PROGRAMMA DEL CINEMA TREVI PER IL MESE

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PROGRAMMA DEL CINEMA TREVI PER IL MESE
PROGRAMMA DEL CINEMA TREVI PER IL MESE DI OTTOBRE
1-2 ottobre 2008 89 mm dall’Europa e altri capolavori di Marcel Łoziński
3-10 ottobre Tagli. Il cinema di Dario Argento
10 ottobre: Proiezione speciale: L’avvocato De Gregorio
11-12 ottobre Albasuite - Nove documentari sulla cultura arbëreshë
14-19 ottobre Questi fantasmi: Cinema italiano ritrovato (1946-1975)
21 ottobre Immagini che migrano. Incontro con Marina Malfatti, Agnese Nano,
Carolina Levi, Emanuela Giordano, protagoniste e regista dello spettacolo
teatrale Va’ dove ti porta il cuore
21 ottobre Presentazione del film Il figlio incerto
22-30 ottobre Anna Magnani: omaggio a “mamma Roma”
23 ottobre Eurovisioni
31 ottobre-16 novembre Il mondo (realmente) rovesciato. Il cinema di Frederick
Wiseman
1-2 ottobre 2008
89 mm dall’Europa e altri capolavori di Marcel Łoziński
Nell’ambito della sesta edizione del suo festival “Corso Polonia”, l’Istituto Polacco di
Roma, in collaborazione con la Cineteca Nazionale, The Polish Film Archive
(Filmoteka Narodowa) e Kalejdoskop Film Studio, propone l’1 e il 2 ottobre al
Cinema Trevi la rassegna dei film di Marcel Łoziński, uno dei documentaristi
polacchi più noti, nominato all’Oscar per il suo film 89mm dall’Europa. Il pubblico
italiano potrà vedere il percorso del grande regista dal 1973 fino al 2007. In totale
saranno proiettati 16 documentari in lingua originale con i sottotitoli in italiano. Il
regista incontrerà il pubblico italiano giovedì 2 ottobre alle ore 21.00 dopo la
proiezione del suo ultimo film E se fosse andata così.
Quando mi preparavo agli esami di maturità, non sapevo che il mio tempo di
maturazione avesse un testimone. Non me ne sono accorto neanche quel giorno di
maggio del 1978 quando alcuni dei miei compagni davano l’esame che io,
fortunatamente, non avevo scelto – quello di educazione civica – accompagnati da
una cinepresa. Devo aver pensato che si trattasse di una propagandistica relazione per
un notiziario della tv dello Stato. Di quel giorno mi ricordo che una delle mie
compagne non ha risposto a nessuna delle domande della commissione, neanche a
quella che riguardava i diritti del cittadino di un paese socialista. «Come?!», disse
fuori di sé (come poi mi hanno riferito gli amici presenti in aula) la temibile preside
del liceo, nota per la sua piena adesione al sistema. «Vivi in un paese socialista e non
sai quali sono i tuoi diritti?!». Mi ricordo pure che la mancata risposta della
compagna aveva una doppia interpretazione: per alcuni la ragazza non era per nulla
intelligente, per gli altri (a cui appartenevo) la ragazza aveva rifiutato di dire cavolate,
a costo di essere rimandata alla prova di settembre. Mi sono meravigliato, e mi
meraviglio ancora, di rivivere quella situazione guardando L’esame di maturità di
Marcel Łoziński. Non solo per il fatto che quell’uomo con la cinepresa si è rivelato
uno dei maggiori cineasti nella storia. Quel che continua a colpirmi è che in quella
scena ritrovo condensati molti fra i problemi di identità sociale che mi assillavano
allora e che tutti i miei dubbi riguardo a quella situazione sono rimasti irrisolti e
sospesi, come allora. La forza del cinema di Łoziński è forse questa: essere un
invisibile testimone di quelle perplessità che sono essenziali per un momento di vita e
che si dissolverebbero senza la sua sensibile capacità di osservarli. La rassegna dei
suoi documentari è, in effetti, la rassegna dei più importanti dubbi degli ultimi
quarant’anni.
Jarosław Mikołajewski
Direttore dell’Istituto Polacco di Roma
Marcel Łoziński, documentarista In due parole...
Un documento filmato non è una semplice registrazione. Dopo Flaherty e Vertov esso
può essere talvolta un’opera d’arte. Marcel Łoziński rientra tra i maggiori artisti
documentaristi del mondo. Chi non ha ancora visto uno dei suoi fenomenali prodotti,
non può sapere quanto grande possa essere l’arte del documentario.
Due parole sull’uomo. Nasce a Parigi nel 1940 in una famiglia di intellettuali
polacchi. I suoi genitori, comunisti, partecipano alla Résistance. Rientrati in Polonia,
partecipano alla costruzione del nuovo sistema politico. Cominciano a sentirsi delusi
dal comunismo dopo il 1956 (allora il padre era corrispondente a Budapest). Marcel
si laurea in telecomunicazioni al Politecnico di Varsavia. Dopo uno stage col famoso
operatore Stanislaw Niedbalski, studia regia alla Scuola di Cinema di Łódź, dove
stringe amicizia con Krzysztof Kieślowski.
La sua passione è andare alla scoperta del mondo che ci circonda. Da quando è
diventato cineasta vuole raccontare – girando con camera a mano – come stanno le
cose. Pur occupandosi di documentari, ha sempre evitato la pura e semplice
registrazione dei fatti. E non ha mai girato un film a soggetto, se si esclude il saggio
scolastico. Non ammette i documentari a tesi, le soluzioni facili, il tutto bianco o il
tutto nero. Con gli anni ha elaborato una sua teoria e pratica del documentario, poco
ortodossa, che ammette l’elemento della messa in scena durante la realizzazione allo
scopo di mettere in movimento la realtà sotto esame.
Marcel Łoziński è un professionista in ogni fibra del suo essere. Ha un’alta
considerazione per le necessità tecniche, senza le quali l’arte non può esistere. Ma al
primo posto pone l’etica del regista. Il vero autore di documentari non è chi usa la
telecamera per cercare di scioccare lo spettattore, ma colui che crea il suo film in
modo da non nuocere ai protagonisti del suo racconto.
È sempre andato per la propria strada, evitando le mode e le passeggere fascinazioni
per gli argomenti affrontati dagli altri documentaristi. A lui interessano le persone, i
loro comportamenti, il modo di pensare, le scelte esistenziali, il tessuto sociale in cui
vivono quotidianamente. Negli anni settanta ben 9 film dei 12 da lui realizzati
vennero bloccati dalla censura. Conosce il prezzo amaro chiesto a chi non vuole
scendere a compromessi. Era l’unico regista di documentari dello Studio
Cinematografico “X” di Andrzej Wajda, soppresso durante lo stato di guerra. Negli
anni ottanta ha continuato a girare in condizioni di clandestinità.
Per i suoi documentari ha vinto innumerevoli premi ai festival di Cracovia,
Oberhausen, Amsterdam e tanti altri. Nel 1994 il suo 89 mm dall’Europa ha ottenuto
la nomination all’Oscar. Nel 2004, a Berlino, gli è stato attribuito il Premio Libertà
“Andrzej Wajda”. Continua a fare film. Gli piace insegnare. Da anni è impegnato a
formare i documentaristi di domani in qualità di leader del Dragon Forum e di
docente di documetaristica all’Accademia di Regia di Andrzej Wajda a Varsavia.
Marek Hendrykowski e Małgorzata Hendrykowska
mercoledì 1
ore 17.00
Anni ’70
Happy End (1973)
Regia: Paweł Kędzierski, Marcel Łoziński; fotografia: Stanisław Niedbalski, Witold
Stok, Jacek Petrycki; suono: Małgorzata Jaworska; montaggio: Lidia Zonn; origine:
Polonia; durata: 17’
La riunione del partito, nel corso della quale ha luogo una “purga” stile marzo ’68,
si rivela essere uno psicodramma. Ufficialmente il film non è stato censurato, ma è
stato proiettato solo al Festival del Cortometraggio di Cracovia e nei cineclub.
a seguire
La visita (Wizyta, 1974)
Regia: Marcel Łoziński; fotografia: Jacek Petrycki; suono: Małgorzata Jaworska;
montaggio: Lidia Zonn; origine: Polonia; durata: 15’
Marta Wesołowska, giornalista del settimanale «Polityka», e il fotoreporter Erazm
Ciołek fanno visita a Urszula Flis, una giovane donna che gestisce da sola
un’azienda agricola. A differenza degli altri agricoltori, Urszula coltiva anche degli
interessi culturali, è in rapporti epistolari con diversi scrittori, ecc. Łoziński tornerà
da lei 24 anni più tardi, nel 1998, per girare Perché non faccia male.
a seguire
Re (Król, 1975)
Regia: Marcel Łoziński; fotografia: Jacek Petrycki; suono: Wiesława Dembińska;
montaggio: Alina Siemińska; origine: Polonia; durata: 5’
Un conformista-tipo, un uomo che durante la guerra confezionava le divise per gli
ufficiali tedeschi e dopo la guerra per gli ufficiali dell’esercito popolare. Ora
gestisce un caffè e vive da “re” (I premio alla Rassegna del Cortometraggio di
Rzeszów, 1978).
a seguire
Scontro frontale (Zderzenie czołowe, 1975)
Regia: Marcel Łoziński; fotografia: Jacek Petrycki, Witold Stok, Roman Miastowski;
suono: Halina Paszkowska; montaggio: Łucja Ośko; origine: Polonia; durata: 10’
Il film è il saggio di diploma del regista. A sei mesi dalla pensione il protagonista del
film, un macchinista, causa un incidente che cancella tutti i meriti che aveva
acquistato nel corso degli anni.
a seguire
Il tocco (Dotknięcie, 1978)
Regia: Marcel Łoziński; fotografia: Witold Stok; suono: Halina Paszkowska;
montaggio: Łucja Ośko; origine: Polonia; durata: 12’
Il film racconta il soggiorno a Varsavia del celebre guaritore Clive Harris.
a seguire
Esame di maturità (Egzamin dojrzałości, 1978)
Regia: Marcel Łoziński; collaborazione alla realizzazione: Andrzej Chodakowski;
fotografia: Jacek Petrycki, Witold Stok; suono: Halina Paszkowska; montaggio:
Łucja Ośko; origine: Polonia; durata: 16’
È l’esame di maturità sulla cosiddetta propedeutica delle scienze sociali e storiche.
Gli studenti vengono ripresi nell’aula, dove recitano le formulette propagandistiche,
e nel corridoio, dove ne ridono.
ore 19.00
Anni ’70
Come vivere (Jak żyć, 1977)
Regia: Marcel Łoziński; sceneggiatura: M. Łoziński; fotografia: Jacek Petrycki;
suono: Halina Paszkowska; montaggio: Łucja Ośko; origine: Polonia; durata: 83’
Campo scuola estivo per giovani coppie iscritte all’Associazione della Gioventù
Socialista Polacca. Si organizza il concorso “La famiglia modello”, i giudici sono
anonimi, una telecamera registra le varie fasi. Ogni giorno viene reso noto il
punteggio raggiunto dalle singole coppie. Gli esami di scienze politiche sulla
dottrina marxista, gli interrogatori dei bambini, le ingerenze nelle faccende personali
e la rigida disciplina organizzativa generano conflitti, smascherano i metodi della
direzione del campo, mettono a nudo i veri sentimenti e i caratteri dei partecipanti.
ore 20.30
Inaugurazione della rassegna alla presenza di Marcel Łoziński
ore 21.00
Anni ’80 e ’90
Prova microfono (Próba mikrofonu, 1980)
Regia: Marcel Łoziński; sceneggiatura: Marek Petrycki; fotografia: Jacek Petrycki;
musica: Danuta Zankowska-Marucha; suono: Halina Paszkowska, Elżbieta Hetman;
montaggio: Katarzyna Maciejko; origine: Polonia; durata: 18’
Siamo nel 1979. Un giornalista della capitale svolge una serie di interviste con i
lavoratori della fabbrica di cosmetici Pollena-Uroda. L’operatore della rete
radiofonica interna decide di realizzare un programma serio. Domanda alle operaie
se si sentano padrone della fabbrica. Le loro risposte sorprendono la direzione. La
verità che emerge dal “basso” si scontra con le menzogne di quelli “in alto”.
a seguire
Laboratorio (Ćwiczenia warsztatowe, 1984)
Regia: Marcel Łoziński; fotografia: Jacek Petrycki; suono: Danuta Zankowska;
montaggio: Katarzyna Maciejko, Katarzyna Rudnik; origine: Polonia; durata: 11’
Come fare un uso disonesto dei metodi giornalistici per manipolare le persone. Viene
svolto un sondaggio televisivo sui giovani d’oggi. Dei passanti scelti a caso
rispondono alle domande della giornalista, ma in sede di montaggio il vero senso
delle loro risposte sarà distorto. «Il film è stato realizzato all'insaputa e senza il
consenso dei partecipanti, utilizzando il metodo di montaggio asincronico delle
immagini e dell'audio» (didascalia finale).
a seguire
Il mio posto (Moje miejsce, 1985)
Regia: Marcel Łoziński; sceneggiatura: M. Łoziński; fotografia: Andrzej Adamczak;
musica: Danuta Zankowska; suono: Małgorzata Jaworska; montaggio: Katarzyna
Maciejko-Kowalczyk; origine: Polonia; durata: 15’
Reportage metaforico sul Grand Hotel di Sopot e sul suo personale. Parlano del
proprio lavoro il fuochista, le donne delle pulizie, le cameriere, i cuochi, i
guardarobieri, i barman, gli addetti della lavanderia, i portieri, lo stesso direttore. Al
termine una foto-ricordo ritrae tutti insieme sullo sfondo dell’edificio che richiede
un’urgente opera di restauro.
a seguire
Testimoni (Świadkowie/ Témoins, 1986)
Regia: Marcel Łoziński; sceneggiatura: M. Łoziński, da un’idea di Jan Kofman;
fotografia: Jacek Petrycki; musica: Danuta Zankowska; montaggio: M. Łoziński;
origine: Polonia/Francia; durata: 26’
È la registrazione dei racconti dei testimoni della strage di Kielce, avvenuta nel 1946
e qui illustrata coi filmati storici del Cinegiornale Polacco (Premiato al Festival
Internazionale di Stoccolma, 1990).
a seguire
89 mm dall’Europa (89 mm od Europy, 1993)
Regia: Marcel Łoziński; sceneggiatura: M. Łoziński; fotografia: Jacek Petrycki,
Arthur Reinhart; suono: Małgorzata Jaworska; montaggio: Katarzyna MaciejkoKowalczyk; origine: Polonia; durata: 12’
Stazione ferroviaria di Brześć, al confine tra la Polonia e la Bielorussia. La gente,
stanca e imbruttita, aspetta. Una voce dall’altoparlante scuote tutti dal torpore.
Arriva il treno Parigi-Mosca. Gli operai bielorussi iniziano le operazioni di cambio
delle ruote, indispensabili per entrare nei territori dell’ex Unione Sovietica. In
Europa, infatti, i convogli ferroviari viaggiano su binari larghi 1435 mm, nell’ex
URSS i binari misurano 1524 mm. La differenza sono gli 89 mm del titolo. Gli operai
bielorussi cambiano ogni giorno alcune migliaia di ruote. In questo breve documento
in bianco e nero, girato e montato con vera maestria, Marcel Łoziński mostra che
quei pochi millimetri di differenza tracciano il confine tra le due realtà. Il film è stato
candidato al premio Oscar nella categoria “miglior cortometraggio documentario”.
giovedì 2
ore 17.00
Anni ’90
Tutto può accadere (Wszystko może się przytrafić, 1995)
Regia: Marcel Łoziński; sceneggiatura: M. Łoziński; fotografia: Arthur Reinhart;
consulente musicale: Małgorzata Jaworska; suono: Halina Paszkowska; montaggio:
Katarzyna Maciejko-Kowalczyk; origine: Polonia; durata: 39’
Protagonista del film è Tomek, figlio del regista, all’età di sei anni. Va alla scoperta
del mondo girando il parco in monopattino. Ogni tanto si ferma per annusare un
fiore, inseguire una farfalla, dar da mangiare a uno scoiattolo o ai cigni. Ma il più
delle volte si ferma vicino alle panchine disposte lungo i viali, a chiacchierare con gli
anziani, uomini e donne. Mette a confronto il proprio sapere con le loro esperienze.
Viene così a conoscere il bisogno di fede, l’ineluttabilità della morte, il valore della
salute, del lavoro, della famiglia, gli acciacchi dell’età, le cause della povertà, il
ruolo della memoria, l’influenza della storia e delle decisioni personali sui destini dei
singoli. Si convince che la solitudine può essere una maledizione oppure qualcosa di
prezioso. Non accetta di vedere scritto sul palmo della mano il proprio destino. Non
accetta l’ineluttabilità. Immerso nel mondo delle illusioni infantili, è convinto che
nella vita possa succedere qualsiasi cosa, per esempio si può incontrare un cucciolo
di dinosauro e il signore anziano con gli occhiali può vivere fino a 120 anni e anche
molto di più. La passeggiata di Tomek nel parco si trasforma pian piano in un
simbolico viaggio attraverso la vita.
a seguire
Perché non faccia male (Żeby nie bolało, 1998)
Regia: Marcel Łoziński; sceneggiatura: M. Łoziński; collaborazione: Agnieszka
Kublik, Marta Wesołowska; fotografia: Jacek Petrycki; musica: Gioacchino Rossini;
suono: Małgorzata Jaworska; montaggio: Katarzyna Maciejko-Kowalczyk, Lidia
Zonn; origine: Polonia; durata: 46’
Nel 1974 la giornalista del settimanale «Polityka» Marta Wesołowska e il
fotoreporter Erazm Ciołek fecero visita a Urszula Flis, una giovane donna che
gestiva da sola un’azienda agricola di 13 ettari. I due erano accompagnati da
Marcel Łoziński con la sua troupe. Nacquero così il reportage Rapporto sui geni e il
film La visita che documentava il lavoro della giornalista. Dopo 23 anni il regista ha
voluto ripetere quell’esperienza. Ha solo sostituito la giornalista di «Polityka», nel
frattempo emigrata in Svezia, con una collega del quotidiano «Gazeta Wyborcza»,
Agnieszka Kublik. Il nuovo film si compone di due parti. La prima, mantenuta nei
toni seppia, è il vecchio documentario La visita, la seconda, a colori, si riferisce al
recente incontro con Urszula Flis.
a seguire
89 mm dall’Europa (replica)
ore 19.00
Anni 2000
Come si fa (Jak to się robi, 2006)
Regia: Marcel Łoziński; sceneggiatura: M. Łoziński; fotografia: Jacek Petrycki,
Andrzej Adamczak, Radosław Ładczuk, Leszek Skuza; suono: Jerzy Murawski,
Jarosław Roszyk; montaggio: Katarzyna Maciejko-Kowalczyk; origine: Polonia;
durata: 87’
Piotr Tymochowicz, consulente mediatico, vuole dimostrare di poter trasformare
chiunque in uomo politico. Ai provini si presentano varie centinaia di persone. Circa
dieci prescelti vengono inviati al corso di addestramento, uno solo arriva fino in
fondo. La troupe cinematografica ha lavorato alle riprese per tre anni ed ha avuto
l’opportunità più unica che rara di seguire passo passo i meccanismi che portano
alla nascita e allo sviluppo di ciò che più ci disgusta nei politici polacchi. Ma la
demagogia e il populismo non sono un’esclusiva polacca...
ore 21.00
Anni 2000
Incontro con Marcel Łoziński
a seguire
E se fosse andata cosi (A gdyby tak się stało, 2007)
Regia: Marcel Łoziński; collaborazione alla regia: Paweł Łoziński, Mikołaj Łoziński;
sceneggiatura: M. Łoziński; fotografia: Arthur Reinhart, Jacek Bławut; consulente
musicale: Małgorzata Jaworska; suono: Halina Paszkowska, Iwo Klimek, Krzysztof
Jastrząb; montaggio: Katarzyna Maciejko-Kowalczyk; origine: Polonia; durata: 39’
Tomek, figlio del regista, ora diciottenne torna nel parco dove dodici anni prima
giocava col monopattino, osservava i pavoni vanitosi e interrogava gli anziani
incontrati nei viali sulla vita, la morte, l’amore, la solitudine. Erano domande
profonde, perspicaci, talvolta serie e altre volte divertenti per la semplicità con la
quale i bambini percepiscono la realtà. Cosa ne è rimasto di quelle domande? Sono
sbiadite, fanno parte ormai del passato, come l’infanzia del protagonista? Oppure
riguardavano questioni eterne, universali, escatologiche? Il giovane attraversa il
parco, dove abitano ormai soltanto le ombre dei suoi interlocutori e richiama alla
memoria quel giorno d’estate. Quel che rivive nel ricordo sarà per lui espressione di
eterna saggezza da cui trarre preziose indicazioni per il futuro. Uno degli otto
migliori documentari del mondo 2007, è stato candidato per le nomination all’Oscar.
Ingresso gratuito
3-10 ottobre
Tagli. Il cinema di Dario Argento
La retrospettiva della 44ª Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro,
organizzata in collaborazione con la Cineteca Nazionale, ha consacrato
definitivamente Dario Argento fra i grandi autori del cinema italiano. Un omaggio
tardivo, dopo decenni di recensioni irridenti da parte della critica paludata, a fronte
del crescente interesse all’estero e dell’incondizionato appoggio dei giovani cinefili.
La retrospettiva, che viene ora riproposta al Cinema Trevi, offre l’occasione per
riflettere sulle traiettorie del tutto personali del regista romano, capostipite del thriller
all’italiana e adesso, per paradosso, eclissatisi i suoi imitatori, unico superstite del
cinema di genere ancora attivo ad alti livelli. Ormai proiettato verso il cinema
americano, a cercare sponde affettive smarrite in Italia con la morte di Bava, Freda e
Fulci, gli unici registi con i quali condivideva una (ir)reale vocazione fantastica. Del
tutto fuori luogo nel nostro Paese: di qui le incomprensioni con la critica e la
necessità di cercare altre vie per reiterare all’infinito i propri macabri sogni. Come ha
scritto Giona A. Nazzaro nel volume curato da Vito Zagarrio Argento vivo. Il cinema
di Dario Argento tra genere e autorialità, edito da Marsilio in occasione
dell’omaggio di Pesaro, Argento, con Sergio Leone, è il fautore di un cinema celibe e
orfano: «Il cinema argentiano, una volta orgogliosamente orfano, oggi si ritrova nella
condizione sconcertante di un orfano diventato padre elettivamente ma privo di
progenie». Il cinema italiano, ad esso ricollegabile, direttamente o indirettamente è
svanito, risucchiato dalla televisione, e in questo vuoto il cinema argentiano risplende
ancor più. Finalmente unico e inimitabile.
venerdì 3
ore 17.00
L’uccello dalle piume di cristallo (1970)
Regia: Dario Argento; soggetto e sceneggiatura: D. Argento; fotografia: Vittorio
Storaro; musica: Ennio Morricone; montaggio: Franco Fraticelli; interpreti: Tony
Musante, Suzy Kendall, Enrico Maria Salerno, Eva Renzi, Umberto Raho, Mario
Adorf; origine: Italia/Germania; produzione: Seda Spettacoli, C.C.C. Film GMBH;
durata: 96’
«Sam, scrittore americano venuto a Roma in cerca d’ispirazione, vi trova invece una
spaventosa avventura. Poche sere prima della data fissata per il ritorno in patria con
la sua ragazza, Movita, gli accade di essere testimone di un tentato assassinio.
Chiuso tra le porte di vetro di una galleria d’arte, egli vede una bella donna
colluttare con un individuo tutto vestito di nero, che poi fugge, lasciando la donna
accoltellata al suolo. Qualcosa, in tale visione, non quadra. Ma che cosa?»
(Biraghi). «Tutto lo sforzo del protagonista sarà quello di ricostruire,
retrospettivamente, una scena cui ha assistito un’unica volta: la memoria, purtroppo,
non è una moviola, e Argento ne mima l’impotenza continuando a mostrarci porzioni
della sequenza senza mai svelarcene l’elemento decisivo, il tratto distintivo dove
risiede la chiave dell’enigma» (Pugliese).
Versione ristampata dalla Cineteca Nazionale per gentile concessione di Titanus Film
ore 19.00
Il gatto a nove code (1971)
Regia: Dario Argento; soggetto: D. Argento, Luigi Collo, Dardano Sacchetti;
sceneggiatura: D. Argento; fotografia: Enrico Menczer; musica: Ennio Morricone;
montaggio: Franco Fraticelli; interpreti: Karl Malden, James Franciscus, Catherine
Spaak, Cinzia De Carolis, Pierpaolo Capponi, Aldo Reggiani; origine:
Italia/Germania/Francia; produzione: Seda Spettacoli, Terra Filmkunst, Labrador
Film; durata: 112’
«Un enigmista cieco, impersonato da Karl Malden, passeggiando in strada, con la
nipotina di dieci anni ode i frammenti di una conversazione dalla quale arguisce
trattarsi di un ricatto. Poco dopo un guardiano di un importante Istituto di Genetica,
viene tramortito da uno sconosciuto che penetra nell’istituto senza rubare niente. Il
giorno seguente, uno scienziato dell’istituto stesso viene spinto sotto un treno dalla
pensilina della stazione da una mano ignota che però un fotografo di un giornale
riesce a riprendere. […] Il gatto a nove code è un film geometrico e lucido che ha
dalla sua una notevole spettacolarità d’impianto e una forte, sia pur rozza, carica di
suspense. L’ombra del dubbio cade di volta in volta sui principali personaggi del
film, per arrivare infine a una soluzione ingegnosa alla quale nessuno ha certamente
pensato. Così come è ingegnoso il movente in un certo senso scientifico dei cinque
delitti» (Onorato Orsini). Volevo fare un film un po’ diverso da L’uccello dalle
piume di cristallo, non volevo ripetermi. Credo di aver fatto un film un po’
all’americana, con attori protagonisti americani, ispirato a quei film di detection
tipicamente americani. Forse proprio per questo motivo non ne rimasi molto
soddisfatto, forse oggi ritornerei sul mio giudizio, ma penso che certi dialoghi e certi
personaggi abbiano tradito un po’ il mio stile» (Argento).
Versione ristampata dalla Cineteca Nazionale per gentile concessione di Titanus Film
ore 21.00
Incontro con Dario Argento moderato da Giona A. Nazzaro
Nel corso dell’incontro saranno presentati i volumi: Tagli. Il cinema di Dario
Argento, a cura di Domenico Monetti e Luca Pallanch, Centro Sperimentale di
Cinematografia - Fondazione Pesaro Nuovo Cinema, 2008 e Dario Argento.
Confessioni di un maestro dell’horror, di Fabio Maiello, Alacrán Edizioni, Milano,
2007.
a seguire
Le cinque giornate (1973)
Regia: Dario Argento; soggetto: Vincenzo Ungari, D. Argento, Luigi Cozzi;
sceneggiatura: D. Argento, Nanni Balestrini; fotografia: Luigi Kuveiller; montaggio:
Franco Fraticelli; musica: Giorgio Gaslini; interpreti: Adriano Celentano, Enzo
Cerusico, Sergio Graziani, Marilù Tolo, Glauco Onorato, Carla Tatò; origine: Italia;
produzione: Seda Spettacoli; durata: 122’
Il film più anomalo nella filmografia argentiano. Un’incursione nella Storia, nella
quale il regista non rinuncia a inscenare l’orrore e la crudeltà, in questo caso della
guerra. Argento fu voluto dagli attori, a cominciare dal protagonista Adriano
Celentano. Da riscoprire. «Le cinque giornate è un film crudele, assai poco allineato
con i tempi: alla decostruzione della favolistica rivoluzionaria Argento non
contribuisce con procedimenti contro storici alla Vancini o atteggiamenti stoici alla
Leone ma, ancora una volta, indugiando nel massacro, nella carneficina, nella
spendibilità dei corpi umani. Le numerose truculenze allineate nel film giocano così
una funzione per la prima volta quasi romeriana: la morte non è più tassello di un
edificio estetico coerente, di un progetto logico-matematico (sia pur svolto nel cono
d’ombra della follia individuale), ma gratuito, empio smembramento di carni,
ammassamento di atrocità quasi risibili, sguardo osceno sul nulla e sull’idiozia»
(Pugliese).
Ingresso gratuito
sabato 4
ore 17.00
Suspiria (1977)
Regia: Dario Argento; soggetto e sceneggiatura: D. Argento, Daria Nicolodi;
fotografia: Luciano Tovoli; musica: Goblin; montaggio: Franco Fraticelli; interpreti e
personaggi: Jessica Harper, Stefania Casini, Alida Valli, Joan Bennett, Flavio Bucci,
Miguel Bosè; origine: Italia; produzione: Seda Spettacoli; durata: 100’
«Una laurea honoris causa in tecnologia degli spaventi. Dario Argento non merita
niente di meno per un film che probabilmente farà epoca nel cinema della pelle
d’oca. Anche il pubblico più refrattario ai brividi del giallo suderà freddo, stavolta; e
sarà difficile d’ora in poi non comprendere Dario Argento in quel pugno di registi
che grazie all’eccellenza del mestiere tengono a galla il cinema italiano. I teorici
dell’impegno politico e sociale non saranno d’accordo, ma poco male: Suspiria
ritrova le radici fantastiche del cinema, facendo leva sul colore e sul sonoro, con una
furbizia spettacolare cui si deve tanto di cappello. Naturalmente accadono cose da
pazzi nella casa che si suppone essere stata di Erasmo, l’autore dell’elogio della
pazzia. Siamo in Germania, a Friburgo, dove la giovane Susy, un’americana, è
venuta a studiare in una famosa accademia di danza» (Grazzini). «Suspiria è nato
dal mio desiderio di sganciarmi dalla realtà e di librarmi in un mondo assolutamente
fantastico. Volevo girare una favola e nello stesso tempo volevo parlare di
stregoneria, perché in quel periodo il mio interesse era stato risucchiato
dall’esoterismo. La fiaba di Biancaneve e i sette nani fu il punto di partenza per la
storia» (Argento).
ore 19.00
Inferno (1980)
Regia: Dario Argento; soggetto e sceneggiatura: D. Argento; fotografia: Romano
Albani; musica: Keith Emerson; montaggio: Franco Fraticelli; interpreti e personaggi:
Leight McCloskey, Eleonora Giorgi, Gabriele Lavia, Irene Miracle, Sacha Pitoeff,
Daria Nicolodi; origine: Italia; produzione: Seda Spettacoli; durata: 107’
L’inferno argentiano: “tre madri” nascoste nei sotterranei di tre palazzi a Roma,
New York, Friburgo, costruiti per loro da un architetto-alchimista, autore di un libro
maledetto. «È una storia che si ispira all’alchimia moderna, alchimia di oggi,
alchimia dei nostri giorni. Il mio film vuole esplorare e trovare le chiavi dei grandi
segreti della vita e della morte. È una storia che si ispira all’alchimia moderna,
alchimia di oggi, alchimia dei nostri giorni. Il mio film vuole esplorare e trovare le
chiavi dei grandi segreti della vita e della morte» (Argento).
ore 21.00
Tenebre (1982)
Regia: Dario Argento; soggetto e sceneggiatura: D. Argento; fotografia: Luciano
Tovoli; musica: Claudio Simonetti, Fabio Pignatelli, Massimo Morante; montaggio:
Franco Fraticelli; interpreti: Anthony Franciosa, Daria Nicolodi, Giuliano Gemma,
John Saxon, Carola Stagnaro, John Steiner; origine: Italia; produzione: Sigma
Cinematografica; durata: 101’
Uno scrittore americano di polizieschi, venuto a Roma per presentare il suo ultimo
libro, si trova invischiato in un giallo. «La trovata di Argento, che si è scritto il
soggetto e la sceneggiatura da solo, è questa: a metà del film viene ucciso anche
l’assassino! Ma chi ha ucciso allora l’assassino? E perché i delitti continuano a
ripetersi? Questo risvolto esce un po’ dalla norma del giallo, così come il convulso
finale» (Cosulich). «Ho lavorato con il nostro grande direttore della fotografia
Luciano Tovoli: abbiamo voluto una luce metallica, solare in una Roma moderna
d’acciaio e cemento, per nulla barocca o decadente. La nostra è una Roma cattiva,
con una luce fredda e totale contrapposta alle tenebre dell’anima, della mente. La
città diventa un puzzle di immagini» (Argento).
domenica 5
ore 17.00
Phenomena (1985)
Regia: Dario Argento; soggetto: D. Argento; sceneggiatura: D. Argento, Franco
Ferrini; fotografia: Romano Albani; musica: Claudio Simonetti, Bill Wyman & Terry
Taylor, Goblin, Fabio Pignatelli, Simon Boswell; montaggio: Franco Fraticelli;
interpreti: Jennifer Connelly, Donald Pleasence, Daria Nicolodi, Patrick Bauchau,
Dalila Di Lazzaro, Fiore Argento; origine: Italia; produzione: D.A.C. Film; durata:
109’
«C’è una sperduta regione della Svizzera infestata da un pazzo che da anni va
assassinando fanciulle trafugandone il corpo. C’è un collegio femminile dove arriva
fresca fresca la protagonista, con il suo sonnambulismo e la sua misteriosa capacità
di comunicare con gli insetti. C’è un entomologo paralitico (Donald Pleasence) con
scimmietta-infermiera (determinante, come gli insetti, nella soluzione della vicenda).
E soprattutto ci sono una serie di orrori insostenibili» (Ferzetti). «A sensazione, a
pelle, in Phenomena ci trovo tante cose mie. Tanto mio cinema. Ma anche tante storie
private. Tanti personaggi che ho conosciuto, che ho amato, che mi hanno amato, cui
ho fatto del bene, che mi hanno fatto del male, che ho aiutato, che mi hanno tradito,
che non conosco, che non conoscerò mai. Per me, samurai, è stato come un viaggio
mistico quindi, quasi religioso, tra bellezze ed orrori, tra sensazioni tenere e
terribili» (Argento).
ore 19.00
Opera (1987)
Regia: Dario Argento; soggetto: D. Argento; sceneggiatura: D. Argento, Franco
Ferrini; fotografia: Ronnie Taylor; musica: Claudio Simonetti, Bill Wyman & Terry
Taylor, Roger Eno, Brian Eno; montaggio: Franco Fraticelli; interpreti: Cristina
Marsillach, Ian Charleston, Daria Nicolodi, Urbano Barberini, Coralina Castaldi
Tassoni, Antonella Vitale; origine: Italia; produzione: ADC, Cecchi Gori Group,
Tiger Cinematografica, in collaborazione con Rai; durata: 105’
«Si comincia con il Macbeth di Verdi e con la curiosa diceria, diffusa degli ambienti
lirici, che porti sfortuna. Durante le prove, infatti, il soprano ha un incidente d’auto,
così, quasi alla vigilia di andare in scena, lo sostituisce una giovanissima collega,
Betty, ancora agli esordi. Questa Betty, però ha un amichetto e la sera stessa della
prima, che per lei è stata un vero trionfo, un individuo mascherato lo uccide
selvaggiamente di fronte a lei, dopo averla legata e dopo averla obbligata, con dei
punteruoli sotto gli occhi, a vedere fino in fondo l’orribile scena. Siamo agli inizi»
(Rondi). «I corvi scritturati per il mio film Opera [...] sono stati bravissimi. Non
soltanto si sono dimostrati “gli attori” migliori del cast, ma a un certo punto hanno
anche organizzato un ammutinamento contro il regista e il sottoscritto si è ritrovato
ferito alla bocca e «beccato» in più parti del corpo. Però avevano ragione loro:
avevo chiesto troppo alle loro forze sia pure nel rispetto degli animali, da me sempre
dimostrato sui miei set con vermi, mosche, topi, lumache, ragni africani & C. Così i
corvi si sono ribellati: certo qualche corvo imperiale, nell’alto dei cieli, doveva aver
raccontato loro la trama e le vendette degli Uccelli di Hitchcock!» (Argento).
Copia con sottotitoli in inglese gentilmente concessa da Opera Film
ore 21.00
Profondo rosso (1975)
Regia: Dario Argento; soggetto e sceneggiatura: D. Argento, Bernardino Zapponi;
fotografia: Luigi Kuveiller; musica: Giorgio Gaslini, Goblin; montaggio: Franco
Fraticelli; interpreti e personaggi: David Hemmings, Daria Nicolodi, Gabriele Lavia,
Clara Calamai, Glauco Mauri, Eros Pagni; origine: Italia; produzione: Seda
Spettacoli, Rizzoli Film; durata: 130’
«Se l’estrema ambizione di Dario Argento è di restituire ai reduci dai suoi spettacoli
il gaudio di sobbalzare a ogni scricchiolio, di guardare sotto il letto e raddoppiare la
dose di tranquillante, il “terrorista” del cinema italiano può dirsi contento. Era
infatti un bel po’ che un film non prendeva altrettanto allo stomaco e popolava i
nostri sonni di incubi così barbari. Perché Profondo rosso è malfermo e tutto
epidermico, ma al traguardo della paura va molto vicino: la ragione scalpita, e
indispettisce sentirsi coinvolti in un cervellotico congegno, e tuttavia il cuore batte
più svelto. Mamma mia, che impressione. Il fattaccio comincia a una seduta di
parapsicologia, dove una signora “sente” i pensieri cattivi di un criminale. La
poverina ha tanta ragione che dopo poco sente anche spaccarsi la testa da
un’accetta. Chi sarà mai l’assassino? Mentre la polizia si gingilla, Marcus, un
pianista inglese di jazz che lo ha intravisto, ma non è in grado di riconoscerlo, si
intestardisce a scoprirlo, insieme con una giornalista in cerca del solito colpo, tal
Gianna. È ovviamente un cacciarsi nei guai» (Grazzini).
lunedì 6
chiuso
martedì 7
ore 18.00
Il gatto nero (ep. di Due occhi diabolici, 1990)
Regia: Dario Argento; soggetto: tratto da un racconto di Edgar Allan Poe;
sceneggiatura: D. Argento, Franco Ferrini; fotografia: Beppe Maccari; musica: Pino
Donaggio; montaggio: Pasquale Buba; interpreti: Harvey Keitel (Rod Usher),
Madeleine Potter (Annabel), John Amos (ispettore Legrand), Martin Balsman (Mr.
Pym), Kim Hunter (Mrs. Pym), Sally Kirkland (Eleonora), Holter Ford Graham
(Christian), Julie Benz (Betty), Lou Valenzi, Peggy Sanders, J.R. Mac Donald,
Barbara Bryne, Lanene Charters, Tom Savini; origine: Italia; produzione: Gruppo
Bema, ADC; durata: 40’
«L’ossessione d’un fotografo di cronaca nera (ancora di Pittsburgh), tale Rod che di
cognome, vedi caso, si chiama Usher, perseguitato dallo sguardo d’una gatta in cui
legge una demoniaca aggressività. […] Fedele alla propria vocazione, Dario
Argento manovra la follia e il delirio con una forte fantasia visiva […], e amministra
gli effetti in modo giudizioso. N’esce un racconto, interpretato efficacemente da
Harvey Keitel e Madeleine Potter, dove l’alcool alimenta il sadismo in un universo di
perverse fascinazioni, avvicinato abilmente alla realtà da potenti temporali»
(Grazzini). «Sono andato a Baltimora […] e nel piccolo, segreto giardino di una
chiesa gotica ho trovato non una, ma due tombe del mio sventurato, nevrotico e
miserabile amico [Edgar Allan Poe] senza un penny, che resta a mio parere il più
grande romantico della sofferenza umana e della paura. Così ho deciso di girare un
piccolo film nel film per i titoli di testa e ho fermato l’occhio della mia un po’
perversa cinepresa sulla prima tomba di Poe, che è completamente coperta da
pennies di “copper” (rame) perché i suoi estimatori continuano a fare per lui una
povera colletta» (Argento).
ore 19.00
Trauma (1993)
Regia: Dario Argento; soggetto: Franco Ferrini, Giovanni Romoli, D. Argento;
sceneggiatura: D. Argento, T.E.D. Klein; fotografia: Raffaele Mertes; musica: Pino
Donaggio; montaggio: Bennet Goldberg, D. Argento; interpreti: Christopher Rydell,
Asia Argento, Piper Laurie, Frederic Forrest, Laura Johnson, James Russo; origine:
Italia; produzione: ADC, Overseas Film Group; durata: 110’
Una ragazza anoressica, figlia di romeni immigrati in America, scappa dalla clinica
psichiatrica a Minneapolis, mentre la città è sconvolta da una serie di delitti a
catena. «In origine il film (soggetto Argento più T. E. D. Klein) s’intitolava L’enigma
di Aura, più adatto allo spunto poco sviluppato, purtroppo, della piccola anoressica.
Ma alla fine, quando scorrono i titoli di coda, corre un brivido sullo schermo alla
carrellata su scheletriche teen-ager danzanti per le strade di Minneapolis (“ne
muoiono a migliaia”) popolazione di zombie, che rifiutano un’identità sessuale
deformata e la mistica della maternità, all’origine, vedrete di ogni efferate delitto».
«Mentre giravo in America Due occhi diabolici, tre anni fa, scrissi un breve racconto
intitolato L’enigma di Aura. Poi, mano a mano è nata la sceneggiatura. Ma non
parla solo di amore: ci sono dentro la famiglia come luogo di disagio e malattia, il
tema dell’emarginazione, le capacità medianiche, i disturbi psichici…» (Argento).
ore 21.00
La sindrome di Stendhal (1996)
Regia: Dario Argento; soggetto: D. Argento, Franco Ferrini, ispirato al libro
omonimo di Graziella Margherini; sceneggiatura: D. Argento; fotografia: Giuseppe
Rotunno; musica: Ennio Morricone; montaggio: Angelo Nicolini; interpreti: Asia
Argento, Thomas Kretschmann, Marco Leonardi, Luigi Diberti, Paolo Bonacelli,
Julien Lambroschini; origine: Italia; produzione: Cine 2000, Medusa Film; durata:
119’
«È bellissima l’intuizione del soggetto, firmato da Dario Argento e Franco Ferrini:
una specie di fermentazione diabolica dell’interessante e poco frequentato saggio di
Graziella Magherini [...] che esplora in tutte le sue connessioni il quadro clinico
della cosiddetta “sindrome di Stendhal”. […] Lo stordimento provocato dall’arte –
soprattutto in relazione agli episodi di sofferenza mentale riscontrati nei turisti
moderni, così in balia di emozioni precarie ed irregolari – è un geniale pretesto per
l’atteso ritorno di Argento, cineasta prestidigitatore di inconsci [...] a lungo
snobbato dalla mezzacultura cineclubistica» (Caprara). «I colori della paura. Il
rosso e nero. E l’Argento. Ossia: Stendhal (e non solo come “sindrome”) e l’arte,
l’arte come vertigine estetica (estatica), la vertigine come provocazione
cinematografica, il cinema come manifestazione del turbamento sensuale (e
spirituale), l’eros come devianza. La sindrome di Stendhal – un ritorno alla classicità
dopo la fase gore – è un’opera auto-riflessiva, minimalista e, in un certo senso,
teorica. L’assassino è subito svelato, la suspense azzerata ai minimi termini, la
densità d’orrore lungi dall’accumularsi spasmodicamente. [...] Mai come ne La
sindrome, Argento riflette sui meccanismi del cinema come arte della
rappresentazione» (Fabio Bo).
mercoledì 8
ore 17.00
Il fantasma dell’opera (1998)
Regia: Dario Argento; soggetto: dal romanzo omonimo di Gaston Leroux;
sceneggiatura: D. Argento, Gérard Brach; fotografia: Ronnie Taylor; musica: Ennio
Morricone; montaggio: Anna Napoli; interpreti: Julian Sands, Asia Argento, Andrea
Di Stefano, Nadia Rinaldi, Coralina Cataldi Tassoni, István Bubik; origine: Italia;
produzione: Cine 2000, Medusa Film, Reteitalia, in collaborazione con Focus Film,
Tele+; durata: 106’
«Come ognun sa la storia è quella dell’amore folle del Fantasma, salvato dalle
acque da una tribù di topi e cresciuto nei sotterranei del teatro lirico di Parigi, per la
giovane cantante Christine: amore deluso e tradito, che produce nel Fantasma un
furore vendicativo e omicida. Ma l’Argento postmoderno si limita a usare la trama
come riferimento, citandola, sottintendendola quasi, per concentrarsi sulla
proliferazione visiva che l’occasione gli offre» (Nepoti). «Il film è una storia d’amore
nera, con Christine divisa tra il richiamo e il cupo del Fantasma e il rapporto
rassicurante con il giovane barone. Sono contento di aver recuperato un altro
elemento, l’ironia, è grottesco l’ambiente dell’opera o la vicenda della soprano
Nadia Rinaldi. C’era ironia nei miei primi film, fino al ’74/’75, e poi l’ho persa, le
storie sono diventate più furiose, incanaglite. In quegli anni guardandosi intorno
c’era ben poco da ridere, ma mi dispiaceva, perché a me piace molto ridere»
(Argento).
ore 19.00
Nonhosonno (2001)
Regia: Dario Argento; soggetto: D. Argento, Franco Ferrini; sceneggiatura: D.
Argento, Franco Ferrini, con la collaborazione di Carlo Lucarelli; fotografia: Ronnie
Taylor; musica: Goblin; montaggio: Anna Napoli; interpreti: Max Von Sydow,
Stefano Dionisi, Chiara Caselli, Gabriele Lavia, Paolo Maria Scalondro, Roberto
Zibetti; origine: Italia; produzione: Opera Film, Medusa Film, in collaborazione con
Tele+; durata: 117’
«Stefano Dionisi, tormentato dalla morte della madre proprio come l’alter ego
romanzesco del geniale giallista Ellroy, s’allea con l’insonne e smemorato
commissario in pensione Max Von Sydow per scavare nei labirinti del male,
ricomporre le tessere del mistero e inchiodare l’assassino tornato furiosamente
all’opera. Le stravaganti incongruenze drammaturgiche diventano così peculiarità
espressiva, astrazione iconografica o, meglio, vere e proprie amnesie che
s’incastonano in un’abissale sinfonia del crimine in cui contano infinitamente di più
le carrellate acrobatiche, la decapitazione di un cigno, il rantolo di un asmatico,
l’incubo antico dell’annegamento...» (Caprara). «In Non ho sonno viene
rappresentato questo contrasto tra il giovane, calcolato e razionale, e il vecchio,
pensieroso e pieno di fantasia; l’anziano commissario, diversamente dal più giovane
collega, esamina attentamente anche le contraddizioni del linguaggio, i molti segnali
lasciati inavvertitamente dall’assassino. Non ho sonno è così la storia di una doppia
indagine che viaggia in parallelo» (Argento).
ore 21.00
Il cartaio (2004)
Regia: Dario Argento; soggetto e sceneggiatura: D. Argento, Franco Ferrini;
fotografia: Benoit Debie; musica: Claudio Simonetti; montaggio: Walter Fasano;
interpreti: Stefania Rocca, Liam Cunningham, Silvio Muccino, Adalberto Maria
Merli, Claudio Santamaria, Fiore Argento; origine: Italia; produzione: Opera Film,
Medusa Film; durata: 106’
«Il cartaio è il film più riuscito di Argento da anni. Anche se gli sviluppi sono spesso
illogici e i caratteri piuttosto convenzionali, tiene bene l’idea del maniaco misterioso
che sfida la polizia a partite di videopoker aventi per posta la vita o la morte della
sequestrata di turno. Vincente e convincente è l’atmosfera del film, scandito su ritmi
tanto tradizionali quanto infallibili» (Kezich). «L’idea è nata durante un soggiorno a
Londra, prima che girassi Nonhosonno. Stavo pensando ad alcune storie da girare
per la televisione. Tra i soggetti che mi erano venuti in mente c’era quello di un
assassino che si divertiva a sfidare la polizia. All’inizio era un breve racconto, poi è
man mano cresciuto. L’ho arricchito di altre idee e altre situazioni e così ho pensato
di sfruttarlo per il cinema. Il cartaio volevo intenderlo come una prosecuzione dello
stile di Nonhosonno. Poi, scrivendolo, ho capito che non poteva discendere dal
precedente. Era troppo diverso, più contemporaneo, molto nervoso, eccitato. Non si
apparenta per niente ai miei film precedenti» (Argento).
giovedì 9
ore 17.00
Suspiria (replica)
ore 19.00
Inferno (replica)
ore 21.00
La terza madre (2007)
Regia: Dario Argento; soggetto: D. Argento; sceneggiatura: D. Argento, Jace
Anderson, Adam Gierasch, Walter Fasano, Simona Simonetti; fotografia: Frederic
Fasano; musica: Claudio Simonetti; montaggio: Walter Fasano; interpreti: Asia
Argento, Cristian Solimeno, Adam James, Moran Antias, Valeria Cavalli, Philippe
Leroy; origine: Italia; produzione: Opera Film, Medusa Film, in collaborazione con
Sky, Myriad Pictures; durata: 95’
«La scena si apre sul cimitero di Viterbo, su uno scavo, sul ritrovamento di una
antica tomba e di un’urna. Un prete, una studiosa, una giovane ricercatrice (SarahAsia Argento), pagheranno ovviamente per la loro curiosità. A fare le spese del
dissotterramento però non sono solo singoli, ma un’intera città, Roma,
improvvisamente invasa da un nugolo di streghe pronte a far capitolare la caput
mundi per la seconda volta. Questa la scarna, ma rigorosa trama de La terza madre.
Gli elementi che gli appassionati del genere horror amano, ci sono tutti o quasi,
enfatizzati dalla musica (anche questa scontata, nel miglior senso del termine.
Firmata Simonetti). Elementi a cui Argento aggiunge – coadiuvato pesantemente da
due giovani sceneggiatori americani del genere zombie – una quantità insolita e
appetitosa di morti splatter (alcune magistralmente realizzate negli effetti dal solito
Stivaletti), un coté stregonesco a tinte darkpunk (la cosa meno riuscita del film,
peccato), la scelta di una Roma più gotica che barocca, truculenta quanto
tristemente verosimile nella sua violenza che le streghe diffondono come peste»
(Roberta Ronconi).
Per gentile concessione di Medusa Film - Ingresso gratuito
venerdì 10
ore 17.00
L’uccello dalle piume di cristallo (replica)
ore 18.45
Profondo rosso (replica)
Proiezione speciale: L’avvocato De Gregorio
ore 21.00
Incontro con Pasquale Squitieri
a seguire
L’avvocato De Gregorio (2003)
Regia: Pasquale Squitieri; soggetto e sceneggiatura: P. Squitieri; fotografia: Giuseppe
Tinelli; musica: Luigi Ceccarelli; montaggio: Gianluca Quartu; interpreti: Giorgio
Albertazzi, Ciro Capano, Anna Tognetti, Gabriele Ferzetti, Peppe De Rosa, Massimo
De Matteo; origine: Italia; produzione: Cosmopoli Corporation, Rai Cinemafiction;
durata: 107’
«Ruolo maiuscolo per Giorgio Albertazzi diretto da Pasquale Squitieri, un regista
che con le maiuscole va a nozze. L’avvocato De Gregorio è un relitto del Foro
napoletano che risale la china battendosi ostinatamente per far luce su un oscuro
incidente sul lavoro. Grandangoli, dettagli sgradevoli, tirate all’antica: Squitieri non
si nega nulla. Ma l’impeto e l’urgenza di questa requisitoria populista testimoniano
un disagio e una ribellione insoliti» (Ferzetti). «Un avvocato che rimarrà immortale:
De Gregorio-Albertazzi» (Caroli).
Serata a inviti
11-12 ottobre
Albasuite - Nove documentari sulla cultura arbëreshë
La rassegna Albasuite, nata da un progetto di Eleonora Cordaro e Salvo Cuccia, vuole
essere una testimonianza sulla cultura arbëreshë in Italia. «In Albasuite», spiega
Cuccia, «ho coinvolto altri nove registi (Guido Chiesa, Enzo Mercuri, Fatmir Koci,
Rosita Bonanno, Emma Rossi-Landi, Marco Bertozzi, Mario Balsamo, Rossella
Schillaci, Antonio Bellia) e ho chiesto loro di realizzare il proprio lavoro in piena
libertà: nell’arco di un anno abbiamo realizzato nove documentari. Il concetto di serie
viene annullato nell’accezione odierna, in cui tutto è standard, format. Qui la regola è
la libertà di espressione, la diversità dei linguaggi, sia per quanto riguarda i contenuti
che le modalità, le forme. La cosa che accomuna questi documentari è il racconto di
queste antiche popolazioni, le loro forme religiose, le musiche e i canti, la lingua e la
cultura. Vi è anche una sintesi dei concetti di migrazione e di trasformazione.
Albasuite è un’indagine sui linguaggi e di ciò che cresce tra i cineasti che prediligono
la forma del documentario. È il sud che parla, è il sud che fa sentire la sua voce,
questa volta in una lingua antica: l’Arbëresh!». Albasuite, finanziato dal Ministero
per gli Affari Regionali, dalla Regione Sicilia, dal Comune di Piana degli Albanesi e
da Palomar-Endemol, è dedicata agli italo-albanesi, che, spinti dalla pressione turca,
tra il 1400 e il 1700 lasciarono l’Arbëria e si stabilirono nell’Italia meridionale, tra
Sicilia, Calabria, Puglia, Basilicata e Molise. Albasuite è un viaggio tra una cultura e
una lingua antiche e, insieme, un’esplorazione dei linguaggi, straordinariamente
ricchi, del cinema del reale italiano.
Proiezioni a ingresso gratuito
sabato 11
ore 17.00
Sangue sperso (2007)
Regia: Rosita Bonanno; fotografia: Fabrizio Profeta; musica: Caterina Clesceri;
montaggio: Valentina Cesari; origine: Italia; produzione: Nicola Sofri per Palomar;
durata: 52’
Caterina fa la guida al museo di un paesino in provincia di Palermo, Piana degli
Albanesi, ed è una pianista e cantante folk. Ama la storia delle origini del suo paese
e degli arbëresh, gli albanesi d’Italia, giunti in Sicilia tra la fine del XV e l’inizio del
XVI secolo, e si adopera per mantenerne vive le tradizioni. Quando aveva vent’anni
Caterina restò incantata dai racconti di un uomo albanese che da qualche giorno si
rifugiava in paese. Un eroe che, proprio come Giorgio Skanderbeg, aveva lottato per
la libertà dell’Albania. Poco prima di lasciare Piana degli Albanesi quell’uomo notò
lo sguardo curioso di Caterina e vissero un unico momento d’intimità prima che lui
continuasse a fuggire. Sarebbe stato per sempre un romantico e trasgressivo segreto
se non fosse successo quello che avrebbe potuto accadere ma che non sempre
accade. Caterina e Ilir avevano concepito un bambino. Cosa succede ad una ragazza
di provincia, in Sicilia, che a vent’anni concepisce un figlio con uno sconosciuto e
fuggiasco?
ore 18.00
Vjesh/Canto (2007)
Regia: Rossella Schillaci; immagini: Sonia Antonini, R. Schillaci; montaggio: Marta
Zen; origine: Italia; produzione: Nicola Sofri per Palomar; durata: 57’
Basilicata. Le donne di San Costantino e San Paolo Albanese cantano con la loro
voce acuta e lacerata. Cantano gli antichi vjeshet, tramandati da madre in figlia, che
raccontano la fuga degli albanesi rifugiatisi nell’Italia meridionale cinque secoli fa.
Ma sono anche sfoghi di donne, che per alleviare la fatica del lavoro nei campi
“gettavano” canti da una collina all’altra. Il documentario mostra la vita in questi
due paesi, il rapporto tra individui e tradizioni, alcune ancora sentite e tramandate,
altre subite ed odiate. Storie di donne coraggiose ed ironiche, storie di emigrazioni e
di ritorni raccontate nello spazio di un’estate, attraverso incontri semplici e
quotidiani che svelano i ricordi, le gioie e le durezze della vita di ognuna di loro.
ore 19.00
Il senso degli altri (2007)
Regia: Marco Bertozzi; immagini: M. Bertozzi, Alfredo Betrò; musica: Piero
Messina; animazione: Simone Massi; montaggio: Desideria Rayner; origine: Italia;
produzione: Nicola Sofri per Palomar; durata: 58’
«Da quando penso al film, inspiegabili apparizioni arbëreshë si materializzano in
luoghi lontani dalle regioni del Sud. A casa di un’amica di San Marino incontro il
figlio di un maestro arbëreshë della Puglia (avevo conosciuto suo padre in un
vecchio documentario); a Bolzano conosco uno scrittore italo-albanese che mi parla
del suo ultimo romanzo sull’abbandono e sul ritorno; a Rimini alcuni attori mi
raccontano di un loro eccezionale allievo calabro-albanese, con cui vogliono fare un
film. Scopro che Pasolini, prima di morire, aveva incontrato un Papas arbëreshë e
profetizzato il loro futuro… Forse, per capirci qualcosa, devo ripartire dall’Albania
di oggi, dalla memoria a pezzi di una comune, più antica, storia» (Bertozzi).
ore 20.30
Incontro con Mario Balsamo, Antonio Bellia, Marco Bertozzi, Guido Chiesa,
Salvo Cuccia, Emma Rossi-Landi, Rossella Schillaci
a seguire
Rockarbëresh (2007)
Regia: Salvo Cuccia; soggetto e sceneggiatura: S. Cuccia; fotografia: Alfredo Betrò;
musica: Pappi Marriti Band, Spasulati Band; montaggio: Benni Atria; origine: Italia;
produzione: Eleonora Cordaro e Nicola Sofri per Palomar; durata: 56’
Alla fine del Medioevo, alcuni albanesi lasciarono la loro terra per stabilirsi nel Sud
Italia, tra la Sicilia, la Calabria, la Puglia, la Basilicata e il Molise. Poi, 500 anni fa,
ne arrivarono altri tre milioni per sfuggire alla persecuzione ottomana. A queste
onde migratorie ne sono seguite molte altre. Oggi le comunità arbëreshë, benché
abbiano cercato sempre di mantenere la propria identità di albanesi, hanno acquisito
un dialetto influenzato dalla lingua italiana. Oggi, in Calabria, ci sono due gruppi
musicali, la Peppa Marriti Band e la Spasulati Band, che tentano di conservare la
lingua arbëreshë e i canti tradizionali della loro terra natìa.
domenica 12
ore 17.00
La nostra chiesa (2007)
Regia: Guido Chiesa, Enzo Mercuri; fotografia: Pino Iannelli; montaggio: Benni
Atria, Stefano Cravero; origine: Italia; produzione: Nicola Sofri per Palomar; durata:
50’
L’identità arbëreshë si declina in alcuni tratti forti: la provenienza etnica, la lingua,
le tradizioni, il rito religioso d’origine greco-bizantina. Proprio nelle celebrazioni
religiose l’identità arbëreshë trova un legame profondo che permette alla comunità
di identificarsi attorno a un evento collettivo e condiviso. In realtà, la vicenda del
rito greco-ortodosso nelle comunità arbëreshë è tutt’altro che lineare e omogenea.
Partendo da tre paesi della provincia di Cosenza (San Demetrio Corone, Spezzano
Albanese, Falconara Albanese), tre situazioni diverse eppure legate tra di loro da un
invisibile filo identitario, parte il nostro viaggio dentro la religione degli arbëresh, la
sua storia e la sua realtà odierna.
ore 18.00
Storie arbëreshë (2007)
Regia: Mario Balsamo; fotografia: Alfredo Betrò; montaggio: Ilaria Fraioli; origine:
Italia; produzione: Nicola Sofri per Palomar; durata: 52’
Per raccontare cosa significhi “arbëresh” oggi si parte dalla banda di Mezzojuso, a
forte tasso di professionalità e dotata delle fascinazioni che hanno da noi tali
complessi musiciali, proseguendo con scene quotidiane riprese a Piana degli
Albanesi: personaggi che raccontano le loro storie di vita difficile, in un luogo
povero e inospitale; le scuole elementari dove i bambini imparano la lingua
arbëreshë che, ancor oggi, è la prima lingua parlata in paese; un prete di rito grecobizantino che spiega alle figlie i connotati di questa forma di religiosità cristiana… Il
ritmo del documentario alterna momenti serrati ai tempi lenti della vita di paese, in
una Sicilia che mischia indissolubilmente il presente con il passato.
ore 19.00
La favola perduta (2007)
Regia: Antonio Bellia; fotografia: Alessandro Abate; musica: Giuseppe Lo Meo,
Stefano Cogolo, Marco Ariano; montaggio: Giuseppe Gamberini; origine: Italia;
produzione: Nicola Sofri per Palomar; durata: 52’
Ad Ururi, un piccolo paese di origine albanese del Molise, la lingua arbëreshë si sta
perdendo. Le nuove generazioni non sembrano più attratte dalla propria storia e non
parlano più la lingua madre. Uno sparuto gruppo di abitanti cerca in ogni modo di
risvegliare l’interesse dei giovani nei confronti della cultura arbëreshë e di non
lasciar cadere nell’oblio la lingua. Una classe di scuola elementare fa un corso sulle
favole arbëreshë, un signore in pensione dedica il suo tempo a fare un giornalino in
lingua madre e l’amministrazione comunale si mobilita per organizzare la prima
festa arbëreshë del paese…
ore 20.00
Via mare Adriatico (2007)
Regia: Fatmir Koci; soggetto e sceneggiatura: F. Koci; fotografia: Alfredo Betrò;
montaggio: Benni Atria; produttori: Eleonora Cordaro e Nicola Sofri per Palomar;
durata: 52’
Il documentario si snoda tra passato e presente, attraverso un’investigazione ed
un’analisi della cultura e della storia arbëreshë. Partendo dall’Albania di oggi, e
dalle ricerche negli archivi di Tirana di documenti e materiali di repertorio che ci
mostrano quali erano le percezioni delle comunità italiane nell’antica patria, il
viaggio ci porta nei paesi arbëreshë siciliani, dove l’occhio di un regista albanese
affronta da una diversa prospettiva cosa è avvenuto in Sicilia agli arbëresh 500 anni
dopo: dove sono, quanti sono, cosa fanno? Come vivono, cosa pensano, sono
cambiati? Nell’incontro con i giovani di Piana degli Albanesi vengono indagati i
problemi dell’identità della comunità e del matenimento di tradizioni e legami con
l’Albania di oggi.
ore 21.00
La canzone di Vaccarizzo (2007)
Regia: Emma Rossi-Landi; fotografia: Walter Romeo; musica: Anton Giulio Priolo;
montaggio: E. Rossi-Landi, Silvia Natale; origine: Italia; produzione: Nicola Sofri
per Palomar; durata: 58’
Vaccarizzo è un paese arbëreshë di mille anime alle pendici della Sila dove il
mantenimento delle tradizioni è costretto a confrontarsi con logiche di omologazione
e profitto. Molte famiglie non hanno più interesse ad insegnare l’antico dialetto ai
figli e la lingua, i riti e le tradizioni sono visti come sinonimo di arretratezza. In
questo contesto i giovani rappresentano il ponte tra 500 anni di vita da esuli ed un
futuro nuovo in cui il mantenimento delle tradizioni va assumendo nuove forme. La
scuola media di Vaccarizzo, dove al normale piano di studi si accostano diverse
attività dirette al mantenimento della cultura locale, rappresenta il microcosmo
ideale per descrivere aspirazioni ed aspettative dei giovani del paese che, a cavallo
tra infanzia e pubertà, rispecchiano lo stato d’animo di una comunità a cavallo tra
l’antico ed il moderno.
lunedì 13
chiuso
14-19 ottobre
Questi fantasmi: Cinema italiano ritrovato (1946-1975)
La retrospettiva Questi fantasmi: Cinema italiano ritrovato (1946-1975), che ha
riscosso un grandissimo successo alla 65ª Mostra Internazionale d’Arte
Cinematografica di Venezia, giunge finalmente a Roma, al Cinema Trevi, in una
ricca e stimolante selezione. La retrospettiva, realizzata dalla Mostra in coproduzione con il Centro Sperimentale di Cinematografia-Cineteca Nazionale e
curata da Tatti Sanguineti e Sergio Toffetti, è imperniata su una trentina di opere (al
Cinema Trevi ne saranno proposte 18) del trentennio più fiammeggiante della storia
del nostro cinema: gli anni tra il 1946 e il 1975. Da cineteche e archivi continuano
infatti a uscire titoli, film, trame, autori che i giornali dell’epoca – abbagliati dalla
ricchezza produttiva del più bel cinema del mondo – confinavano nelle recensioni
senza firma del Vice; titoli rimasti a lungo puri nomi nelle filmografie o recuperati
nella visione notturna di un palinsesto, ma in genere trascurati dalle storie del cinema,
anche le più attente alle riscritture del cinema italiano.
Questi fantasmi ci mostrano un cinema che scorre lungo due linee strettamente
intersecate: la capacità di riflettere in diretta le storie e le cronache dell’Italia che
cambia, dal dopoguerra al miracolo economico, alle contraddizioni sociali dello
sviluppo, e la grande libertà di espressione lasciata a cineasti, spesso stretti tra i
maestri e i mestieranti, che oggi ci appaiono come una vera e propria “nouvelle vague
all’italiana”. Fra i numerosi titoli da riscoprire si segnalano in primo luogo gli
“antineorealisti”: film che usano il melodramma per incidere nella realtà storica e
sociale del dopoguerra come Un uomo ritorna di Max Neufeld, con Anna Magnani
che in un’aula di tribunale chiede la pena di morte per il fascista che ha ammazzato
suo figlio, e La città dolente di Mario Bonnard, che mette in scena l’esodo dei
profughi dall’Istria dopo il passaggio delle loro terre alla Jugoslavia. L’Italia del
dopoguerra è ancora la protagonista nel “noir” Una lettera all’alba, con Fosco
Giachetti barone della cocaina in una Milano nera tratteggiata da Giorgio Bianchi
come una dura e fredda metropoli americana, e nello straordinario “film sulle rovine”
Il cielo è rosso, diretto da Claudio Gora e tratto dal romanzo di Giuseppe Berto. Di
Luigi Zampa sono stati selezionati Anni difficili, amaro apologo sull’Italia dei
voltagabbana tra fascismo e antifascismo, e Processo alla città, ricostruzione di un
caso di camorra nella Napoli belle époque, attualissimo dopo Gomorra. La donna del
giorno di Maselli, straordinario esordio da protagonista di una bellissima Virna Lisi,
ci porta nel mondo della moda anticipando l’Italia del boom, raccontata ne La bella di
Lodi di Mario Missiroli, tratto dal romanzo di Alberto Arbasino, mentre ne La
cuccagna Luciano Salce sceglie il cantautore Luigi Tenco, nel suo unico film da
protagonista, per rappresentare “quelli che non ce la faranno mai”. L’Italia degli
operai milanesi pendolari di Pelle viva di Giuseppe Fina, con Elsa Martinelli nei
panni di un’immigrata pugliese; e quella di chi, come Enrico Maria Salerno, cerca in
America un nuovo “miracolo” in Smog di Franco Rossi. Prima del ’68, qui raccontato
attraverso due film “eccentrici”, come il capolavoro di Carmelo Bene Nostra signora
dei turchi, di cui la Cineteca Nazionale ha realizzato una versione lunga reintegrando
le scene tagliate, premiato a Venezia nel 1968, e Toh, è morta la nonna!,
divertissement di Mario Monicelli sullo spirito della contestazione.
A completare la rassegna uno “special Fellini” che comprende Lo sceicco bianco, che
verrà presentato con 20 minuti di scene tagliate appena ritrovate dalla Cineteca
Nazionale, che costituiscono un vero “scoop filologico” su uno dei nostri maggiori
cineasti, e il “criptodocumentario” di Gianfranco Angelucci e Liliana Betti E il
Casanova di Fellini?, nel quale grandi attori si sottopongono a un provino per la parte
di Casanova: Mastroianni, Tognazzi, Gassman, Alain Cuny e un esilarante Alberto
Sordi tutto compreso nella parte.
martedì 14
ore 17.00
Una lettera all’alba (1948)
Regia: Giorgio Bianchi; soggetto e sceneggiatura: Aldo De Benedetti; fotografia:
Vaclav Vich, Augusto Tiezzi; musica: Renzo Rossellini; montaggio: Gabriele
Varriale; interpreti: Fosco Giachetti, Jacques Sernas, Lea Padovani, Olga Villi,
Tatiana Pavlova, Vittorio Manipoli; origine: Italia; produzione: Giuseppe Amato;
durata: 98’
Carlo scopre di avere un figlio adolescente solo quando la madre del ragazzo, con
cui aveva avuto una relazione, glielo affida prima di morire. Il ragazzo è un piccolo
spacciatore di cocaina. Per farlo smettere Carlo ordina alla contessa, che rifornisce
il giovane Mario, di non dargli più nulla. Quando la donna viene trovata morta,
Mario è subito accusato dell’omicidio. Il padre cerca di provare la sua innocenza.
«Giorgio Bianchi ci dà con questo lavoro, che sta tra il giallo e il tipo Gioventù
perduta, una buona prova delle sue capacità, aiutato anche da un buon soggetto e
dalla abile sceneggiatura di Aldo De Benedetti» (Nati).
Versione restaurata dalla Cineteca Nazionale
ore 18.45
Lo sceicco bianco (1952)
Regia: Federico Fellini; soggetto: Michelangelo Antonioni, F. Fellini, Tullio Pinelli;
sceneggiatura: F. Fellini, T. Pinelli, Ennio Flaiano; fotografia: Arturo Gallea; musica:
Nino Rota; montaggio: Rolando Benedetti; interpreti: Alberto Sordi, Brunella Bovo,
Leopoldo Trieste, Giulietta Masina, Lilia Landi, Ernesto Almirante; origine: Italia;
produzione: P.D.C.; durata: 86’
Ivan e Wanda sono due novelli sposi in viaggio di nozze a Roma. Il denso
programma del viaggio, che prevede anche un’udienza papale con i parenti romani,
viene disatteso da Wanda. La giovane e ingenua sposina, infatti, lascia il marito
addormentato in albergo e va alla ricerca della redazione del suo giornale a fumetti
preferito. Qui conosce il suo idolo, lo Sceicco bianco, che cerca in maniera goffa di
sedurre, senza riuscirci, la sua giovane fan. Wanda resterà delusa a contatto con la
meschinità e la pochezza del mondo che tanto l’aveva fatta sognare. «[Sordi] era
bravissimo, lo conoscevo da prima della guerra, quando faceva il varietà e le riviste.
Certo non era ancora popolare come lo è diventato dopo Lo sceicco bianco
malgrado l’insuccesso del film che venne anche attribuito alla poca simpatia di cui
Sordi godeva presso il pubblico di cinema. Ma era bravissimo» (Fellini).
Versione restaurata gentilmente concessa da Mediaset Cinema Forever - Ingresso gratuito
a seguire
Lo sceicco ritrovato. Tagli, doppie versioni e sequenze inedite de Lo sceicco
bianco (2008)
A cura di Fulvio Baglivi, Stefano Landini e Moraldo Rossi
Due rulli di materiali inediti de Lo sceicco bianco di Federico Fellini sono stati
ritrovati dalla Cineteca Nazionale. Il contenuto, identificato da Sergio Toffetti e
Fulvio Baglivi, comprende circa 20’ di tagli di montaggio, doppie versioni e
sequenze inedite complete di dissolvenze e missaggio audio, tanto da far pensare che
Fellini abbia preparato un primo montaggio più lungo e sia stato incerto fino
all’ultimo sulle soluzioni da scegliere per la versione definitiva.
Queste “varianti” del primo film interamente diretto da Fellini nel 1952 consentono
dunque oggi di gettare uno sguardo dentro l’“officina creativa” del regista, rendono
più chiare le motivazioni delle scelte definitive, e mettono in evidenza come fin
dall’inizio Fellini elabori situazioni e abbozzi di personaggi che verranno poi
sviluppati in seguito.
Tra le sequenze tagliate, particolarmente interessante risulta, all’arrivo in albergo
della coppia di sposi in luna di miele a Roma (Brunella Bovo e Leopoldo Trieste), la
scena in cui la moglie ha la visione di due donne in costume orientale e velate che,
come ha subito notato Tullio Kezich dopo aver visionato i materiali, Fellini
riprenderà in Giulietta degli spiriti.
Molto interessanti per lo sviluppo dei personaggi sono le “versioni lunghe” di alcune
scene, e in particolar modo:
- i gesti d’affetto di Leopoldo Trieste verso la moglie nella stanza d’albergo, che
verranno poi esclusi nell’edizione definitiva.
- l’incontro dello sposo con i parenti e soprattutto la scena in cui Trieste è a teatro
con tutti familiari, soltanto accennata nella versione finale del film; e il pranzo con la
declamazione dei versi della Divina Commedia.
- il colloquio della Bovo nella redazione del fotoromanzo e il successivo viaggio
verso il set sulla spiaggia.
Straordinarie le doppie versioni, cioè le sequenze complete che nel film sono state
sostituite integralmente, e in particolar modo:
- la celeberrima scena tra Alberto Sordi e Brunella Bovo sulla barca, di cui è stata
ritrovata una versione dove Sordi, lasciato molto più libero da Fellini, accentua gli
elementi comici del personaggio con battute improvvisate, mentre un colpo di vento
gli sbatte la vela sulla testa facendolo cadere.
- il personaggio di Giulietta Masina che già anticipa Cabiria nella scena di notte in
cui terrorizza lo spaesato Trieste mentre mostra a due prostitute le foto di sua
moglie.
I materiali ritrovati, infine, mostrano che Fellini aveva girato in modo molto più
completo la “notte brava” di Leopoldo Trieste, mettendone in scena il risveglio nel
letto della prostituta e la fuga imbarazzata dai familiari di lei che insistono per
offrirgli il caffè, in un accenno di sarabanda che di nuovo anticipa alcune soluzioni
narrative che diverranno tipicamente “felliniane”.
Lo sceicco ritrovato comprende, inoltre, una testimonianza di Moraldo Rossi,
segretario di edizione per Lo sceicco bianco e stretto collaboratore di Fellini nei
primi film del regista riminese.
ore 21.00
Incontro con Gianfranco Angelucci e Sergio Toffetti
a seguire
Federico Fellini, tre spot per la Banca di Roma (1992)
Regia: Federico Fellini; fotografia: Giuseppe Rotunno; musica: Nicola Piovani;
montaggio: Nino Baragli; interpreti: Paolo Villaggio, Fernando Rey, Anna Falchi,
Ellen Rossi Stuart; origine: Italia; produzione: Film Master; durata: 6’
Per la terza volta nella sua carriera, Fellini si concede al mondo pubblicitario,
realizzando tre spot per la Banca di Roma. In essi l’alter ego felliniano è Paolo
Villaggio, angosciato da incubi terribili. Sarà lo psicanalista, interpretato da
Fernando Rey, a tranquillizzarlo e ad avvicinarlo alla solidità ed affidabilità della
Banca di Roma al fine di dormire sonni tranquilli.
La versione degli spot qui presentata è frutto del ritrovamento, presso l’Archivio
Cinema d’Impresa di Ivrea, di alcuni nastri magnetici con la voce di Fellini,
registrata durante le riprese. La sua voce s’intreccia come un’eco al sonoro degli
spot.
Ingresso gratuito
a seguire
E il Casanova di Fellini? (1975)
Regia: Gianfranco Angelucci e Liliana Betti; fotografia: Giuseppe Rotunno; musica:
Nino Rota; montaggio: Maurizio Tedesco; interpreti: Federico Fellini (voce), Olimpia
Carlisi, Vittorio Gassman, Ugo Tognazzi, Marcello Mastroianni, Alberto Sordi;
origine: Italia; produzione: Cinemoon; durata: 75’
In una pausa della lavorazione de Il Casanova di Federico Fellini, Olimpia Carlisi,
nel ruolo dell’intervistatrice, chiede ad attori e studiosi di varie discipline la loro
opinione sul seduttore italiano per eccellenza. «Fellini ha concepito Casanova, cioè
a dire lo respira, lo vive, lo sente come l’estrema esemplificazione di una non
esistenza: di nuovo un connotato precipuo del personaggio, questa sua non esistenza,
va a combaciare o a gravitare in quell’altra ben più peculiare inesistenza, quella
dell’artista-specchio, spugna, zombi, che la prima dovrebbe recepire ed
espressivamente organizzare» (Angelucci - Betti).
Versione ristampata dalla Cineteca Nazionale in collaborazione con Rai Teche - Ingresso
gratuito
mercoledì 15
ore 16.30
Nel blu dipinto di blu (Volare) (1959)
Regia: Piero Tellini; soggetto: P. Tellini; sceneggiatura: Cesare Zavattini, P. Tellini,
Ettore Scola; fotografia: Gianni Di Venanzo; montaggio: Gisa Radicchi Levi; musica:
Mario Nascimbene; interpreti: Domenico Modugno, Giovanna Ralli, Vittorio De
Sica, Arianna, Franco Migliacci, Carlo Taranto; produzione: D.D.L., Cineproduzioni
Astoria; durata: 104’
Uno scanzonato giovanotto siciliano viene accusato di complicità per un furto in una
gioielleria, ma viene scagionato da una ragazza che nutre simpatia per lui. Tutto ciò
provoca la gelosia di un’altra fanciulla innamorata di lui, ma dopo ripicche,
malintesi e discussioni tutto si accomoda. «A dispetto del titolo, un melodramma più
che un film con musiche [...]. E a fianco degli sceneggiatori Scola e Tellini si sente la
presenza di Zavattini con la sua voglia di raccontare un’umanità dolceamara che
vive ai margini della legalità e per tirare avanti si adatta a stare con mani e piedi nel
gesso per fare da modello alle statue dei santi» (Mereghetti).
Versione restaurata dalla Cineteca Nazionale
ore 18.20
Tutto è musica (1963)
Regia: Domenico Modugno; soggetto e sceneggiatura: D. Modugno, Franco
Migliacci, Tonino Valerii; fotografia: Gabor Pogany; montaggio: Roberto Cinquini;
musica: D. Modugno; interpreti: D. Modugno, Edra Gale, Giustino Durano, Franco
Franchi, Ciccio Ingrassia, Paolo Bergamaschi; origine: Italia; produzione: Emme
Film; durata: 95’
Unico film da regista di Domenico Modugno, Tutto è musica, ricostruisce in forma
romanzata la storia dei suoi esordi e dei suoi successi attraverso la
drammatizzazione delle canzoni che lo hanno reso famoso. Modugno «si butta a
capofitto in un film al quale pensava da qualche tempo. Un film tutto suo,
sceneggiatura [...], interpretazione e regia. Lo intitola Tutto è musica, spiegando che
il rumore di un martello pneumatico, il getto di una fontana, lo sfrigolio di una
saldatrice, tutto è musica» (Giancarlo Governi, Leoncarlo Settimelli).
ore 20.00
Orfeo 9, un musical di culto
Orfeo 9 la prima opera rock italiana e la prima mai rappresentata al mondo (Roma,
Teatro Sistina, 23 gennaio 1970), composta da Tito Schipa Jr. e interpretata
dall'autore insieme ad altri numerosi giovani talenti dell’epoca. Divenuto un doppio
album nel 1973, detiene oggi un record assoluto nella discografia: quello di essere
l'unico doppio italiano che per trent’anni non ha mai cessato di vendere e non è mai
uscito di catalogo nemmeno per un giorno, giungendo, al momento attuale, a otto
edizioni diverse tra Lp, Musicassette e Cd. La stampa specializzata l’ha recentemente
classificato fra i 100 eventi fondamentali del Rock italiano.
Girato per il settore sperimentale della Rai nel 1973, l’omonimo film fu trasmesso
solamente nel febbraio 1975, e in sordina. Più tardi fu distribuito brevemente nei
circuiti d’essai. Da allora, e a dispetto di ciò, quest’opera è da un lato uno dei prodotti
di spettacolo più amati dal pubblico, dall’altro uno degli esempi più clamorosi di
emarginazione e trascuratezza da parte delle strutture ufficiali e dei media, cui ha
potuto reagire grazie al sostegno costante dei suoi fedeli sostenitori, fino al riscatto
definitivo della presentazione alla Mostra del Cinema di Venezia del 2008. Nella
serata conclusiva il film, presentato dopo la premiazione, è stato salutato da una
standing ovation di dieci minuti, imponendosi come uno degli eventi della Mostra.
Orfeo 9 (1973)
Regia: Tito Schipa jr.; soggetto e sceneggiatuta: T. Schipa jr.; fotografia: Ivan
Stoinov; scenografia e costumi: Giovanni Agostinucci; musica: T. Schipa jr.; organo
solista e sitar: Joel Vandroogenbroeck; strumentazione e direttore d’orchestra: Bill
Conti; montaggio: Alfredo Muschietti; interpreti: T. Schipa jr., Renato Zero, Edoardo
Nevola, Monica Miguel, Chrystel Dane, Roberto Bonanni, Loredana Berté, Penny
Brown, Marco Piacente, Eva Axen; origine: Italia; produzione: Mount Street Film e
Eidoscope per Rai; durata: 84’
Un gruppo di ragazzi vive felice tra le rovine di un’antica chiesa sconsacrata,
lontano dalla città che detestano. Uno di loro, Orfeo, è chiuso nella sua solitudine.
Euridice risveglia il cuore assopito del giovane: i due s’innamorano all’istante. Un
oscuro personaggio ossessionato dalla felicità s’insinua però nella coppia separando
Orfeo dalla sua amata con un trucco diabolico. Il giovane si incammina così alla
ricerca di Euridice, in un tormentoso viaggio dentro e fuori di sé. «Questa favola ha
per vero protagonista un illusionista prodigioso, lo stesso che col suo gioco preciso ti
inganna ancora, ti tiene ancora distratto dalla più sublime delle visioni possibili: la
Realtà» (prologo Orfeo 9).
Tito Schipa jr. cresce tra l’America e l’Italia. La passione per ogni genere di
spettacolo musicale diventa il filo conduttore della sua vita. Lavora a fianco di De
Lullo, Menotti, Squarzina, Wertmüller. Nel 1969 scrive Orfeo 9, nel 1976 il suo
secondo musical, L’isola nella tempesta. La sua versione folk-rock del Don Pasquale
di Donizetti approda a Broadway (1983) prodotta da Joseph Papp. Cantautore,
autore di colonne sonore, regista di documentari, Schipa è anche ideatore di Virtual
Tosca, primo allestimento di un intero melodramma in animazione, in preparazione
da alcuni anni.
Copia gentilmente concessa da Rai Teche - Ingresso gratuito
a seguire
Incontro con Tito Schipa Jr.
a seguire
Orfeo 9 (replica)
Copia gentilmente concessa da Rai Teche - Ingresso gratuito
giovedì 16
ore 17.00
Un uomo ritorna (1946)
Regia: Max Neufeld; soggetto: Luigi Giacosi; sceneggiatura: Anton Giulio Majano,
Ivo Perilli, Umberto Del Giglio; fotografia: Giuseppe La Torre; musica: Carlo
Innocenzi; montaggio: Giuseppe Fatigati; interpreti: Gino Cervi, Anna Magnani,
Luisa Poselli, Felice Romano, Anna Maria Dossena, Ave Ninchi; origine: Italia;
produzione: Zeus Film; durata: 90’
Sergio è il direttore di una centrale elettrica, appassionato del suo lavoro e con una
serena vita familiare. Allo scoppio della seconda guerra mondiale deve abbandonare
tutto. Al suo ritorno, dopo una lunga prigionia, trova la centrale distrutta e la
famiglia divisa. Si reca a Roma per cercare di ricostruire la centrale e ritrovare due
dei suoi fratelli, uno dedito alla borsa nera, l’altra alla prostituzione. Torna dopo
cinquant’anni di oblio uno dei film più controversi e dolorosi della nostra storia
recente, interpretato da due grandi attori (Cervi e la Magnani), capaci di incarnare
appassionatamente le inquietudini e le lacerazioni del nostro dopoguerra. Un film
sulla fatica e il dolore del ritorno alla normalità dopo violenza, fame,
bombardamenti.
Versione restaurata da Cineteca Nazionale e Ripley’s Film
ore 18.45
Il cielo è rosso (1950)
Regia: Claudio Gora; soggetto: dal romanzo omonimo di Giuseppe Berto;
sceneggiatura: Leopoldo Trieste, Cesare Zavattini, Claudio Gora, Lamberto Giuseppe
Santilli; fotografia: Vaclav Vich; musica: Valentino Bucchi; montaggio: Giancarlo
Cappelli; interpreti: Marina Berti, Jacques Sernas, Mischa Auer jr., Anna Maria
Ferrero, Lauro Gazzolo, Liliana Tellini; produzione: Acta Film; durata: 98’
Durante la guerra il sedicenne Daniele perde i genitori in un bombardamento.
Rimasto solo tra le macerie si unisce a un gruppo di ragazzi sbandati come lui, il
ladruncolo Tullio, l’orfana Giulia e la prostituta Carla. «I personaggi di Giulia e
soprattutto di Carla, raccontati senza falsi moralismi e inutile manicheismo, sono
indimenticabili e il loro disperato bisogno di amore (tenera e impotente la prima,
volgare ma vitale la seconda) ne fa i simboli toccanti di un’umanità che non riesce a
illudersi in un domani migliore» (Mereghetti).
Versione restaurata dalla Cineteca Nazionale
ore 21.00
Incontro con Guido Crainz, Sergio Grmeik Germani, Sergio Toffetti, Lucio Toth
(Presidente nazionale dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia)
a seguire
La città dolente (1949)
Regia;: Mario Bonnard; soggetto: M. Bonnard; Sceneggiatura: Anton Giulio Majano,
Aldo De Benedetti, Federico Fellini, M. Bonnard; fotografia: Tonino Delli Colli;
musica: Giulio Bonnard; montaggio: Giulia Fontana; interpreti: Luigi Tosi, Barbara
Costanova, Gianni Rizzo, Elio Steiner, Gustavo Serena, Raimondo Van Riel; origine:
Italia; produzione: Istria Film, Scalera Film; durata: 106’
Alla fine della seconda guerra mondiale Pola e tutta l’Istria vengono assegnate alla
Jugoslavia. La maggior parte della cittadinanza italiana lascia la città per trasferirsi
in territorio italiano senza cedere alle lusinghe degli jugoslavi che invitano invece a
rimanere. Cade nella trappola Berto, un operaio, pensando di ricevere così dei
benefici. Ma ben presto si rende conto dell’errore. «Certo, facendone una
valutazione a posteriori, sembra incredibile che una tragedia italiana come l’Esodo
dalla Venezia Giulia sia stata trattata quasi in tempo reale in questo film del 1948 e
poi non sia più stata rappresentata, abbandonata completamente dal mondo del
cinema. Questo dimostra che La città dolente è stato un film per certi versi “eroico”
anche se ha pagato subito questo coraggio con una pellicola uscita in ritardo, mal
distribuita e quindi vista pochissimo» (Associazione Nazionale Venezia Giulia e
Dalmazia).
Versione restaurata da Cineteca Nazionale, Istituto Luce e Cineteca del Friuli - Ingresso
gratuito
venerdì 17
ore 17.00
La donna del giorno (1956)
di Francesco Maselli; soggetto: Franco Bemporad; sceneggiatura: F. Bemporad, F.
Maselli, Aggeo Savioli, Luigi Squarzina, Cesare Zavattini; fotografia: Armando
Nannuzzi; musica: Mario Zafred; montaggio: Mario Serandrei; interpreti: Virna Lisi,
Antonio Cifariello, Franco Fabrizi; Elisa Cegani, Serge Reggiani, Haja Harareet;
origine: Italia; produzione: Peg Produzione Films; durata: 83’
Liliana è un’indossatrice che cerca di farsi strada in ogni modo. Una notte viene
trovata svenuta sulla strada. Interrogata dalla polizia, Liliana racconta di essere
stata trascinata da tre delinquenti in una villa e di aver subito violenza. Il
drammatico evento viene divulgato dai giornali e Liliana diventa ben presto “la
donna del giorno”, ricevendo vantaggiose offerte di lavoro. «Avviato da Visconti
all’amore per l’opera lirica, Maselli, come confesserà più tardi, gira La donna del
giorno nel bel mezzo della sua travolgente euforia per Verdi, con l’ambizione
inconscia di rifare La Traviata. Di qui [...] la forte tipizzazione dei personaggi, il
ruolo giocato dai grandi attacchi musicali, [...] le scene madri» (Stefania Parigi).
Versione ristampata dalla Cineteca Nazionale
ore 19.00
Agostino (1962)
Regia: Mauro Bolognini; soggetto: dall’omonimo romanzo di Alberto Moravia;
sceneggiatura: Goffredo Parise; fotografia Aldo Tonti; musica: Carlo Rustichelli;
montaggio: Nino Baragli; interpreti: Paolo Colombo, Ingrid Thulin, John Saxon,
Mario Bartoletti, Aldo Bussaglia, Roberto Mancia; origine: Italia; produzione: Baltea
Film; durata: 89’
Il decenne Agostino è in vacanza con la madre in un hotel di lusso al Lido di Venezia.
Il figlio ha un rapporto morboso e possessivo con la madre. Quando la donna è
corteggiata da Renzo, Agostino si sente escluso e abbandonato. Conosce altri ragazzi
più smaliziati di lui che gli spiegano il legame che c’è tra sua madre e Renzo.
Sconvolto dalla rivelazione e dai problemi per il passaggio ad un’età critica, il
ragazzo si aggrega a un compagno più grande di lui per una visita ad una prostituta.
«Ho situato il film in una città diversa da quella del romanzo: ho preferito Venezia a
Viareggio per il desiderio di avere più acqua. Questo tema dell’acqua c’era anche a
Viareggio, ma a Venezia era ancora più forte. Il tema dell’acqua è più dolce a
Venezia che in qualsiasi altra città direttamente sul mare» (Bolognini).
Versione ristampata dalla Cineteca Nazionale
ore 21.00
La bella di Lodi (1963)
Regia: Mario Missiroli; soggetto: dal racconto omonimo di Alberto Arbasino;
sceneggiatura: A. Arbasino, M. Missiroli; fotografia: Tonino Delli Colli; musica:
Piero Umiliani; montaggio: Nino Baragli; interpreti: Stefania Sandrelli, Angel
Aranda, Elena Borgo, Maria Monti, Giuliana Pogliani, Cesare Di Montignano;
origine: Italia; produzione: Arco Film; durata: 83’
Roberta, figlia di una ricca famiglia lombarda, conosce in Versilia Franco, un
giovane meccanico tanto attraente quanto privo di scrupoli. I due cominciano una
relazione burrascosa che si svolge lungo l’autostrada del sole, simbolo dell’Italia del
miracolo economico, tra hotel, spiagge, fughe, furti e riappacificazioni. «Il testo di
Arbasino era molto divertente. Ogni anno tiravo fuori un regista nuovo, e quell’anno
mettere insieme Arbasino e Missiroli mi sembrava divertente. L’argomento era bello:
la gioventù lombarda del boom, insieme radical-chic però borghese-conservatrice.
Era molto divertente, ma non bene strutturato, forse, e finì per costituire un
divertimento per pochi intimi, quelli che leggevano Arbasino su “Il Giorno”» (Bini).
sabato 18
ore 16.30
Processo alla città (1952)
Regia: Luigi Zampa; soggetto: Ettore Giannini, Francesco Rosi; sceneggiatura: Suso
Cecchi d’Amico, E. Giannini; collaborazione alla sceneggiatura: Diego Fabbri, L.
Zampa, Turi Vasile; fotografia: Enzo Serafin; musica: Enzo Masetti; montaggio:
Eraldo Da Roma; interpreti: Amedeo Nazzari, Silvana Pampanini, Paolo Stoppa,
Mariella Lotti, Franco Interlenghi, Irene Galter; origine: Italia; produzione: Film
Costellazione; durata: 98’
Ai primi del secolo, a Napoli, il giudice Antonio Spicacci emette alcuni mandati di
cattura nei confronti di alcune persone coinvolti in due omicidi di stampo
camorristico. La matassa è intricatissima, gli indiziati sono numerosi, alcuni
insospettabili, e i malviventi godono di protezioni e conoscenze altolocate. Il giudice
Spicacci si trova di fronte a un bivio: lasciar perdere l’indagine o andare fino in
fondo, a costo di mettere a soqquadro la città? «Non è solo il miglior film di Zampa,
anche per merito dell’efficiente sceneggiatura (Suso Cecchi D’Amico, Ettore
Giannini, Diego Fabbri, Turi Vasile) e uno dei rari drammi giudiziari riusciti del
cinema italiano, ma anche una di quelle opere in cui le istanze civili e morali del
neorealismo s’innestano sul robusto tronco di un melodramma popolare attento alla
lezione del cinema americano d’azione» (Morandini).
Versione ristampata dalla Cineteca Nazionale
ore 18.15
Anni difficili (1948)
Regia: Luigi Zampa; soggetto: dal racconto di Vitaliano Brancati Il vecchio con gli
stivali; sceneggiatura: Sergio Amidei, V. Brancati, Franco Evangelisti, Enrico
Fulchignoni; fotografia: Carlo Montuori; musica: Franco Casavola; montaggio:
Eraldo Da Roma; interpreti: Umberto Spadaro, Massimo Girotti, Ave Ninchi, Milly
Vitale, Odette Bedogni, Ernesto Almirante; origine: Italia; produzione: Briguglio
Film; durata: 92’
Aldo, un modesto impiegato del comune di Modica, è costretto per necessità a
iscriversi al partito fascista, imitato dalla moglie e dai figli. Il figlio maggiore viene
ucciso dai tedeschi durante la ritirata. Finita la guerra, Aldo è accusato di essere
stato fascista, senza esserlo realmente stato. «Anni difficili è il film di questi ultimi
venti anni, è l’epopea antiretorica, a suon di marce funebri, di noi tutti, italiani delle
due ultime generazioni. L’ha scritta Vitaliano Brancati (riducendola da un suo
premiatissimo racconto, Il vecchio con gli stivali), l’ha scritta con quella sottile
amarezza, quella spietata ironia, quell’impalpabile senso di fatalità tragica che tutti
conoscono in lui, siciliano e scrittore» (Rondi).
Versione restaurata da Cineteca Italiana di Milano, Cineteca di Bologna e Museo del Cinema
di Torino
Copia proveniente dalla Cineteca di Bologna - Ingresso gratuito
ore 20.00
Pelle viva (1962)
Regia: Giuseppe Fina; soggetto: G. Fina; sceneggiatura: Carlo Castellaneta, G. Fina;
fotografia: Antonio Macasoli; montaggio: Gabriele Variale; musica: Carlo
Rustichelli; interpreti: Raoul Grassilli, Elsa Martinelli, Franco Sportelli, Lia Rainer,
Narcisa Bonati, Roberto Barbieri; produzione: Cinematografica 61; durata: 115’
Andrea è un operaio e ogni giorno per recarsi in fabbrica prende il treno. Conosce
Rosaria, una ragazza madre meridionale del sud. Ben presto si sposano. Ma la vita
non è facile. L’uomo, a causa di uno sciopero, si trova coinvolto in disordini.
Interviene la polizia e Andrea viene tradotto in questura con altri dimostranti. Per
questo subirà un processo. «Pelle viva, in poche parole, racconta la storia di uno di
quei trecentomila operai che ogni mattina all’alba invadono Milano verso le
fabbriche e che ogni sera l’abbandonano per far ritorno ai paesi della provincia su
quei treni-operai che sono uno spettacolo di antiquariato e di lentezza. Una vita, la
loro, spesa interamente viaggiando e lavorando. […] Un clima e una condizione
umana delle più opprimenti dove non c’è il tempo per vivere nel senso più bello della
parola» (Fina).
ore 22.00
Toh, è morta la nonna! (1969)
Regia: Mario Monicelli; soggetto: Luisa Montagnana; sceneggiatura: Luigi Malerba,
Luisa Montagnana, Stefano Strucchi, Mario Monicelli; fotografia: Luigi Kuveiller;
montaggio: Ruggero Mastroianni; musica: Piero Piccioni; interpreti: Wanda
Capodaglio, Valentina Cortese, Carol André, Raymond Lovelock, Sergio Tofano,
Hélène Ronée; origine: Italia; produzione: Vides Cinematografica; durata: 89’
Adelaide è titolare di un’affermata industria di insetticidi. Muore fulminata dalla
corrente elettrica, mentre cerca di riparare il televisore. Non è un tragico incidente,
ma un omicidio progettato dal marito. Intorno alla salma si ritrovano i figli con le
rispettive consorti, tutti impegnati ad accaparrarsi l’eredità della defunta. Solo il
nipote Carlo Alberto, un contestatore, l’unico che abbia voluto veramente bene alla
nonna, si intrattiene al capezzale, instaurando con il suo spirito un disinteressato
colloquio sul pensiero maoista. Nel frattempo i parenti cominciano ad uccidersi l’un
l’altro. «Con questo cinico e survoltato de profundis sulla famiglia italiana,
Monicelli opera uno strappo sul piano ideologico, che non verrà più ricucito nella
sua filmografia successiva: dagli anni Settanta in avanti, il discorso sulla famiglia
[...] si mostra inscindibile da un altro elemento simbolico che viene via via crescendo
di importanza, la presenza della morte» (Leonardo De Franceschi).
domenica 19
ore 17.00
La cuccagna (1962)
Regia: Luciano Salce; soggetto: da un’idea di Luciano Vincenzoni e Alberto
Bevilacqua; sceneggiatura: L. Salce, L. Vincenzoni, Carlo Romano, Goffredo Parise;
fotografia: Enrico Menczer; musica: Ennio Morricone; montaggio: Roberto Cinquini;
interpreti: Donatella Turri, Luigi Tenco, Umberto D’Orsi, Anna Baj, Emilio Barella,
Liù Bosisio; produzione: Giorgio Agliani Cinematografica, C.I.R.A.C.; durata: 95’
Rossella, una ragazza anticonformista, attraverso il lavoro cerca di fuggire
dall’ambiente familiare, ma le occupazioni che trova non la soddisfano. Conosce
Giuliano, un giovane contestatore, più a parole che con i fatti, il quale cerca di
aprirle gli occhi. La ragazza è contagiata dal pessimismo di Giuliano e i due
meditano addirittura il suicidio, salvo ritrovarsi più uniti che mai e sempre più
attaccati alla vita, nonostante tutto. «In La cuccagna io anticipavo un personaggio
esploso poi nel ’68, il personaggio del contestatore del ’68. Fatto da Tenco, giovane,
disadattato, ribelle, anticipatore persino fisicamente» (Salce).
Versione restaurata dalla Cineteca Nazionale
ore 19.00
Smog (1962)
Regia: Franco Rossi; soggetto: Pier Maria Pasinetti, Franco Rossi, Franco Brusati,
Giandomenico Giagni; sceneggiatura: F. Brusati, P. Festa Campanile, Massimo
Franciosa, Ugo Guerra; fotografia: Ted McCord; musica: Piero Umiliani; montaggio:
Mario Serandrei; interpreti: Enrico Maria Salerno, Annie Girardot, Renato Salvatori,
Casey Adams, Peggy Moffitt, Dennis Diggin; origine: Italia; produzione: Titanus;
durata: 101’
Un avvocato italiano in viaggio verso il Messico si ferma per un giorno a Los
Angeles. Fa amicizia con un italiano che vive di espedienti, che lo introduce nel bel
mondo californiano, fra ville e party, cinema e politica. L’avvocato è attratto dal
lusso e dalle possibilità offerte dalla società americana, ma nello stesso tempo si
sente spaesato e fuori posto, incapace di inserirsi in un meccanismo di progressiva
disumanizzazione. «Smog è un film rigoroso e, in un certo senso, moralistico. È tutto
un fatto speculare: se uno gira in una città a quel tempo così inedita quanto lo era
Los Angeles finisce con l’essere un po’ preso da quello che vede giorno per giorno, e
la prima lettura del film sembra più una specie di curioso documentario su una città
allora così remota che non un vero e proprio discorso. Invece questo c’era, c’era
questa voglia di rappresentare, magari con lo stesso attore di Odissea nuda [Enrico
Maria Salerno], un certo tipo di italiano…» (Franco Rossi).
Versione ristampata dalla Cineteca Nazionale
ore 21.00
L’italiana in Algeri (1968)
Regia: G. Gianini, E. Luzzati; soggetto e sceneggiatura: G. Gianini, E. Luzzati;
fotografia: G. Gianini; musica: Gioacchino Rossini (ouverture de L’italiana in
Algeri); montaggio: G. Gianini; origine: Italia; produzione: G. Gianini, E. Luzzati;
durata: 11’
Sulle note di Gioacchino Rossini, il viaggio di Isabella e Lindoro che, partiti da
Venezia, naufragano sulle coste di Algeri. Poi Isabella è rapita dal sultano Mustafà.
«Come bambino, a me piace raccontare. Raccontare [...] con tutti i mezzi, tutte le
materie: il disegno, la ceramica, la scenografia e, soprattutto, il cartone animato. Il
cinema d’animazione è più ricco di risorse, costituisce forse per me la forma
espressiva più completa. Ha un elemento in più rispetto alle altre: il movimento»
(Luzzati).
a seguire
Nostra signora dei turchi (1968)
Regia: Carmelo Bene; soggetto e sceneggiatura: C. Bene dal suo romanzo omonimo;
fotografia: Mario Masini; montaggio: Mauro Contini; interpreti: Carmelo Bene,
Lydia Mancinelli, Ornella Ferrari, Anita Masini, Salvatore Siniscalchi, Vincenzo
Musso; produzione: Giorgio Patara, C. Bene; durata: 142’
Un intellettuale, così febbricitante da sembrare patologicamente irrecuperabile, ha
un confuso ricordo di una strage compiuta dai turchi a Otranto. Immedesimandosi in
una delle vittime, gli appare una donna, Margherita, la quale, con gli abiti di santa
Maria d’Otranto, lo tratta con pietosa amorevolezza. Altre visioni, tra fantasia e
ricordi, si accavallano, interrompendo il dialogo con Margherita. «Io sono un
anarchico: non rispetto nessuna specie di conformismo. [...]. Come tragica farsa
della vita interiore (o solitudine) di un personaggio-situazione, o meglio di una
situazione che si fa personaggio, questo mio film è un’opera di autocontestazione.
Quanto alla storia, favola o storiella, è tutto quello che vi piacerà. [...]. Di Nostra
Signora dei Turchi è inutile che vi parli: non capirebbe niente nessuno» (Bene).
Versione integrale restaurata dalla Cineteca Nazionale
lunedì 20
chiuso
martedì 21
Immagini che migrano. Incontro con Marina Malfatti, Agnese Nano, Carolina
Levi, Emanuela Giordano, protagoniste e regista dello spettacolo teatrale Va’
dove ti porta il cuore
Una vicenda che attraversa tre generazioni di donne che provano a recuperare,
attraverso l’affetto che le unisce, un legame più autentico e leggero, una serenità
condivisa e libera. Olga, la nonna, schiacciata dall’ambiguità della famiglia d’origine,
a sua volta cresce sua figlia e poi sua nipote portandosi dentro un terribile segreto che
alimenta la continua inquietudine dei loro rapporti.
Nelle lettere alla nipote lontana, Olga ripercorre la sua vita, quella della sua
problematica figlia e il difficile passaggio tra adolescenza e maturità della nipote. In
una giravolta di scontri, bugie, paure, accuse, drammi e tenerezze, Olga trova la forza
di rivelare alla giovane la verità sulla tragica fine della madre, liberandosi allo stesso
tempo di un atroce segreto e del più pesante obbligo di salvare le apparenze.
La sua è la confessione di un’anima ancora piena d’amore, dove non albergano né
dolore né rimpianto, bensì la consapevolezza di avere imparato, a proprie spese, che
la vita è un cammino tortuoso nel quale bisogna imparare ad evitare l’infelicità,
proprio ascoltando il cuore.
Va’ dove ti porta il cuore giunge al Cinema Trevi dopo un lungo viaggio dalla pagina
scritta allo spettacolo teatrale, ospitato al Teatro Quirino-Vittorio Gassman dal 7 al 26
ottobre: le protagoniste della scena Marina Malfatti, Agnese Nano e Carolina Levi e
la regista Emanuela Giordano incontrano il pubblico per confrontarsi sul rapporto tra
generazioni e tra cinema, teatro e letteratura. A seguire la proiezione dell’omonimo
film del 1996 per la regia di Cristina Comencini interpretato da Virna Lisi (Olga, in
teatro Marina Malfatti), Margherita Buy (Ilaria, in teatro Agnese Nano), Galatea
Ranzi (Marta, in teatro Carolina Levi).
ore 17.00
Incontro con Marina Malfatti, Agnese Nano, Carolina Levi, Emanuela Giordano
a seguire
Va’ dove ti porta il cuore (1995)
Regia: Cristina Comencini; soggetto: dall’omonimo romanzo di Susanna Tamaro;
sceneggiatura: C. Comencini, Roberta Mazzoni; fotografia: Roberto Forza; musica:
Alessio Vlad, Claudio Capponi; montaggio: Nino Baragli; interpreti: Virna Lisi,
Margherita Buy, Galatea Ranzi, Valentina Chico, Massimo Ghini, Tcheky Karyo;
origine: Italia; durata: 106’
Una vecchia signora, Olga, scrive una confessione autobiografica alla nipote Marta
in viaggio negli Stati Uniti. Ciò che ne risulta è una dura disamina della sua
esistenza: sposata senza amore ad Augusto e infelicemente innamorata di Ernesto,
che morì tragicamente dopo averla messa incinta di Ilaria, irrequieta madre di
Marta. Cristina Comencini, insieme allo sceneggiatore Roberta Mazzoni, riesce a
realizzare un ottimo lavoro di sottrazione e condensazione, rispetto al bestseller di
Susanna Tamaro. «È un sobrio film al femminile, girato con mano elegante e
leggera, emotivo al giusto punto di cottura, servito da un trio di attrici talentuose e
generose, pur se diversissime tra loro. Insomma uno di quei prodotti “medi” dei
quali il cinema italiano sente oggi terribilmente la mancanza» (Pugliese).
Ingresso gratuito
ore 21.00
Presentazione del film Il figlio incerto
Incrocio. Unione. Crossover. Tra espressioni artistiche. Tra teatro e cinema ad
esempio. Per creare un cocktail policromo e linguistico. Il figlio incerto gioca con
questi specifici linguistici: uno spazio teatrale circoscritto (una camera d’albergo),
due corpi attoriali dalla straordinaria phoné (Elena Falgheri e Vittorio Viviani), un
direttore d’orchestra che ha sempre giocato con i pieni e i vuoti, ma soprattutto con
l’enigmaticità del reale ripresa in un’ottica performativa (Elisa Bolognini). Il figlio
incerto, liberamente ispirato alla pièce teatrale L’ora grigia di Agotha Kristoff, che
ha visto la luce grazie al fondamentale contributo dell’Imaie (Istituto per la Tutela dei
Diritti e degli Artisti Interpreti Esecutori), è tutto ciò e molto di più: frasi che si
rincorrono, vanificate nell’abisso dell’incomunicabilità. Suona un violino. La luce
illumina la lama di un coltello.
Incontro con Elisa Bolognini, Elena Falgheri, Vittorio Viviani
a seguire
Il figlio incerto (2007)
Regia: Elisa Bolognini; soggetto: liberamente ispirato alla pièce L’ora grigia di
Agotha Kristoff; sceneggiatura: E. Bolognini, Elena Falgheri; fotografia: Rocco
Marra; musica: Ferruccio Vignanelli Zichella; scenografia: E. Bolognini, E. Falgheri;
costumi: Anina Pinter; montaggio: Alessandro Pantano; mixage: Luca Raitano;
interpreti: E. Falgheri, Vittorio Viviani, Giovanni Carta, Ferruccio Vignanelli
Zichella; origine: Italia; durata: 30’
La storia tratta dell’incontro d’amore mancato tra una prostituta ed un suo vecchio
cliente, evidenziando come la vita a volte non consenta di guardare indietro, di
affidare alla memoria del passato una speranza per la realtà attuale e per il futuro.
Si insinua prepotentemente l’urgenza di sognare per sfuggire al destino. Un uomo ed
una donna riescono a dialogare solo attraverso un gioco, a volte divertente, a volte
drammatico, sfidandosi continuamente a sognare altri mondi.
Ingresso gratuito
22-30 ottobre
III edizione del Festival Internazionale del Film di Roma
Anna Magnani: omaggio a “mamma Roma”
Che cosa si può ancora scrivere su ciò che si è detto, parlato, raccontato su Anna
Magnani, l’antidiva per eccellenza, senza cadere nella retorica più trita e ritrita?
Ovvero l’attrice che meglio ha rappresentato attraverso la sua personalità lo specchio
dell’Italia del dopoguerra. Inimitabile popolana focosa, sboccata e allo stesso tempo
sensibile e generosa, incarnazione dei valori genuini di un’Italia che forse, purtroppo
non c’è più. Un grande scrittore come Alberto Moravia colse alla perfezione la
grande umanità della donna Anna Magnani, prima ancora che attrice: «Ricordo una
serata, diciamo così, tipica con Anna Magnani e Pier Paolo Pasolini, ai tempi
relativamente recenti di Mamma Roma. Le proponemmo di scegliere fra un ristorante
qualsiasi e un noto locale cosiddetto caratteristico, decorato nello stile della Roma
rustica e papalina con selle e finimenti di cavalli, carri da vino con il soffietto dipinto,
spiedi di ferro, pentole e teglie di rame, tavoloni e sgabelloni di quercia, botti, barili e
bicchieri col fondo grosso, dove, sicuramente, il suo mito personale avrebbe trovato
una collocazione immediata. Scelse subito, sia pure con scettica e sarcastica
accondiscendenza, il locale caratteristico. E una volta seduta in un tavolo un po’
appartato nella piazzetta trasteverina gremita di turisti americani, ebbe un primo
movimento di delusione vedendo che il suo arrivo non aveva provocato la consueta
curiosità. Ma questa distrazione durò poco. Erano appena passati cinque minuti che
tre o quattro fotografi già stavano inginocchiati intorno a noi cercando di riprendere
“Nannarella” a cui il chitarrista lusinghiero e familiare, un piede sul piolo della
seggiola, la chitarra sulle ginocchia, andava propinando nell’orecchio le parole
sussurrate della sua canzone. Intanto da tutti i tavoli gli avventori stranieri avvertiti da
accompagnatori e ciceroni si voltavano per guardarla; e dalla frangia di donnette e di
ragazzini che se ne stavano intorno in piedi a godersi la musica, si levavano applausi
e invocazioni. Guardai in quel momento Anna Magnani e vidi che, chiaramente, essa
non partecipava che a metà a questa specie di improvvisata rappresentazione. Certo i
suoi occhi magnetici brillavano di eccitazione non finta; certo la celebre risata
crudele e aggressiva si accendeva con perfetta naturalezza sul viso un po’ stanco e
macerato; ma al tempo stesso c era in lei qualche cosa di amaro, di malsicuro e di
deluso. Era, sì, l’attrice celebre, il personaggio rappresentativo; ma, insieme, per una
contraddizione amara della sua strana e ombrosa umiltà, forse dubitava di esserlo
davvero oppure avrebbe voluto esserlo in un altro modo. Il suo narcisismo scontento
e diffidente le faceva forse subodorare nella sua popolarità qualche cosa di
inautentico, un po’ analogo alla decorazione del ristorante in cui in quel momento si
trovava. Ma probabilmente si rendeva pure conto che ogni popolarità è fondata su un
malinteso; e che la sua, almeno, poteva contare su un’originaria carta di nobiltà
genuina e indiscutibile». Non è un caso che era la stessa Magnani a suggerirci un
autoritratto ben lontano da facili etichette, lasciando trasparire un’umiltà e una
complessità commoventi: «Non so se sono un’attrice, una grande attrice o una grande
artista. Non so se sono capace a recitare. Ho dentro di me tante figure, tante donne,
duemila donne. Ho solo bisogno d’incontrarle. Devono essere vere, ecco tutto». Tutto
il cinema recitato da Anna Magnani è autentico. Non solo Roma città aperta o
Mamma Roma, o Bellissima. Proprio perché in lei si compiva un piccolo e grande
miracolo: tra le luci e le ombre, magari anche dietro uno scenario di cartapesta,
davanti alla macchina da presa, la realtà quotidiana prendeva corpo attraverso di lei.
E il finto, il barocco, l’inessenziale spariva. Ecco perché non esiste nessun brutto film
con Anna Magnani. Ecco perché il senso profondo di questa rassegna, curata dalla
Cineteca Nazionale in collaborazione con il Festival Internazionale del Film di Roma:
Anna Magnani, l’attrice per eccellenza. Meglio lasciare posto alle immagini,
testimonianze vive di un’artista a 360°.
mercoledì 22
ore 17.00
Tempo massimo (1934)
Regia: Mario Mattòli; soggetto e sceneggiatura. M. Mattòli; fotografia: Carlo
Montuori; musica: Vittorio Mascheroni, Virgilio Ripa; montaggio: Giacomo
Gentilomo; interpreti: Vittorio De Sica, Milly, Camillo Pilotto, Enrico Viarisio, Anna
Magnani, Ermanno Roveri; origine: Italia; produzione: Za-Bum; durata: 78’
«Esordio di Mario Mattòli alla regia, dopo essere stato attivo nella rivista e nella
produzione cinematografica con il marchio Zabum. Il film è una piacevole e
movimentata, commedia scritta dallo stesso regista, che tocca temi simili al genere
americano della “screwball commedy” che veniva lanciato nello stesso anno, il
1934, in America con Accadde una notte di Capra. Nello specifico, con la storia del
giovane studioso (De Sica) protetto dalla zia agata (Amelia Chellini) sulla cui vita
precipita (letteralmente) la valanga femminile Milly a sconvolgergli le sicurezze e le
abitudini, propone con originalità e tempismo il tema della battaglia dei sessi.
L'uomo acculturato e imbranato e la donna sportiva è un binomio classico della
commedia americana che vedremo in Susanna di Hawks (1937). Il film ha un gran
ritmo, diverse trovate, un giusto mix di ruoli, con il promesso sposo antipatico e
molto vicino all'uomo fascista (Ermanno Roveri), il maggiordomo di lui (Camillo
Pilotto) perfetto e umoristico, la dama di lei (una Anna Magnani al debutto,
intrigante e fascinosa), e l’uomo della dama protagonista di un classico scambio di
identità (un grande Enrico Viarisio). Tempo Massimo è un esempio di commedia
sentimental surreale, una testimonianza di come il cinema dei primi anni del sonoro
fosse più libero e meno ingessato di quello successivo dei telefoni bianchi. A quei
tempi la Cines era praticamente la sola casa di produzione del cinema italiano,
mentre la produzione stentava a raggiungere i 40 film l’anno. Ambientato a Milano il
film esprime anche una buona caratterizzazione regionale con Giuseppe Barrella che
“prestò la veemenza del suo meneghino a una figurinetta d’autista” (Dino Falconi,
1935)» (Federico Passi).
Versione restaurata da Cineteca Nazionale, Ripley’s Film, in collaborazione con Marzi Srl
ore 19.00
La principessa Tarakanova (1938)
Regia: Fëdor Ozep, Mario Soldati; soggetto: Ladislao Vajda, André Lang;
sceneggiatura: Evelina Levi, M. Soldati, Henri Jeanson; fotografia: Curt Courant,
Massimo Terzano, Renato Del Frate; montaggio: Ferdinando Maria Poggioli; origine:
Francia, Italia; produzione: S.A.I. Film Internazionali, Chronos Films, Néro Film;
durata: 89’
«A Venezia, dove ha la sua corte la principessa Tarakanova – che vanta presunti
diritti al trono di Russia –, arriva il conte Orloff, emissario dell'imperatrice Caterina.
Dovrebbe catturarla, ma s’innamora di lei. La cornice schiaccia il quadro: sfarzose
scenografie, bella musica di Zandonai, grande spettacolo in costume [...]. C’è A.
Magnani che fa la camerista e s’intravede Alberto Sordi al suo esordio. [...] Sullo
stesso argomento un film (1930) di Raymond Bernard. Il vero nome di Ozep è Fjodor
Otsep: fu uno dei pionieri del cinema sovietico, trasferitosi poi nel 1928 in
Germania; cacciato dai nazisti si rifugiò in Francia dove diede il meglio di sé finché
la guerra lo costrinse a emigrare prima in Canada, poi negli USA dove morì nel ’49»
(Morandini).
ore 21.00
Teresa Venerdì (1941)
Regia: Vittorio De Sica; soggetto: Rudolf Török; sceneggiatura: V. De Sica,
Gherardo Gherardi, Margherita Maglione, Franco Riganti; fotografia: Vincenzo
Seratrice; musica: Renzo Rossellini; montaggio: Mario Bonotti; interpreti: Adriana
Benetti, V. De Sica, Irasema Dilian, Anna Magnani, Virgilio Riento, Giuditta
Rissone; origine: Italia; produzione: A.C.I. (Alleanza Cinematografica Italiana),
Europa Film; durata: 92’
«Medico rubacuori di successo e pieno di debiti, afflitto da un’amante invadente e da
una fidanzata sciocchina, incontra un’orfanella che, liberatolo delle due noiose,
conquista il suo cuore e gli fa mettere giudizio. Ispirato a un romanzo di Rudolf
Török, si distingue per il garbo della costruzione narrativa, l’esperta guida degli
attori, la credibilità dei personaggi. Basterebbe A. Magnani nel personaggio della
canzonettista Loletta Prima per raccomandarlo. Contribuirono alla sceneggiatura C.
Zavattini e Aldo De Benedetti senza firmare: l’uno perché lavorò di nascosto, l’altro
per motivi razziali (ebreo). Altro titolo: Il gallo della Checca» (Morandini).
giovedì 23
ore 16.30
La fortuna viene dal cielo (1942)
Regia: Akos Rathonyi; soggetto: A. Rathonyi; sceneggiatura: Sergio Pugliese,
Alessandro De Stefani [non accreditato]; fotografia: Renato Del Frate; musica: Gino
Filippini; montaggio: Otello Colangeli; interpreti: Vera Carmi, Roberto Villa, Sandro
Ruffini, Anna Magnani, Franco Coop, Guglielmo Sinaz; origine: Italia; produzione:
S.A.C.C.I.; durata: 71’
«La graziosa fidanzata di un avvocato viene derubata di un prezioso gioiello
regalatole da lui e quando costui viene a sapere che le è stato sottratto in un cinema,
si precipita a sporgere denuncia senza sapere che il ladro ha abbandonato il gioiello
sul tavolino di un locale notturno dove è stato trovato da una cantante che pensa le
sia piovuto dal cielo. Da qui tutta una serie di equivoci, bisticci, incomprensioni
varie che portano alla rottura del fidanzamento e al nascere di un nuovo idillio»
(Chiti/Lancia).
ore 18.00
Campo de’ Fiori (1943)
Regia: Mario Bonnard; soggetto: Marino Girolami; sceneggiatura: M. Bonnard, Aldo
Fabrizi, Federico Fellini, Tullio Pinelli; fotografia: Giuseppe La Torre; musica:
Giulio Bonnard; montaggio: Gino Talamo; interpreti: A. Fabrizi; Anna Magnani,
Caterina Boratto, Peppino De Filippo, Olga Solbelli, Cristiano Cristiani; origine:
Italia; produzione: Cines; durata: 95’
«Il pescinvendolo Peppino (Fabrizi) s’innamora di un’affascinante cliente (Boratto)
e vorrebbe sposarla, anche se scopre che è molto meno altolocata di quanto
immagini e ha un figlio (Cristiani) a balia, ma i suoi sogni non si realizzeranno:
deluso, ritornerà tra le braccia della fruttarola (Magnani) che lavora al suo fianco al
mercato di Campo de’ Fiori. Secondo film di Fabrizi e primo ruolo da popolana per
la Magnani, in una storia tutta girata a Cinecittà ma nella quale si intravedono
elementi pre-neorealisti (le dispute al mercato, la scena con la Boratto in prigione,
quelle dalla balia in Abruzzo). E i toni della commedia sono abbastanza lontani dagli
schemi estetici dell’epoca, con accenni di critica sociale (i “borghesi” che giocano
d’azzardo) e qualche divertente notazione sul maschio conquistatore (specie nel
personaggio del parrucchiere ganimede interpretato da De Filippo). Il soggetto di
Marino Girolami è adattato da Federico Fellini, Tullio Pinelli e dallo stesso Fabrizi»
(Mereghetti).
Eurovisioni
In Europa di festival dedicati all’audiovisivo ne esistono molti, ma solo uno che si
occupa specificatamente ed esclusivamente del mercato europeo della televisione e
del cinema, delle trasformazioni tecnologiche che lo stanno rendendo possibile o
delle trasformazioni culturali ed economiche che la sua nascita sta comportando.
Questo è Eurovisioni, festival nato nel 1987 quando la TV europea non esisteva
ancora e che, oggi, quando ormai decine di milioni di case europee sono in grado di
ricevere lo stesso programma, sta conoscendo la sua maturità.
ore 20.00
Let’s Go to the Movies Tomorrow (Jutro idziemy do kina, 2007)
Regia: Michal Kwieciński; produzione: TVP; durata: 100’
Una storia romantica. Tre studenti della scuola superiore che conseguono il diploma
nel maggio 1938. Tre amici convinti che la loro vita sarà speciale e che la loro
amicizia durerà per sempre. Nonostante giungano notizie allarmanti dall’Europa
sono più preoccupati dai loro affari di cuore che dalla situazione politica. Ognuno
prende la propria strada: due di loro scelgono la carriera nell’esercito, mentre il
terzo comincia gli studi di medicina all’università di Varsavia. Ognuno dei tre è
diverso, ma tutti pensano soprattutto all’amore, finché giunge l’estate del 1939 e le
prime avvisaglie di guerra…
ore 22.00
Wallander (2008)
Regia di Philip Martin; produzione: BBC; durata: 90’
Nuova fiction prodotta dalla BBC, tre episodi da 90 minuti basati su tre romanzi
dello svedese Henning Mankell e con la regia del pluripremiato Philp Martin
(vincitore di un Emmy Award per Prime Suspect: The Final Act). Una detective story
girata in Svezia che ha come protagonista Kenneth Branagh che per l’occasione
veste i panni di Kurt Wallander, investigatore dal drink facile che risolve crimini
complessi e svolge il suo lavoro con metodi non sempre ortodossi. Un uomo con una
vita privata problematica, fatta di rapporti difficili con il padre e il figlio, ma anche
con le donne.
venerdì 24
ore 17.00
La vita è bella (1943)
Regia: Carlo Ludovico Bragaglia; soggetto e sceneggiatura: C. L. Bragaglia;
fotografia: Rodolfo Lombardi; musica: Gino Filippini, Giovanni D’Anzi; montaggio:
Ines Donarelli; interpreti: Alberto Rabagliati, Virgilio Riento, Anna Magnani, Maria
Mercader, Gualtiero Tumiati, Arturo Bragaglia; origine: Italia; produzione: Fono
Roma, Lux Film; durata: 81’
«Un conte sul lastrico (Rabagliati) accetta di fare da cavia per un siero misterioso,
ma nei dieci giorni che lo separano dall’esperimento l’amicizia con un vagabondo
(Riento) e l’amore per l’altera Nadina (Mercader) gli fanno tornare la voglia di
vivere: per fortuna il siero nasconderà una sorpresa. Scritta dallo stesso Bragaglia
(con la collaborazione non accreditata di Aldo De Benedetti), è una svampita
commedia degli equivoci, perfetta per distrarre una nazione in guerra: Rabagliati
non perde occasione per sfoderare la sua ugola (oltre alla canzone che dà il titolo al
film, canta Per te... e accenna persino È primavera) e la Magnani e Campanini si
scatenano in una serie di duetti comici (uno, irresistibile, su un’aria dell’Aida) da
antologia» (Mereghetti).
ore 19.00
L’ultima carrozzella (1943)
Regia: Mario Mattòli; soggetto: Aldo Fabrizi; sceneggiatura: A. Fabrizi, Federico
Fellini; fotografia: Tino Santoni; musica: Mario Ruccione; montaggio: Fernando
Tropea; interpreti: Emilio Baldanello, Romolo Balzani, Giulio Battiferri, Ciro
Berardi, Nando Bruno, Gustavo Cacini; origine: Italia; produzione: Artisti Associati,
Continental Cine; durata: 89’
Un vetturino romano tradizionalista è insofferente alla concorrenza alle autovetture.
Specialmente poi, quando la figlia vuole sposare proprio un tassista! Ma un giorno
però il vetturino viene accusato del furto di un brillante e finisce in tribunale.
«L’ultima carrozzella, scritto e sceneggiato da Fabrizi in collaborazione con Fellini,
prefigura quel ruolo centrale che il comico romano avrà nel neorealismo, da lui
interpretato come “cinema de noantri”, racconto delle vicende della povera gente in
una Roma che vive ancora le emozioni e le storie delle borgate. A differenza di
Campo de’ Fiori e di Avanti c’è posto – due film pressoché contemporanei che
vedono Fabrizi protagonista e che sono stati spesso accomunati a L’ultima
carrozzella – l’opera mattoliniana è quasi interamente realizzata fuori dagli studi
(con un particolare più volte sottolineato da Fabrizi: la palandrana da lui indossata
è la stessa di quando effettivamente faceva il vetturino, fatto inimmaginabile nel
cinema anche solo di qualche tempo prima). Inoltre non è debitrice, come Avanti c’è
posto, di un testo teatrale preesistente» (Della Casa).
ore 21.00
Abbasso la miseria! (1945)
Regia: Gennaro Righelli; soggetto: G. Righelli; sceneggiatura: G. Righelli, Nicola
fausto Neroni; fotografia: Rodolfo Lombardi; musica: Umberto Mancini; montaggio:
Duilio Lucarelli; interpreti: Anna Magnani, Nino Besozzi, Virgilio Riento, Marisa
Vernati, Vito Chiari, Sandro Ruffini; origine: Italia; produzione: Domus Film, Lux
Film; durata: 82’
«Il film italiano Abbasso la miseria! si presta a molte considerazioni. Diretto da un
vecchio lupo del nostro cinema, un regista della vecchia guardia proveniente
addirittura dal cinema muto, Gennaro Righelli, interpretato da un attore di prosa,
Nino Besozzi, da un attore di rivista, Virgilio Riento, e dalla straordinaria Anna
Magnani, il film poteva essere giudicato in partenza come qualcosa da non fidarcisi
troppo, come roba di ordinaria amministrazione. E invece si tratta di un film riuscito,
che ha il merito di muoversi sul concreto, di interessare, di mordere su una materia
viva. [...] In fondo, in Abbasso la miseria!, quello che ha stupito piacevolmente sono
state la naturalezza degli attori, la verità delle situazioni e dei casi. Tutti sanno che
intelligente attrice sia Anna Magnani, per poco che sappia sorvegliarsi, e qui è stata
bravissima. Ma pochi sapranno che Nino Besozzi può essere un buon attore di
cinema, dopo esserlo stato di teatro. Qui Besozzi è vero, ed è riuscito a far
dimenticare il funesto ricordo del Besozzi comico-sentimentale di anni lontani»
(Bianchi).
sabato 25
ore 17.00
Avanti a lui tremava tutta Roma (1946)
Regia: Carmine Gallone; soggetto: C. Gallone; sceneggiatura: C. Gallone, G.
Gherardi, Gaspare Cataldo; fotografia: Anchise Brizzi; montaggio: Niccolò Lazzari;
interpreti: Anna Magnani, Tito Gobbi, Gino Sinimberghi, Hans Hinrich, Edda
Albertini, Heinrich Bode; origine: Italia; produzione: Excelsa Film; durata: 116’
«Nella Roma del 1944, prima dell’arrivo degli Alleati, la messinscena di Tosca di G.
Puccini s’intreccia con una vicenda di drammatica attualità: il tenore (G.
Sinimberghi) che fa Cavaradossi canta in stato di arresto per aver nascosto in casa
un paracadutista inglese. Al momento della fucilazione (vera) è salvato da Floria
Tosca (A. Magnani, doppiata dal canto di Renata Tebaldi) e dai macchinisti del
teatro. La sceneggiatura di G. Gherardi e G. Cataldo fa un po’ acqua, ma il robusto
mestiere di C. Gallone, re del cinema popolare dell’epoca, guida la storia sino
all’attesa lieta fine. 5° posto negli incassi della stagione 1946-47» (Morandini).
Versione restaurata da Cineteca Nazionale, Ripley’s Film, in collaborazione con Marzi Srl e
Festival di Spoleto - Festival dei 2 Mondi
ore 19.00
Il bandito (1946)
regia: Alberto Lattuada; soggetto: A. Lattuada; sceneggiatura: Oreste Biancoli, Mino
Caudana, Ettore M. Margadonna, Tullio Pinelli, Piero Tellini; fotografia: Aldo Tonti;
musica: Felice Lattuada; montaggio: Mario Bonotti; interpreti: Anna Magnani,
Amedeo Nazzari, Carla Del Poggio, Carlo Campanini, Eliana Banducci, Mino Doro;
origine: Italia; produzione: Lux Film; durata: 84’
«Le tragedie familiari e l’impossibile reinserimento nella Torino postbellica
spingono un reduce (Nazari) a entrare nella malavita. Molto pessimista e
ingiustamente sottovalutato, il film coniuga sapientemente neorealismo e suggestioni
noir di marca Usa nella sceneggiatura [...]. Peculiare la scelta degli attori che
ribaltano coi loro personaggi l’immagine popolare che li ha resi famosi: il brillante e
avventuroso Nazzari è l’antieroe disilluso, la “popolana” Magnani è addirittura il
boss della banda, e la virginea Carla Del Poggio fa la prostituta. Notevole la
fotografia di Aldo Tonti, in difficile equilibrio tra realismo ed espressionismo»
(Mereghetti).
ore 21.00
Roma città aperta (1945)
Regia: Roberto Rossellini; soggetto: Sergio Amidei, Alberto Consiglio [non
accreditato]; sceneggiatura: S. Amidei, Federico Fellini, R. Rossellini e Carlo Celeste
Negarville [non accreditati]; fotografia: Ubaldo Arata; musica: Renzo Rossellini;
interpreti: Anna Magnani, Aldo Fabrizi, Vito Annichiarico, Nando Bruno, Harry
Feist, Francesco Grandjacquet; origine: Italia; produzione: Excelsa Film; durata: 104’
«La proiezione del primo film italiano del Festival si è risolta in un vero successo.
Da questa Città aperta di Rossellini si possono trarre preziosi insegnamenti. Primo,
che i nostri film debbono esprimere concetti semplici, illustrare la nostra vita e
liberarsi dalle smanie esibizionistiche della precedente “rinascita”. Secondo, che
soltanto a questo patto i nostri film potranno interessare fors’anche conquistare i
pubblici stranieri. Città aperta è un documentario romanzato, e nella sua trama
trovano ospitalità tutti quegli elementi drammatici che sono ormai legati nel ricordo
al periodo dell’occupazione nazista di Roma: le razzie, le uccisioni, le torture inflitte
ai patrioti, la fame e l’attesa degli abitanti, il sacrificio di molte anime nobili, la lotta
clandestina. Una sceneggiatura molto abile ha dato in efficace sommario la vita di
quei mesi, ricordando in uno dei protagonisti l’eroico Don Morosini e nell’altro
sommando le figure dei numerosi patrioti morti per mano delle SS. La regia di
Rossellini si tiene al sodo, evita le divagazioni e punta sui fatti dei quali il film
abbonda, risolvendoli con una precisione e un’impassibilità che a noi ricorda lo
spirito che circola nelle pitture di un altro romano, Antonio Donghi. Tutto qui è detto
senza sforzo apparente e senza grandi invenzioni. Rossellini si serve di case vere, di
uomini veri, di frasi vere: l’effetto è raggiunto così con mezzi quotidiani, copiando la
vita con la puntigliosità di chi la vede soltanto nelle apparenze. Rossellini si vieta di
proposito ogni indagine lirica. Per lui due e due fa quattro in ogni caso, mentre per
noi qualche volta fa cinque e perfino tre. Sergio Amidei, come soggettista e
sceneggiatore, l’ha assecondato benissimo, talvolta sonnecchiando nei punti
intrigati, ma sempre con drammatica veemenza e, soprattutto, con umorismo. Il
complesso degli attori ha funzionato benissimo: alcuni, come la Magnani e il Fabrizi,
erano nel film per diritto naturale, combaciando la loro concezione dell’arte con
quella di Rossellini; altri come Pagliero, Feist, Grandjacquet, in visita casuale ma
non meno applaudita. Di due attrici, la Galletti e la Michi, il pubblico ha ammirato i
volti nuovi, espressivi e la recitazione intensa ed efficace» (Flaiano). Nastri
d’argento per il miglior film e ad Anna Magnani. Grande successo internazionale
con una nomination all’Oscar della sceneggiatura. Titolo inglese: Open City.
Versione restaurata nel 2006 dalla Cineteca Nazionale
domenica 26
ore 17.00
L’onorevole Angelina (1947)
Regia: Luigi Zampa; soggetto e sceneggiatura: Piero Tellini, Suso Cecchi D’Amico,
L. Zampa; fotografia: Mario Craveri; musica: Enzo Masetti; montaggio: Eraldo Da
Roma; interpreti: Anna Magnani, Nando Bruno, Ave Ninchi, Ernesto Almirante,
Agnese Dubbini, Armando Migliari; origine: Italia; produzione: Ora Film, Lux Film;
durata: 93’
«Moglie di un vicebrigadiere (N. Bruno) e madre di cinque figli, Angelina (A.
Magnani) guida le donne della borgata romana di Pietralata all’assalto dei
magazzini di pasta di un borsanerista e, dopo l’alluvione, a occupare gli alloggi
vuoti di uno speculatore edilizio. Diventata famosa, è tentata dalla politica, ma,
ribellatasi alla forza pubblica, è arrestata. Esce dal carcere vittoriosa, ma decide di
tornare a fare la casalinga. Scritta con Piero Tellini e Suso Cecchi D'Amico, è una
commedia sagace nel mescolare la gravità dei temi e la comicità del trattamento –
cronaca e spettacolo – pur con scivolate nella retorica del patetico e una sottesa
ideologia della riconciliazione delle classi all’insegna dei valori familiari e dei buoni
sentimenti. Magnani strepitosa nelle “baccagliate”, premiata con il Nastro d’argento
della migliore attrice del 1947-48. 4° incasso tra i film italiani della stagione e
successo internazionale» (Morandini).
ore 19.00
Lo sconosciuto di San Marino (1948)
Regia: Michael Wazynski, Vittorio Cottafavi; soggetto: Cesare Zavattini;
sceneggiatura: Giulio Morelli, C. Zavattini, V. Cottafavi; fotografia: Arturo Gallea;
musica: Alessandro Cicognini, Giuliano Conte; montaggio: Mario Serandrei;
interpreti: Anna Magnani, Vittorio De Sica, Aurel M. Miloss, Antonio Gandusio,
Giuseppe Porelli, Irma Gramatica; origine: Italia; produzione: Film Gamma; durata:
79’
«Repubblica di San Marino poco prima la fine della seconda guerra mondiale. Fra i
tanti sfollati ve n’è uno che ha perso la memoria e che si distingue per la sua bontà
d’animo aiutando gli oppressi e coloro che si trovano in difficoltà. Ma durante una
processione egli riacquista la memoria e si ritrova quello che era: un ufficiale
nazista responsabile di azioni disumane. Dopo alcuni gesti inconsulti dovuti alla sua
disperazione, decide di porre fine ai suoi giorni attraversando un campo minato»
(Chiti/Poppi). Due grandi attori a confronto: Vittorio De Sica e Anna Magnani.
ore 21.00
Assunta Spina (1948)
Regia: Mario Mattòli; soggetto: dalla commedia omonima di Salvatore Di Giacomo;
sceneggiatura e dialoghi: Eduardo De Filippo; collaborazione alla sceneggiatura:
Gino Caprioli; fotografia: Gabor Pogany; musica: Renzo Rossellini; montaggio:
Fernando Tropea; interpreti: Anna Magnani, Eduardo De Filippo, Antonio Centa,
Titina De Filippo, Maria Donini, Margherita Pisano; origine: Italia; produzione: Ora
Film; durata: 79’
«Dal dramma (1909) di S. Di Giacomo già filmato nel 1915 e nel 1928. Mentre
l’amato Michele è in carcere, la fiera Assunta diventa l’amante di un cancelliere.
All’uscita Michele, pazzo di gelosia, uccide il rivale. Assunta si lascia condannare al
suo posto. È diretto così bene, e ambientato in una Napoli squallida e violenta così
credibile, che alcuni critici ci videro lo zampino di Eduardo. Nella parte che sullo
schermo fu di Francesca Bertini e Rina De Liguoro, la Magnani è superba»
(Morandini).
lunedì 27
ore 17.00
Vulcano (1950)
Regia: William Dieterle; soggetto: Renzo Avanzo; sceneggiatura: Piero Tellini,
Mario Chiari, Victor Stoloff; fotografia: Arturoa Gallea; musica: Enzo Masetti;
montaggio: Giancarlo Cappelli; interpreti: Anna Magnani, Rossano Brazzi, Geraldine
Brooks, Eduardo Ciannelli, Enzo Stajola, Rosina Fiorini Galli; origine: Italia;
produzione: Artisti Associati, Panaria Film; durata: 102’
«Ex prostituta, Maddalena è rimpatriata dalla Questura di Napoli a Vulcano (ME),
sua isola natale, e viene accolto dalla sorella. Per lei Maddalena si mette nei guai, la
libera da un palombaro losco, perde la vita nell’eruzione del vulcano. È un film
voluto da A. Magnani per contrastare Stromboli, terra di Dio che R. Rossellini stava
girando con Ingrid Bergman [...]. Girato nell’isola di Salina. Belle riprese
subacquee. Scritto da Piero Tellini, Mario Chiari, Victor Stoloff. Dialoghi tradotti in
inglese dallo scrittore Erskine Caldwell» (Morandini).
ore 19.00
Camicie rosse (Anita Garibaldi) (1952)
Regia: Goffredo Alessandrini; soggetto: Enzo Biagi, Renzo Renzi; sceneggiatura: E.
Biagi, R. Renzi, Mario Serandrei, Sandro Bolchi, [non accreditati Suso Cecchi
D’Amico, Nino Frank, Anna Magnani]; fotografia: Leonida Borboni, Mario
Parapetti, Marco Scarpelli; musica: Enzo Masetti; montaggio: M. Serandrei;
interpreti: Raf Vallone, Anna Magnani, Serge Reggiani, Carlo Ninchi, Michel
Auclair, Jacques Sernas; origine: Italia; produzione: P.G.F.; durata: 100’
«La vita e le imprese di Garibaldi dalla caduta della Repubblica romana, nel 1819,
alla fuga verso Venezia, alla morte di Anita. Verso la fine delle riprese Alessandrini
abbandonò il set per motivi “sconosciuti”, ma che andavano ricercati in disaccordi
con la produzione e con Anna Magnani (che era coproduttrice del film). Proprio
grazie alla Magnani, per terminare il film, fu scelto l’esordiente Rosi [...]. Il film fu
prodotto dalla P.G.F. (Produzione Grandi Film) di Bologna (Alberto Giovagnoli).
Bolognesi erano Biagi e Renzi, il musicista Masetti e gli attori Ninchi e Fantoni.
Sottotitolo Anita Garibaldi» (Chiti-Poppi).
ore 21.00
La carrozza d’oro (1952)
Regia: Jean Renoir; soggetto e sceneggiatura: J. Renoir, Renzo Avanzo, Giulio
Macchi, Jack Kirchland; fotografia: Claude Renoir; montaggio: Mario Serandrei;
interpreti: Anna Magnani, Odoardo Spadaro, Nadia Fiorelli, Georges Higgins,
Duncan Lamont, Paul Campbell; origine: Italia/Francia; produzione: Panaria, Hoche
Productions, (Francia); durata: 100’
«La carrozza d’oro è uno dei film chiave di Jean Renoir perché riprende i temi di
molti altri, principalmente quello della sincerità in amore e quello della vocazione
artistica; è un film costruito secondo il gioco delle scatole cinesi che si incastrano le
une nelle altre, un film sui teatro nel teatro. C’è molta ingiustizia nell’accoglienza
riservata dal pubblico e dalla critica a La carrozza d’oro, che è forse il capolavoro di
Renoir. Si tratta, comunque, del film più nobile e raffinato che sia mai stato girato. Vi
si trova tutta la spontaneità e l’inventiva del Renoir d’anteguerra unite al rigore del
Renoir americano. Qui tutto è distinzione e gentilezza, grazia e freschezza. È un film
tutto di gesti e di comportamenti. Il teatro e la vita si mescolano in un’azione sospesa
tra il piano terra e il primo piano di un palazzo come la commedia dell’arte oscilla
tra il rispetto della tradizione e l’improvvisazione. Anna Magnani è l’ammirevole
vedette di questo film elegante in cui il colore, il ritmo, il montaggio sono all’altezza
di un accompagnamento musicale in cui Vivaldi fa la parte del leone. La carrozza
d’oro è di una bellezza assoluta, ma la sua bellezza sta tutta nel suo profondo
soggetto. Ho descritto l’altro capolavoro di Jean Renoir, La règle du jeu, come una
conversazione aperta, un film al quale si è invitati a partecipare; le cose vanno
diversamente per La carrozza d’oro che è un lavoro chiuso, finito, che bisogna
guardare senza toccare, un film che ha trovato la sua forma definitiva, un oggetto
perfetto» (Truffaut).
Copia proveniente dal Museo Nazionale del Cinema di Torino
martedì 28
ore 17.00
Anna Magnani (ep. di Siamo donne, 1953)
Regia: Luchino Visconti; soggetto: Cesare Zavattini, Suso Cecchi D’Amico;
fotografia: Gabor Pogany; musica: Alessandro Cicognini; montaggio: Mario
Serandrei; interpreti: Anna Magnani; origine: Italia; produzione: Titanus, Film
Costellazione; durata: 22’
«Più calore, vivacità e respiro nella “confessione” di Anna Magnani: un ricordo di
anni fa, una lite con un autista da piazza finita addirittura in caserma. Luchino
Visconti, che ne è stato il regista, l’ha ambientata nella Roma dei tempi in cui Anna
Magnani cantava al Quattro Fontane e, sostenuto dalla franca recitazione
dell’attrice, ha dato all’episodio tutto il sapore spigliato e umano della rievocazione
vissuta, del fatto vero. Introduce il film un prologo che ci espone ansie e timori di due
aspiranti attrici, Emma Danieli e Anna Amendola, il giorno in cui vengono prescelte
– e davvero a buon diritto – dopo un laborioso concorso: disinvolto e immediato, è
diretto da Alfredo Guarini con l’intenzione di offrirci una morale in limine di tutto il
film: qui donne che vogliono diventare attrici, là attrici che, o son rimaste donne o,
se lo hanno dimenticato, ne soffrono».
Versione restaurata dalla Cineteca Nazionale con il contributo di Multithematiques-Cine Classic e con
la partecipazione di Unione Latina (Parigi)
a seguire
Bellissima (1951)
Regia: Luchino Visconti; soggetto: Cesare Zavattini; sceneggiatura: Suso Cecchi
D’Amico, Francesco Rosi, L. Visconti; fotografia: Piero Portalupi, Paul Roland;
musica: Franco Mannino; montaggio: Mario Serandrei; interpreti: Anna Magnani,
Walter Chiari, Tina Apicella, Gastone Renzelli, Tecla Scarano, Lola Braccini;
origine: Italia; produzione: Film Bellissima; durata: 115’
«Dopo il mirabile incontro con la “diva” Calamai [...] Visconti scopre in Bellissima
una Magnani inedita, che oltrepassa, e di non poco, quella rosselliniana di Roma,
città aperta. Egli la spoglia dei suoi “vizi”, del suo preoccupante gigionismo,
riscontrabile in particolar modo in opere come L’amore dello stesso Rossellini e
Vulcano di Dieterle [...]. Bellissima è film su un personaggio proprio perché è storia
di una crisi (non delle consuete crisi più o meno da casi clinici); e appunto perché
storia di una crisi, e di una crisi risolta, è anche film di ambiente» (Aristarco).
ore 20.00
Le Magot de Josefa (La pila della peppa, 1963)
Regia: Claude Autant-Lara; soggetto: da un romanzo di Catherine Claude;
sceneggiatura: Jean Auranche, Pierre Bost; fotografia: Jacques Natteau; musica: René
Cloërc; montaggio: Madeleine Gug; interpreti: Bourvil [André Raimbourg], Anna
Magnani, Pierre Brasseur, Ramon Iglesias, Henri Virlojeux, Christian Marin; origine:
Francia/Italia; produzione: Productions Raimbourg (Francia), S.O.P.A.C. (Francia),
Star Press, Paris (Francia), Arco Film; durata: 91’
In un paese del Sud della Francia l’ostessa Peppa (Anna Magnani) vanta una pila
(gruzzolo), ereditata da uno zio gangster d’America, che non esiste. Ha costruito
questa menzogna per far invidia al sindaco che in gioventù la mise incinta. La pila
della Peppa è una curiosa commedia rurale tratta da un romanzo di Catherine
Claude, sceneggiata dalla celebre coppia Aurenche e Bost e diretta con mano sicura
dal celebre regista Claude Autant-Lara.
ore 21.40
Nella città l’inferno (1958)
Regia: Renato Castellani; soggetto: dal romanzo Roma, via delle Mantellate di Isa
Mari; sceneggiatura: Suso Cecchi D’Amico, R. Castellani; fotografia: Leonida
Borboni; musica: Roman Vlad; montaggio: Jolanda Benvenuti; interpreti: Anna
Magnani, Giulietta Masina, Cristina Gajoni, Anita Durante, Milly [Monti], Marcella
Rovena; origine: Italia; produzione: Riama Film, Francinex; durata: 106’
«Finalmente un titolo che dice quello che il film vuol dire: sono molti, infatti, gli
“inferni” nelle nostre città, ma i peggiori, forse, sono proprio le prigioni, soprattutto
certe prigioni dove all’orrore della segregazione e della libertà perduta si aggiunge
l’afa in estate, il gelo in inverno, l’esasperazione della promiscuità, dell’inerzia e,
per i non cattivi, il rischio di guastarsi a contatto con quanti della bontà hanno
perduto anche il ricordo. Guardate, così, l’inferno di questa prigione femminile in
cui il film di oggi ci introduce per più di un’ora e mezza [...]; c’è di tutto, in questa
bolgia, la delinquente abituale, cinica e violenta, la pazza omicida, la ladra, la
truffatrice, l’innocente, o quella che si dice tale, l’ingenua che è rimasta vittima di un
raggiro e che mette piede in quell’orrore per la prima volta. Cosa accade, però? Che
l’ingenua, sulle prime atterrita da quell’ambiente in cui tutto le sembra ostile ed
assurdo, finisce per assuefarsi agli usi, alla mentalità e, soprattutto, ai progetti di
quelle che lì si considerano “di casa” e, dimesso il proprio candore, saprà così bene
imitare le sue “maestre” che, appena fuori, si comporterà in modo tale da
ripresentarsi tra quelle sbarre di lì a non molto [...]. Certo, durante tutto il film, si
anela a un attimo di sosta, a un momento di respiro [...] ma Castellani si è assunta
l’impresa di descrivere uno spicchio di inferno e bisogna dargli atto di averlo fatto
con felice, ispirata esattezza. Lo stesso si dica per l’interpretazione violentemente
realistica delle due protagoniste: Anna Magnani, che è persino riuscita a superare se
stessa nel disegno aspro, sfrontato, ma tutto tragici risentimenti e intimi strazi della
detenuta cinica e autoritaria» (Rondi).
mercoledì 29
ore 17.00
Risate di gioia (1960)
Regia: Mario Monicelli; soggetto: dai racconti Risate di gioia e Ladri in chiesa di
Alberto Moravia; sceneggiatura: Suso Cecchi D’Amico, Age & Scarpelli, M.
Monicelli; fotografia: Leonida Barboni; musica: Lelio Luttazzi; montaggio: Adriana
Novelli; interpreti: Anna Magnani, Totò, Ben Gazzara, Fred Clark, Edy Wessel, Mac
Ronay; produzione: Silvio Clementelli per Titanus; origine: Italia; durata: 106’
«È uno dei film più belli e meno conosciuti del grande padre del cinema italiano, [...]
Mario Monicelli. Uscito a Natale ’60, racconta le avventure di una notte particolare,
quella dei 31 dicembre con un po’ di dolce vita. Due soliti ignoti, la Magnani e Totò
– coppia di rivista, l’unico film girato insieme – che si ritrovano e diventano complici
di un malvivente di periferia, Ben Gazzara. Andranno nei guai tutti ma la verve della
storia, il tempismo comico, l’allegria di due straordinari temperamenti della
commedia rendono il film unico, da riscoprire anche per i riferimenti al cinema
d'allora» (Porro).
ore 19.00
Mamma Roma (1962)
Regia: Pier Paolo Pasolini; soggetto e sceneggiatura: P.P. Pasolini; collaborazione ai
dialoghi: Sergio Citti; fotografia: Tonino Delli Colli; montaggio: Nino Baragli;
interpreti: Anna Magnani, Franco Citti, Ettore Garofalo, Silvana Corsini, Luisa
Loiano, Paolo Volponi; origine: Italia; produzione: Arco Film; durata: 106’
«Quando il suo protettore (Citti) si sposa, la prostituta Mamma Roma (Magnani)
decide di rifarsi una vita assieme al figlio Ettore (Garofalo). [...] Il tema
dell’incoscienza, o della diversa coscienza, proletaria è il centro del secondo film di
Pasolini [...] dove il regista nobilita i suoi personaggi con richiami alla pittura
rinascimentale (il Cristo morto del Mantegna), e tocca vertici di pathos senza versare
una lacrima: Mamma Roma rappresenta la femminilità dolente ma indistruttibile,
mentre Ettore, scettico e prematuramente deluso dalla vita, è fratello ideale di
Accattone, senza esserne una scialba replica. Quella della Magnani [...] è una delle
sue migliori interpretazioni. Il debuttante Garofalo fu scoperto dal regista mentre
faceva il cameriere in una trattoria. Lo scrittore Paolo Volponi è il prete»
(Mereghetti).
ore 21.00
Roma (1972)
Regia: Federico Fellini; soggetto e sceneggiatura: F. Fellini, Bernardino Zapponi;
fotografia: Giuseppe Rotunno; musica: Nino Rota; montaggio: Ruggero Mastroianni;
interpreti: Peter Gonzales, Fiona Florence [Luisa Alcini], Marne Maitland, Dante
Cleri, Mimmo Poli, Anna Magnani; origine: Italia/Francia; produzione: Ultra Film,
Les Productions Artistes Associées (Francia); durata: 119’
«Prima d’ogni altra considerazione, credo si debba dire, a proposito di questo film,
che se non è il più bello in assoluto (almeno, la cosa è opinabile) è di certo il più
“inevitabile” film di Fellini. Un film che, un giorno o l’altro, egli doveva fare
fatalmente, credo, così come 8 e mezzo o La dolce vita (vale a dire due film sulla
impossibilità di raccontare, per immagini o per iscritto). In effetti Roma è una sorta
di compendio dei rapporti di Fellini con l’“esterno”, con il “resto” del mondo. Un
mondo che inizia a Rimini, si ferma per poco tempo a Firenze, e si rivela e si
conclude a Roma. Tutta la vita e la carriera di Fellini sono legate, in modo
schiacciante, alla sua scelta di approdare a Roma poco più che adolescente, e di
affrontarvi in modo vago (gli piacevano i giornalisti dei film americani, con il
cappello calcato all’indietro e la risposta pronta) ma perentorio la vita da adulto»
(Claudio G. Fava).
Versione restaurata nel 2005 dalla Cineteca Nazionale con il contributo della Camera di
Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura di Roma, in collaborazione con la Titanus
giovedì 30
ore 17.00
Roma città aperta (replica)
ore 19.00
L’onorevole Angelina (replica)
ore 21.00
... correva l’anno di grazia 1870 (1971)
Regia: Alfredo Giannetti; soggetto e sceneggiatura: A. Giannetti; collaborazione alla
sceneggiatura: Bendicò, Giuseppe Mangione; fotografia: Leonida Borboni; musica:
Ennio Morricone; montaggio: Renato Cinquini; interpreti: Anna Magnani, Marcello
Mastroianni, Mario Carotenuto, Osvaldo Ruggeri, Duilio Cruciani, Aldo Cecconi;
origine: Italia; produzione: Garden Cinematografica, Excelsior 151, Rai
Radiotelevisione Italiana; durata: 110’
«È uno dei film televisivi scritti e diretti da Giannetti appositamente per Anna
Magnani. Il suo personaggio è ancora una volta quello di una appassionata e
coraggiosa popolana, Teresa, il cui marito, Augusto, giace malato nelle prigioni
dello Stato pontificio, perché patriota oppositore del potere temporale della Chiesa.
Con la breccia di Porta Pia, Roma torna italiana e i prigionieri politici vengono
liberati: Augusto è però già in fin di vita e muore tra le braccia di Teresa che gli
descrive commossa l’arrivo dei piemontesi in città» (Farinotti).
31 ottobre-16 novembre
Il mondo (realmente) rovesciato. Il cinema di Frederick Wiseman
Il programma sarà pubblicato nel programma di novembre.