passato il settore” in Brasile “delle telecomunicazioni, che nel 2013 il numero di teleoperatori
operanti dentro e fuori i call centers” raggiungesse il “milione e mezzo circa” e che di essi “quasi
l’80%” fossero donne. Si tratta quindi in Brasile di “una delle maggiori categorie di salariati”. Ma la
rapida crescita di questo settore risulta anche “su scala globale”. Inoltre “la privatizzazione delle
telecomunicazioni”, causando “un processo accelerato di terziarizzazione del lavoro”, ha portato
alla creazione di “molteplici forme di precarizzazione” e di “intensificazione dei tempi e dei
movimenti” lavorativi. Dunque si configura “una chiara confluenza tra terziarizzazione e
precarizzazione del lavoro, all’interno della… mercatizzazione dei servizi… privatizzati14”.
9 Vedi Juan Castillo: A la búsqueda del trabajo perdido (Alla ricerca del lavoro perduto), nell’opera collettiva Juan
Castillo: Sociologia del Trabajo, 1996, menzionato in Ricardo Antunes: La nuova morfologia del lavoro e le sue
principali tendenze. Informalità, infoproletariato, (im)materialità e valore, cit. Vedi inoltre Ricardo Antunes, Ruy
Braga: Infoproletários (Degradação Real do Trabalho Virtual), 2009
10 Ursula Huws: The Making of a Cybertariat: virtual Work in a real World (La creazione di un cybertariato: il lavoro
virtuale in un mondo reale), 2003, menzionato in Ricardo Antunes: La nuova morfologia del lavoro e le sue principali
tendenze. Informalità, infoproletariato, (im)materialità e valore, cit.
11 Michael Cusumano, statunitense, docente presso il Massachusetts Institute of Technology in Avanced Strategy
Management e in Software and Internet Entrepreneurship.
12 Va anche rammentata la creazione crescente di merci il cui elemento materiale è costituito da apparecchiature
elettroniche dal prezzo infimo, tramite le quali possono però essere fruiti una quantità di servizi offerti dai gruppi
oligopolistici operanti sul web con proprio motore di ricerca (vedi Google, ecc.). Ciò fa sì che al valore infimo delle
apparecchiature e alla limitatezza degli investimenti loro necessari corrispondano profitti tra i più elevati.
13 Juan Castillo: El trabajo fluido en la sociedad de la información: organización y división de trabajo en las fabricas
de software en España. Miño y Dávila, 2007, menzionato in Ricardo Antunes: La nuova morfologia del lavoro e le sue
principali tendenze. Informalità, infoproletariato, (im)materialità e valore, cit.
14 Vedi Ricardo Antunes, Ruy Braga: Infoproletários (Degradação Real do Trabalho Virtual), cit.
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Qualche conclusione di livello generale
C’è infine da trattare, indica Antunes, il seguente tema. La legge del valore opera anche in sede di
attività prevalentemente immateriali? La mia ipotesi, risponde a se stesso Antunes, è che il lavoro
immateriale, esprimendo anch’esso, pur sui modo, “modalità di lavoro vivo”, è partecipe del
“processo di valorizzazione”. Esso pure, in altre parole, crea valore e, quindi, plusvalore.
E’ inoltre bene “ricordare che le formulazioni che iperdimensionano il lavoro immateriale”, cioè lo
pongono come elemento che risulterebbe ormai “dominante” nella produzione capitalistica, non
considerano le tendenze reali operanti “nel sud del mondo, dove si trovano paesi come Cina, India,
Brasile, Messico, Sudafrica” che sono “dotati di un enorme contingente di forza lavoro” in gran
parte addetto a lavori “materiali”15.
Infine è bene ricordare “come scienza e lavoro” attualmente si mescolino “ancora più direttamente”
di prima “nel mondo della produzione”: per questo oggi “la potenza creatrice del lavoro vivo” può
assumere “tanto la forma del lavoro materiale” che quella “del lavoro immateriale” che quella di
un’unità tra essi organica. In quest’unità, orientata a essere sempre più presente sull’intera
superficie delle attività lavorative16, accade che i lavoratori trasferiscano parte dei loro “attributi
soggettivi” (delle loro capacità intellettuali e manuali soggettive) alle nuove macchine e ai loro
sistemi, cioè “oggettivino” attività “soggettive”. Come scrisse Marx nel Capitale, ci sono “organi
del cervello umano” che sono stati “ottenuti dalle mani umane” 17: e “questo, nel capitalismo dei
nostri giorni, finisce per conferire nuove dimensioni e configurazioni alla teoria del valore” (alla
condizione, ovviamente, che le capacità cognitive dei lavoratori “suscitate dalla produzione” siano
al tempo stesso “costitutive del lavoro sociale, complesso e combinato creatore di valore”) 18. Come
scrive Vincent, sottolinea Antunes, “l’immaterialità diventa… espressione del lavoro intellettuale
astratto, che non porta all’estinzione del tempo socialmente medio di lavoro per la configurazione
del valore ma, al contrario, inserisce crescenti coaguli di lavoro immateriale nella logica
dell’accumulazione inserendoli nel tempo sociale medio di un lavoro sempre più complesso”, data
la “nuova fase della produzione del valore19”.
15 Quest’iperdimensionamento del lavoro immateriale, argomenta Antunes, serve a giustificare la tesi di una
tendenziale se non realizzata obsolescenza della legge del valore (in Italia la tesi di un tale iperdimensionamento è alla
base della pretesa da parte negriana che qualsiasi attività che richieda uno sforzo intellettuale o fisico crei valore).
16 Va aggiunto che ciò accade anche nelle attività lavorative non creative di plusvalore: in un ministero, in un
sindacato, nella cura della famiglia, in una chiesa, ecc. ecc.
17 Vedi Karl Marx: Il Capitale, libro III, il processo complessivo della produzione capitalistica, 1894
18 Ricardo Antunes: La nuova morfologia del lavoro e le sue principali tendenze. Informalità, infoproletariato,
(im)materialità e valore, cit.
19 Jean-Marie Vincent: Les automatismes sociaux et le “General Intellect”, 1993
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