I figlii badanti - Gruppo di Ricerca Geriatrica
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I figlii badanti - Gruppo di Ricerca Geriatrica
AGGIORNAMENTI I nuovi badanti Simone Franzoni Istituto clinico Sant’Anna, Brescia e Gruppo di Ricerca Geriatrica, Brescia Da qualche mese nelle corsie ospedaliere e negli ambulatori geriatrici capita di vedere anziani accompagnati, non dalle mogli, figlie o badanti, ma dai “figli maschi”. Non sorprende tanto la loro presenza accanto ai genitori anziani, bensì il ruolo di “badanti”, infatti non sono solo un supporto alle figure femminili (abitualmente le principali responsabili nell’assistenza familiare), ma rappresentano i veri e propri caregiver (colui che si prende cura). Sono figure nuove nello scenario della cura degli anziani, frutto della crisi del lavoro che a cinquanta anni regala loro, nella disperazione della disoccupazione, un’opportunità di cambiamento ed a volte una integrazione salariale. I “badanti”, non potendo altre conversioni o riciclaggi professionali, sopra i panni del figlio indossano nuove vesti, non dimenticandosi del rapporto filiale. E’ una conversione difficile per tanti motivi, in particolare perché, guardando ai genitori con occhi diversi, li riscoprono dopo ventitrent’anni invecchiati e bisognosi di aiuto. La stretta convivenza li porta a capire che le necessità dei genitori non corrispondono solo all’incertezza delle gambe o ai dolori artrosici, ma sono molto più complesse e comprendono aspetti che vanno dagli affetti, alla sicurezza, fino alla gestione delle medicine. Ovvero, non devono fare solo il taxista o la cameriera, ma trascorrere il tempo con loro affrontando una quotidianità che richiede di essere vitalizzata. Compito non facile quando comprendono la presenza e le complicazioni delle malattie croniche che rendono l’anziano fragile e disabile, soprattutto se coesistono malattie del corpo (ipertensione, diabete, broncopneumopatia cronica, artrosi…) e della mente (depressione, demenza). I “figli badanti” sono diversi dalle caregiver figlia-badante perché non hanno esperienza e la crisi della “riscoperta” dei genitori, diventati vecchi, si somma alla loro impreparazione. Al contrario, le figlie, costantemente dedite all’assistenza (figli, nipoti,….), quando diventano badanti dei genitori non manifestano significativi cambiamenti di ruolo e aumentano in modo naturale le cure e le dedizioni prodigate da sempre. I badanti hanno una chiara percezione della naturale impreparazione che cercano di colmare con la loro professionalità che traspare fra precise e rigide pianificazioni, come quando si è dietro la scrivania o il banco di lavoro. Abbondano di informazioni raccolte quasi sempre su internet, ma come tutti i neofiti peccano nell’interpretazione e nell’assemblaggio dei dati. Fanno mille domande, qualcuno sembra prendere appunti e cercano sicurezze su come si interpretano i sintomi, la prognosi, i comportamenti salutari e le medicine. Hanno il tipico atteggiamento dell’adulto che sta imparando una nuova professione: chiede in modo sintetico di capire le questioni essenziali, entro cui destreggiarsi con le proprie capacità ed esperienza. Nei confronti dei genitori i figli si distinguono per un linguaggio direttivo, pieno di solleciti, anche se animato da affetti sinceri e spesso sembrano meno realistici delle figlie badanti, riponendo troppe aspettative in una forza di volontà che i genitori “malati” non hanno più. La perdita dell’autosufficienza dovuta alle difficoltà del cammino è di facile e comune lettura, al contrario la demenza, causa principale di disabilità mentale negli anziani, richiede una conoscenza della trasformazione delle abitudini, comportamenti ed espressioni, avvenuta lentamente nei mesi e quasi sempre patrimonio esclusivo delle figlie. La mancanza di una visione analitica della storia di malattia dei genitori porta i figli ad essere meno equilibrati nella tolleranza dei disturbi comportamentali, passando direttamente dall’accettazione totale alla ricerca dell’eliminazione di ogni sintomo. La tendenza a comportamenti estremizzati si riscontra anche nei confronti dei farmaci che spesso vengono ritenuti “miracolosi” (“….come dice internet”) oppure inutili, troppi e pericolosi. In generale prevale un atteggiamento di disillusione ed è più difficile convincere un figlio badante ad affrontare le battaglie dove non sussiste la speranza di risultato favorevole. Se i genitori non sono già assegnatari dell’indennità di accompagnamento, i figli badanti chiedono senza tante mediazioni, a differenza delle figlie, se le condizioni di disabilità rientrano nei criteri di assegnazione del contributo economico. E’ inutile negare che in alcuni casi la “pensione di accompagnamento” rappresenta una salvifica integrazione salariale e nei casi in cui non sussistono le condizioni il medico non ha compito facile a spiegare che si riferisce ad una grave disabilità in atto. Nonostante le differenze spingano, come scontato, ad una predisposizione minore lo sforzo di adattamento dei figli badanti è encomiabile e risulta sicuramente positivo il loro contributo nell’assistenza agli anziani.