Un buffone a Venezia nella prima metà del Cinquecento
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Un buffone a Venezia nella prima metà del Cinquecento
Paola Ancillotto Un buffone a Venezia nella prima metà del Cinquecento 1. Il nostro interesse, in queste pagine, si volgerà a quella forma teatrale, chiamata dal Sanudo commedia buffonesca 1, che a Venezia nella prima metà del XVI secolo era spesso in concorrenza con la commedia “erudita” e con quella “rustica” in dialetto pavano, e riscuoteva un enorme successo di pubblico. La farsa dei buffoni s’inseriva preferibilmente negli Intermezzi tra un atto e l’altro delle commedie, ma con una sua autonomia e consistenza scenica particolari o s’impadroniva d’altri spazi pubblici e privati: il “soler” (palco) innalzato in piazza, il corteo carnevalesco, la cerimonia in onore di ambasciatori o principi stranieri, la momarìa e la demostrazione 2, la festa e il banchetto privati nelle case dei nobili. Perché è proprio l’intervento buffonesco ad interessarci? Perché è in esso che troviamo molti degli elementi costitutivi della Commedia dell’Arte, come la recitazione improvvisa, l’utilizzazione in senso teatrale di dialetti o linguaggi parodiati, la tendenza a specializzarsi in un “tipo”, il confluire e intrecciarsi degli elementi acrobatico musicale mimico e del travestimento; perché i Comici dell’Arte sembrano essersi ispirati per le loro commedie proprio ai buffoni, ciarlatani, cantimpanca che si esibivano quotidianamente in città; perché vorremmo saperne di più su questi teatranti solo apparentemente “marginali”, dato che avevano grande successo presso i nobili e il popolo e tenevano “in festa” il centro lagunare con mille espedienti buffoneschi 33. In questa folla di irrequieti e versatili istrioni, uno in particolare ha attirato la nostra attenzione: Zuampolo Leopardi 4. Vari studiosi hanno “incrociato” il buffone occupandosi di volta in volta del Carnevale o delle feste veneziane, del Calmo o della commedia plurilingue, dell’Aretino, del Ruzzante o di altre personalità di rilievo dell’epoca; ma un lavoro di spoglio, raccolta, analisi di documenti e testimonianze sull’interessante personaggio ci risulta non sia stato ancora tentato. Zuampolo sembra situarsi come una delle ultime tappe di quel lento processo di evoluzione che dall’antica arte dei giullari conduce, pur se in modo contrastato e discontinuo, al delinearsi del fenomeno Commedia dell’Arte verso la metà del XVI secolo. 1 Il cronista Marin Sanudo parla spesso di “comedia bufonescha” o di “muraria buffona”: cfr. Sanudo, Diarii, Venezia 1879-1903, e il Codice di mano ottocentesca del Museo Correr intitolato “Articoli estratti dai Diarii di Marino Sanudo / concernenti notizie storiche di Commedie, Murnarie, / Feste e Compagnie della Calza” 2 Sugli Intermedii, cfr. C. Molinari, Scenografia e spettacolo nelle poetiche del ‘500, in « Il Veltro », a. VIII, dic. 1964, n. 6, pp. 885-902. Sulle momarìe e “demostrationi” cfr. le descrizioni in Sanudo, Diarii, XIX, 443; XXVIII, 254, .561; XL, 789; LIII, 362; ed anche L. Venturi, Le Compagnie della Calza, sec. XV-XVI, Venezia 1909, estratto da «Nuovo Archivio Veneto », n.s., voi. XVI, parte Il, p. 146 e sgg. 3 V Pandolfi, Il Teatro del Rinascimento e la Commedia del l’Arte, Roma, Lerici 1969, p. 151 e sgg.; Povoledo E., Le bouffon et la Commedia dell’Arte dans la féte vénitienne, au XVIe siècle, in Les fêtes de la Renaissance, III, C.N.R.S., Paris 1975. 4 Nei passi di cronaca sanudiana e negli scritti dei contemporanei che di lui parlano, è chiamato indifferentemente Zan Poi, Zuan Polo, Zanpolo, Zanipolo Zuampolo. Nella sua attività infatti convivono sia forme teatrali retaggio di precedenti tradizioni (il semplice e triviale intervento dei giullari medievali al banchetto, la ciarlatanerìa per propagandare e vendere antidoti e medicamenti, la composizione e declamazione di poemetti eroico-cavallereschi secondo l’antico modo dei cantastorie), sia nuove elaborazioni che preludono alla Commedia dell’Arte (l’improvvisazione a-due sulla base di un repertorio fisso, la tendenza a specializzarsi in un “tipo”, l’invenzione di un gergo teatrale, l’uso di una tecnica teatrale mista). In Zuampolo scorgiamo anche una discreta consapevolezza dei problemi inerenti al rapporto con il pubblico — accessibilità del linguaggio, utilizzazione di motivi comici in sé, ovvero graditi al popolo e alla nobiltà —, dovuta non solo alla sua lunga pratica teatrale ma, crediamo, anche al fatto che l’attività buffonesca era per lui la principale, se non l’unica, fonte di guadagno. 2. Serie difficoltà presenta l’indagine su un personaggio non nobile come Zuampolo, e soprattutto sulla sua attività di buffone, fatta di esibizioni temporanee e transitorie, i cui elementi preponderanti (mimica facciale, gesti, acrobazie, tono della voce) non potrebbero essere adeguatamente documentati neppure in presenza di un testo-trascrizione. Se poi teniamo conto dell’insufficienza di fonti, dell’imprecisione e approssimazione che caratterizzano quel periodo, ecco che le difficoltà aumentano. A queste ultime, abbiamo cercato di ovviare utilizzando di volta in volta passi di cronaca locale, poemetti e altri componimenti anonimi, incisioni in legno e stampe dell’epoca, descrizioni di atteggiamenti e tipi popolari fatte da uomini di cultura, lettere di nobili: il tutto per riuscire, dopo aver «familiarizzato” con l’ambiente, il pubblico, i compagni d’arte di Zuampolo — che agivano con forme d’intervento analoghe e spesso anche in collaborazione con lui —, a delinearne la figura di teatrante e di improvvisatore. Un grosso problema presenta anche, la valutazione delle fonti, dirette e indirette: come comportarsi di fronte ai «dati» (su personaggi, sulle loro azioni e condizioni di vita) forniti da componimenti e poemetti buffoneschi — che hanno cioè per autore o per soggetto un buffone —? Come superare le inevitabili distorsioni dei testi dovute ai loro eventuali scopi propagandistici, commerciali, celebrativi? Come circoscrivere e valutare il ruolo di eventuali intermediari — rifacitori, traduttori, stampatori —? Le fonti dirette — i due poemetti in ottava rima del Rado Stizuxo — sono state studiate soprattutto con l’intento di recuperare l’esibizione del buffone: perciò le affermazioni che in esse l’autore fa su di sé i suoi studi e la sua origine, sono state considerate solo in parte e con grandissima cautela, dato il loro evidente carattere di iperboli e data la destinazione “commerciale” dei due poemetti. Altre composizioni, più brevi ma sempre in dialetto schiavonesco (frottole, canzonette, strambotti quasi certamente opere di Zuampolo anche se, alcune, pubblicate dopo la sua morte), scritte per essere recitate/cantate in pubblico allo scopo di rimediare qualcosa da bere o da mangiare, sono state appunto valutate in base a questa loro destinazione. Una sola fra queste ci ha fornito dei «dati” sulla vita del buffone: Il Testamento de Zuan Polo alla schiavonescha. Si tratta, è vero, di un testamento burlesco 5, ma l’attendibilità di una serie di riferimenti cronologici e topografici presenti nel testo, ci ha indotto a ritenere complessivamente valide le notizie riguardanti Zuampolo. 5 Sul rito etnografico di purificazione — la confessione periodica dei peccati di una comunità — cui i testamenti burleschi si ricollegano, cfr. P. Toschi, Le origini del teatro italiano, Boringhieri, Torino, ed. 1976, p. 244 e sgg; sull’argomento anche V. Rossi (a cura di), Le lettere di messer Andrea Calmo, Loescher, Torino 1888, p. 151; T. Garzoni, La piazza universale di tutte le professioni del mondo, Venezia, appresso Gio: Battista Somasco, 1585 (Il ed. 1587), p. 352 e I. Sanesi, La Commedia, Vallardi, Milano 1911, p. 433. Indicazioni piuttosto dettagliate sulle sue esibizioni teatrali e su quelle di altri buffoni veneziani, sono contenute ne Il sogno dil Caravia, poemetto in versi del 1541. Perché le abbiamo considerate attendibili? Innanzitutto perché l’autore del testo era un grande amico di Zuampolo e certo conosceva il suo modo di dar spettacolo; poi perché la celebrazione del buffone, da poco morto ci sembra fornire solo un pretesto all’autore, che introduce e sviluppa invece un suo discorso religioso 6, e questo fa sì che, nelle descrizioni dei lazzi buffoneschi, il rischio di deformazione sia minore. Per quanto riguarda infine i brevi componimenti celebrativi di buffoni (come il Lamento di Domenego Tagliacalze e l’opera sulla vita e le facezie del buffone Zuan Busdava), ci è parso utile desumerne solo quelle notizie che trovavano in qualche modo conferma o nelle cronache cittadine o in altri testi letterari contemporanei. 3. « Questo Zampoi, di cui vuo’ ragionare / fu huomo astuto e d’intelletto pregno / Sua arte era sol buffoneggiare / et a ciascun di ciò passava il segno / Faceasi anchor d’ogni grande huomo amare / perché era costumato savio e degno / E con sua faccia, sue parole e passi / havrebbe mosso a meraviglia i sassi »7 Il ritratto che dell’estroso buffone fa l’amico Caravia 8, ci sembra eloquente ed obiettivo: “piacevolissimo”, “facetissimo”, “amato” sono gli attributi più facilmente riferiti a Zuampolo dai suoi contemporanei. Conosciuto semplicemente come Zuampolo (Giampaolo), nome seguito talvolta dall’epiteto di «buffone” quasi a voler evitare ogni equivoco, l’istrione appare completo di cognome in due sole occasioni: ne Il Sogno ci viene presentato come “Zuampolo di Leopardi” e “Zuam Polo Leopardo” è chiamato pure in un passo dei diarii .sanudiani 9. Una famiglia Leopardo o Liompardo esistetti a Venezia tra il Quattrocento e il Cinquecento: lo attestano il Sanudo — vari Leopardo detentori di cariche pubbliche sono registrati negli anni 1510-’21-’29-’34 —, il Tassini che in particolare si sofferma sui Leopardo della Madonna dell’Orto, la cui arma consisteva in un “leopardo rampante e barrato” 10, ed i Necrologi Sanitari 11. Chiarire l’origine veneziana del buffone è importante 6 Sull’« ampio e insistito discorso religioso » presente ne Il Sogno dil Caravia e sui motivi propri dell’evangelismo italiano in esso contenuti, cfr. C. Ginzburg, Il formaggio e i vermi, Einaudi, Torino 1976, p. 28 e sgg. 7 Alessandro Caravia, Il Sogno (dil), in ottava rima, in Vinegia nelle case di Giovann’Antonio di Nicolini da Sabbio, ne gli anni dei Signore, MDXLI, dil mese di maggio, 4°, cc. 26 front., inc. 5; p. 16: in A. Segarizzi, Bibliografia delle stampe popolari italiane della Biblioteca Nazionale di S. Marco, Bergamo 1913, alle pp. 105-108 e 111-112; cfr. Dizionario Enciclopedico Italiano Treccani, voce “Caravia” a cura di L. Zorzi e V. Rossi, Un aneddoto della storia della riforma a Venezia, in Saggi e scritti di critica letteraria, Firenze 1930, p. 197. 8 Sull’amicizia tra il buffone e il gioielliere veneziano Alessandro Caravia di Tommaso, qualcosa lo si ricava da Il Sogno: un rapporto di amore filiale legava Alessandro a Zuampolo che, più vecchio di circa cinquant’anni, gli aveva tenuto a battesimo una delle due figlie. Nel processo per sospetta eresia che il Caravia sostenne nel 1556-58, interrogato a proposito de Il Sogno, così si difende: « havevo per compar et per amico Zanpolo, et me vene cussì questo ghiribizzo et bizzarrìa di soiar (adulare) con lui... » (Arch. di Stato di Ve, Santo Uffizio, Processi, b. 13). 9 M. Sanudo, I Diarii, ed. a stampa 1897, LVIII, 175. 10 A questa famiglia apparteneva Alessandro Leopardo fonditore del monumento equestre al Colleoni e perciò detto Alessandro “dli Cavallo”, di cui si hanno notizie fino al 1515: cfr. T. Temanza, Vite dei più celebri architetti e scultori veneziani, Venezia 1778; G. Tassini, Curiosità veneziane, Venezia 1887, dello stesso, Cittadini. 11 Arch. di Stato di Venezia, Necrologi Sanità, r 803. perché l’introduzione, nei poemetti del Rado, dello pseudonimo Ivan Paulavichio ed i frequenti accenni alla città di Ragusa presenti anche ne Il Testamento 12, avevano fatto pensare ad una sua origine ragusana. A questo proposito Bartoli, in Das Dalmatische, riporta l’opinione a suo tempo trasmessagli da Vittorio Rossi, con la quale concordiamo perfettamente: « Assodato, come mi assicurò il Resetar, che una famiglia Leopardi o Liompardi non esistette a Ragusa, io credo che il nostro buffone fosse... un Veneziano di nome Giampaolo e di cognome Leopardi o Liompardi e che, datosi a poetare nello scherzoso gergo che s’attribuiva agli Schiavoni, egli slavizzasse in Ivan Paulovic il nome Zuam Polo, con cui era noto a Venezia » 13 Anche l’opinione di Manlio Cortellazzo è analoga: i reperti linguistici da lui analizzati dimostrano che la madrelingua del buffone è il veneziano. Nell’utilizzare parole ed espressioni slave infatti, Zuampolo commette errori considerati improbabili per uno slavo, naturali ed automatici invece per un auditore eteroglosso che studiasse gli Schiavoni con l’intento di imitarne l’integrazione dialettale 14. Zuampolo Leopardo è quasi certamente morto nel 1540 a Venezia: di lui scrive il Caravia ne Il Sogno: « havendo vissuto fino all’età di anni ottantasei in circa, di questa mortal vita a l’altra passò (...) Morto che fu Zampol / tutta Venetia mostrò bayer di sua morte gran dolore » 15 Un’ulteriore conferma ci viene dalla lettera, datata 12 marzo 1542, che l’Aretino scrisse a «Messer Alessandro Caravio”, che gli aveva inviato il poemetto per averne un giudizio: «Certo che il piacevole, buono e amato Giampaolo, le cui argute facezie han tenuto in continua festa la celeste città che abitiamo settanta anni a la fila, dee aver caro di esser morto in simil tempo, poiché voi compar suo ne avete fatto sì solenne memoria » 16 Con un rapido calcolo si può ipotizzare per il buffone anche una data di nascita, circa l’anno 1454, che non è stata verificata mancando per quell’epoca qualsiasi documento anagrafico valido. Da brevi e iterati accenni, ne Il Testamento e nel Libero de le Vendette, alla parrocchia veneziana di S. Giovanni in Bragora a Castello e ad un certo “pre’ Chiminto” (Clemente, il parroco?), si potrebbe arguire che in essa Zuampolo avesse il proprio domicilio, almeno negli ultimi anni della sua vita: in questo caso non vi è stata ricerca d’archivio. Cos’altro si sa di Zuampolo? Per esempio che viveva in ristrettezze economiche (non era cosa difficile in tempi contrassegnati da frequentissime carestie); che era « de vitij buon compagno », partecipava a risse, lasciava sua moglie «in letto sola / per far poi adulterio et homicidio » 17• Quest’ultimo è forse il delitto più grave di cui si è macchiato Zuampolo: la 12 « Per tutto mundo xe stà nominatto / Ivan Paulavichio / ... / in talian Zane Polo nominado », «nasìo dentrol Raguxi » (Libero del Rado Stizuxo, prologo e I canto, 3); « sier Zuane Paulo olim de Ragusi » (Il Testamento de Zuan Polo alla schiavonescha, v. 23). 13 M. Bartoli, Das Dalmatische. Aliromanische Sprachreste von Veglia bis Ragusa und ihre Stellung in der Apennino-Balkanischen Romania, Wien 1906, I, 83-84. 14 M. Cortellazzo, Il linguaggio schiavonesco nel Cinquecento veneziano, estratto dagli Atti dell’Istituto Veneto di Scienze Lettere ed Arti, a.a. 1971-72, torno CXXX, Stamperia di Venezia, Venezia 1972, p. 151. 15 A. Caravia, Il Sogno, cit., e p.5. Il poemetto fu scritto nel corso del 1540 come afferma lo Stesso autore durante il processo intentatogli dal Sant Uffizio, « io feci nel 1540 un sonio et ebi licentia dali signori di pregadi de stamparlo et cussì fu stampato » (Arch. Di Stato di Ve, Santi’Uffizio, Processi, b. 13 n. 5 e il privilegio di stampa gli venne concesso il 24 dicembre 1540, A.S.V. Capi CX Notatorio, c. 48 r). 16 P. Aretino, Il secondo libro delle lettere (a cura di) F. Nicolini, Il, Laterza, Bari 1916, - pp. 138-139, n. 662. 17 A. Caravia, Il Sogno, cit., 17-19. cosa avvenne, come testimonia il Sanudo, poco prima del marzo 1523, probabilmente resa possibile dal clima turbolento del Carnevale e facilitata dall’anonimato che l’uso delle maschere garantiva 18. Dopo la liberazione provvisoria, e forse a causa della notorietà e protezioni di cui godeva Zuampolo, il silenzio del cronista sui successivi sviluppi della vicenda giudiziaria ci induce a credere che questa, un seguito non l’abbia in realtà avuto. Non era difficile a quel tempo che un buffone, già di per sé oggetto di particolare benevolenza da parte dei signori, uscisse di prigione grazie alla sue facezie 19. 4. I Diarii del Sanudo registrano, fra il 1504 e il 1533, l’attività di Zuampolo a Venezia, confermando la varietà e frequenza degli interventi del buffone: costui ci appare infatti alla mensa del Doge, alla testa di cortei mascherati, sulla piazza, nelle case private dei nobili, di volta in volta nelle vesti di buffone, comico giocoliere, mimo trasformista, acrobata, cantimbanco. Lasciamo la parola al cronista che nel dicembre del 1504 presenta il simpatico personaggio: « ... per far ridere, Zuan Pollo e Domenego Taja Calze fè uno soler (tavolato, palco) etiam in piaza, et stravestidi fè belcosse» (Diarii, VI, 111). Questa è l’unica testimonianza sanudiana sulla collaborazione artistica tra Zuampolo e il Tagliacalze, che sappiamo essere stata invece molto lunga e consolidata da una fraterna amicizia (i Diarii comunque iniziano dal 1496 e dopo neanche 17 anni Domenego moriva). Nell’aprile del 1513 si festeggiavano le nozze Foscari-Venier ed i compagni dello sposo, gli Eterni 20 « con le trombe e pifari, pive e altri instrumenti, e Zuan Polo bufon avanti, veneno per la piazza di San Marco in corte di palazo, e lì fece uno ballo con gran festa »; il 2 maggio « presentato una nave d’arzento et uno bufon Zuan Polo fato il ballo di le done, fu fato salti forti per do servitori; poi fato cantar a quattro villani da villa. Poi Zuan Polo disse alcune piasevoleze et zugato di man sopra uno schagno (sgabello) fo compita la festa. Era hore tre di note et con grandissimo caldo per la gran zente era » (Diarii, XVI, 187 e 206). La funzione di Zuampolo è quella di “entertainer”: i suoi numeri si inseriscono durante le feste tra quelli di cantanti o acrobati o musici, e possono anche consistere nel raccontare qualche facezia e “zogar ai bussoloti”, molto semplicemente 21. Anche il 9 febbraio 1514 ha il compito di intrattenere, stavolta l’oratore Turco Alì beì Dragomano in visita all’Arsenale: « ... et fo prima uno bellissimo pasto, poi Zuan Polo bufon, qual fè assà cosse di piacer in vari abiti, et l’orator ha gran piacer, et li dona ducati uno al zorno per ch’el vada ogni dì da lui a far bufonarie; et era altri che balava e atizava 22 ..» (Diarii, XVII, 543). Il passo è di grande interesse non solo perché conferma il ruolo, per Zuampolo, di buffone “ufficiale” di Venezia — alla cerimonia pubblica erano presenti le varie autorità cittadine, 18 «In Quarantia Criminal, hessendo li zorni passati stà retenuto Zuan Polo Buffon incolpado di morte di homo, fu posto per li Avogadori relasarlo pro nunc. Et fu presa ». (Diarii, XXXIV, 20). 19 La Vita e Prophetie e Proverbj e Facetie del / Famoso misser Zuane ditto Famoso Busdava, s.n.t., sec. XVI, cc. 4, 2 col., segn. A-Aii, Tit. gotico (Angeleri, Bibliografia delle stampe popolari a carattere profano dei sec. XVI-XVII conservate nella Biblioteca Nazionale di Firenze, Sansoni, Firenze 1953, n. 1) 20 Una delle Compagnie della Calza che operavano a Venezia: degli Eterni si sente parlare la - prima volta nel febbraio 1503. 21 “Zogar di mano” o “zogar ai bussolotti” era il gioco tipico di bagattellieri e ciurmatori, e consisteva nel far sparire e riapparire pallottole o altro (Boerio, Dizionario del dialetto veneziano, Venezia 1856). 22 Il termine “attizzar” (atteggiare, far gesti) è la parola tecnica dell’arte buffonesca veneziana (Tommaseo, Dizionario): atteggiare una favola, una moresca. magistrati, cavalieri di S. Marco e « altri tutti vestiti di scarlatto » —, ma anche perché vi si parla, per la prima volta esplicitamente, di una remunerazione per buffoni e oltretutto in termini di relativa continuità .23 Zuampolo interviene, nel febbraio 1515, in occasione della rappresentazione del Miles Gloriosus di Plauto a ca’ Pesaro a San Benedetto, durante gli Intermedii fra un atto e l’altro della commedia: « ... fu fatto bellissimo aparato, maxime il cielo di sopra la corte, et erano belli vestiti. E nel mezo di atti, Zuan Polo feva etiam lui un’altra comedia nova, fenzando eser negromante et stato a l’inferno, e fè venir uno inferno con fuogi e diavoli; fense poi farsi Dio d’amor, e fo portà a l’inferno, trovò Domenego Taiacalze cazava castroni, el qual con li castroni vene fuora, fè un ballo essi castroni; poi vene una musica di nimphe in uno caro triumphal quali cantavano una canzon, batendo martelli cadauna sopra una incudine a tempo fenzando bater un cuor etc. E compita la comedia principal..» (Diarii, XIX, 443). Proprio questa rappresentazione di Zuampolo è stata variamente collegata, da storici e studiosi di teatro, all’Historia bellissima 24: il soggetto — Domenego Tagliacalze all’inferno — identico in entrambe, e l’indicazione « Dialogus interlocutores Domenego et Zan Polo » in apertura del poemetto, hanno fatto pensare ad un possibile nesso. C’è stato così chi ha considerato l’Hisloria quasi una trascrizione dell’intermezzo, chi l’ha ritenuta una composizione solo ispirata dalla commediola del 1515, e chi, viceversa, ha affermato l’anteriorità cronologica del testo rispetto alla rappresentazione, ritenendo Zuampolo autore di, entrambi 25. C’è un breve componimento in setine di v!rsi ottonari, il cui soggetto è sempre «Domenego Tagliacalze all’inferno », che ci può aiutare ad interpretare il passo sanudiano: il « Lamento di Domenego Taglia calze: il quale è morto / et trovasi dinanci a Plutone con suo bel recitare / rimovendo ogni anima damnate da / focho e da pena ». Il testo celebra il buffone appena morto 26, informandoci tra l’altro della sua omosessualità: alla luce del Lamento, l’intermezzo buffonesco descritto dal Sanudo ci appare più realisticamente sguaiato ed esilarante. Tentiamone una descrizione: Zuampolo, attore trasformista, prima, nelle vesti di un negromante fa apparire un inferno con fuoco e diavoli — si sa della provata abilità veneziana nell’allestire simili apparati scenici —, poi in quelle di Dio d’amore vi si fa introdurre, incontrando là sotto l’amico Tagliacalze. Ipotizziamo che tale incontro sia stato “creato” da Zuampolo che contraffaceva le diverse voci (quella dell’amico e dei castrati cui Domenego dava la caccia) e che poi tornava in scena, nelle vesti dell’amico morto, ballando con i castrati: la parte di questi ultimi può essere stata sostenuta da fanciulli, se non proprio da “cantori evirati” 27. 23 Sappiamo che l’oratore mandava lettere dal campo nell’agosto dello stesso anno, ma non sappiamo quanto tempo sia rimasto in città né se il buffone l’abbia servito per la durata di tutto il soggiorno. 24 Una Historia bellissima la qual narra come / el spirto di Domenego Taiacalze aperse a Zuan Polo narrando tutte le pene. / de l’Inferno, e come dice haver veduto in esse molti Capetanii de gente / d’arme Francesi e Spagnoli, e altre sorte di gente, e insito de l’infer/ nal Stigio finge andar al Paradiso con altre cose notabile, s.n.t., ma attribuita al 1513 da V. Rossi, Novelle dell’altro mondo. Poemetto buffonesco del 1513, Zanicheffi, Bologna 1929. Una copia del poemetto, con il titolo diverso, è conservata al British Museum: La prima e seconda & terza visione de Domenego... 25 Rispettivamente V. Pandolfi, Il teatro del Rinascimento, op. cit., p. 80; A. Mortier, Ruzzante, Peyronnet ed., Paris 1925, p. 126 n.; V. Rossi, Novelle dell’altro mondo, cit., introduz. p. 10. 26 In data 14 febbraio 1513 Marin Sanudo commenta: « item monte Domenego Taiacalze, qual era optimo bufon, compagno di Zampolo, è homo in queste cosse fazete di primi di la cità nostra; e però ne ho voluto far nota. Volse esser sepulto a San Biaxio da li grechi» (XV, 543). 27 È appunto il primo significato de termine “castron”, interpretato invece da Mortier (Ruzzante, cit., p. 126) con il termine “béliers” (sic). S’ignora quando siano apparsi in Occidente i cantori evirati — anche perché il Quanto al Lamento e ail’Historia, non siamo in grado di dire se sono riconducibili, e quale dei due in misura maggiore, all’intermezzo del 1515, ma osserveremo comunque qualcosa: il primo, che per metro ripresa e brevità ci sembra destinato più al canto/recitazione che alla lettura, crediamo sia stato composto subito dopo la morte del Taglia- calze, dato che i riferimenti al buffone e ai suoi amici veneziani sono diretti, precisi e che non vi è traccia di “censure”. Nella seconda vi sono interessanti spunti «scenografici “, che potrebbero però derivare da sollecitazioni visive avute in precedenza (per esempio durante le rappresentazioni teatrali cui l’autore ha assistito), e non aver quindi nulla a che vedere con le “indicazioni sceniche” di cui parla il Mortier. Come esempio riteniamo utile trascrivere la descrizione del cielo ai vv. 216-240: « ... un gran disegno con bella arte fatto / esser del ciel la zona io discopersi / ... / di nitido oro era composto ci velo / nel qual io vidi l’Aries col Leone / insieme con Acquario pien di ielo / stupivan tutte quante le persone / ... / che mai fu visto più bel parangone 28/ ma solevando alquanto nostre ciglia / la Magior Orsa contra la Minore / scoprissemo ove il ciel più s’asotiglia / ambe le falze piene di splendore... ». Simile a questo doveva essere il cielo allestito « sopra di la corte » per la commedia plautina del 1515: lo splendore delle costellazioni era creato con luci dietro il velo, esattamente com’era avvenuto negli Intermezzi ferraresi del 1499 — « uno celo alto a uno cantone verso la torre de l’arlogio con lampade che ardevano a li lochi debiti de drio de tele negre subtile e radiavano in modo de stelle ». Seguendo ancora le tracce di Zuampolo, lo si ritrova nel febbraio 1517 alle feste organizzate dai mercanti tedeschi al Fontego a Rialto: « fo zostrato, fo fato caze di tori, fo aterato da cani l’orso, et vene poi Zuan Polo bufon, qual volendo zostrar, chascò di cavallo et si fè mal a una gamba, ita che non si poté più exercitar in far bufonade. Poi veneno 8 stravestiti excelentemente a far un balo... » (Diarii, XXIII, 583). Il buffone s’inseriva dunque nelle manifestazioni di piazza tipiche delle feste veneziane, come le cacce all’orso e ai tori, con “numeri” altrettanto rischiosi e plateali. Le acrobazie a cavallo erano una prerogativa dei buffoni veneziani: essi avevano inserito tra le loro pagliacciate un atteggiamento — quello dei cavalieri della città rinomati in terraferma per la loro goffaggine — ch’era già oggetto di scherno e riso tra il popolo 29. Di Zuampolo ci sono ancora notizie relative al febbraio 1520 (Arch. di Stato di Mantova, b. 1454, carteggio G. B. Malatesta) e al febbraio 1522 quando gestisce gli intermezzi di una commedia del Cherea, insieme al figlio: quest’ultimo promette bene, perché di lui si dice che “ave dil bon” 30• Il 12 febbraio dello stesso anno Zuampolo interviene ad una cena privata organizzata alla Giudecca dai compagni Trionfanti, e la sera dopo agli intermezzi della 4ndiagola, recitata dai Cherea nel convento dei padri Crociferi: « Vi fu assaissima trapasso dai “falsettisti artificiali” a quelli “naturali” avvenne clandestinamente —, ma si sa che le Chiese d’Oriente ne pullulavano fin dal XII secolo e tale realtà era certo conosciuta, se non ancora fatta propria, dalla Venezia dei XVI secolo. 28 I pani de Parangòn nei sec, XVI e XVII, erano pannilani o drappi di seta finissimi e perfetti, fabbricati a Rialto e per i quali Venezia andava famosa. 29 Il Tagliacalze racconta: « et fè donarmi / a ciò montassi, un bel cavai morello / I’l presi per il fren, né vo’ vantarmi / in quante fiate sopra li saltassi... come senza speroni io me ne andassi » (Una Historia, cit., Il, e per- vv. 100-103); e di un altro buffone veneziano, pre’ Stefano, il Sanudo dice: « E poi lui montò su do corsieri e fece quello possibile di far » (Diari:, XXI, 329). 30 Sanudo, Diarii, XXXII, 46. zente con li Intermedii di Zuan Pollo et altri bufoni, e la scena era sì piena di zente, che non fu fato il quinto atto... » (Diarii, XXXII, 458) 31• Di Zuampolo sentiamo ancora parlare nei marzo 1523, quando appunto « incolpado di morte di homo » viene provvisoriamente rilasciato. Il 31 maggio dello stesso anno è ad allietare la mensa del Doge, a conferma della “protezione” di cui godeva in città: « Ozi al pasto dii Doxe, Zuan Polo buffon stravestito vene con do altri, e cantò una canzon in laude dii Doxe fata per lui, la qual comenza cussì come è notà qui sotto, e sempre ritornava ditti versi, ditto una stanzia: Dio mantegna Signori, nostro Doxe da cha’ Griti, et ve priega povereti, provedé a la charestia... » (Diarii, XXXIV, 235). Il 4 febbraio 1524 il buffone partecipa al corteo mascherato promosso dai Compagni Ortolani 32: « ... tutti vestiti con veste di veludo cremexin a maneghe dogal e di altra seda e color a becheti, e berete in testa chi di raso chi di veludo; il vixo con nasi (maschere). Et cadauno havea do servitori avanti con un torzo in mano per uno, vestiti da vilan. Era uno di loro con una vesta d’oro et haveano assà virtù: prima buffoni Zuan Polo e altri; item Ruzante padoan; altri vestiti a la vilanesca che saltavano e ballavano benissimo; et sei vestiti da vilani putati che cantavano villotte, et cadauno havea cosse rustical varie in man, come zape, badili...» (XXXV, 393). Il 25 aprile dello stesso anno il buffone è ancora chiamato alla mensa del Doge: stavolta non si tratta però di un pasto qualsiasi, ma della Festa dei Banchetti pubblici, che avveniva cinque volte l’anno in occasione di determinate ricorrenze. La sala, a palazzo ducale, in cui si dava la festa, veniva esposta al pubblico la sera prima con il suo « apparecchio delle mense e quello delle credenze foggiate a piramidi e coperte di preziosi utensili »; i desserts erano di porcellana e cristallo e rappresentavano soggetti storici e mitologici. Il pubblico era ammesso al momento dei banchetto purché fosse mascherato in baùta e, comunque, era invitato ad andarsene dopo la prima portata 33. Come di regola, dopo le confetture di pinocchi e zucchero, arrivavano i buffoni e gli intrattenimenti musicali: « et poi pasto vene uno, disse di lira Zuan Polo con un altro bufon, et uno che attizzava, et dopoi compito... » (Sanudo, Diarii, XXXVI, 470; Copia Donà, 10101, p. 179). Anche il 25 gennaio 1525, giorno di S. Polo e «deputado al sposalicio di la neza(nipote) dil Doxe » viene allestito, a Palazzo Ducale, « in camera di la audentia », « uno superbissimo pasto, terzie, fasani, pernise e assà vivande, e a la fin cai di late, marzapani e confeti, poi bufoni, Zuan Polo et altre virtù» (Diarii, XXXVII, 470) 34. L’11 febbraio 1525, a Ca’ Ariani all’Angelo Raffaele, furono provate ben tre commedie e nove intermezzi, che dovevano essere rappresentati due giorni dopo per una festa dei compagni Trionfanti. Il passo è interessante perché il cronista si sofferma a descrivere i travestimenti utilizzati in quest’occasione: « Zuan Polo si portò benissimo et li intermedii fonno molto belli, de tutte le virtù de soni e canti ch’è possibil haver vestiti in vari habiti da mori, da todeschi, da griegi, da hongari, da pelegrini, et altri assà habiti, senza però volti (maschere); e Zuan Polo con l’habito prima de tutti si messe nome Nicoletto Cantinella. E 31 Quella sera la maggiore attrattiva per il pubblico era rappresentata, più che dalla commedia del Machiavelli, dalla presenza di Zuampolo e Cherea, “due dei più prestigiosi nomi di attori del momento” (G. Padoan, Momenti del rinascimento veneto, Antenore, Padova 1978, p. 38). 32 I compagni Ortolani operano dal febbraio 1515 al gennaio 1525 con una certa frequenza, probabilmente a causa della loro amicizia col Doge Grimani. 33 Sulle feste dei Banchetti Pubblici, che avvenivano per S. Marco, l’Ascensione, S. Vito, s Girolamo, S. Stefano, cfr. G. Tassini, Feste Spettacoli Divertimenti e Piaceri degli Antichi Veneziani, M. Fontana, Venezia 1890. 34 In questa occasione non vi furono travestimenti perché, come testimonia Sanudo, il giorno prima « fò in Rialto publicà, da parte di Cai dii Consiglio di X, in execution di la parte, che “de coetero” niun si trave- sta, sì homo come femina... ». infine venino 8 (vestite) da mate con roche, qual fè un bel ballo in piva » (Diarii, XXXVII, 559-560) 35 E il 13 febbraio, come stabilito e nonostante il brutto tempo, c’è la “prima” della rappresentazione dei Trionfanti e « Zuan Polo si portò benissimo, et fo bellissimi intermedii Forse con quel suo primo travestimento, durante la momarìa, Zuampolo voleva alludere all’istrione fiorentino Benedetto Cantinella, e perciò se ne deforma in parte il nome di battesimo ma, premesso che si tratta comunque di un’ipotesi, siamo molto lontani dalle fantasiose supposizioni di Lea 36. Il buffone Zuampolo interviene ad una momarìa, nel febbraio 1526, travestito da dottore: «In questa sera, a hore 3 di notte, vene in corte di palazo una bellisima mumaria, tutta di zentil homeni zoveni per numero.., vestiti da mori ben in ordine con torzi 24... e trombe e pifari, corneti e cantadori, con Zuan Polo vestito de miedego di scarlato » (Diarii, XL, 789). Il 6 giugno 1529, in occasione di una festa di Compagni, dopo un ballo in campo S. Polo «fò recità certa comedia per Zuan Polo » 37.Ritroviamo il buffone, nel maggio 1532, a Ca’ Tiepolo a Marocco (località di terraferma fra Venezia e Treviso), mentre partecipa ai festeggiamenti per l’elezione di Giacomo Dolfin a podestà e capitano di Treviso. I banchetti ci vengono descritti in una lettera di Lunardo Dolfin da Treviso a G. A. Dandolo: « Ei pasto fo con quella sontuosità ch’è possibile. Al qual pasto havessimo trombe e piffari e quelli de le viole, Zan Polo et 4 altri buffoni che ne deva spasso grandissimo. Poi disnado vene do cortesane famoxe a balar, che è la Carpexana et la Ferrarexe che di ballar feze mirabilia. Poi vene uno altro a saltar, che si portò benissimo... ». « Hor andati a tavola el pasto fo beletissimo, che erano da zerca 100. Poi disnar havessemo Zan Polo con una sua compagnia de buffoni, con diverse sue fantasie, poi vene uno che saltava et fece cose grande, poi queste tre cortesane che balavano, zoè la Carpesana et la Ferrarese, et una altra la qual è sta’ menade a posta de Venetia» (Diarii, LI, 264-265). In diverse altre occasioni abbiamo visto Zuampolo recitare, “dire la lira”, buffoneggiare e cantare insieme ad altri buffoni, ma questa è la prima volta che si parla di una sua “compagnia di buffoni”, e forse non è un caso che ciò avvenga a proposito di una festa organizzata fuori Venezia: crediamo infatti che Zuampolo, chiamato ad allietare la festa a Marocco, abbia condotto con sé proprio quei buffoni con i quali “attizzava» più spesso in città. La cosa poteva significare non solo una maggiore intesa e armonia nelle scenette estemporanee, ma forse anche qualche numero di repertorio già pronto e sperimentato con successo. Certo si trattava di un’aggregazione spontanea tra elementi che praticavano la stessa attività — una collaborazione tra i buffoni era necessaria anche perché i più giovani e inesperti imparavano dai “veterani” il mestiere attraverso una specie di tirocinio —, e la posizione di rilievo assunta da Zuampolo, il solo sempre nominato dal cronista, era probabilmente dovuta a ragioni di notorietà, anzianità e bravura. 35 La “rocca” è uno strumento per filare, la «piva” è il noto strumento a fiato corrispondente alla tibia. 36 K. M. Lea, in Italian Popular Comedy, Oxford 1934 (Russel & Russel Inc., New York 1962, Il ed.), I, p. 248 e sgg., basandosi sulla supposta identità Zuampolo/Benedetto Cantinella, ne desume che il buffone veneziano debba considerarsi il primo “Magnifico” e che la variazione nel passo sanudiano del nome Benedetto in Nicoletto, fosse dovuta o ad una consuetudine tipica dei Comici dell’Arte, o all’equivalenza tra il cognome “Cantinella” e il più famoso «De Bisognosi”. Su Benedetto Cantinella cfr. la voce Cantinella dell’Enciclopedia dello Spettacolo e A. D’Ancona, Origini del teatro italiano, Loe scher, Torino 1891 (lI ed.), I, 414 37 Sanudo, Diarii, L, 439. 5. Particolarmente lussuosi erano i banchetti che i patrizi veneziani allestivano nel ‘500 38e dispendiosi al punto che il Senato fu costretto, verso la metà del secolo, a promulgare una serie di decreti per moderarne le spese. Immancabili, nel “menù”, erano gli intrattenimenti musicali/buffoneschi: a volte si trattava di vere e proprie recite — come quella del Dialogo facetissimo e ridicolisissimo del Ruzzante, realizzata nel ‘28 a Fasson —, più spesso di commediole o monologhi comici con accompagnamento di strumenti musicali; anche saltatori, giocolieri e acrobati si esibivano in queste occasioni. Cosa sappiamo noi di tutti quegli istrioni, compagni d’arte di Zuampolo, innominati nelle cronache locali, indispensabili animatori di feste e conviti? Dovevano essere davvero numerosi, a giudicare dalla frequenza con cui si organizza- vano, nel centro lagunare, recite, banchetti e cortei mascherati: Andrea Calmo in una delle sue lettere nomina, oltre a Zuampolo, « Berto da la Biava, Domenego Taia calze, Zan Cimaor, Francesco Gata, Desena, el Razzer e Vistoso » 39 Un altro buffone veneziano è ricordato ne La Cortigiana: « ... ci è un Francesco Berettai, che è più valente a lo improvviso, che questi nostri assorda Pasquino a la pensata » 40. Con Berto della Biava, “che degli altri era el maiore”, si trovano, a gozzovigliare “in una sala priva di passione / dove erano vini & confectione assai”, altri tre buffoni, amici del Tagliacalze e come lui già morti: Marco da lo Specchio o specchier, Zardino “che in atizar da vecchio fece gran prove”, Zampiero Verzo (guercio) “che a cantare tus bien mai fu convento” 41 Dalle parole di Domenego Tagliacalze, sempre nell’Historia, veniamo a conoscere i nomi di altri buffoni sopravvissuti alla sua morte: « Saluta ad un ad un nostre brigate / pre’ Perin con Luchetta e il Cimatore» (TI, vv. 334-35); « Saluta Paulin col suo Francesco / dì ch’io li aspetto e che vengan volando / c’ho preparato de attizar el desco (il palco su cui buffoneggiare) » (I, vv. 319-21); «Saluta pre’ Batista mio consozio / che di virtù è un fonte un Arno un lume» (TI, vv. 362-63). Ne Il Lamento di Domenego troviamo conferma per i due preti: di Batista si dice che è “gagliardo con sua danza” e di pre’ Perino che è prete di SS. Giovanni e Paolo. Sempre nell’Historia è nominato un altro buffone, Todesco varotèr (pellicciaio), chiamato Todeschin ne Il Lamento; non sappiamo se riferendosi alla stessa persona, Mastro Andrea ne La Cortigiana dice: « Ventura Dio, che poco senno basta: dice il motto che tiene scritto il Todeschino ne la sua rotella » (IV, 18°). Di Andrea Razzer, buffone nominato dal Calmo, si sa che ha recitato una commedia « a la bergamasca” nel febbraio 1530 a san Fantin in casa Zorzi 42. Quanto a Zuan Cimaor o 38 Appariscenti erano soprattutto i “confetti”: « vi si scorgevano molte figure di zucchero che dopo le feste si dispensavano in regalo alle donne, e talvolta erano di zucchero anche i piatti, le tovaglie, le salviette... » (G. Tassini, Feste eSpettacoli, cit., p. 144) 39 A. Calmo, Le Lettere, ed. Rossi, op. Ch., p. 139; soltanto per qualcuno di questi buffoni abbiamo trovato conferma ne l’Historia e ne Il Lamento. 40 P. Aretino, La Cortigiana, - 1534, III, 7. 41 Una Historia bellissima, op. cit., I, vv. 244-47, 257-58; - a proposito del Verzo, Rossi, nell’introduzione al poemetto citato, dice di aver trovato una canzone francese che inizia con «de tous bien playne” in alcune raccolte musicali della fine ‘400 e inizio ‘500. 42 « Fu autor di la comedia Andrea Razer et Zuan Maria... la qual fo di Volpim bon homo, Machalosso, la Michiela, bravo Sporcho et altre cose » (Diarii, LII, 553): non sappiamo di quali personaggi si tratti, fra loro è forse individuabile solo il “bravo”, detto anche “sbisao” o “buio” (soldato merce- nano), che aveva un preciso riscontro nella realtà sociale dell’epoca. Cimadore 43 anch’egli nominato dal Calmo e nell’Historia, si sa che ha recitato la sera del 7 febbraio 1526 in casa Trevisan alla Giudecca. Memorabile serata, quella, che vede alternarsi sul medesimo palcoscenico i maggiori esponenti dei tre generi teatrali allora in voga: Cherea, attore di commedie erudite, Ruzzante Menato, interpreti di commedie “a la villanesca” in dialetto pavano e, per la commedia buffonesca, Zuan Cimador ed il figlio di Zuan Polo, anche lui buffone. Zuampolo, impegnato quella stessa sera in una momarìa che si svolgeva nel cortile di Palazzo Ducale, non avrebbe davvero potuto intervenire alla festa dei Trevisan. Il passo sanudiano relativo alla recita del 7 febbraio è stato, secondo noi, equivocato in un punto: nel manoscritto autografo si legge « el Cimador et fiol di Zan Pollo, bufona », non « el Cimador el fiol di Zan Pollo », come da molti studiosi è stato inteso 44. Il Sanudo parla anche in altre occasioni del figlio del buffone e lo fa chiamandolo semplicemente «fiol di Zuan Polo »: il 12 dicembre 1521 lo descrive vittima di un’aggressione; nel febbraio dell’anno successivo lo presenta, abbiamo visto, come buffone di un certo talento; nei febbraio 1326 lo descrive come « entertainer » insieme al Cimador, di un gran numero di turbolenti commensali — completando la lettura del passo di cronaca ci si rende conto dei clima carico di tensioni e violenza pronta a esplodere del banchetto —; nel passo relativo ad un’aggressione ai danni di Andrea Gritti (dicembre 1529) il cronista parla di «un fo di Zuan Polo »; nell’agosto 1533 dice ancora semplicemente « Zuan Polo... suo flol et uno altro stravestidi ». Pietro Aretino, nei Ragionamenti, accenna al figlio del buffone negli stessi termini: « Io mi rido di uno, che lo dimandavano il fo di Ciampolo (secondo me) venetiano ». Anche nell’Historia bellissima si accenna a Zuampolo e ai suoi figli e, qualche verso più in là come se nulla avesse a che vedere con loro, si accenna a Zane Cimadore 45. Nel Testamento si parla del figlio del buffone, ma viene chiamato «Eronimus » 46. Questo, per quanto riguarda l’identità del figlio di Zuampolo; della sua arte buffonesca invece, qualcosa veniamo a sapere dall’Aretino che, in una celebre pagina dei Ragionamenti, descrive una scenetta recitata e mimata dal buffone: « Io mi rido di uno, che lo dimandavano il fo di Ciampolo (secondo me) venetiano, che tiratosi dentro a una porta, contrafece una brigata di voci. Egli facea un facchino che ogni bergamasco gliene avrebbe data vinta, e il facchino dimandando a una vecchia de la Madonna, e in persona de la vecchia diceva: e che vuoi tu da Madonna? ed egli a lei: le vorria parlare, e da cattivo, le dicea: madonna, o madonna, io moro, io sento il polmon che mi bolle, come un laveggio di trippe; egli facea un lamento a la facchina il più dolce del mondo, e cominciando a toccarla, rideva con alcuni detti proprio atti a farle guastar la quaresima, e a romperle il digiuno, e in questa ciancia, eccoti il suo marito vecchio 43 Cimador è « colui che scema il pelo ai panni lani» (Boerio). 44 Sanudo, Diarii, XL, 789-90; cfr. P. Molmenti, La storia di Venezia nella vita privata, Ist. Arti Grafiche, Bergamo 1920, a p. 407 dell’ed. 1928; E. Lovarini, Studi sul Ruzzante e la letteratura pavana, Anteriore ed., Padova 1965, p. 94; G. Padoan, Momenti del Rinascimento, cit., p. 48n-116; Zonzi trascrive invece il passo come risulta dal monoscritto autografo, nonché dalla stampa dei Diarii (Note sul motivo della scena a portico, in Il teatro e la città. Saggi sulla scena italiana, Einaudi, Torino 1977, p. 303). 45 « Mi addimandon di te e de tuo figli... Mi dimandono anchor col tuo latino / di Luchetto e Zane Cimatore » (Una Historia cit., I, vv. 286-297). 46 Sta per Hironimo (Gerolamo?), cfr. Il Testamento de Zuan Polo / alla schiavonescha col nome del / noder & di testimonii & co-/messarii con l’epitaphio che / va sopra la sepoltura & un sonetto molto / ridiculoso S.l. ed a., in, 4, di c. 4 ad una col., segn., A Aij, (Segarizzi, n. 286); V. Pandolfi, La Commedia dell’Arte, , Firenze 1956-60, I, 109-115; V. - Rossi, Novelle dell’altro mondo, cit., introd.; Bartoli, Das Dalmatiche, cit., 11, 264266. rimbambito, che visto il. facchino levò un romore che parve un villano che vedesse mettere a sacco il suo ciriegio, e il facchino gli dicea: Messere, o messere, ah ah ah, e ridendo, e facendo cenni e atti da balordo; va con Dio, gli disse il vecchio, inbriaco, asino; e fattosi scalzare da la fante, contava a la moglie non so che del Sophi e del Turco e faceva scompisciare da le risa ognuno, quando tirando alcuna di quelle, con le quali egli si affibbiava, faceva sagramento di non mangiare più cibi ventosi; e lasciatosi colcare (coricare), s’addormentò e ronfando, ritornò il predetto ne la forma del facchino, e con la madonna tanto pianse, e tanto rise, che si mise a scoterle il pelliccione. Riso avresti tu, udendo il dibattimento del rimenarsi loro, mescolato con alcuni ladri detti del facchino, che campeggiavano troppo bene con quelli di madonna fammelo » 47 Pur non avendo una così fedele trascrizione per una qualche scenetta di Zuampolo, sappiamo tuttavia che nell’identico modo egli improvvisava i suoi giochi scenici — è logico pensare che da lui il figlio abbia imparato a contraffare “una brigata di voci” —, appoggiato ad un proprio repertorio che prevedeva l’uso parodistico del dialetto degli Schiavoni, anziché di quello dei bergamaschi. Fin dalla fine del ‘400 i montanari del Bergamasco, scesi in città a cercar lavoro e trovatolo per lo più nell’umile mansione di facchini, furono oggetto di scherno e maldicenze non solo da parte della popolazione urbana, ma anche da parte di poeti, scrittori e artisti teatrali come i buffoni. Molto significativa, riguardo al rapporto psicologico tra proletari veneziani e proletari bergamaschi, è la descrizione che dei facchini fa Tommaso Garzoni: « Alcuni di questi facchini servono alla piazza coi sacchi in spalla, et son chiamati per burla canonici di piazza (...) Sono primieramente quasi tutti montanari, overo di Valtolina overo di Valcanonica, et non sono grossi d’aspetto, ma di dentro son così grossi di legname che gente più tonda quasi non si ritrova.., e benché qualcuno riesce in quella sua grossezza alle volte sottile, per le gran burle che ricevono comunemente dalla gente, e perché ogni poco di loro pare assai, essendo per natura tondi come un fondo d’una botte, e grossi come il brodo de’ macaroni, et versando di loro una stolida opinione appresso a tutti. Nel parlare non son differenti dai gazotti (“piccole gazze”), anzi hanno una lingua tale, che i Zani se l’hanno usurpata in comedia per dar trastullo e diletto a tutta la brigata.., il gesto è poltronesco, il portamento è grosso, il moto è asinesco, l’attione è ignorantesca, il procedere è babbionesco... I spassi c’hanno sono ancor loro assai disconci, perché non fan quasi altro che urtarsi fra di loro, overo che fanno percuoter le braccia insieme al tempo del freddo, overo che giocano all’amore con le dita, facendo un chiasso... » 48 Attraverso le sempre più frequenti parodie che ne fanno i buffoni veneziani, il facchino “disprezzato e odiato”, diviene a poco a poco il personaggio preferito dal pubblico: lo stesso Garzoni accenna all’origine, bergamasca e collaterale, degli Zanni. Oltre al figlio di Zuampolo, un altro buffone veneziano, pre’ Stefano, « ben facea da quei ch’i Facchin sbeffano » 49 Non è il primo sacerdote-buffone che incontriamo: anche lui, come pre’ Perino e pre’ Batista, sembra non fosse molto adatto ai recupero delle anime peccatrici 50. Nel gennaio 47 Abbiamo ritenuto opportuno trascriverla per intero, nonostante sia già apparsa nei saggi di vari autori. P. Aretino, Piacevoli e capricciosi ragionamenti, Cosmopoli 1606 (ed. Bompiani 1943), parte I, giornata I. 48 T Garzoni, La piazza universale, op. cit., Disc. CXIIII, p. 789, lI ed. Quel «giocando all’amore...» crediamo debba - intendersi « giocando alla mora con le dita », gioco che si fa aprendo simultaneamente all’avversario la mano, in modo da formare con le dita certe somme; sui bergamaschi facchini cfr. D. Merlini, Saggio di ricerche sulla satira contro il villano, Torino 1894. 49 Caravia, Il Sogno, op. cit., p 22. 1508, racconta il Sanudo, il prete partecipò, con il Taglia- calze e la Compagnia degli Eterni, ad una beffa ai danni del nobile Leonardo Grimani, nella cui casa s’era svolto il banchetto di nozze del genero: « ... et dicitur fo mal tractadi; adeo tutti li compagni a hore 23, veneno in veste da cantor in Rialto, et tolseno, da poi fato gran mal in chaxa dii Grimani e danni, do bazili d’arzento, i qualli pre’ Stefano e Domenego Taiacalza li portò avanti... et in Rialto fo fato per ditti bufoni una cria (bando), atento erano stà mal tractadi ozi (oggi), e senza done... » (Diarii, VI, 256). La testimonianza sanudiana ci dice qualcosa del potere di derisione e beffa proprio dei buffoni: era considerato un dovere del padrone di casa essere “splendido” con i propri ospiti e non adempiere a questo obbligo, quando tra gli ospiti vi erano dei buffoni, significava essere immediatamente e pubblicamente diffamati 51 La successiva notizia di cronaca ci mostra pre’ Stefano a Mantova, il 22 novembre 1515: «L’altro zorno a dì 22 andassemo Otto di noi (è un certo Pietro Soranzo che scrive da Milano a farceio sapere) a disnar dal fiol del marchese di Mantoa e dove avessemo bonissima ciera et uno bonissimo pasto. Era pre’ Stefano che fece cose meravegliose, et do puti che saltorono et atizorno benissimo, et feze assà belle cose. Da poi andasemo in uno suo zardino, dove li soi zogarono a le braze et saltorono benissimo; et poi lui montò su do corsieri e fece quello è possibile di far» (Diarii, XXI, 329). Come mai il sacerdote si trovava a Mantova e, a giudicare dall’accenno ad « un suo zardino », in maniera piuttosto stabile? Innanzitutto bisogna ipotizzare per i buffoni d quel tempo una discreta mobilità: le condizioni di vita precarie — specialmente per chi non svolgeva un’attività fissa emunerativa — e l’ambiguità della posizione che occupavano — posizione intermediaria fra il patriziato locale ed i ceti inferiori —, spingeva questi istrioni ad affinare la loro “arte d’arrangiarsi” e a cercare con sagacia nuove occasioni di guadagno. Ciò era tanto più vero per un buffone che esercitasse la sua attività in Italia — dove, diversamente dalla Francia e dalla Germania, non esisteva la carica di buffone ufficiale e con essa la possibilità di vivere stipendiato tutta la ‘vita — e che doveva, per accrescere le possibilità di guadagno, aumentare anche la sua notorietà e il suo pubblico. Nell’Historia, Zuampolo risponde a Domenego che il prete è « a Roma / col Papa adopra ogni suo inzegno & arte » 52; dal 1515 lo si ritrova come buffone di Federico Gonzaga; nell’agosto del 1516 il prete partecipa — racconta Ippolito Calandra in una sua lettera al marchese — alle corse di S. Leonardo, travestito prima da “molinaro” e poi da “meretrice”: « ... poi lui andette a vestirsi da femena et corse cum le p... et volse esser l’ultimo, et poi se accompagnò cum quella p... che era stata ultima et cominciò a pianzere et a far de li suoi voltazi che lui sa fare, che’l faceva crepar da ridere ognun; et fece molte altre cose tutte da ridere... » 53 50 Lui stesso ci dice infatti: « ... ogni ben ch’io facea era ben finto / essendo al mondo io era Sacerdotto / e ne l’opere buone mai fu saldo / fuor non mostrava quel ch’aveva sotto / e più d’assai mondani era ribaldo (Il Sogno, cit., p. 22). 51 Sulla funzione di «amplifica tori pubblici» di vicende private che avevano i buffoni, spesso “rappresentanti dell’unica opinione pubblica possibile a quel tempo cfr. M. Baratto, Tre studi sul teatro (Ruzante, Aretino, Goldoni), Vicenza 1964, p. 89 e M. Bachtin, Estetica e ro manzo, Torino 1975, p. 30.5 e sgg. 52 Una Historia, cit., I, v. 215; nell’introduz. al poemetto, V. Rossi ipotizza che proprio a Roma, negli ultimi anni del pontificato di Giulio Il, quand’era suo ostaggio il giovane Federico figlio di Francesco Gonzaga, fosse avvenuto l’incontro fra il marchesino e pre’ Stefano. 53 Il passo della lettera e le successive notizie su pre’ Stefano sono ricavate da A. Luzio & R. Renier, Buffoni nani e schiavi dei Gonzaga ai tempi d’Isabella d’Este, in « Nuova Antologia», a. 1891, fasc. del 16/8 e 1/9, p. 120 e sgg. Sembra che il sacerdote-buffone fosse pagato dal marchese in maniera continuativa, almeno durante la presenza a Mantova di Federico: nel 1518 quest’ultimo scrive dalla Francia alla madre chiedendole « di vedere di dar la spesa a pre’ Stephano» e ne riceve un rifiuto (« non potemo... far le spese a tante boche de le tue sono rimaste qui »). Nel febbraio 1522 fu visto « el ridiculoso pre Staffano », a Mantova, « in habito de pavonazo» con le mani piene «de scartabelli e appresso dui villani »54 nel 1325 fu prestato per un certo periodo al duca Alfonso di Ferrara che poi, restituendolo al suo padrone si dichiarò «optimamente satisfatto di lui » e attestò che pre’ Stefano era: « degno veramente di servire ad ogni gran Principe, perché oltra le sue piacevolezze che bastano per dar spasso ad ogni gran corte et per tener festante et in piacer una compagnia, esso ha ancho ingegno da possersene valere in altre occorrentie » 55Pre’ Stefano dunque piaceva sia ai ceti inferiori (per diverre i quali non disdegnava spettacoli pubblici grossolani e sfrenati come le corse di S. Leonardo), che ai nobili appartenenti alla classe colta. Un altro buffone “signorile”, al servizio cioè di nobili che si incaricavano del suo mantenimento, era, a Venezia Domenego Tagliacalze 56, “socio” in arte e grande amico di Zuampolo: « ... fino in pueritia / givamo accompagnati qua due geme / ... costui al mondo amai più che fratello / Per tempo habbiamo havuto molti spassi / Mascarandosi insieme a mille feste I E con nostre parole, volti e passi / faceamo allegri ch’avea voglie meste » 57 Il Tagliacalze, morto come sappiamo nel 1513, era soprattutto un cantimbanco: sua specialità era il contraffare la voce, assumendo le sembianze di vari personaggi, greci, albanesi, dalmati, donne, vecchi, bergamaschi. Si aiutava naturalmente con il travestimento, in particolare per contraffare personaggi femminili: «O vui caste mee matrone / che vi iovan vostre feste / né momarìe.. se non vesto vostre veste / per dar riso al popul strano... » 58 Gran buffone, questo Domenego, che «ogni dì facea legrare / e sovente lachrimare / sol da riso » il popolo veneziano, sollevando gli animi grevi «col dir piano », cantando su “soleri” improvvisati in piazza « molte e diverse risìe (spropositi madornali) », recitando brevi scenette con Zuampolo: « ... Domenico uscite fuor de la tana / saltando in qua in là com’un ranocchio / fecendo una sua voce molto strana / Ed io (è Zuampolo a parlare) ni le talfe (chiappe?) gli dè d’un ginocchio / che da mattel59 gli fe far una tombola... Levato in piedi il fe poi certi visi / che mai in vita mia vidi i più bizzarri / et io con voce a seguitano attisi: de tante sorti... Conciato lui, et io poi pari pari / d’Albanese, da Greco e da Schiavone / cominciassimo a dir molte canzone... » 60«Mossi la voce mia (è Domenego a parlare) suave tanto cantando schiavonesco dolcemente... in greco, in bergamasco & albanese / sforzai cantar suave il mio tenore » 61 54 Luzio & Renier, Buffoni nani, cit., p. 123. 55 Luzio & Renier, Buffoni nani, cit. p. 122. 56 Il nome gli è probabilmente derivato dal mestiere, suo o del padre, di “sartor da calze”. 57 È Zuampolo a parlare, ne Il Sogno, cit., p. 24. 58 Dice il buffone Domenego nel suo Lamento, cit. il cui ritornello è «Pianga il popul venetiano / tutti quanti per pietade / Pianga anchora le contrade / dil Calze Tagia soprano / Pianga il popul venetiano ». 59 Il “mattello”, Mattarello o Mattaccino, era una specie di pagliaccio — una maschera del Carnevale veneziano —, che faceva salti e capriole di ogni tipo; cfr. E. Lovarini Un allegro convito di studenti a Padova nel Cinquecento, Padova 1889, p. 6 . e segg. 60 Caravia, Il Sogno, cit., pp. 24-26. 61 Una Historia bellissima, cit., vv. 133 e 181-83. Anche il Ruzzante in una sua commedia celebra Domenego Tagliacalze, affermando che non si può trovare carità nel diavolo se non in quel sol giorno «che gh’arivé lì Domenego Taiacalze bufon, / che disse una canzon / con quel so beregare, / che ci fasea tremare / gli abissi tuti quanti. / E da chì (qui) avanti, como te sinti taramoto pensate de boto (subito) / che el Taiacalze canta. / El montà su una banca / e se messe a zaratanare (ciarlatanare) / che ci fasea cagare / l’aneme da riso. / Ei fasea quel so viso / da sconzurar boldòn (da incantar minchioni) / né mé per un poltronzon / fo vezù el pì belo. / L’è fato d’ognun frelo (fratello) / e con tuti l’ha amisté » 62 Al gruppo di buffoni veneziani si può forse aggiungere Zuane detto il Busdava 63, figlio di un mercante di colori di Venezia, che esercitò la sua arte istrionesca in città e nelle isole della laguna. Viene nominato ne Il testamento di Zuan Polo primo tra gli amici fidati che dovranno salvaguardare l’esecuzione testamentaria da eventuali imbrogli di commissarii: « ... misser Zuan dito ‘1 Busdava / un archa del dotrina de intellito / curiandulo simpre mii chiamava» (vv. 60-63). Il componimento anonimo che narra la vita del buffone, conservato tra le stampe popolari della Biblioteca Nazionale di Firenze, non accenna ad amici o compagni d’arte, ma fornisce interessanti esempi di commistione fra buffonerie e sporadici tentativi di attività commerciali e da usurai, assai significativi della precarietà di vita ditali individui e delle incertezze del secolo. Fornisce anche alcune indicazioni sull’ambiente veneziano e i suoi punti topografici di aggregazione, sul tipo di buffonerie realizzate dai Busdava e sulla presa che esse avevano sul pubblico: « ... trovando rotti soto un letto / certi storolli (sturiol = stuoia) piglioi... Di essi una vesta fe alla svizarescha / mettendosi una maschera in sui volto / & per la terra feva la morescha... Con la spada facea ci Sansone / in qua e in là saltava come fiera... da poi tolse (prese) un pifaro esso una lira / I’Orpheo facendo e per la terra gira / Un’altra fiata tolse un menacordo / & per la terra feva el virtudioso ». 62 Ruzzante, Teatro (a cura di) L. Zorzi, Einaudi, Torino 1967, La Betìa, V, vv. 957-976. Il Ruzzante, la cui presenza a Venezia è ricordata dal Sanudo tra il 1520 e il 1526, e che aveva comunque solo 11 anni quando il Tagliacalze moriva, si è probabilmente ispirato per questi versi all’Historia bellissima o al Lamento. 63 Il soprannome, che significa “alveare” in dialetto veneziano, gli è rimasto a ricordo di una brutta avventura ch’ebbe con i terribili insetti (La Vita Prophetie e Proverbij..., cit.).