PROGRAMMA DEL CINEMA TREVI PER IL MESE
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PROGRAMMA DEL CINEMA TREVI PER IL MESE
PROGRAMMA DEL CINEMA TREVI PER IL MESE DI OTTOBRE 1-2 ottobre 2008 89 mm dall’Europa e altri capolavori di Marcel Łoziński 3-10 ottobre Tagli. Il cinema di Dario Argento 10 ottobre: Proiezione speciale: L’avvocato De Gregorio 11-12 ottobre Albasuite - Nove documentari sulla cultura arbëreshë 14-19 ottobre Questi fantasmi: Cinema italiano ritrovato (1946-1975) 21 ottobre Immagini che migrano. Incontro con Marina Malfatti, Agnese Nano, Carolina Levi, Emanuela Giordano, protagoniste e regista dello spettacolo teatrale Va’ dove ti porta il cuore 21 ottobre Presentazione del film Il figlio incerto 22-30 ottobre Anna Magnani: omaggio a “mamma Roma” 23 ottobre Eurovisioni 31 ottobre-16 novembre Il mondo (realmente) rovesciato. Il cinema di Frederick Wiseman 1-2 ottobre 2008 89 mm dall’Europa e altri capolavori di Marcel Łoziński Nell’ambito della sesta edizione del suo festival “Corso Polonia”, l’Istituto Polacco di Roma, in collaborazione con la Cineteca Nazionale, The Polish Film Archive (Filmoteka Narodowa) e Kalejdoskop Film Studio, propone l’1 e il 2 ottobre al Cinema Trevi la rassegna dei film di Marcel Łoziński, uno dei documentaristi polacchi più noti, nominato all’Oscar per il suo film 89mm dall’Europa. Il pubblico italiano potrà vedere il percorso del grande regista dal 1973 fino al 2007. In totale saranno proiettati 16 documentari in lingua originale con i sottotitoli in italiano. Il regista incontrerà il pubblico italiano giovedì 2 ottobre alle ore 21.00 dopo la proiezione del suo ultimo film E se fosse andata così. Quando mi preparavo agli esami di maturità, non sapevo che il mio tempo di maturazione avesse un testimone. Non me ne sono accorto neanche quel giorno di maggio del 1978 quando alcuni dei miei compagni davano l’esame che io, fortunatamente, non avevo scelto – quello di educazione civica – accompagnati da una cinepresa. Devo aver pensato che si trattasse di una propagandistica relazione per un notiziario della tv dello Stato. Di quel giorno mi ricordo che una delle mie compagne non ha risposto a nessuna delle domande della commissione, neanche a quella che riguardava i diritti del cittadino di un paese socialista. «Come?!», disse fuori di sé (come poi mi hanno riferito gli amici presenti in aula) la temibile preside del liceo, nota per la sua piena adesione al sistema. «Vivi in un paese socialista e non sai quali sono i tuoi diritti?!». Mi ricordo pure che la mancata risposta della compagna aveva una doppia interpretazione: per alcuni la ragazza non era per nulla intelligente, per gli altri (a cui appartenevo) la ragazza aveva rifiutato di dire cavolate, a costo di essere rimandata alla prova di settembre. Mi sono meravigliato, e mi meraviglio ancora, di rivivere quella situazione guardando L’esame di maturità di Marcel Łoziński. Non solo per il fatto che quell’uomo con la cinepresa si è rivelato uno dei maggiori cineasti nella storia. Quel che continua a colpirmi è che in quella scena ritrovo condensati molti fra i problemi di identità sociale che mi assillavano allora e che tutti i miei dubbi riguardo a quella situazione sono rimasti irrisolti e sospesi, come allora. La forza del cinema di Łoziński è forse questa: essere un invisibile testimone di quelle perplessità che sono essenziali per un momento di vita e che si dissolverebbero senza la sua sensibile capacità di osservarli. La rassegna dei suoi documentari è, in effetti, la rassegna dei più importanti dubbi degli ultimi quarant’anni. Jarosław Mikołajewski Direttore dell’Istituto Polacco di Roma Marcel Łoziński, documentarista In due parole... Un documento filmato non è una semplice registrazione. Dopo Flaherty e Vertov esso può essere talvolta un’opera d’arte. Marcel Łoziński rientra tra i maggiori artisti documentaristi del mondo. Chi non ha ancora visto uno dei suoi fenomenali prodotti, non può sapere quanto grande possa essere l’arte del documentario. Due parole sull’uomo. Nasce a Parigi nel 1940 in una famiglia di intellettuali polacchi. I suoi genitori, comunisti, partecipano alla Résistance. Rientrati in Polonia, partecipano alla costruzione del nuovo sistema politico. Cominciano a sentirsi delusi dal comunismo dopo il 1956 (allora il padre era corrispondente a Budapest). Marcel si laurea in telecomunicazioni al Politecnico di Varsavia. Dopo uno stage col famoso operatore Stanislaw Niedbalski, studia regia alla Scuola di Cinema di Łódź, dove stringe amicizia con Krzysztof Kieślowski. La sua passione è andare alla scoperta del mondo che ci circonda. Da quando è diventato cineasta vuole raccontare – girando con camera a mano – come stanno le cose. Pur occupandosi di documentari, ha sempre evitato la pura e semplice registrazione dei fatti. E non ha mai girato un film a soggetto, se si esclude il saggio scolastico. Non ammette i documentari a tesi, le soluzioni facili, il tutto bianco o il tutto nero. Con gli anni ha elaborato una sua teoria e pratica del documentario, poco ortodossa, che ammette l’elemento della messa in scena durante la realizzazione allo scopo di mettere in movimento la realtà sotto esame. Marcel Łoziński è un professionista in ogni fibra del suo essere. Ha un’alta considerazione per le necessità tecniche, senza le quali l’arte non può esistere. Ma al primo posto pone l’etica del regista. Il vero autore di documentari non è chi usa la telecamera per cercare di scioccare lo spettattore, ma colui che crea il suo film in modo da non nuocere ai protagonisti del suo racconto. È sempre andato per la propria strada, evitando le mode e le passeggere fascinazioni per gli argomenti affrontati dagli altri documentaristi. A lui interessano le persone, i loro comportamenti, il modo di pensare, le scelte esistenziali, il tessuto sociale in cui vivono quotidianamente. Negli anni settanta ben 9 film dei 12 da lui realizzati vennero bloccati dalla censura. Conosce il prezzo amaro chiesto a chi non vuole scendere a compromessi. Era l’unico regista di documentari dello Studio Cinematografico “X” di Andrzej Wajda, soppresso durante lo stato di guerra. Negli anni ottanta ha continuato a girare in condizioni di clandestinità. Per i suoi documentari ha vinto innumerevoli premi ai festival di Cracovia, Oberhausen, Amsterdam e tanti altri. Nel 1994 il suo 89 mm dall’Europa ha ottenuto la nomination all’Oscar. Nel 2004, a Berlino, gli è stato attribuito il Premio Libertà “Andrzej Wajda”. Continua a fare film. Gli piace insegnare. Da anni è impegnato a formare i documentaristi di domani in qualità di leader del Dragon Forum e di docente di documetaristica all’Accademia di Regia di Andrzej Wajda a Varsavia. Marek Hendrykowski e Małgorzata Hendrykowska mercoledì 1 ore 17.00 Anni ’70 Happy End (1973) Regia: Paweł Kędzierski, Marcel Łoziński; fotografia: Stanisław Niedbalski, Witold Stok, Jacek Petrycki; suono: Małgorzata Jaworska; montaggio: Lidia Zonn; origine: Polonia; durata: 17’ La riunione del partito, nel corso della quale ha luogo una “purga” stile marzo ’68, si rivela essere uno psicodramma. Ufficialmente il film non è stato censurato, ma è stato proiettato solo al Festival del Cortometraggio di Cracovia e nei cineclub. a seguire La visita (Wizyta, 1974) Regia: Marcel Łoziński; fotografia: Jacek Petrycki; suono: Małgorzata Jaworska; montaggio: Lidia Zonn; origine: Polonia; durata: 15’ Marta Wesołowska, giornalista del settimanale «Polityka», e il fotoreporter Erazm Ciołek fanno visita a Urszula Flis, una giovane donna che gestisce da sola un’azienda agricola. A differenza degli altri agricoltori, Urszula coltiva anche degli interessi culturali, è in rapporti epistolari con diversi scrittori, ecc. Łoziński tornerà da lei 24 anni più tardi, nel 1998, per girare Perché non faccia male. a seguire Re (Król, 1975) Regia: Marcel Łoziński; fotografia: Jacek Petrycki; suono: Wiesława Dembińska; montaggio: Alina Siemińska; origine: Polonia; durata: 5’ Un conformista-tipo, un uomo che durante la guerra confezionava le divise per gli ufficiali tedeschi e dopo la guerra per gli ufficiali dell’esercito popolare. Ora gestisce un caffè e vive da “re” (I premio alla Rassegna del Cortometraggio di Rzeszów, 1978). a seguire Scontro frontale (Zderzenie czołowe, 1975) Regia: Marcel Łoziński; fotografia: Jacek Petrycki, Witold Stok, Roman Miastowski; suono: Halina Paszkowska; montaggio: Łucja Ośko; origine: Polonia; durata: 10’ Il film è il saggio di diploma del regista. A sei mesi dalla pensione il protagonista del film, un macchinista, causa un incidente che cancella tutti i meriti che aveva acquistato nel corso degli anni. a seguire Il tocco (Dotknięcie, 1978) Regia: Marcel Łoziński; fotografia: Witold Stok; suono: Halina Paszkowska; montaggio: Łucja Ośko; origine: Polonia; durata: 12’ Il film racconta il soggiorno a Varsavia del celebre guaritore Clive Harris. a seguire Esame di maturità (Egzamin dojrzałości, 1978) Regia: Marcel Łoziński; collaborazione alla realizzazione: Andrzej Chodakowski; fotografia: Jacek Petrycki, Witold Stok; suono: Halina Paszkowska; montaggio: Łucja Ośko; origine: Polonia; durata: 16’ È l’esame di maturità sulla cosiddetta propedeutica delle scienze sociali e storiche. Gli studenti vengono ripresi nell’aula, dove recitano le formulette propagandistiche, e nel corridoio, dove ne ridono. ore 19.00 Anni ’70 Come vivere (Jak żyć, 1977) Regia: Marcel Łoziński; sceneggiatura: M. Łoziński; fotografia: Jacek Petrycki; suono: Halina Paszkowska; montaggio: Łucja Ośko; origine: Polonia; durata: 83’ Campo scuola estivo per giovani coppie iscritte all’Associazione della Gioventù Socialista Polacca. Si organizza il concorso “La famiglia modello”, i giudici sono anonimi, una telecamera registra le varie fasi. Ogni giorno viene reso noto il punteggio raggiunto dalle singole coppie. Gli esami di scienze politiche sulla dottrina marxista, gli interrogatori dei bambini, le ingerenze nelle faccende personali e la rigida disciplina organizzativa generano conflitti, smascherano i metodi della direzione del campo, mettono a nudo i veri sentimenti e i caratteri dei partecipanti. ore 20.30 Inaugurazione della rassegna alla presenza di Marcel Łoziński ore 21.00 Anni ’80 e ’90 Prova microfono (Próba mikrofonu, 1980) Regia: Marcel Łoziński; sceneggiatura: Marek Petrycki; fotografia: Jacek Petrycki; musica: Danuta Zankowska-Marucha; suono: Halina Paszkowska, Elżbieta Hetman; montaggio: Katarzyna Maciejko; origine: Polonia; durata: 18’ Siamo nel 1979. Un giornalista della capitale svolge una serie di interviste con i lavoratori della fabbrica di cosmetici Pollena-Uroda. L’operatore della rete radiofonica interna decide di realizzare un programma serio. Domanda alle operaie se si sentano padrone della fabbrica. Le loro risposte sorprendono la direzione. La verità che emerge dal “basso” si scontra con le menzogne di quelli “in alto”. a seguire Laboratorio (Ćwiczenia warsztatowe, 1984) Regia: Marcel Łoziński; fotografia: Jacek Petrycki; suono: Danuta Zankowska; montaggio: Katarzyna Maciejko, Katarzyna Rudnik; origine: Polonia; durata: 11’ Come fare un uso disonesto dei metodi giornalistici per manipolare le persone. Viene svolto un sondaggio televisivo sui giovani d’oggi. Dei passanti scelti a caso rispondono alle domande della giornalista, ma in sede di montaggio il vero senso delle loro risposte sarà distorto. «Il film è stato realizzato all'insaputa e senza il consenso dei partecipanti, utilizzando il metodo di montaggio asincronico delle immagini e dell'audio» (didascalia finale). a seguire Il mio posto (Moje miejsce, 1985) Regia: Marcel Łoziński; sceneggiatura: M. Łoziński; fotografia: Andrzej Adamczak; musica: Danuta Zankowska; suono: Małgorzata Jaworska; montaggio: Katarzyna Maciejko-Kowalczyk; origine: Polonia; durata: 15’ Reportage metaforico sul Grand Hotel di Sopot e sul suo personale. Parlano del proprio lavoro il fuochista, le donne delle pulizie, le cameriere, i cuochi, i guardarobieri, i barman, gli addetti della lavanderia, i portieri, lo stesso direttore. Al termine una foto-ricordo ritrae tutti insieme sullo sfondo dell’edificio che richiede un’urgente opera di restauro. a seguire Testimoni (Świadkowie/ Témoins, 1986) Regia: Marcel Łoziński; sceneggiatura: M. Łoziński, da un’idea di Jan Kofman; fotografia: Jacek Petrycki; musica: Danuta Zankowska; montaggio: M. Łoziński; origine: Polonia/Francia; durata: 26’ È la registrazione dei racconti dei testimoni della strage di Kielce, avvenuta nel 1946 e qui illustrata coi filmati storici del Cinegiornale Polacco (Premiato al Festival Internazionale di Stoccolma, 1990). a seguire 89 mm dall’Europa (89 mm od Europy, 1993) Regia: Marcel Łoziński; sceneggiatura: M. Łoziński; fotografia: Jacek Petrycki, Arthur Reinhart; suono: Małgorzata Jaworska; montaggio: Katarzyna MaciejkoKowalczyk; origine: Polonia; durata: 12’ Stazione ferroviaria di Brześć, al confine tra la Polonia e la Bielorussia. La gente, stanca e imbruttita, aspetta. Una voce dall’altoparlante scuote tutti dal torpore. Arriva il treno Parigi-Mosca. Gli operai bielorussi iniziano le operazioni di cambio delle ruote, indispensabili per entrare nei territori dell’ex Unione Sovietica. In Europa, infatti, i convogli ferroviari viaggiano su binari larghi 1435 mm, nell’ex URSS i binari misurano 1524 mm. La differenza sono gli 89 mm del titolo. Gli operai bielorussi cambiano ogni giorno alcune migliaia di ruote. In questo breve documento in bianco e nero, girato e montato con vera maestria, Marcel Łoziński mostra che quei pochi millimetri di differenza tracciano il confine tra le due realtà. Il film è stato candidato al premio Oscar nella categoria “miglior cortometraggio documentario”. giovedì 2 ore 17.00 Anni ’90 Tutto può accadere (Wszystko może się przytrafić, 1995) Regia: Marcel Łoziński; sceneggiatura: M. Łoziński; fotografia: Arthur Reinhart; consulente musicale: Małgorzata Jaworska; suono: Halina Paszkowska; montaggio: Katarzyna Maciejko-Kowalczyk; origine: Polonia; durata: 39’ Protagonista del film è Tomek, figlio del regista, all’età di sei anni. Va alla scoperta del mondo girando il parco in monopattino. Ogni tanto si ferma per annusare un fiore, inseguire una farfalla, dar da mangiare a uno scoiattolo o ai cigni. Ma il più delle volte si ferma vicino alle panchine disposte lungo i viali, a chiacchierare con gli anziani, uomini e donne. Mette a confronto il proprio sapere con le loro esperienze. Viene così a conoscere il bisogno di fede, l’ineluttabilità della morte, il valore della salute, del lavoro, della famiglia, gli acciacchi dell’età, le cause della povertà, il ruolo della memoria, l’influenza della storia e delle decisioni personali sui destini dei singoli. Si convince che la solitudine può essere una maledizione oppure qualcosa di prezioso. Non accetta di vedere scritto sul palmo della mano il proprio destino. Non accetta l’ineluttabilità. Immerso nel mondo delle illusioni infantili, è convinto che nella vita possa succedere qualsiasi cosa, per esempio si può incontrare un cucciolo di dinosauro e il signore anziano con gli occhiali può vivere fino a 120 anni e anche molto di più. La passeggiata di Tomek nel parco si trasforma pian piano in un simbolico viaggio attraverso la vita. a seguire Perché non faccia male (Żeby nie bolało, 1998) Regia: Marcel Łoziński; sceneggiatura: M. Łoziński; collaborazione: Agnieszka Kublik, Marta Wesołowska; fotografia: Jacek Petrycki; musica: Gioacchino Rossini; suono: Małgorzata Jaworska; montaggio: Katarzyna Maciejko-Kowalczyk, Lidia Zonn; origine: Polonia; durata: 46’ Nel 1974 la giornalista del settimanale «Polityka» Marta Wesołowska e il fotoreporter Erazm Ciołek fecero visita a Urszula Flis, una giovane donna che gestiva da sola un’azienda agricola di 13 ettari. I due erano accompagnati da Marcel Łoziński con la sua troupe. Nacquero così il reportage Rapporto sui geni e il film La visita che documentava il lavoro della giornalista. Dopo 23 anni il regista ha voluto ripetere quell’esperienza. Ha solo sostituito la giornalista di «Polityka», nel frattempo emigrata in Svezia, con una collega del quotidiano «Gazeta Wyborcza», Agnieszka Kublik. Il nuovo film si compone di due parti. La prima, mantenuta nei toni seppia, è il vecchio documentario La visita, la seconda, a colori, si riferisce al recente incontro con Urszula Flis. a seguire 89 mm dall’Europa (replica) ore 19.00 Anni 2000 Come si fa (Jak to się robi, 2006) Regia: Marcel Łoziński; sceneggiatura: M. Łoziński; fotografia: Jacek Petrycki, Andrzej Adamczak, Radosław Ładczuk, Leszek Skuza; suono: Jerzy Murawski, Jarosław Roszyk; montaggio: Katarzyna Maciejko-Kowalczyk; origine: Polonia; durata: 87’ Piotr Tymochowicz, consulente mediatico, vuole dimostrare di poter trasformare chiunque in uomo politico. Ai provini si presentano varie centinaia di persone. Circa dieci prescelti vengono inviati al corso di addestramento, uno solo arriva fino in fondo. La troupe cinematografica ha lavorato alle riprese per tre anni ed ha avuto l’opportunità più unica che rara di seguire passo passo i meccanismi che portano alla nascita e allo sviluppo di ciò che più ci disgusta nei politici polacchi. Ma la demagogia e il populismo non sono un’esclusiva polacca... ore 21.00 Anni 2000 Incontro con Marcel Łoziński a seguire E se fosse andata cosi (A gdyby tak się stało, 2007) Regia: Marcel Łoziński; collaborazione alla regia: Paweł Łoziński, Mikołaj Łoziński; sceneggiatura: M. Łoziński; fotografia: Arthur Reinhart, Jacek Bławut; consulente musicale: Małgorzata Jaworska; suono: Halina Paszkowska, Iwo Klimek, Krzysztof Jastrząb; montaggio: Katarzyna Maciejko-Kowalczyk; origine: Polonia; durata: 39’ Tomek, figlio del regista, ora diciottenne torna nel parco dove dodici anni prima giocava col monopattino, osservava i pavoni vanitosi e interrogava gli anziani incontrati nei viali sulla vita, la morte, l’amore, la solitudine. Erano domande profonde, perspicaci, talvolta serie e altre volte divertenti per la semplicità con la quale i bambini percepiscono la realtà. Cosa ne è rimasto di quelle domande? Sono sbiadite, fanno parte ormai del passato, come l’infanzia del protagonista? Oppure riguardavano questioni eterne, universali, escatologiche? Il giovane attraversa il parco, dove abitano ormai soltanto le ombre dei suoi interlocutori e richiama alla memoria quel giorno d’estate. Quel che rivive nel ricordo sarà per lui espressione di eterna saggezza da cui trarre preziose indicazioni per il futuro. Uno degli otto migliori documentari del mondo 2007, è stato candidato per le nomination all’Oscar. Ingresso gratuito 3-10 ottobre Tagli. Il cinema di Dario Argento La retrospettiva della 44ª Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro, organizzata in collaborazione con la Cineteca Nazionale, ha consacrato definitivamente Dario Argento fra i grandi autori del cinema italiano. Un omaggio tardivo, dopo decenni di recensioni irridenti da parte della critica paludata, a fronte del crescente interesse all’estero e dell’incondizionato appoggio dei giovani cinefili. La retrospettiva, che viene ora riproposta al Cinema Trevi, offre l’occasione per riflettere sulle traiettorie del tutto personali del regista romano, capostipite del thriller all’italiana e adesso, per paradosso, eclissatisi i suoi imitatori, unico superstite del cinema di genere ancora attivo ad alti livelli. Ormai proiettato verso il cinema americano, a cercare sponde affettive smarrite in Italia con la morte di Bava, Freda e Fulci, gli unici registi con i quali condivideva una (ir)reale vocazione fantastica. Del tutto fuori luogo nel nostro Paese: di qui le incomprensioni con la critica e la necessità di cercare altre vie per reiterare all’infinito i propri macabri sogni. Come ha scritto Giona A. Nazzaro nel volume curato da Vito Zagarrio Argento vivo. Il cinema di Dario Argento tra genere e autorialità, edito da Marsilio in occasione dell’omaggio di Pesaro, Argento, con Sergio Leone, è il fautore di un cinema celibe e orfano: «Il cinema argentiano, una volta orgogliosamente orfano, oggi si ritrova nella condizione sconcertante di un orfano diventato padre elettivamente ma privo di progenie». Il cinema italiano, ad esso ricollegabile, direttamente o indirettamente è svanito, risucchiato dalla televisione, e in questo vuoto il cinema argentiano risplende ancor più. Finalmente unico e inimitabile. venerdì 3 ore 17.00 L’uccello dalle piume di cristallo (1970) Regia: Dario Argento; soggetto e sceneggiatura: D. Argento; fotografia: Vittorio Storaro; musica: Ennio Morricone; montaggio: Franco Fraticelli; interpreti: Tony Musante, Suzy Kendall, Enrico Maria Salerno, Eva Renzi, Umberto Raho, Mario Adorf; origine: Italia/Germania; produzione: Seda Spettacoli, C.C.C. Film GMBH; durata: 96’ «Sam, scrittore americano venuto a Roma in cerca d’ispirazione, vi trova invece una spaventosa avventura. Poche sere prima della data fissata per il ritorno in patria con la sua ragazza, Movita, gli accade di essere testimone di un tentato assassinio. Chiuso tra le porte di vetro di una galleria d’arte, egli vede una bella donna colluttare con un individuo tutto vestito di nero, che poi fugge, lasciando la donna accoltellata al suolo. Qualcosa, in tale visione, non quadra. Ma che cosa?» (Biraghi). «Tutto lo sforzo del protagonista sarà quello di ricostruire, retrospettivamente, una scena cui ha assistito un’unica volta: la memoria, purtroppo, non è una moviola, e Argento ne mima l’impotenza continuando a mostrarci porzioni della sequenza senza mai svelarcene l’elemento decisivo, il tratto distintivo dove risiede la chiave dell’enigma» (Pugliese). Versione ristampata dalla Cineteca Nazionale per gentile concessione di Titanus Film ore 19.00 Il gatto a nove code (1971) Regia: Dario Argento; soggetto: D. Argento, Luigi Collo, Dardano Sacchetti; sceneggiatura: D. Argento; fotografia: Enrico Menczer; musica: Ennio Morricone; montaggio: Franco Fraticelli; interpreti: Karl Malden, James Franciscus, Catherine Spaak, Cinzia De Carolis, Pierpaolo Capponi, Aldo Reggiani; origine: Italia/Germania/Francia; produzione: Seda Spettacoli, Terra Filmkunst, Labrador Film; durata: 112’ «Un enigmista cieco, impersonato da Karl Malden, passeggiando in strada, con la nipotina di dieci anni ode i frammenti di una conversazione dalla quale arguisce trattarsi di un ricatto. Poco dopo un guardiano di un importante Istituto di Genetica, viene tramortito da uno sconosciuto che penetra nell’istituto senza rubare niente. Il giorno seguente, uno scienziato dell’istituto stesso viene spinto sotto un treno dalla pensilina della stazione da una mano ignota che però un fotografo di un giornale riesce a riprendere. […] Il gatto a nove code è un film geometrico e lucido che ha dalla sua una notevole spettacolarità d’impianto e una forte, sia pur rozza, carica di suspense. L’ombra del dubbio cade di volta in volta sui principali personaggi del film, per arrivare infine a una soluzione ingegnosa alla quale nessuno ha certamente pensato. Così come è ingegnoso il movente in un certo senso scientifico dei cinque delitti» (Onorato Orsini). Volevo fare un film un po’ diverso da L’uccello dalle piume di cristallo, non volevo ripetermi. Credo di aver fatto un film un po’ all’americana, con attori protagonisti americani, ispirato a quei film di detection tipicamente americani. Forse proprio per questo motivo non ne rimasi molto soddisfatto, forse oggi ritornerei sul mio giudizio, ma penso che certi dialoghi e certi personaggi abbiano tradito un po’ il mio stile» (Argento). Versione ristampata dalla Cineteca Nazionale per gentile concessione di Titanus Film ore 21.00 Incontro con Dario Argento moderato da Giona A. Nazzaro Nel corso dell’incontro saranno presentati i volumi: Tagli. Il cinema di Dario Argento, a cura di Domenico Monetti e Luca Pallanch, Centro Sperimentale di Cinematografia - Fondazione Pesaro Nuovo Cinema, 2008 e Dario Argento. Confessioni di un maestro dell’horror, di Fabio Maiello, Alacrán Edizioni, Milano, 2007. a seguire Le cinque giornate (1973) Regia: Dario Argento; soggetto: Vincenzo Ungari, D. Argento, Luigi Cozzi; sceneggiatura: D. Argento, Nanni Balestrini; fotografia: Luigi Kuveiller; montaggio: Franco Fraticelli; musica: Giorgio Gaslini; interpreti: Adriano Celentano, Enzo Cerusico, Sergio Graziani, Marilù Tolo, Glauco Onorato, Carla Tatò; origine: Italia; produzione: Seda Spettacoli; durata: 122’ Il film più anomalo nella filmografia argentiano. Un’incursione nella Storia, nella quale il regista non rinuncia a inscenare l’orrore e la crudeltà, in questo caso della guerra. Argento fu voluto dagli attori, a cominciare dal protagonista Adriano Celentano. Da riscoprire. «Le cinque giornate è un film crudele, assai poco allineato con i tempi: alla decostruzione della favolistica rivoluzionaria Argento non contribuisce con procedimenti contro storici alla Vancini o atteggiamenti stoici alla Leone ma, ancora una volta, indugiando nel massacro, nella carneficina, nella spendibilità dei corpi umani. Le numerose truculenze allineate nel film giocano così una funzione per la prima volta quasi romeriana: la morte non è più tassello di un edificio estetico coerente, di un progetto logico-matematico (sia pur svolto nel cono d’ombra della follia individuale), ma gratuito, empio smembramento di carni, ammassamento di atrocità quasi risibili, sguardo osceno sul nulla e sull’idiozia» (Pugliese). Ingresso gratuito sabato 4 ore 17.00 Suspiria (1977) Regia: Dario Argento; soggetto e sceneggiatura: D. Argento, Daria Nicolodi; fotografia: Luciano Tovoli; musica: Goblin; montaggio: Franco Fraticelli; interpreti e personaggi: Jessica Harper, Stefania Casini, Alida Valli, Joan Bennett, Flavio Bucci, Miguel Bosè; origine: Italia; produzione: Seda Spettacoli; durata: 100’ «Una laurea honoris causa in tecnologia degli spaventi. Dario Argento non merita niente di meno per un film che probabilmente farà epoca nel cinema della pelle d’oca. Anche il pubblico più refrattario ai brividi del giallo suderà freddo, stavolta; e sarà difficile d’ora in poi non comprendere Dario Argento in quel pugno di registi che grazie all’eccellenza del mestiere tengono a galla il cinema italiano. I teorici dell’impegno politico e sociale non saranno d’accordo, ma poco male: Suspiria ritrova le radici fantastiche del cinema, facendo leva sul colore e sul sonoro, con una furbizia spettacolare cui si deve tanto di cappello. Naturalmente accadono cose da pazzi nella casa che si suppone essere stata di Erasmo, l’autore dell’elogio della pazzia. Siamo in Germania, a Friburgo, dove la giovane Susy, un’americana, è venuta a studiare in una famosa accademia di danza» (Grazzini). «Suspiria è nato dal mio desiderio di sganciarmi dalla realtà e di librarmi in un mondo assolutamente fantastico. Volevo girare una favola e nello stesso tempo volevo parlare di stregoneria, perché in quel periodo il mio interesse era stato risucchiato dall’esoterismo. La fiaba di Biancaneve e i sette nani fu il punto di partenza per la storia» (Argento). ore 19.00 Inferno (1980) Regia: Dario Argento; soggetto e sceneggiatura: D. Argento; fotografia: Romano Albani; musica: Keith Emerson; montaggio: Franco Fraticelli; interpreti e personaggi: Leight McCloskey, Eleonora Giorgi, Gabriele Lavia, Irene Miracle, Sacha Pitoeff, Daria Nicolodi; origine: Italia; produzione: Seda Spettacoli; durata: 107’ L’inferno argentiano: “tre madri” nascoste nei sotterranei di tre palazzi a Roma, New York, Friburgo, costruiti per loro da un architetto-alchimista, autore di un libro maledetto. «È una storia che si ispira all’alchimia moderna, alchimia di oggi, alchimia dei nostri giorni. Il mio film vuole esplorare e trovare le chiavi dei grandi segreti della vita e della morte. È una storia che si ispira all’alchimia moderna, alchimia di oggi, alchimia dei nostri giorni. Il mio film vuole esplorare e trovare le chiavi dei grandi segreti della vita e della morte» (Argento). ore 21.00 Tenebre (1982) Regia: Dario Argento; soggetto e sceneggiatura: D. Argento; fotografia: Luciano Tovoli; musica: Claudio Simonetti, Fabio Pignatelli, Massimo Morante; montaggio: Franco Fraticelli; interpreti: Anthony Franciosa, Daria Nicolodi, Giuliano Gemma, John Saxon, Carola Stagnaro, John Steiner; origine: Italia; produzione: Sigma Cinematografica; durata: 101’ Uno scrittore americano di polizieschi, venuto a Roma per presentare il suo ultimo libro, si trova invischiato in un giallo. «La trovata di Argento, che si è scritto il soggetto e la sceneggiatura da solo, è questa: a metà del film viene ucciso anche l’assassino! Ma chi ha ucciso allora l’assassino? E perché i delitti continuano a ripetersi? Questo risvolto esce un po’ dalla norma del giallo, così come il convulso finale» (Cosulich). «Ho lavorato con il nostro grande direttore della fotografia Luciano Tovoli: abbiamo voluto una luce metallica, solare in una Roma moderna d’acciaio e cemento, per nulla barocca o decadente. La nostra è una Roma cattiva, con una luce fredda e totale contrapposta alle tenebre dell’anima, della mente. La città diventa un puzzle di immagini» (Argento). domenica 5 ore 17.00 Phenomena (1985) Regia: Dario Argento; soggetto: D. Argento; sceneggiatura: D. Argento, Franco Ferrini; fotografia: Romano Albani; musica: Claudio Simonetti, Bill Wyman & Terry Taylor, Goblin, Fabio Pignatelli, Simon Boswell; montaggio: Franco Fraticelli; interpreti: Jennifer Connelly, Donald Pleasence, Daria Nicolodi, Patrick Bauchau, Dalila Di Lazzaro, Fiore Argento; origine: Italia; produzione: D.A.C. Film; durata: 109’ «C’è una sperduta regione della Svizzera infestata da un pazzo che da anni va assassinando fanciulle trafugandone il corpo. C’è un collegio femminile dove arriva fresca fresca la protagonista, con il suo sonnambulismo e la sua misteriosa capacità di comunicare con gli insetti. C’è un entomologo paralitico (Donald Pleasence) con scimmietta-infermiera (determinante, come gli insetti, nella soluzione della vicenda). E soprattutto ci sono una serie di orrori insostenibili» (Ferzetti). «A sensazione, a pelle, in Phenomena ci trovo tante cose mie. Tanto mio cinema. Ma anche tante storie private. Tanti personaggi che ho conosciuto, che ho amato, che mi hanno amato, cui ho fatto del bene, che mi hanno fatto del male, che ho aiutato, che mi hanno tradito, che non conosco, che non conoscerò mai. Per me, samurai, è stato come un viaggio mistico quindi, quasi religioso, tra bellezze ed orrori, tra sensazioni tenere e terribili» (Argento). ore 19.00 Opera (1987) Regia: Dario Argento; soggetto: D. Argento; sceneggiatura: D. Argento, Franco Ferrini; fotografia: Ronnie Taylor; musica: Claudio Simonetti, Bill Wyman & Terry Taylor, Roger Eno, Brian Eno; montaggio: Franco Fraticelli; interpreti: Cristina Marsillach, Ian Charleston, Daria Nicolodi, Urbano Barberini, Coralina Castaldi Tassoni, Antonella Vitale; origine: Italia; produzione: ADC, Cecchi Gori Group, Tiger Cinematografica, in collaborazione con Rai; durata: 105’ «Si comincia con il Macbeth di Verdi e con la curiosa diceria, diffusa degli ambienti lirici, che porti sfortuna. Durante le prove, infatti, il soprano ha un incidente d’auto, così, quasi alla vigilia di andare in scena, lo sostituisce una giovanissima collega, Betty, ancora agli esordi. Questa Betty, però ha un amichetto e la sera stessa della prima, che per lei è stata un vero trionfo, un individuo mascherato lo uccide selvaggiamente di fronte a lei, dopo averla legata e dopo averla obbligata, con dei punteruoli sotto gli occhi, a vedere fino in fondo l’orribile scena. Siamo agli inizi» (Rondi). «I corvi scritturati per il mio film Opera [...] sono stati bravissimi. Non soltanto si sono dimostrati “gli attori” migliori del cast, ma a un certo punto hanno anche organizzato un ammutinamento contro il regista e il sottoscritto si è ritrovato ferito alla bocca e «beccato» in più parti del corpo. Però avevano ragione loro: avevo chiesto troppo alle loro forze sia pure nel rispetto degli animali, da me sempre dimostrato sui miei set con vermi, mosche, topi, lumache, ragni africani & C. Così i corvi si sono ribellati: certo qualche corvo imperiale, nell’alto dei cieli, doveva aver raccontato loro la trama e le vendette degli Uccelli di Hitchcock!» (Argento). Copia con sottotitoli in inglese gentilmente concessa da Opera Film ore 21.00 Profondo rosso (1975) Regia: Dario Argento; soggetto e sceneggiatura: D. Argento, Bernardino Zapponi; fotografia: Luigi Kuveiller; musica: Giorgio Gaslini, Goblin; montaggio: Franco Fraticelli; interpreti e personaggi: David Hemmings, Daria Nicolodi, Gabriele Lavia, Clara Calamai, Glauco Mauri, Eros Pagni; origine: Italia; produzione: Seda Spettacoli, Rizzoli Film; durata: 130’ «Se l’estrema ambizione di Dario Argento è di restituire ai reduci dai suoi spettacoli il gaudio di sobbalzare a ogni scricchiolio, di guardare sotto il letto e raddoppiare la dose di tranquillante, il “terrorista” del cinema italiano può dirsi contento. Era infatti un bel po’ che un film non prendeva altrettanto allo stomaco e popolava i nostri sonni di incubi così barbari. Perché Profondo rosso è malfermo e tutto epidermico, ma al traguardo della paura va molto vicino: la ragione scalpita, e indispettisce sentirsi coinvolti in un cervellotico congegno, e tuttavia il cuore batte più svelto. Mamma mia, che impressione. Il fattaccio comincia a una seduta di parapsicologia, dove una signora “sente” i pensieri cattivi di un criminale. La poverina ha tanta ragione che dopo poco sente anche spaccarsi la testa da un’accetta. Chi sarà mai l’assassino? Mentre la polizia si gingilla, Marcus, un pianista inglese di jazz che lo ha intravisto, ma non è in grado di riconoscerlo, si intestardisce a scoprirlo, insieme con una giornalista in cerca del solito colpo, tal Gianna. È ovviamente un cacciarsi nei guai» (Grazzini). lunedì 6 chiuso martedì 7 ore 18.00 Il gatto nero (ep. di Due occhi diabolici, 1990) Regia: Dario Argento; soggetto: tratto da un racconto di Edgar Allan Poe; sceneggiatura: D. Argento, Franco Ferrini; fotografia: Beppe Maccari; musica: Pino Donaggio; montaggio: Pasquale Buba; interpreti: Harvey Keitel (Rod Usher), Madeleine Potter (Annabel), John Amos (ispettore Legrand), Martin Balsman (Mr. Pym), Kim Hunter (Mrs. Pym), Sally Kirkland (Eleonora), Holter Ford Graham (Christian), Julie Benz (Betty), Lou Valenzi, Peggy Sanders, J.R. Mac Donald, Barbara Bryne, Lanene Charters, Tom Savini; origine: Italia; produzione: Gruppo Bema, ADC; durata: 40’ «L’ossessione d’un fotografo di cronaca nera (ancora di Pittsburgh), tale Rod che di cognome, vedi caso, si chiama Usher, perseguitato dallo sguardo d’una gatta in cui legge una demoniaca aggressività. […] Fedele alla propria vocazione, Dario Argento manovra la follia e il delirio con una forte fantasia visiva […], e amministra gli effetti in modo giudizioso. N’esce un racconto, interpretato efficacemente da Harvey Keitel e Madeleine Potter, dove l’alcool alimenta il sadismo in un universo di perverse fascinazioni, avvicinato abilmente alla realtà da potenti temporali» (Grazzini). «Sono andato a Baltimora […] e nel piccolo, segreto giardino di una chiesa gotica ho trovato non una, ma due tombe del mio sventurato, nevrotico e miserabile amico [Edgar Allan Poe] senza un penny, che resta a mio parere il più grande romantico della sofferenza umana e della paura. Così ho deciso di girare un piccolo film nel film per i titoli di testa e ho fermato l’occhio della mia un po’ perversa cinepresa sulla prima tomba di Poe, che è completamente coperta da pennies di “copper” (rame) perché i suoi estimatori continuano a fare per lui una povera colletta» (Argento). ore 19.00 Trauma (1993) Regia: Dario Argento; soggetto: Franco Ferrini, Giovanni Romoli, D. Argento; sceneggiatura: D. Argento, T.E.D. Klein; fotografia: Raffaele Mertes; musica: Pino Donaggio; montaggio: Bennet Goldberg, D. Argento; interpreti: Christopher Rydell, Asia Argento, Piper Laurie, Frederic Forrest, Laura Johnson, James Russo; origine: Italia; produzione: ADC, Overseas Film Group; durata: 110’ Una ragazza anoressica, figlia di romeni immigrati in America, scappa dalla clinica psichiatrica a Minneapolis, mentre la città è sconvolta da una serie di delitti a catena. «In origine il film (soggetto Argento più T. E. D. Klein) s’intitolava L’enigma di Aura, più adatto allo spunto poco sviluppato, purtroppo, della piccola anoressica. Ma alla fine, quando scorrono i titoli di coda, corre un brivido sullo schermo alla carrellata su scheletriche teen-ager danzanti per le strade di Minneapolis (“ne muoiono a migliaia”) popolazione di zombie, che rifiutano un’identità sessuale deformata e la mistica della maternità, all’origine, vedrete di ogni efferate delitto». «Mentre giravo in America Due occhi diabolici, tre anni fa, scrissi un breve racconto intitolato L’enigma di Aura. Poi, mano a mano è nata la sceneggiatura. Ma non parla solo di amore: ci sono dentro la famiglia come luogo di disagio e malattia, il tema dell’emarginazione, le capacità medianiche, i disturbi psichici…» (Argento). ore 21.00 La sindrome di Stendhal (1996) Regia: Dario Argento; soggetto: D. Argento, Franco Ferrini, ispirato al libro omonimo di Graziella Margherini; sceneggiatura: D. Argento; fotografia: Giuseppe Rotunno; musica: Ennio Morricone; montaggio: Angelo Nicolini; interpreti: Asia Argento, Thomas Kretschmann, Marco Leonardi, Luigi Diberti, Paolo Bonacelli, Julien Lambroschini; origine: Italia; produzione: Cine 2000, Medusa Film; durata: 119’ «È bellissima l’intuizione del soggetto, firmato da Dario Argento e Franco Ferrini: una specie di fermentazione diabolica dell’interessante e poco frequentato saggio di Graziella Magherini [...] che esplora in tutte le sue connessioni il quadro clinico della cosiddetta “sindrome di Stendhal”. […] Lo stordimento provocato dall’arte – soprattutto in relazione agli episodi di sofferenza mentale riscontrati nei turisti moderni, così in balia di emozioni precarie ed irregolari – è un geniale pretesto per l’atteso ritorno di Argento, cineasta prestidigitatore di inconsci [...] a lungo snobbato dalla mezzacultura cineclubistica» (Caprara). «I colori della paura. Il rosso e nero. E l’Argento. Ossia: Stendhal (e non solo come “sindrome”) e l’arte, l’arte come vertigine estetica (estatica), la vertigine come provocazione cinematografica, il cinema come manifestazione del turbamento sensuale (e spirituale), l’eros come devianza. La sindrome di Stendhal – un ritorno alla classicità dopo la fase gore – è un’opera auto-riflessiva, minimalista e, in un certo senso, teorica. L’assassino è subito svelato, la suspense azzerata ai minimi termini, la densità d’orrore lungi dall’accumularsi spasmodicamente. [...] Mai come ne La sindrome, Argento riflette sui meccanismi del cinema come arte della rappresentazione» (Fabio Bo). mercoledì 8 ore 17.00 Il fantasma dell’opera (1998) Regia: Dario Argento; soggetto: dal romanzo omonimo di Gaston Leroux; sceneggiatura: D. Argento, Gérard Brach; fotografia: Ronnie Taylor; musica: Ennio Morricone; montaggio: Anna Napoli; interpreti: Julian Sands, Asia Argento, Andrea Di Stefano, Nadia Rinaldi, Coralina Cataldi Tassoni, István Bubik; origine: Italia; produzione: Cine 2000, Medusa Film, Reteitalia, in collaborazione con Focus Film, Tele+; durata: 106’ «Come ognun sa la storia è quella dell’amore folle del Fantasma, salvato dalle acque da una tribù di topi e cresciuto nei sotterranei del teatro lirico di Parigi, per la giovane cantante Christine: amore deluso e tradito, che produce nel Fantasma un furore vendicativo e omicida. Ma l’Argento postmoderno si limita a usare la trama come riferimento, citandola, sottintendendola quasi, per concentrarsi sulla proliferazione visiva che l’occasione gli offre» (Nepoti). «Il film è una storia d’amore nera, con Christine divisa tra il richiamo e il cupo del Fantasma e il rapporto rassicurante con il giovane barone. Sono contento di aver recuperato un altro elemento, l’ironia, è grottesco l’ambiente dell’opera o la vicenda della soprano Nadia Rinaldi. C’era ironia nei miei primi film, fino al ’74/’75, e poi l’ho persa, le storie sono diventate più furiose, incanaglite. In quegli anni guardandosi intorno c’era ben poco da ridere, ma mi dispiaceva, perché a me piace molto ridere» (Argento). ore 19.00 Nonhosonno (2001) Regia: Dario Argento; soggetto: D. Argento, Franco Ferrini; sceneggiatura: D. Argento, Franco Ferrini, con la collaborazione di Carlo Lucarelli; fotografia: Ronnie Taylor; musica: Goblin; montaggio: Anna Napoli; interpreti: Max Von Sydow, Stefano Dionisi, Chiara Caselli, Gabriele Lavia, Paolo Maria Scalondro, Roberto Zibetti; origine: Italia; produzione: Opera Film, Medusa Film, in collaborazione con Tele+; durata: 117’ «Stefano Dionisi, tormentato dalla morte della madre proprio come l’alter ego romanzesco del geniale giallista Ellroy, s’allea con l’insonne e smemorato commissario in pensione Max Von Sydow per scavare nei labirinti del male, ricomporre le tessere del mistero e inchiodare l’assassino tornato furiosamente all’opera. Le stravaganti incongruenze drammaturgiche diventano così peculiarità espressiva, astrazione iconografica o, meglio, vere e proprie amnesie che s’incastonano in un’abissale sinfonia del crimine in cui contano infinitamente di più le carrellate acrobatiche, la decapitazione di un cigno, il rantolo di un asmatico, l’incubo antico dell’annegamento...» (Caprara). «In Non ho sonno viene rappresentato questo contrasto tra il giovane, calcolato e razionale, e il vecchio, pensieroso e pieno di fantasia; l’anziano commissario, diversamente dal più giovane collega, esamina attentamente anche le contraddizioni del linguaggio, i molti segnali lasciati inavvertitamente dall’assassino. Non ho sonno è così la storia di una doppia indagine che viaggia in parallelo» (Argento). ore 21.00 Il cartaio (2004) Regia: Dario Argento; soggetto e sceneggiatura: D. Argento, Franco Ferrini; fotografia: Benoit Debie; musica: Claudio Simonetti; montaggio: Walter Fasano; interpreti: Stefania Rocca, Liam Cunningham, Silvio Muccino, Adalberto Maria Merli, Claudio Santamaria, Fiore Argento; origine: Italia; produzione: Opera Film, Medusa Film; durata: 106’ «Il cartaio è il film più riuscito di Argento da anni. Anche se gli sviluppi sono spesso illogici e i caratteri piuttosto convenzionali, tiene bene l’idea del maniaco misterioso che sfida la polizia a partite di videopoker aventi per posta la vita o la morte della sequestrata di turno. Vincente e convincente è l’atmosfera del film, scandito su ritmi tanto tradizionali quanto infallibili» (Kezich). «L’idea è nata durante un soggiorno a Londra, prima che girassi Nonhosonno. Stavo pensando ad alcune storie da girare per la televisione. Tra i soggetti che mi erano venuti in mente c’era quello di un assassino che si divertiva a sfidare la polizia. All’inizio era un breve racconto, poi è man mano cresciuto. L’ho arricchito di altre idee e altre situazioni e così ho pensato di sfruttarlo per il cinema. Il cartaio volevo intenderlo come una prosecuzione dello stile di Nonhosonno. Poi, scrivendolo, ho capito che non poteva discendere dal precedente. Era troppo diverso, più contemporaneo, molto nervoso, eccitato. Non si apparenta per niente ai miei film precedenti» (Argento). giovedì 9 ore 17.00 Suspiria (replica) ore 19.00 Inferno (replica) ore 21.00 La terza madre (2007) Regia: Dario Argento; soggetto: D. Argento; sceneggiatura: D. Argento, Jace Anderson, Adam Gierasch, Walter Fasano, Simona Simonetti; fotografia: Frederic Fasano; musica: Claudio Simonetti; montaggio: Walter Fasano; interpreti: Asia Argento, Cristian Solimeno, Adam James, Moran Antias, Valeria Cavalli, Philippe Leroy; origine: Italia; produzione: Opera Film, Medusa Film, in collaborazione con Sky, Myriad Pictures; durata: 95’ «La scena si apre sul cimitero di Viterbo, su uno scavo, sul ritrovamento di una antica tomba e di un’urna. Un prete, una studiosa, una giovane ricercatrice (SarahAsia Argento), pagheranno ovviamente per la loro curiosità. A fare le spese del dissotterramento però non sono solo singoli, ma un’intera città, Roma, improvvisamente invasa da un nugolo di streghe pronte a far capitolare la caput mundi per la seconda volta. Questa la scarna, ma rigorosa trama de La terza madre. Gli elementi che gli appassionati del genere horror amano, ci sono tutti o quasi, enfatizzati dalla musica (anche questa scontata, nel miglior senso del termine. Firmata Simonetti). Elementi a cui Argento aggiunge – coadiuvato pesantemente da due giovani sceneggiatori americani del genere zombie – una quantità insolita e appetitosa di morti splatter (alcune magistralmente realizzate negli effetti dal solito Stivaletti), un coté stregonesco a tinte darkpunk (la cosa meno riuscita del film, peccato), la scelta di una Roma più gotica che barocca, truculenta quanto tristemente verosimile nella sua violenza che le streghe diffondono come peste» (Roberta Ronconi). Per gentile concessione di Medusa Film - Ingresso gratuito venerdì 10 ore 17.00 L’uccello dalle piume di cristallo (replica) ore 18.45 Profondo rosso (replica) Proiezione speciale: L’avvocato De Gregorio ore 21.00 Incontro con Pasquale Squitieri a seguire L’avvocato De Gregorio (2003) Regia: Pasquale Squitieri; soggetto e sceneggiatura: P. Squitieri; fotografia: Giuseppe Tinelli; musica: Luigi Ceccarelli; montaggio: Gianluca Quartu; interpreti: Giorgio Albertazzi, Ciro Capano, Anna Tognetti, Gabriele Ferzetti, Peppe De Rosa, Massimo De Matteo; origine: Italia; produzione: Cosmopoli Corporation, Rai Cinemafiction; durata: 107’ «Ruolo maiuscolo per Giorgio Albertazzi diretto da Pasquale Squitieri, un regista che con le maiuscole va a nozze. L’avvocato De Gregorio è un relitto del Foro napoletano che risale la china battendosi ostinatamente per far luce su un oscuro incidente sul lavoro. Grandangoli, dettagli sgradevoli, tirate all’antica: Squitieri non si nega nulla. Ma l’impeto e l’urgenza di questa requisitoria populista testimoniano un disagio e una ribellione insoliti» (Ferzetti). «Un avvocato che rimarrà immortale: De Gregorio-Albertazzi» (Caroli). Serata a inviti 11-12 ottobre Albasuite - Nove documentari sulla cultura arbëreshë La rassegna Albasuite, nata da un progetto di Eleonora Cordaro e Salvo Cuccia, vuole essere una testimonianza sulla cultura arbëreshë in Italia. «In Albasuite», spiega Cuccia, «ho coinvolto altri nove registi (Guido Chiesa, Enzo Mercuri, Fatmir Koci, Rosita Bonanno, Emma Rossi-Landi, Marco Bertozzi, Mario Balsamo, Rossella Schillaci, Antonio Bellia) e ho chiesto loro di realizzare il proprio lavoro in piena libertà: nell’arco di un anno abbiamo realizzato nove documentari. Il concetto di serie viene annullato nell’accezione odierna, in cui tutto è standard, format. Qui la regola è la libertà di espressione, la diversità dei linguaggi, sia per quanto riguarda i contenuti che le modalità, le forme. La cosa che accomuna questi documentari è il racconto di queste antiche popolazioni, le loro forme religiose, le musiche e i canti, la lingua e la cultura. Vi è anche una sintesi dei concetti di migrazione e di trasformazione. Albasuite è un’indagine sui linguaggi e di ciò che cresce tra i cineasti che prediligono la forma del documentario. È il sud che parla, è il sud che fa sentire la sua voce, questa volta in una lingua antica: l’Arbëresh!». Albasuite, finanziato dal Ministero per gli Affari Regionali, dalla Regione Sicilia, dal Comune di Piana degli Albanesi e da Palomar-Endemol, è dedicata agli italo-albanesi, che, spinti dalla pressione turca, tra il 1400 e il 1700 lasciarono l’Arbëria e si stabilirono nell’Italia meridionale, tra Sicilia, Calabria, Puglia, Basilicata e Molise. Albasuite è un viaggio tra una cultura e una lingua antiche e, insieme, un’esplorazione dei linguaggi, straordinariamente ricchi, del cinema del reale italiano. Proiezioni a ingresso gratuito sabato 11 ore 17.00 Sangue sperso (2007) Regia: Rosita Bonanno; fotografia: Fabrizio Profeta; musica: Caterina Clesceri; montaggio: Valentina Cesari; origine: Italia; produzione: Nicola Sofri per Palomar; durata: 52’ Caterina fa la guida al museo di un paesino in provincia di Palermo, Piana degli Albanesi, ed è una pianista e cantante folk. Ama la storia delle origini del suo paese e degli arbëresh, gli albanesi d’Italia, giunti in Sicilia tra la fine del XV e l’inizio del XVI secolo, e si adopera per mantenerne vive le tradizioni. Quando aveva vent’anni Caterina restò incantata dai racconti di un uomo albanese che da qualche giorno si rifugiava in paese. Un eroe che, proprio come Giorgio Skanderbeg, aveva lottato per la libertà dell’Albania. Poco prima di lasciare Piana degli Albanesi quell’uomo notò lo sguardo curioso di Caterina e vissero un unico momento d’intimità prima che lui continuasse a fuggire. Sarebbe stato per sempre un romantico e trasgressivo segreto se non fosse successo quello che avrebbe potuto accadere ma che non sempre accade. Caterina e Ilir avevano concepito un bambino. Cosa succede ad una ragazza di provincia, in Sicilia, che a vent’anni concepisce un figlio con uno sconosciuto e fuggiasco? ore 18.00 Vjesh/Canto (2007) Regia: Rossella Schillaci; immagini: Sonia Antonini, R. Schillaci; montaggio: Marta Zen; origine: Italia; produzione: Nicola Sofri per Palomar; durata: 57’ Basilicata. Le donne di San Costantino e San Paolo Albanese cantano con la loro voce acuta e lacerata. Cantano gli antichi vjeshet, tramandati da madre in figlia, che raccontano la fuga degli albanesi rifugiatisi nell’Italia meridionale cinque secoli fa. Ma sono anche sfoghi di donne, che per alleviare la fatica del lavoro nei campi “gettavano” canti da una collina all’altra. Il documentario mostra la vita in questi due paesi, il rapporto tra individui e tradizioni, alcune ancora sentite e tramandate, altre subite ed odiate. Storie di donne coraggiose ed ironiche, storie di emigrazioni e di ritorni raccontate nello spazio di un’estate, attraverso incontri semplici e quotidiani che svelano i ricordi, le gioie e le durezze della vita di ognuna di loro. ore 19.00 Il senso degli altri (2007) Regia: Marco Bertozzi; immagini: M. Bertozzi, Alfredo Betrò; musica: Piero Messina; animazione: Simone Massi; montaggio: Desideria Rayner; origine: Italia; produzione: Nicola Sofri per Palomar; durata: 58’ «Da quando penso al film, inspiegabili apparizioni arbëreshë si materializzano in luoghi lontani dalle regioni del Sud. A casa di un’amica di San Marino incontro il figlio di un maestro arbëreshë della Puglia (avevo conosciuto suo padre in un vecchio documentario); a Bolzano conosco uno scrittore italo-albanese che mi parla del suo ultimo romanzo sull’abbandono e sul ritorno; a Rimini alcuni attori mi raccontano di un loro eccezionale allievo calabro-albanese, con cui vogliono fare un film. Scopro che Pasolini, prima di morire, aveva incontrato un Papas arbëreshë e profetizzato il loro futuro… Forse, per capirci qualcosa, devo ripartire dall’Albania di oggi, dalla memoria a pezzi di una comune, più antica, storia» (Bertozzi). ore 20.30 Incontro con Mario Balsamo, Antonio Bellia, Marco Bertozzi, Guido Chiesa, Salvo Cuccia, Emma Rossi-Landi, Rossella Schillaci a seguire Rockarbëresh (2007) Regia: Salvo Cuccia; soggetto e sceneggiatura: S. Cuccia; fotografia: Alfredo Betrò; musica: Pappi Marriti Band, Spasulati Band; montaggio: Benni Atria; origine: Italia; produzione: Eleonora Cordaro e Nicola Sofri per Palomar; durata: 56’ Alla fine del Medioevo, alcuni albanesi lasciarono la loro terra per stabilirsi nel Sud Italia, tra la Sicilia, la Calabria, la Puglia, la Basilicata e il Molise. Poi, 500 anni fa, ne arrivarono altri tre milioni per sfuggire alla persecuzione ottomana. A queste onde migratorie ne sono seguite molte altre. Oggi le comunità arbëreshë, benché abbiano cercato sempre di mantenere la propria identità di albanesi, hanno acquisito un dialetto influenzato dalla lingua italiana. Oggi, in Calabria, ci sono due gruppi musicali, la Peppa Marriti Band e la Spasulati Band, che tentano di conservare la lingua arbëreshë e i canti tradizionali della loro terra natìa. domenica 12 ore 17.00 La nostra chiesa (2007) Regia: Guido Chiesa, Enzo Mercuri; fotografia: Pino Iannelli; montaggio: Benni Atria, Stefano Cravero; origine: Italia; produzione: Nicola Sofri per Palomar; durata: 50’ L’identità arbëreshë si declina in alcuni tratti forti: la provenienza etnica, la lingua, le tradizioni, il rito religioso d’origine greco-bizantina. Proprio nelle celebrazioni religiose l’identità arbëreshë trova un legame profondo che permette alla comunità di identificarsi attorno a un evento collettivo e condiviso. In realtà, la vicenda del rito greco-ortodosso nelle comunità arbëreshë è tutt’altro che lineare e omogenea. Partendo da tre paesi della provincia di Cosenza (San Demetrio Corone, Spezzano Albanese, Falconara Albanese), tre situazioni diverse eppure legate tra di loro da un invisibile filo identitario, parte il nostro viaggio dentro la religione degli arbëresh, la sua storia e la sua realtà odierna. ore 18.00 Storie arbëreshë (2007) Regia: Mario Balsamo; fotografia: Alfredo Betrò; montaggio: Ilaria Fraioli; origine: Italia; produzione: Nicola Sofri per Palomar; durata: 52’ Per raccontare cosa significhi “arbëresh” oggi si parte dalla banda di Mezzojuso, a forte tasso di professionalità e dotata delle fascinazioni che hanno da noi tali complessi musiciali, proseguendo con scene quotidiane riprese a Piana degli Albanesi: personaggi che raccontano le loro storie di vita difficile, in un luogo povero e inospitale; le scuole elementari dove i bambini imparano la lingua arbëreshë che, ancor oggi, è la prima lingua parlata in paese; un prete di rito grecobizantino che spiega alle figlie i connotati di questa forma di religiosità cristiana… Il ritmo del documentario alterna momenti serrati ai tempi lenti della vita di paese, in una Sicilia che mischia indissolubilmente il presente con il passato. ore 19.00 La favola perduta (2007) Regia: Antonio Bellia; fotografia: Alessandro Abate; musica: Giuseppe Lo Meo, Stefano Cogolo, Marco Ariano; montaggio: Giuseppe Gamberini; origine: Italia; produzione: Nicola Sofri per Palomar; durata: 52’ Ad Ururi, un piccolo paese di origine albanese del Molise, la lingua arbëreshë si sta perdendo. Le nuove generazioni non sembrano più attratte dalla propria storia e non parlano più la lingua madre. Uno sparuto gruppo di abitanti cerca in ogni modo di risvegliare l’interesse dei giovani nei confronti della cultura arbëreshë e di non lasciar cadere nell’oblio la lingua. Una classe di scuola elementare fa un corso sulle favole arbëreshë, un signore in pensione dedica il suo tempo a fare un giornalino in lingua madre e l’amministrazione comunale si mobilita per organizzare la prima festa arbëreshë del paese… ore 20.00 Via mare Adriatico (2007) Regia: Fatmir Koci; soggetto e sceneggiatura: F. Koci; fotografia: Alfredo Betrò; montaggio: Benni Atria; produttori: Eleonora Cordaro e Nicola Sofri per Palomar; durata: 52’ Il documentario si snoda tra passato e presente, attraverso un’investigazione ed un’analisi della cultura e della storia arbëreshë. Partendo dall’Albania di oggi, e dalle ricerche negli archivi di Tirana di documenti e materiali di repertorio che ci mostrano quali erano le percezioni delle comunità italiane nell’antica patria, il viaggio ci porta nei paesi arbëreshë siciliani, dove l’occhio di un regista albanese affronta da una diversa prospettiva cosa è avvenuto in Sicilia agli arbëresh 500 anni dopo: dove sono, quanti sono, cosa fanno? Come vivono, cosa pensano, sono cambiati? Nell’incontro con i giovani di Piana degli Albanesi vengono indagati i problemi dell’identità della comunità e del matenimento di tradizioni e legami con l’Albania di oggi. ore 21.00 La canzone di Vaccarizzo (2007) Regia: Emma Rossi-Landi; fotografia: Walter Romeo; musica: Anton Giulio Priolo; montaggio: E. Rossi-Landi, Silvia Natale; origine: Italia; produzione: Nicola Sofri per Palomar; durata: 58’ Vaccarizzo è un paese arbëreshë di mille anime alle pendici della Sila dove il mantenimento delle tradizioni è costretto a confrontarsi con logiche di omologazione e profitto. Molte famiglie non hanno più interesse ad insegnare l’antico dialetto ai figli e la lingua, i riti e le tradizioni sono visti come sinonimo di arretratezza. In questo contesto i giovani rappresentano il ponte tra 500 anni di vita da esuli ed un futuro nuovo in cui il mantenimento delle tradizioni va assumendo nuove forme. La scuola media di Vaccarizzo, dove al normale piano di studi si accostano diverse attività dirette al mantenimento della cultura locale, rappresenta il microcosmo ideale per descrivere aspirazioni ed aspettative dei giovani del paese che, a cavallo tra infanzia e pubertà, rispecchiano lo stato d’animo di una comunità a cavallo tra l’antico ed il moderno. lunedì 13 chiuso 14-19 ottobre Questi fantasmi: Cinema italiano ritrovato (1946-1975) La retrospettiva Questi fantasmi: Cinema italiano ritrovato (1946-1975), che ha riscosso un grandissimo successo alla 65ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, giunge finalmente a Roma, al Cinema Trevi, in una ricca e stimolante selezione. La retrospettiva, realizzata dalla Mostra in coproduzione con il Centro Sperimentale di Cinematografia-Cineteca Nazionale e curata da Tatti Sanguineti e Sergio Toffetti, è imperniata su una trentina di opere (al Cinema Trevi ne saranno proposte 18) del trentennio più fiammeggiante della storia del nostro cinema: gli anni tra il 1946 e il 1975. Da cineteche e archivi continuano infatti a uscire titoli, film, trame, autori che i giornali dell’epoca – abbagliati dalla ricchezza produttiva del più bel cinema del mondo – confinavano nelle recensioni senza firma del Vice; titoli rimasti a lungo puri nomi nelle filmografie o recuperati nella visione notturna di un palinsesto, ma in genere trascurati dalle storie del cinema, anche le più attente alle riscritture del cinema italiano. Questi fantasmi ci mostrano un cinema che scorre lungo due linee strettamente intersecate: la capacità di riflettere in diretta le storie e le cronache dell’Italia che cambia, dal dopoguerra al miracolo economico, alle contraddizioni sociali dello sviluppo, e la grande libertà di espressione lasciata a cineasti, spesso stretti tra i maestri e i mestieranti, che oggi ci appaiono come una vera e propria “nouvelle vague all’italiana”. Fra i numerosi titoli da riscoprire si segnalano in primo luogo gli “antineorealisti”: film che usano il melodramma per incidere nella realtà storica e sociale del dopoguerra come Un uomo ritorna di Max Neufeld, con Anna Magnani che in un’aula di tribunale chiede la pena di morte per il fascista che ha ammazzato suo figlio, e La città dolente di Mario Bonnard, che mette in scena l’esodo dei profughi dall’Istria dopo il passaggio delle loro terre alla Jugoslavia. L’Italia del dopoguerra è ancora la protagonista nel “noir” Una lettera all’alba, con Fosco Giachetti barone della cocaina in una Milano nera tratteggiata da Giorgio Bianchi come una dura e fredda metropoli americana, e nello straordinario “film sulle rovine” Il cielo è rosso, diretto da Claudio Gora e tratto dal romanzo di Giuseppe Berto. Di Luigi Zampa sono stati selezionati Anni difficili, amaro apologo sull’Italia dei voltagabbana tra fascismo e antifascismo, e Processo alla città, ricostruzione di un caso di camorra nella Napoli belle époque, attualissimo dopo Gomorra. La donna del giorno di Maselli, straordinario esordio da protagonista di una bellissima Virna Lisi, ci porta nel mondo della moda anticipando l’Italia del boom, raccontata ne La bella di Lodi di Mario Missiroli, tratto dal romanzo di Alberto Arbasino, mentre ne La cuccagna Luciano Salce sceglie il cantautore Luigi Tenco, nel suo unico film da protagonista, per rappresentare “quelli che non ce la faranno mai”. L’Italia degli operai milanesi pendolari di Pelle viva di Giuseppe Fina, con Elsa Martinelli nei panni di un’immigrata pugliese; e quella di chi, come Enrico Maria Salerno, cerca in America un nuovo “miracolo” in Smog di Franco Rossi. Prima del ’68, qui raccontato attraverso due film “eccentrici”, come il capolavoro di Carmelo Bene Nostra signora dei turchi, di cui la Cineteca Nazionale ha realizzato una versione lunga reintegrando le scene tagliate, premiato a Venezia nel 1968, e Toh, è morta la nonna!, divertissement di Mario Monicelli sullo spirito della contestazione. A completare la rassegna uno “special Fellini” che comprende Lo sceicco bianco, che verrà presentato con 20 minuti di scene tagliate appena ritrovate dalla Cineteca Nazionale, che costituiscono un vero “scoop filologico” su uno dei nostri maggiori cineasti, e il “criptodocumentario” di Gianfranco Angelucci e Liliana Betti E il Casanova di Fellini?, nel quale grandi attori si sottopongono a un provino per la parte di Casanova: Mastroianni, Tognazzi, Gassman, Alain Cuny e un esilarante Alberto Sordi tutto compreso nella parte. martedì 14 ore 17.00 Una lettera all’alba (1948) Regia: Giorgio Bianchi; soggetto e sceneggiatura: Aldo De Benedetti; fotografia: Vaclav Vich, Augusto Tiezzi; musica: Renzo Rossellini; montaggio: Gabriele Varriale; interpreti: Fosco Giachetti, Jacques Sernas, Lea Padovani, Olga Villi, Tatiana Pavlova, Vittorio Manipoli; origine: Italia; produzione: Giuseppe Amato; durata: 98’ Carlo scopre di avere un figlio adolescente solo quando la madre del ragazzo, con cui aveva avuto una relazione, glielo affida prima di morire. Il ragazzo è un piccolo spacciatore di cocaina. Per farlo smettere Carlo ordina alla contessa, che rifornisce il giovane Mario, di non dargli più nulla. Quando la donna viene trovata morta, Mario è subito accusato dell’omicidio. Il padre cerca di provare la sua innocenza. «Giorgio Bianchi ci dà con questo lavoro, che sta tra il giallo e il tipo Gioventù perduta, una buona prova delle sue capacità, aiutato anche da un buon soggetto e dalla abile sceneggiatura di Aldo De Benedetti» (Nati). Versione restaurata dalla Cineteca Nazionale ore 18.45 Lo sceicco bianco (1952) Regia: Federico Fellini; soggetto: Michelangelo Antonioni, F. Fellini, Tullio Pinelli; sceneggiatura: F. Fellini, T. Pinelli, Ennio Flaiano; fotografia: Arturo Gallea; musica: Nino Rota; montaggio: Rolando Benedetti; interpreti: Alberto Sordi, Brunella Bovo, Leopoldo Trieste, Giulietta Masina, Lilia Landi, Ernesto Almirante; origine: Italia; produzione: P.D.C.; durata: 86’ Ivan e Wanda sono due novelli sposi in viaggio di nozze a Roma. Il denso programma del viaggio, che prevede anche un’udienza papale con i parenti romani, viene disatteso da Wanda. La giovane e ingenua sposina, infatti, lascia il marito addormentato in albergo e va alla ricerca della redazione del suo giornale a fumetti preferito. Qui conosce il suo idolo, lo Sceicco bianco, che cerca in maniera goffa di sedurre, senza riuscirci, la sua giovane fan. Wanda resterà delusa a contatto con la meschinità e la pochezza del mondo che tanto l’aveva fatta sognare. «[Sordi] era bravissimo, lo conoscevo da prima della guerra, quando faceva il varietà e le riviste. Certo non era ancora popolare come lo è diventato dopo Lo sceicco bianco malgrado l’insuccesso del film che venne anche attribuito alla poca simpatia di cui Sordi godeva presso il pubblico di cinema. Ma era bravissimo» (Fellini). Versione restaurata gentilmente concessa da Mediaset Cinema Forever - Ingresso gratuito a seguire Lo sceicco ritrovato. Tagli, doppie versioni e sequenze inedite de Lo sceicco bianco (2008) A cura di Fulvio Baglivi, Stefano Landini e Moraldo Rossi Due rulli di materiali inediti de Lo sceicco bianco di Federico Fellini sono stati ritrovati dalla Cineteca Nazionale. Il contenuto, identificato da Sergio Toffetti e Fulvio Baglivi, comprende circa 20’ di tagli di montaggio, doppie versioni e sequenze inedite complete di dissolvenze e missaggio audio, tanto da far pensare che Fellini abbia preparato un primo montaggio più lungo e sia stato incerto fino all’ultimo sulle soluzioni da scegliere per la versione definitiva. Queste “varianti” del primo film interamente diretto da Fellini nel 1952 consentono dunque oggi di gettare uno sguardo dentro l’“officina creativa” del regista, rendono più chiare le motivazioni delle scelte definitive, e mettono in evidenza come fin dall’inizio Fellini elabori situazioni e abbozzi di personaggi che verranno poi sviluppati in seguito. Tra le sequenze tagliate, particolarmente interessante risulta, all’arrivo in albergo della coppia di sposi in luna di miele a Roma (Brunella Bovo e Leopoldo Trieste), la scena in cui la moglie ha la visione di due donne in costume orientale e velate che, come ha subito notato Tullio Kezich dopo aver visionato i materiali, Fellini riprenderà in Giulietta degli spiriti. Molto interessanti per lo sviluppo dei personaggi sono le “versioni lunghe” di alcune scene, e in particolar modo: - i gesti d’affetto di Leopoldo Trieste verso la moglie nella stanza d’albergo, che verranno poi esclusi nell’edizione definitiva. - l’incontro dello sposo con i parenti e soprattutto la scena in cui Trieste è a teatro con tutti familiari, soltanto accennata nella versione finale del film; e il pranzo con la declamazione dei versi della Divina Commedia. - il colloquio della Bovo nella redazione del fotoromanzo e il successivo viaggio verso il set sulla spiaggia. Straordinarie le doppie versioni, cioè le sequenze complete che nel film sono state sostituite integralmente, e in particolar modo: - la celeberrima scena tra Alberto Sordi e Brunella Bovo sulla barca, di cui è stata ritrovata una versione dove Sordi, lasciato molto più libero da Fellini, accentua gli elementi comici del personaggio con battute improvvisate, mentre un colpo di vento gli sbatte la vela sulla testa facendolo cadere. - il personaggio di Giulietta Masina che già anticipa Cabiria nella scena di notte in cui terrorizza lo spaesato Trieste mentre mostra a due prostitute le foto di sua moglie. I materiali ritrovati, infine, mostrano che Fellini aveva girato in modo molto più completo la “notte brava” di Leopoldo Trieste, mettendone in scena il risveglio nel letto della prostituta e la fuga imbarazzata dai familiari di lei che insistono per offrirgli il caffè, in un accenno di sarabanda che di nuovo anticipa alcune soluzioni narrative che diverranno tipicamente “felliniane”. Lo sceicco ritrovato comprende, inoltre, una testimonianza di Moraldo Rossi, segretario di edizione per Lo sceicco bianco e stretto collaboratore di Fellini nei primi film del regista riminese. ore 21.00 Incontro con Gianfranco Angelucci e Sergio Toffetti a seguire Federico Fellini, tre spot per la Banca di Roma (1992) Regia: Federico Fellini; fotografia: Giuseppe Rotunno; musica: Nicola Piovani; montaggio: Nino Baragli; interpreti: Paolo Villaggio, Fernando Rey, Anna Falchi, Ellen Rossi Stuart; origine: Italia; produzione: Film Master; durata: 6’ Per la terza volta nella sua carriera, Fellini si concede al mondo pubblicitario, realizzando tre spot per la Banca di Roma. In essi l’alter ego felliniano è Paolo Villaggio, angosciato da incubi terribili. Sarà lo psicanalista, interpretato da Fernando Rey, a tranquillizzarlo e ad avvicinarlo alla solidità ed affidabilità della Banca di Roma al fine di dormire sonni tranquilli. La versione degli spot qui presentata è frutto del ritrovamento, presso l’Archivio Cinema d’Impresa di Ivrea, di alcuni nastri magnetici con la voce di Fellini, registrata durante le riprese. La sua voce s’intreccia come un’eco al sonoro degli spot. Ingresso gratuito a seguire E il Casanova di Fellini? (1975) Regia: Gianfranco Angelucci e Liliana Betti; fotografia: Giuseppe Rotunno; musica: Nino Rota; montaggio: Maurizio Tedesco; interpreti: Federico Fellini (voce), Olimpia Carlisi, Vittorio Gassman, Ugo Tognazzi, Marcello Mastroianni, Alberto Sordi; origine: Italia; produzione: Cinemoon; durata: 75’ In una pausa della lavorazione de Il Casanova di Federico Fellini, Olimpia Carlisi, nel ruolo dell’intervistatrice, chiede ad attori e studiosi di varie discipline la loro opinione sul seduttore italiano per eccellenza. «Fellini ha concepito Casanova, cioè a dire lo respira, lo vive, lo sente come l’estrema esemplificazione di una non esistenza: di nuovo un connotato precipuo del personaggio, questa sua non esistenza, va a combaciare o a gravitare in quell’altra ben più peculiare inesistenza, quella dell’artista-specchio, spugna, zombi, che la prima dovrebbe recepire ed espressivamente organizzare» (Angelucci - Betti). Versione ristampata dalla Cineteca Nazionale in collaborazione con Rai Teche - Ingresso gratuito mercoledì 15 ore 16.30 Nel blu dipinto di blu (Volare) (1959) Regia: Piero Tellini; soggetto: P. Tellini; sceneggiatura: Cesare Zavattini, P. Tellini, Ettore Scola; fotografia: Gianni Di Venanzo; montaggio: Gisa Radicchi Levi; musica: Mario Nascimbene; interpreti: Domenico Modugno, Giovanna Ralli, Vittorio De Sica, Arianna, Franco Migliacci, Carlo Taranto; produzione: D.D.L., Cineproduzioni Astoria; durata: 104’ Uno scanzonato giovanotto siciliano viene accusato di complicità per un furto in una gioielleria, ma viene scagionato da una ragazza che nutre simpatia per lui. Tutto ciò provoca la gelosia di un’altra fanciulla innamorata di lui, ma dopo ripicche, malintesi e discussioni tutto si accomoda. «A dispetto del titolo, un melodramma più che un film con musiche [...]. E a fianco degli sceneggiatori Scola e Tellini si sente la presenza di Zavattini con la sua voglia di raccontare un’umanità dolceamara che vive ai margini della legalità e per tirare avanti si adatta a stare con mani e piedi nel gesso per fare da modello alle statue dei santi» (Mereghetti). Versione restaurata dalla Cineteca Nazionale ore 18.20 Tutto è musica (1963) Regia: Domenico Modugno; soggetto e sceneggiatura: D. Modugno, Franco Migliacci, Tonino Valerii; fotografia: Gabor Pogany; montaggio: Roberto Cinquini; musica: D. Modugno; interpreti: D. Modugno, Edra Gale, Giustino Durano, Franco Franchi, Ciccio Ingrassia, Paolo Bergamaschi; origine: Italia; produzione: Emme Film; durata: 95’ Unico film da regista di Domenico Modugno, Tutto è musica, ricostruisce in forma romanzata la storia dei suoi esordi e dei suoi successi attraverso la drammatizzazione delle canzoni che lo hanno reso famoso. Modugno «si butta a capofitto in un film al quale pensava da qualche tempo. Un film tutto suo, sceneggiatura [...], interpretazione e regia. Lo intitola Tutto è musica, spiegando che il rumore di un martello pneumatico, il getto di una fontana, lo sfrigolio di una saldatrice, tutto è musica» (Giancarlo Governi, Leoncarlo Settimelli). ore 20.00 Orfeo 9, un musical di culto Orfeo 9 la prima opera rock italiana e la prima mai rappresentata al mondo (Roma, Teatro Sistina, 23 gennaio 1970), composta da Tito Schipa Jr. e interpretata dall'autore insieme ad altri numerosi giovani talenti dell’epoca. Divenuto un doppio album nel 1973, detiene oggi un record assoluto nella discografia: quello di essere l'unico doppio italiano che per trent’anni non ha mai cessato di vendere e non è mai uscito di catalogo nemmeno per un giorno, giungendo, al momento attuale, a otto edizioni diverse tra Lp, Musicassette e Cd. La stampa specializzata l’ha recentemente classificato fra i 100 eventi fondamentali del Rock italiano. Girato per il settore sperimentale della Rai nel 1973, l’omonimo film fu trasmesso solamente nel febbraio 1975, e in sordina. Più tardi fu distribuito brevemente nei circuiti d’essai. Da allora, e a dispetto di ciò, quest’opera è da un lato uno dei prodotti di spettacolo più amati dal pubblico, dall’altro uno degli esempi più clamorosi di emarginazione e trascuratezza da parte delle strutture ufficiali e dei media, cui ha potuto reagire grazie al sostegno costante dei suoi fedeli sostenitori, fino al riscatto definitivo della presentazione alla Mostra del Cinema di Venezia del 2008. Nella serata conclusiva il film, presentato dopo la premiazione, è stato salutato da una standing ovation di dieci minuti, imponendosi come uno degli eventi della Mostra. Orfeo 9 (1973) Regia: Tito Schipa jr.; soggetto e sceneggiatuta: T. Schipa jr.; fotografia: Ivan Stoinov; scenografia e costumi: Giovanni Agostinucci; musica: T. Schipa jr.; organo solista e sitar: Joel Vandroogenbroeck; strumentazione e direttore d’orchestra: Bill Conti; montaggio: Alfredo Muschietti; interpreti: T. Schipa jr., Renato Zero, Edoardo Nevola, Monica Miguel, Chrystel Dane, Roberto Bonanni, Loredana Berté, Penny Brown, Marco Piacente, Eva Axen; origine: Italia; produzione: Mount Street Film e Eidoscope per Rai; durata: 84’ Un gruppo di ragazzi vive felice tra le rovine di un’antica chiesa sconsacrata, lontano dalla città che detestano. Uno di loro, Orfeo, è chiuso nella sua solitudine. Euridice risveglia il cuore assopito del giovane: i due s’innamorano all’istante. Un oscuro personaggio ossessionato dalla felicità s’insinua però nella coppia separando Orfeo dalla sua amata con un trucco diabolico. Il giovane si incammina così alla ricerca di Euridice, in un tormentoso viaggio dentro e fuori di sé. «Questa favola ha per vero protagonista un illusionista prodigioso, lo stesso che col suo gioco preciso ti inganna ancora, ti tiene ancora distratto dalla più sublime delle visioni possibili: la Realtà» (prologo Orfeo 9). Tito Schipa jr. cresce tra l’America e l’Italia. La passione per ogni genere di spettacolo musicale diventa il filo conduttore della sua vita. Lavora a fianco di De Lullo, Menotti, Squarzina, Wertmüller. Nel 1969 scrive Orfeo 9, nel 1976 il suo secondo musical, L’isola nella tempesta. La sua versione folk-rock del Don Pasquale di Donizetti approda a Broadway (1983) prodotta da Joseph Papp. Cantautore, autore di colonne sonore, regista di documentari, Schipa è anche ideatore di Virtual Tosca, primo allestimento di un intero melodramma in animazione, in preparazione da alcuni anni. Copia gentilmente concessa da Rai Teche - Ingresso gratuito a seguire Incontro con Tito Schipa Jr. a seguire Orfeo 9 (replica) Copia gentilmente concessa da Rai Teche - Ingresso gratuito giovedì 16 ore 17.00 Un uomo ritorna (1946) Regia: Max Neufeld; soggetto: Luigi Giacosi; sceneggiatura: Anton Giulio Majano, Ivo Perilli, Umberto Del Giglio; fotografia: Giuseppe La Torre; musica: Carlo Innocenzi; montaggio: Giuseppe Fatigati; interpreti: Gino Cervi, Anna Magnani, Luisa Poselli, Felice Romano, Anna Maria Dossena, Ave Ninchi; origine: Italia; produzione: Zeus Film; durata: 90’ Sergio è il direttore di una centrale elettrica, appassionato del suo lavoro e con una serena vita familiare. Allo scoppio della seconda guerra mondiale deve abbandonare tutto. Al suo ritorno, dopo una lunga prigionia, trova la centrale distrutta e la famiglia divisa. Si reca a Roma per cercare di ricostruire la centrale e ritrovare due dei suoi fratelli, uno dedito alla borsa nera, l’altra alla prostituzione. Torna dopo cinquant’anni di oblio uno dei film più controversi e dolorosi della nostra storia recente, interpretato da due grandi attori (Cervi e la Magnani), capaci di incarnare appassionatamente le inquietudini e le lacerazioni del nostro dopoguerra. Un film sulla fatica e il dolore del ritorno alla normalità dopo violenza, fame, bombardamenti. Versione restaurata da Cineteca Nazionale e Ripley’s Film ore 18.45 Il cielo è rosso (1950) Regia: Claudio Gora; soggetto: dal romanzo omonimo di Giuseppe Berto; sceneggiatura: Leopoldo Trieste, Cesare Zavattini, Claudio Gora, Lamberto Giuseppe Santilli; fotografia: Vaclav Vich; musica: Valentino Bucchi; montaggio: Giancarlo Cappelli; interpreti: Marina Berti, Jacques Sernas, Mischa Auer jr., Anna Maria Ferrero, Lauro Gazzolo, Liliana Tellini; produzione: Acta Film; durata: 98’ Durante la guerra il sedicenne Daniele perde i genitori in un bombardamento. Rimasto solo tra le macerie si unisce a un gruppo di ragazzi sbandati come lui, il ladruncolo Tullio, l’orfana Giulia e la prostituta Carla. «I personaggi di Giulia e soprattutto di Carla, raccontati senza falsi moralismi e inutile manicheismo, sono indimenticabili e il loro disperato bisogno di amore (tenera e impotente la prima, volgare ma vitale la seconda) ne fa i simboli toccanti di un’umanità che non riesce a illudersi in un domani migliore» (Mereghetti). Versione restaurata dalla Cineteca Nazionale ore 21.00 Incontro con Guido Crainz, Sergio Grmeik Germani, Sergio Toffetti, Lucio Toth (Presidente nazionale dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia) a seguire La città dolente (1949) Regia;: Mario Bonnard; soggetto: M. Bonnard; Sceneggiatura: Anton Giulio Majano, Aldo De Benedetti, Federico Fellini, M. Bonnard; fotografia: Tonino Delli Colli; musica: Giulio Bonnard; montaggio: Giulia Fontana; interpreti: Luigi Tosi, Barbara Costanova, Gianni Rizzo, Elio Steiner, Gustavo Serena, Raimondo Van Riel; origine: Italia; produzione: Istria Film, Scalera Film; durata: 106’ Alla fine della seconda guerra mondiale Pola e tutta l’Istria vengono assegnate alla Jugoslavia. La maggior parte della cittadinanza italiana lascia la città per trasferirsi in territorio italiano senza cedere alle lusinghe degli jugoslavi che invitano invece a rimanere. Cade nella trappola Berto, un operaio, pensando di ricevere così dei benefici. Ma ben presto si rende conto dell’errore. «Certo, facendone una valutazione a posteriori, sembra incredibile che una tragedia italiana come l’Esodo dalla Venezia Giulia sia stata trattata quasi in tempo reale in questo film del 1948 e poi non sia più stata rappresentata, abbandonata completamente dal mondo del cinema. Questo dimostra che La città dolente è stato un film per certi versi “eroico” anche se ha pagato subito questo coraggio con una pellicola uscita in ritardo, mal distribuita e quindi vista pochissimo» (Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia). Versione restaurata da Cineteca Nazionale, Istituto Luce e Cineteca del Friuli - Ingresso gratuito venerdì 17 ore 17.00 La donna del giorno (1956) di Francesco Maselli; soggetto: Franco Bemporad; sceneggiatura: F. Bemporad, F. Maselli, Aggeo Savioli, Luigi Squarzina, Cesare Zavattini; fotografia: Armando Nannuzzi; musica: Mario Zafred; montaggio: Mario Serandrei; interpreti: Virna Lisi, Antonio Cifariello, Franco Fabrizi; Elisa Cegani, Serge Reggiani, Haja Harareet; origine: Italia; produzione: Peg Produzione Films; durata: 83’ Liliana è un’indossatrice che cerca di farsi strada in ogni modo. Una notte viene trovata svenuta sulla strada. Interrogata dalla polizia, Liliana racconta di essere stata trascinata da tre delinquenti in una villa e di aver subito violenza. Il drammatico evento viene divulgato dai giornali e Liliana diventa ben presto “la donna del giorno”, ricevendo vantaggiose offerte di lavoro. «Avviato da Visconti all’amore per l’opera lirica, Maselli, come confesserà più tardi, gira La donna del giorno nel bel mezzo della sua travolgente euforia per Verdi, con l’ambizione inconscia di rifare La Traviata. Di qui [...] la forte tipizzazione dei personaggi, il ruolo giocato dai grandi attacchi musicali, [...] le scene madri» (Stefania Parigi). Versione ristampata dalla Cineteca Nazionale ore 19.00 Agostino (1962) Regia: Mauro Bolognini; soggetto: dall’omonimo romanzo di Alberto Moravia; sceneggiatura: Goffredo Parise; fotografia Aldo Tonti; musica: Carlo Rustichelli; montaggio: Nino Baragli; interpreti: Paolo Colombo, Ingrid Thulin, John Saxon, Mario Bartoletti, Aldo Bussaglia, Roberto Mancia; origine: Italia; produzione: Baltea Film; durata: 89’ Il decenne Agostino è in vacanza con la madre in un hotel di lusso al Lido di Venezia. Il figlio ha un rapporto morboso e possessivo con la madre. Quando la donna è corteggiata da Renzo, Agostino si sente escluso e abbandonato. Conosce altri ragazzi più smaliziati di lui che gli spiegano il legame che c’è tra sua madre e Renzo. Sconvolto dalla rivelazione e dai problemi per il passaggio ad un’età critica, il ragazzo si aggrega a un compagno più grande di lui per una visita ad una prostituta. «Ho situato il film in una città diversa da quella del romanzo: ho preferito Venezia a Viareggio per il desiderio di avere più acqua. Questo tema dell’acqua c’era anche a Viareggio, ma a Venezia era ancora più forte. Il tema dell’acqua è più dolce a Venezia che in qualsiasi altra città direttamente sul mare» (Bolognini). Versione ristampata dalla Cineteca Nazionale ore 21.00 La bella di Lodi (1963) Regia: Mario Missiroli; soggetto: dal racconto omonimo di Alberto Arbasino; sceneggiatura: A. Arbasino, M. Missiroli; fotografia: Tonino Delli Colli; musica: Piero Umiliani; montaggio: Nino Baragli; interpreti: Stefania Sandrelli, Angel Aranda, Elena Borgo, Maria Monti, Giuliana Pogliani, Cesare Di Montignano; origine: Italia; produzione: Arco Film; durata: 83’ Roberta, figlia di una ricca famiglia lombarda, conosce in Versilia Franco, un giovane meccanico tanto attraente quanto privo di scrupoli. I due cominciano una relazione burrascosa che si svolge lungo l’autostrada del sole, simbolo dell’Italia del miracolo economico, tra hotel, spiagge, fughe, furti e riappacificazioni. «Il testo di Arbasino era molto divertente. Ogni anno tiravo fuori un regista nuovo, e quell’anno mettere insieme Arbasino e Missiroli mi sembrava divertente. L’argomento era bello: la gioventù lombarda del boom, insieme radical-chic però borghese-conservatrice. Era molto divertente, ma non bene strutturato, forse, e finì per costituire un divertimento per pochi intimi, quelli che leggevano Arbasino su “Il Giorno”» (Bini). sabato 18 ore 16.30 Processo alla città (1952) Regia: Luigi Zampa; soggetto: Ettore Giannini, Francesco Rosi; sceneggiatura: Suso Cecchi d’Amico, E. Giannini; collaborazione alla sceneggiatura: Diego Fabbri, L. Zampa, Turi Vasile; fotografia: Enzo Serafin; musica: Enzo Masetti; montaggio: Eraldo Da Roma; interpreti: Amedeo Nazzari, Silvana Pampanini, Paolo Stoppa, Mariella Lotti, Franco Interlenghi, Irene Galter; origine: Italia; produzione: Film Costellazione; durata: 98’ Ai primi del secolo, a Napoli, il giudice Antonio Spicacci emette alcuni mandati di cattura nei confronti di alcune persone coinvolti in due omicidi di stampo camorristico. La matassa è intricatissima, gli indiziati sono numerosi, alcuni insospettabili, e i malviventi godono di protezioni e conoscenze altolocate. Il giudice Spicacci si trova di fronte a un bivio: lasciar perdere l’indagine o andare fino in fondo, a costo di mettere a soqquadro la città? «Non è solo il miglior film di Zampa, anche per merito dell’efficiente sceneggiatura (Suso Cecchi D’Amico, Ettore Giannini, Diego Fabbri, Turi Vasile) e uno dei rari drammi giudiziari riusciti del cinema italiano, ma anche una di quelle opere in cui le istanze civili e morali del neorealismo s’innestano sul robusto tronco di un melodramma popolare attento alla lezione del cinema americano d’azione» (Morandini). Versione ristampata dalla Cineteca Nazionale ore 18.15 Anni difficili (1948) Regia: Luigi Zampa; soggetto: dal racconto di Vitaliano Brancati Il vecchio con gli stivali; sceneggiatura: Sergio Amidei, V. Brancati, Franco Evangelisti, Enrico Fulchignoni; fotografia: Carlo Montuori; musica: Franco Casavola; montaggio: Eraldo Da Roma; interpreti: Umberto Spadaro, Massimo Girotti, Ave Ninchi, Milly Vitale, Odette Bedogni, Ernesto Almirante; origine: Italia; produzione: Briguglio Film; durata: 92’ Aldo, un modesto impiegato del comune di Modica, è costretto per necessità a iscriversi al partito fascista, imitato dalla moglie e dai figli. Il figlio maggiore viene ucciso dai tedeschi durante la ritirata. Finita la guerra, Aldo è accusato di essere stato fascista, senza esserlo realmente stato. «Anni difficili è il film di questi ultimi venti anni, è l’epopea antiretorica, a suon di marce funebri, di noi tutti, italiani delle due ultime generazioni. L’ha scritta Vitaliano Brancati (riducendola da un suo premiatissimo racconto, Il vecchio con gli stivali), l’ha scritta con quella sottile amarezza, quella spietata ironia, quell’impalpabile senso di fatalità tragica che tutti conoscono in lui, siciliano e scrittore» (Rondi). Versione restaurata da Cineteca Italiana di Milano, Cineteca di Bologna e Museo del Cinema di Torino Copia proveniente dalla Cineteca di Bologna - Ingresso gratuito ore 20.00 Pelle viva (1962) Regia: Giuseppe Fina; soggetto: G. Fina; sceneggiatura: Carlo Castellaneta, G. Fina; fotografia: Antonio Macasoli; montaggio: Gabriele Variale; musica: Carlo Rustichelli; interpreti: Raoul Grassilli, Elsa Martinelli, Franco Sportelli, Lia Rainer, Narcisa Bonati, Roberto Barbieri; produzione: Cinematografica 61; durata: 115’ Andrea è un operaio e ogni giorno per recarsi in fabbrica prende il treno. Conosce Rosaria, una ragazza madre meridionale del sud. Ben presto si sposano. Ma la vita non è facile. L’uomo, a causa di uno sciopero, si trova coinvolto in disordini. Interviene la polizia e Andrea viene tradotto in questura con altri dimostranti. Per questo subirà un processo. «Pelle viva, in poche parole, racconta la storia di uno di quei trecentomila operai che ogni mattina all’alba invadono Milano verso le fabbriche e che ogni sera l’abbandonano per far ritorno ai paesi della provincia su quei treni-operai che sono uno spettacolo di antiquariato e di lentezza. Una vita, la loro, spesa interamente viaggiando e lavorando. […] Un clima e una condizione umana delle più opprimenti dove non c’è il tempo per vivere nel senso più bello della parola» (Fina). ore 22.00 Toh, è morta la nonna! (1969) Regia: Mario Monicelli; soggetto: Luisa Montagnana; sceneggiatura: Luigi Malerba, Luisa Montagnana, Stefano Strucchi, Mario Monicelli; fotografia: Luigi Kuveiller; montaggio: Ruggero Mastroianni; musica: Piero Piccioni; interpreti: Wanda Capodaglio, Valentina Cortese, Carol André, Raymond Lovelock, Sergio Tofano, Hélène Ronée; origine: Italia; produzione: Vides Cinematografica; durata: 89’ Adelaide è titolare di un’affermata industria di insetticidi. Muore fulminata dalla corrente elettrica, mentre cerca di riparare il televisore. Non è un tragico incidente, ma un omicidio progettato dal marito. Intorno alla salma si ritrovano i figli con le rispettive consorti, tutti impegnati ad accaparrarsi l’eredità della defunta. Solo il nipote Carlo Alberto, un contestatore, l’unico che abbia voluto veramente bene alla nonna, si intrattiene al capezzale, instaurando con il suo spirito un disinteressato colloquio sul pensiero maoista. Nel frattempo i parenti cominciano ad uccidersi l’un l’altro. «Con questo cinico e survoltato de profundis sulla famiglia italiana, Monicelli opera uno strappo sul piano ideologico, che non verrà più ricucito nella sua filmografia successiva: dagli anni Settanta in avanti, il discorso sulla famiglia [...] si mostra inscindibile da un altro elemento simbolico che viene via via crescendo di importanza, la presenza della morte» (Leonardo De Franceschi). domenica 19 ore 17.00 La cuccagna (1962) Regia: Luciano Salce; soggetto: da un’idea di Luciano Vincenzoni e Alberto Bevilacqua; sceneggiatura: L. Salce, L. Vincenzoni, Carlo Romano, Goffredo Parise; fotografia: Enrico Menczer; musica: Ennio Morricone; montaggio: Roberto Cinquini; interpreti: Donatella Turri, Luigi Tenco, Umberto D’Orsi, Anna Baj, Emilio Barella, Liù Bosisio; produzione: Giorgio Agliani Cinematografica, C.I.R.A.C.; durata: 95’ Rossella, una ragazza anticonformista, attraverso il lavoro cerca di fuggire dall’ambiente familiare, ma le occupazioni che trova non la soddisfano. Conosce Giuliano, un giovane contestatore, più a parole che con i fatti, il quale cerca di aprirle gli occhi. La ragazza è contagiata dal pessimismo di Giuliano e i due meditano addirittura il suicidio, salvo ritrovarsi più uniti che mai e sempre più attaccati alla vita, nonostante tutto. «In La cuccagna io anticipavo un personaggio esploso poi nel ’68, il personaggio del contestatore del ’68. Fatto da Tenco, giovane, disadattato, ribelle, anticipatore persino fisicamente» (Salce). Versione restaurata dalla Cineteca Nazionale ore 19.00 Smog (1962) Regia: Franco Rossi; soggetto: Pier Maria Pasinetti, Franco Rossi, Franco Brusati, Giandomenico Giagni; sceneggiatura: F. Brusati, P. Festa Campanile, Massimo Franciosa, Ugo Guerra; fotografia: Ted McCord; musica: Piero Umiliani; montaggio: Mario Serandrei; interpreti: Enrico Maria Salerno, Annie Girardot, Renato Salvatori, Casey Adams, Peggy Moffitt, Dennis Diggin; origine: Italia; produzione: Titanus; durata: 101’ Un avvocato italiano in viaggio verso il Messico si ferma per un giorno a Los Angeles. Fa amicizia con un italiano che vive di espedienti, che lo introduce nel bel mondo californiano, fra ville e party, cinema e politica. L’avvocato è attratto dal lusso e dalle possibilità offerte dalla società americana, ma nello stesso tempo si sente spaesato e fuori posto, incapace di inserirsi in un meccanismo di progressiva disumanizzazione. «Smog è un film rigoroso e, in un certo senso, moralistico. È tutto un fatto speculare: se uno gira in una città a quel tempo così inedita quanto lo era Los Angeles finisce con l’essere un po’ preso da quello che vede giorno per giorno, e la prima lettura del film sembra più una specie di curioso documentario su una città allora così remota che non un vero e proprio discorso. Invece questo c’era, c’era questa voglia di rappresentare, magari con lo stesso attore di Odissea nuda [Enrico Maria Salerno], un certo tipo di italiano…» (Franco Rossi). Versione ristampata dalla Cineteca Nazionale ore 21.00 L’italiana in Algeri (1968) Regia: G. Gianini, E. Luzzati; soggetto e sceneggiatura: G. Gianini, E. Luzzati; fotografia: G. Gianini; musica: Gioacchino Rossini (ouverture de L’italiana in Algeri); montaggio: G. Gianini; origine: Italia; produzione: G. Gianini, E. Luzzati; durata: 11’ Sulle note di Gioacchino Rossini, il viaggio di Isabella e Lindoro che, partiti da Venezia, naufragano sulle coste di Algeri. Poi Isabella è rapita dal sultano Mustafà. «Come bambino, a me piace raccontare. Raccontare [...] con tutti i mezzi, tutte le materie: il disegno, la ceramica, la scenografia e, soprattutto, il cartone animato. Il cinema d’animazione è più ricco di risorse, costituisce forse per me la forma espressiva più completa. Ha un elemento in più rispetto alle altre: il movimento» (Luzzati). a seguire Nostra signora dei turchi (1968) Regia: Carmelo Bene; soggetto e sceneggiatura: C. Bene dal suo romanzo omonimo; fotografia: Mario Masini; montaggio: Mauro Contini; interpreti: Carmelo Bene, Lydia Mancinelli, Ornella Ferrari, Anita Masini, Salvatore Siniscalchi, Vincenzo Musso; produzione: Giorgio Patara, C. Bene; durata: 142’ Un intellettuale, così febbricitante da sembrare patologicamente irrecuperabile, ha un confuso ricordo di una strage compiuta dai turchi a Otranto. Immedesimandosi in una delle vittime, gli appare una donna, Margherita, la quale, con gli abiti di santa Maria d’Otranto, lo tratta con pietosa amorevolezza. Altre visioni, tra fantasia e ricordi, si accavallano, interrompendo il dialogo con Margherita. «Io sono un anarchico: non rispetto nessuna specie di conformismo. [...]. Come tragica farsa della vita interiore (o solitudine) di un personaggio-situazione, o meglio di una situazione che si fa personaggio, questo mio film è un’opera di autocontestazione. Quanto alla storia, favola o storiella, è tutto quello che vi piacerà. [...]. Di Nostra Signora dei Turchi è inutile che vi parli: non capirebbe niente nessuno» (Bene). Versione integrale restaurata dalla Cineteca Nazionale lunedì 20 chiuso martedì 21 Immagini che migrano. Incontro con Marina Malfatti, Agnese Nano, Carolina Levi, Emanuela Giordano, protagoniste e regista dello spettacolo teatrale Va’ dove ti porta il cuore Una vicenda che attraversa tre generazioni di donne che provano a recuperare, attraverso l’affetto che le unisce, un legame più autentico e leggero, una serenità condivisa e libera. Olga, la nonna, schiacciata dall’ambiguità della famiglia d’origine, a sua volta cresce sua figlia e poi sua nipote portandosi dentro un terribile segreto che alimenta la continua inquietudine dei loro rapporti. Nelle lettere alla nipote lontana, Olga ripercorre la sua vita, quella della sua problematica figlia e il difficile passaggio tra adolescenza e maturità della nipote. In una giravolta di scontri, bugie, paure, accuse, drammi e tenerezze, Olga trova la forza di rivelare alla giovane la verità sulla tragica fine della madre, liberandosi allo stesso tempo di un atroce segreto e del più pesante obbligo di salvare le apparenze. La sua è la confessione di un’anima ancora piena d’amore, dove non albergano né dolore né rimpianto, bensì la consapevolezza di avere imparato, a proprie spese, che la vita è un cammino tortuoso nel quale bisogna imparare ad evitare l’infelicità, proprio ascoltando il cuore. Va’ dove ti porta il cuore giunge al Cinema Trevi dopo un lungo viaggio dalla pagina scritta allo spettacolo teatrale, ospitato al Teatro Quirino-Vittorio Gassman dal 7 al 26 ottobre: le protagoniste della scena Marina Malfatti, Agnese Nano e Carolina Levi e la regista Emanuela Giordano incontrano il pubblico per confrontarsi sul rapporto tra generazioni e tra cinema, teatro e letteratura. A seguire la proiezione dell’omonimo film del 1996 per la regia di Cristina Comencini interpretato da Virna Lisi (Olga, in teatro Marina Malfatti), Margherita Buy (Ilaria, in teatro Agnese Nano), Galatea Ranzi (Marta, in teatro Carolina Levi). ore 17.00 Incontro con Marina Malfatti, Agnese Nano, Carolina Levi, Emanuela Giordano a seguire Va’ dove ti porta il cuore (1995) Regia: Cristina Comencini; soggetto: dall’omonimo romanzo di Susanna Tamaro; sceneggiatura: C. Comencini, Roberta Mazzoni; fotografia: Roberto Forza; musica: Alessio Vlad, Claudio Capponi; montaggio: Nino Baragli; interpreti: Virna Lisi, Margherita Buy, Galatea Ranzi, Valentina Chico, Massimo Ghini, Tcheky Karyo; origine: Italia; durata: 106’ Una vecchia signora, Olga, scrive una confessione autobiografica alla nipote Marta in viaggio negli Stati Uniti. Ciò che ne risulta è una dura disamina della sua esistenza: sposata senza amore ad Augusto e infelicemente innamorata di Ernesto, che morì tragicamente dopo averla messa incinta di Ilaria, irrequieta madre di Marta. Cristina Comencini, insieme allo sceneggiatore Roberta Mazzoni, riesce a realizzare un ottimo lavoro di sottrazione e condensazione, rispetto al bestseller di Susanna Tamaro. «È un sobrio film al femminile, girato con mano elegante e leggera, emotivo al giusto punto di cottura, servito da un trio di attrici talentuose e generose, pur se diversissime tra loro. Insomma uno di quei prodotti “medi” dei quali il cinema italiano sente oggi terribilmente la mancanza» (Pugliese). Ingresso gratuito ore 21.00 Presentazione del film Il figlio incerto Incrocio. Unione. Crossover. Tra espressioni artistiche. Tra teatro e cinema ad esempio. Per creare un cocktail policromo e linguistico. Il figlio incerto gioca con questi specifici linguistici: uno spazio teatrale circoscritto (una camera d’albergo), due corpi attoriali dalla straordinaria phoné (Elena Falgheri e Vittorio Viviani), un direttore d’orchestra che ha sempre giocato con i pieni e i vuoti, ma soprattutto con l’enigmaticità del reale ripresa in un’ottica performativa (Elisa Bolognini). Il figlio incerto, liberamente ispirato alla pièce teatrale L’ora grigia di Agotha Kristoff, che ha visto la luce grazie al fondamentale contributo dell’Imaie (Istituto per la Tutela dei Diritti e degli Artisti Interpreti Esecutori), è tutto ciò e molto di più: frasi che si rincorrono, vanificate nell’abisso dell’incomunicabilità. Suona un violino. La luce illumina la lama di un coltello. Incontro con Elisa Bolognini, Elena Falgheri, Vittorio Viviani a seguire Il figlio incerto (2007) Regia: Elisa Bolognini; soggetto: liberamente ispirato alla pièce L’ora grigia di Agotha Kristoff; sceneggiatura: E. Bolognini, Elena Falgheri; fotografia: Rocco Marra; musica: Ferruccio Vignanelli Zichella; scenografia: E. Bolognini, E. Falgheri; costumi: Anina Pinter; montaggio: Alessandro Pantano; mixage: Luca Raitano; interpreti: E. Falgheri, Vittorio Viviani, Giovanni Carta, Ferruccio Vignanelli Zichella; origine: Italia; durata: 30’ La storia tratta dell’incontro d’amore mancato tra una prostituta ed un suo vecchio cliente, evidenziando come la vita a volte non consenta di guardare indietro, di affidare alla memoria del passato una speranza per la realtà attuale e per il futuro. Si insinua prepotentemente l’urgenza di sognare per sfuggire al destino. Un uomo ed una donna riescono a dialogare solo attraverso un gioco, a volte divertente, a volte drammatico, sfidandosi continuamente a sognare altri mondi. Ingresso gratuito 22-30 ottobre III edizione del Festival Internazionale del Film di Roma Anna Magnani: omaggio a “mamma Roma” Che cosa si può ancora scrivere su ciò che si è detto, parlato, raccontato su Anna Magnani, l’antidiva per eccellenza, senza cadere nella retorica più trita e ritrita? Ovvero l’attrice che meglio ha rappresentato attraverso la sua personalità lo specchio dell’Italia del dopoguerra. Inimitabile popolana focosa, sboccata e allo stesso tempo sensibile e generosa, incarnazione dei valori genuini di un’Italia che forse, purtroppo non c’è più. Un grande scrittore come Alberto Moravia colse alla perfezione la grande umanità della donna Anna Magnani, prima ancora che attrice: «Ricordo una serata, diciamo così, tipica con Anna Magnani e Pier Paolo Pasolini, ai tempi relativamente recenti di Mamma Roma. Le proponemmo di scegliere fra un ristorante qualsiasi e un noto locale cosiddetto caratteristico, decorato nello stile della Roma rustica e papalina con selle e finimenti di cavalli, carri da vino con il soffietto dipinto, spiedi di ferro, pentole e teglie di rame, tavoloni e sgabelloni di quercia, botti, barili e bicchieri col fondo grosso, dove, sicuramente, il suo mito personale avrebbe trovato una collocazione immediata. Scelse subito, sia pure con scettica e sarcastica accondiscendenza, il locale caratteristico. E una volta seduta in un tavolo un po’ appartato nella piazzetta trasteverina gremita di turisti americani, ebbe un primo movimento di delusione vedendo che il suo arrivo non aveva provocato la consueta curiosità. Ma questa distrazione durò poco. Erano appena passati cinque minuti che tre o quattro fotografi già stavano inginocchiati intorno a noi cercando di riprendere “Nannarella” a cui il chitarrista lusinghiero e familiare, un piede sul piolo della seggiola, la chitarra sulle ginocchia, andava propinando nell’orecchio le parole sussurrate della sua canzone. Intanto da tutti i tavoli gli avventori stranieri avvertiti da accompagnatori e ciceroni si voltavano per guardarla; e dalla frangia di donnette e di ragazzini che se ne stavano intorno in piedi a godersi la musica, si levavano applausi e invocazioni. Guardai in quel momento Anna Magnani e vidi che, chiaramente, essa non partecipava che a metà a questa specie di improvvisata rappresentazione. Certo i suoi occhi magnetici brillavano di eccitazione non finta; certo la celebre risata crudele e aggressiva si accendeva con perfetta naturalezza sul viso un po’ stanco e macerato; ma al tempo stesso c era in lei qualche cosa di amaro, di malsicuro e di deluso. Era, sì, l’attrice celebre, il personaggio rappresentativo; ma, insieme, per una contraddizione amara della sua strana e ombrosa umiltà, forse dubitava di esserlo davvero oppure avrebbe voluto esserlo in un altro modo. Il suo narcisismo scontento e diffidente le faceva forse subodorare nella sua popolarità qualche cosa di inautentico, un po’ analogo alla decorazione del ristorante in cui in quel momento si trovava. Ma probabilmente si rendeva pure conto che ogni popolarità è fondata su un malinteso; e che la sua, almeno, poteva contare su un’originaria carta di nobiltà genuina e indiscutibile». Non è un caso che era la stessa Magnani a suggerirci un autoritratto ben lontano da facili etichette, lasciando trasparire un’umiltà e una complessità commoventi: «Non so se sono un’attrice, una grande attrice o una grande artista. Non so se sono capace a recitare. Ho dentro di me tante figure, tante donne, duemila donne. Ho solo bisogno d’incontrarle. Devono essere vere, ecco tutto». Tutto il cinema recitato da Anna Magnani è autentico. Non solo Roma città aperta o Mamma Roma, o Bellissima. Proprio perché in lei si compiva un piccolo e grande miracolo: tra le luci e le ombre, magari anche dietro uno scenario di cartapesta, davanti alla macchina da presa, la realtà quotidiana prendeva corpo attraverso di lei. E il finto, il barocco, l’inessenziale spariva. Ecco perché non esiste nessun brutto film con Anna Magnani. Ecco perché il senso profondo di questa rassegna, curata dalla Cineteca Nazionale in collaborazione con il Festival Internazionale del Film di Roma: Anna Magnani, l’attrice per eccellenza. Meglio lasciare posto alle immagini, testimonianze vive di un’artista a 360°. mercoledì 22 ore 17.00 Tempo massimo (1934) Regia: Mario Mattòli; soggetto e sceneggiatura. M. Mattòli; fotografia: Carlo Montuori; musica: Vittorio Mascheroni, Virgilio Ripa; montaggio: Giacomo Gentilomo; interpreti: Vittorio De Sica, Milly, Camillo Pilotto, Enrico Viarisio, Anna Magnani, Ermanno Roveri; origine: Italia; produzione: Za-Bum; durata: 78’ «Esordio di Mario Mattòli alla regia, dopo essere stato attivo nella rivista e nella produzione cinematografica con il marchio Zabum. Il film è una piacevole e movimentata, commedia scritta dallo stesso regista, che tocca temi simili al genere americano della “screwball commedy” che veniva lanciato nello stesso anno, il 1934, in America con Accadde una notte di Capra. Nello specifico, con la storia del giovane studioso (De Sica) protetto dalla zia agata (Amelia Chellini) sulla cui vita precipita (letteralmente) la valanga femminile Milly a sconvolgergli le sicurezze e le abitudini, propone con originalità e tempismo il tema della battaglia dei sessi. L'uomo acculturato e imbranato e la donna sportiva è un binomio classico della commedia americana che vedremo in Susanna di Hawks (1937). Il film ha un gran ritmo, diverse trovate, un giusto mix di ruoli, con il promesso sposo antipatico e molto vicino all'uomo fascista (Ermanno Roveri), il maggiordomo di lui (Camillo Pilotto) perfetto e umoristico, la dama di lei (una Anna Magnani al debutto, intrigante e fascinosa), e l’uomo della dama protagonista di un classico scambio di identità (un grande Enrico Viarisio). Tempo Massimo è un esempio di commedia sentimental surreale, una testimonianza di come il cinema dei primi anni del sonoro fosse più libero e meno ingessato di quello successivo dei telefoni bianchi. A quei tempi la Cines era praticamente la sola casa di produzione del cinema italiano, mentre la produzione stentava a raggiungere i 40 film l’anno. Ambientato a Milano il film esprime anche una buona caratterizzazione regionale con Giuseppe Barrella che “prestò la veemenza del suo meneghino a una figurinetta d’autista” (Dino Falconi, 1935)» (Federico Passi). Versione restaurata da Cineteca Nazionale, Ripley’s Film, in collaborazione con Marzi Srl ore 19.00 La principessa Tarakanova (1938) Regia: Fëdor Ozep, Mario Soldati; soggetto: Ladislao Vajda, André Lang; sceneggiatura: Evelina Levi, M. Soldati, Henri Jeanson; fotografia: Curt Courant, Massimo Terzano, Renato Del Frate; montaggio: Ferdinando Maria Poggioli; origine: Francia, Italia; produzione: S.A.I. Film Internazionali, Chronos Films, Néro Film; durata: 89’ «A Venezia, dove ha la sua corte la principessa Tarakanova – che vanta presunti diritti al trono di Russia –, arriva il conte Orloff, emissario dell'imperatrice Caterina. Dovrebbe catturarla, ma s’innamora di lei. La cornice schiaccia il quadro: sfarzose scenografie, bella musica di Zandonai, grande spettacolo in costume [...]. C’è A. Magnani che fa la camerista e s’intravede Alberto Sordi al suo esordio. [...] Sullo stesso argomento un film (1930) di Raymond Bernard. Il vero nome di Ozep è Fjodor Otsep: fu uno dei pionieri del cinema sovietico, trasferitosi poi nel 1928 in Germania; cacciato dai nazisti si rifugiò in Francia dove diede il meglio di sé finché la guerra lo costrinse a emigrare prima in Canada, poi negli USA dove morì nel ’49» (Morandini). ore 21.00 Teresa Venerdì (1941) Regia: Vittorio De Sica; soggetto: Rudolf Török; sceneggiatura: V. De Sica, Gherardo Gherardi, Margherita Maglione, Franco Riganti; fotografia: Vincenzo Seratrice; musica: Renzo Rossellini; montaggio: Mario Bonotti; interpreti: Adriana Benetti, V. De Sica, Irasema Dilian, Anna Magnani, Virgilio Riento, Giuditta Rissone; origine: Italia; produzione: A.C.I. (Alleanza Cinematografica Italiana), Europa Film; durata: 92’ «Medico rubacuori di successo e pieno di debiti, afflitto da un’amante invadente e da una fidanzata sciocchina, incontra un’orfanella che, liberatolo delle due noiose, conquista il suo cuore e gli fa mettere giudizio. Ispirato a un romanzo di Rudolf Török, si distingue per il garbo della costruzione narrativa, l’esperta guida degli attori, la credibilità dei personaggi. Basterebbe A. Magnani nel personaggio della canzonettista Loletta Prima per raccomandarlo. Contribuirono alla sceneggiatura C. Zavattini e Aldo De Benedetti senza firmare: l’uno perché lavorò di nascosto, l’altro per motivi razziali (ebreo). Altro titolo: Il gallo della Checca» (Morandini). giovedì 23 ore 16.30 La fortuna viene dal cielo (1942) Regia: Akos Rathonyi; soggetto: A. Rathonyi; sceneggiatura: Sergio Pugliese, Alessandro De Stefani [non accreditato]; fotografia: Renato Del Frate; musica: Gino Filippini; montaggio: Otello Colangeli; interpreti: Vera Carmi, Roberto Villa, Sandro Ruffini, Anna Magnani, Franco Coop, Guglielmo Sinaz; origine: Italia; produzione: S.A.C.C.I.; durata: 71’ «La graziosa fidanzata di un avvocato viene derubata di un prezioso gioiello regalatole da lui e quando costui viene a sapere che le è stato sottratto in un cinema, si precipita a sporgere denuncia senza sapere che il ladro ha abbandonato il gioiello sul tavolino di un locale notturno dove è stato trovato da una cantante che pensa le sia piovuto dal cielo. Da qui tutta una serie di equivoci, bisticci, incomprensioni varie che portano alla rottura del fidanzamento e al nascere di un nuovo idillio» (Chiti/Lancia). ore 18.00 Campo de’ Fiori (1943) Regia: Mario Bonnard; soggetto: Marino Girolami; sceneggiatura: M. Bonnard, Aldo Fabrizi, Federico Fellini, Tullio Pinelli; fotografia: Giuseppe La Torre; musica: Giulio Bonnard; montaggio: Gino Talamo; interpreti: A. Fabrizi; Anna Magnani, Caterina Boratto, Peppino De Filippo, Olga Solbelli, Cristiano Cristiani; origine: Italia; produzione: Cines; durata: 95’ «Il pescinvendolo Peppino (Fabrizi) s’innamora di un’affascinante cliente (Boratto) e vorrebbe sposarla, anche se scopre che è molto meno altolocata di quanto immagini e ha un figlio (Cristiani) a balia, ma i suoi sogni non si realizzeranno: deluso, ritornerà tra le braccia della fruttarola (Magnani) che lavora al suo fianco al mercato di Campo de’ Fiori. Secondo film di Fabrizi e primo ruolo da popolana per la Magnani, in una storia tutta girata a Cinecittà ma nella quale si intravedono elementi pre-neorealisti (le dispute al mercato, la scena con la Boratto in prigione, quelle dalla balia in Abruzzo). E i toni della commedia sono abbastanza lontani dagli schemi estetici dell’epoca, con accenni di critica sociale (i “borghesi” che giocano d’azzardo) e qualche divertente notazione sul maschio conquistatore (specie nel personaggio del parrucchiere ganimede interpretato da De Filippo). Il soggetto di Marino Girolami è adattato da Federico Fellini, Tullio Pinelli e dallo stesso Fabrizi» (Mereghetti). Eurovisioni In Europa di festival dedicati all’audiovisivo ne esistono molti, ma solo uno che si occupa specificatamente ed esclusivamente del mercato europeo della televisione e del cinema, delle trasformazioni tecnologiche che lo stanno rendendo possibile o delle trasformazioni culturali ed economiche che la sua nascita sta comportando. Questo è Eurovisioni, festival nato nel 1987 quando la TV europea non esisteva ancora e che, oggi, quando ormai decine di milioni di case europee sono in grado di ricevere lo stesso programma, sta conoscendo la sua maturità. ore 20.00 Let’s Go to the Movies Tomorrow (Jutro idziemy do kina, 2007) Regia: Michal Kwieciński; produzione: TVP; durata: 100’ Una storia romantica. Tre studenti della scuola superiore che conseguono il diploma nel maggio 1938. Tre amici convinti che la loro vita sarà speciale e che la loro amicizia durerà per sempre. Nonostante giungano notizie allarmanti dall’Europa sono più preoccupati dai loro affari di cuore che dalla situazione politica. Ognuno prende la propria strada: due di loro scelgono la carriera nell’esercito, mentre il terzo comincia gli studi di medicina all’università di Varsavia. Ognuno dei tre è diverso, ma tutti pensano soprattutto all’amore, finché giunge l’estate del 1939 e le prime avvisaglie di guerra… ore 22.00 Wallander (2008) Regia di Philip Martin; produzione: BBC; durata: 90’ Nuova fiction prodotta dalla BBC, tre episodi da 90 minuti basati su tre romanzi dello svedese Henning Mankell e con la regia del pluripremiato Philp Martin (vincitore di un Emmy Award per Prime Suspect: The Final Act). Una detective story girata in Svezia che ha come protagonista Kenneth Branagh che per l’occasione veste i panni di Kurt Wallander, investigatore dal drink facile che risolve crimini complessi e svolge il suo lavoro con metodi non sempre ortodossi. Un uomo con una vita privata problematica, fatta di rapporti difficili con il padre e il figlio, ma anche con le donne. venerdì 24 ore 17.00 La vita è bella (1943) Regia: Carlo Ludovico Bragaglia; soggetto e sceneggiatura: C. L. Bragaglia; fotografia: Rodolfo Lombardi; musica: Gino Filippini, Giovanni D’Anzi; montaggio: Ines Donarelli; interpreti: Alberto Rabagliati, Virgilio Riento, Anna Magnani, Maria Mercader, Gualtiero Tumiati, Arturo Bragaglia; origine: Italia; produzione: Fono Roma, Lux Film; durata: 81’ «Un conte sul lastrico (Rabagliati) accetta di fare da cavia per un siero misterioso, ma nei dieci giorni che lo separano dall’esperimento l’amicizia con un vagabondo (Riento) e l’amore per l’altera Nadina (Mercader) gli fanno tornare la voglia di vivere: per fortuna il siero nasconderà una sorpresa. Scritta dallo stesso Bragaglia (con la collaborazione non accreditata di Aldo De Benedetti), è una svampita commedia degli equivoci, perfetta per distrarre una nazione in guerra: Rabagliati non perde occasione per sfoderare la sua ugola (oltre alla canzone che dà il titolo al film, canta Per te... e accenna persino È primavera) e la Magnani e Campanini si scatenano in una serie di duetti comici (uno, irresistibile, su un’aria dell’Aida) da antologia» (Mereghetti). ore 19.00 L’ultima carrozzella (1943) Regia: Mario Mattòli; soggetto: Aldo Fabrizi; sceneggiatura: A. Fabrizi, Federico Fellini; fotografia: Tino Santoni; musica: Mario Ruccione; montaggio: Fernando Tropea; interpreti: Emilio Baldanello, Romolo Balzani, Giulio Battiferri, Ciro Berardi, Nando Bruno, Gustavo Cacini; origine: Italia; produzione: Artisti Associati, Continental Cine; durata: 89’ Un vetturino romano tradizionalista è insofferente alla concorrenza alle autovetture. Specialmente poi, quando la figlia vuole sposare proprio un tassista! Ma un giorno però il vetturino viene accusato del furto di un brillante e finisce in tribunale. «L’ultima carrozzella, scritto e sceneggiato da Fabrizi in collaborazione con Fellini, prefigura quel ruolo centrale che il comico romano avrà nel neorealismo, da lui interpretato come “cinema de noantri”, racconto delle vicende della povera gente in una Roma che vive ancora le emozioni e le storie delle borgate. A differenza di Campo de’ Fiori e di Avanti c’è posto – due film pressoché contemporanei che vedono Fabrizi protagonista e che sono stati spesso accomunati a L’ultima carrozzella – l’opera mattoliniana è quasi interamente realizzata fuori dagli studi (con un particolare più volte sottolineato da Fabrizi: la palandrana da lui indossata è la stessa di quando effettivamente faceva il vetturino, fatto inimmaginabile nel cinema anche solo di qualche tempo prima). Inoltre non è debitrice, come Avanti c’è posto, di un testo teatrale preesistente» (Della Casa). ore 21.00 Abbasso la miseria! (1945) Regia: Gennaro Righelli; soggetto: G. Righelli; sceneggiatura: G. Righelli, Nicola fausto Neroni; fotografia: Rodolfo Lombardi; musica: Umberto Mancini; montaggio: Duilio Lucarelli; interpreti: Anna Magnani, Nino Besozzi, Virgilio Riento, Marisa Vernati, Vito Chiari, Sandro Ruffini; origine: Italia; produzione: Domus Film, Lux Film; durata: 82’ «Il film italiano Abbasso la miseria! si presta a molte considerazioni. Diretto da un vecchio lupo del nostro cinema, un regista della vecchia guardia proveniente addirittura dal cinema muto, Gennaro Righelli, interpretato da un attore di prosa, Nino Besozzi, da un attore di rivista, Virgilio Riento, e dalla straordinaria Anna Magnani, il film poteva essere giudicato in partenza come qualcosa da non fidarcisi troppo, come roba di ordinaria amministrazione. E invece si tratta di un film riuscito, che ha il merito di muoversi sul concreto, di interessare, di mordere su una materia viva. [...] In fondo, in Abbasso la miseria!, quello che ha stupito piacevolmente sono state la naturalezza degli attori, la verità delle situazioni e dei casi. Tutti sanno che intelligente attrice sia Anna Magnani, per poco che sappia sorvegliarsi, e qui è stata bravissima. Ma pochi sapranno che Nino Besozzi può essere un buon attore di cinema, dopo esserlo stato di teatro. Qui Besozzi è vero, ed è riuscito a far dimenticare il funesto ricordo del Besozzi comico-sentimentale di anni lontani» (Bianchi). sabato 25 ore 17.00 Avanti a lui tremava tutta Roma (1946) Regia: Carmine Gallone; soggetto: C. Gallone; sceneggiatura: C. Gallone, G. Gherardi, Gaspare Cataldo; fotografia: Anchise Brizzi; montaggio: Niccolò Lazzari; interpreti: Anna Magnani, Tito Gobbi, Gino Sinimberghi, Hans Hinrich, Edda Albertini, Heinrich Bode; origine: Italia; produzione: Excelsa Film; durata: 116’ «Nella Roma del 1944, prima dell’arrivo degli Alleati, la messinscena di Tosca di G. Puccini s’intreccia con una vicenda di drammatica attualità: il tenore (G. Sinimberghi) che fa Cavaradossi canta in stato di arresto per aver nascosto in casa un paracadutista inglese. Al momento della fucilazione (vera) è salvato da Floria Tosca (A. Magnani, doppiata dal canto di Renata Tebaldi) e dai macchinisti del teatro. La sceneggiatura di G. Gherardi e G. Cataldo fa un po’ acqua, ma il robusto mestiere di C. Gallone, re del cinema popolare dell’epoca, guida la storia sino all’attesa lieta fine. 5° posto negli incassi della stagione 1946-47» (Morandini). Versione restaurata da Cineteca Nazionale, Ripley’s Film, in collaborazione con Marzi Srl e Festival di Spoleto - Festival dei 2 Mondi ore 19.00 Il bandito (1946) regia: Alberto Lattuada; soggetto: A. Lattuada; sceneggiatura: Oreste Biancoli, Mino Caudana, Ettore M. Margadonna, Tullio Pinelli, Piero Tellini; fotografia: Aldo Tonti; musica: Felice Lattuada; montaggio: Mario Bonotti; interpreti: Anna Magnani, Amedeo Nazzari, Carla Del Poggio, Carlo Campanini, Eliana Banducci, Mino Doro; origine: Italia; produzione: Lux Film; durata: 84’ «Le tragedie familiari e l’impossibile reinserimento nella Torino postbellica spingono un reduce (Nazari) a entrare nella malavita. Molto pessimista e ingiustamente sottovalutato, il film coniuga sapientemente neorealismo e suggestioni noir di marca Usa nella sceneggiatura [...]. Peculiare la scelta degli attori che ribaltano coi loro personaggi l’immagine popolare che li ha resi famosi: il brillante e avventuroso Nazzari è l’antieroe disilluso, la “popolana” Magnani è addirittura il boss della banda, e la virginea Carla Del Poggio fa la prostituta. Notevole la fotografia di Aldo Tonti, in difficile equilibrio tra realismo ed espressionismo» (Mereghetti). ore 21.00 Roma città aperta (1945) Regia: Roberto Rossellini; soggetto: Sergio Amidei, Alberto Consiglio [non accreditato]; sceneggiatura: S. Amidei, Federico Fellini, R. Rossellini e Carlo Celeste Negarville [non accreditati]; fotografia: Ubaldo Arata; musica: Renzo Rossellini; interpreti: Anna Magnani, Aldo Fabrizi, Vito Annichiarico, Nando Bruno, Harry Feist, Francesco Grandjacquet; origine: Italia; produzione: Excelsa Film; durata: 104’ «La proiezione del primo film italiano del Festival si è risolta in un vero successo. Da questa Città aperta di Rossellini si possono trarre preziosi insegnamenti. Primo, che i nostri film debbono esprimere concetti semplici, illustrare la nostra vita e liberarsi dalle smanie esibizionistiche della precedente “rinascita”. Secondo, che soltanto a questo patto i nostri film potranno interessare fors’anche conquistare i pubblici stranieri. Città aperta è un documentario romanzato, e nella sua trama trovano ospitalità tutti quegli elementi drammatici che sono ormai legati nel ricordo al periodo dell’occupazione nazista di Roma: le razzie, le uccisioni, le torture inflitte ai patrioti, la fame e l’attesa degli abitanti, il sacrificio di molte anime nobili, la lotta clandestina. Una sceneggiatura molto abile ha dato in efficace sommario la vita di quei mesi, ricordando in uno dei protagonisti l’eroico Don Morosini e nell’altro sommando le figure dei numerosi patrioti morti per mano delle SS. La regia di Rossellini si tiene al sodo, evita le divagazioni e punta sui fatti dei quali il film abbonda, risolvendoli con una precisione e un’impassibilità che a noi ricorda lo spirito che circola nelle pitture di un altro romano, Antonio Donghi. Tutto qui è detto senza sforzo apparente e senza grandi invenzioni. Rossellini si serve di case vere, di uomini veri, di frasi vere: l’effetto è raggiunto così con mezzi quotidiani, copiando la vita con la puntigliosità di chi la vede soltanto nelle apparenze. Rossellini si vieta di proposito ogni indagine lirica. Per lui due e due fa quattro in ogni caso, mentre per noi qualche volta fa cinque e perfino tre. Sergio Amidei, come soggettista e sceneggiatore, l’ha assecondato benissimo, talvolta sonnecchiando nei punti intrigati, ma sempre con drammatica veemenza e, soprattutto, con umorismo. Il complesso degli attori ha funzionato benissimo: alcuni, come la Magnani e il Fabrizi, erano nel film per diritto naturale, combaciando la loro concezione dell’arte con quella di Rossellini; altri come Pagliero, Feist, Grandjacquet, in visita casuale ma non meno applaudita. Di due attrici, la Galletti e la Michi, il pubblico ha ammirato i volti nuovi, espressivi e la recitazione intensa ed efficace» (Flaiano). Nastri d’argento per il miglior film e ad Anna Magnani. Grande successo internazionale con una nomination all’Oscar della sceneggiatura. Titolo inglese: Open City. Versione restaurata nel 2006 dalla Cineteca Nazionale domenica 26 ore 17.00 L’onorevole Angelina (1947) Regia: Luigi Zampa; soggetto e sceneggiatura: Piero Tellini, Suso Cecchi D’Amico, L. Zampa; fotografia: Mario Craveri; musica: Enzo Masetti; montaggio: Eraldo Da Roma; interpreti: Anna Magnani, Nando Bruno, Ave Ninchi, Ernesto Almirante, Agnese Dubbini, Armando Migliari; origine: Italia; produzione: Ora Film, Lux Film; durata: 93’ «Moglie di un vicebrigadiere (N. Bruno) e madre di cinque figli, Angelina (A. Magnani) guida le donne della borgata romana di Pietralata all’assalto dei magazzini di pasta di un borsanerista e, dopo l’alluvione, a occupare gli alloggi vuoti di uno speculatore edilizio. Diventata famosa, è tentata dalla politica, ma, ribellatasi alla forza pubblica, è arrestata. Esce dal carcere vittoriosa, ma decide di tornare a fare la casalinga. Scritta con Piero Tellini e Suso Cecchi D'Amico, è una commedia sagace nel mescolare la gravità dei temi e la comicità del trattamento – cronaca e spettacolo – pur con scivolate nella retorica del patetico e una sottesa ideologia della riconciliazione delle classi all’insegna dei valori familiari e dei buoni sentimenti. Magnani strepitosa nelle “baccagliate”, premiata con il Nastro d’argento della migliore attrice del 1947-48. 4° incasso tra i film italiani della stagione e successo internazionale» (Morandini). ore 19.00 Lo sconosciuto di San Marino (1948) Regia: Michael Wazynski, Vittorio Cottafavi; soggetto: Cesare Zavattini; sceneggiatura: Giulio Morelli, C. Zavattini, V. Cottafavi; fotografia: Arturo Gallea; musica: Alessandro Cicognini, Giuliano Conte; montaggio: Mario Serandrei; interpreti: Anna Magnani, Vittorio De Sica, Aurel M. Miloss, Antonio Gandusio, Giuseppe Porelli, Irma Gramatica; origine: Italia; produzione: Film Gamma; durata: 79’ «Repubblica di San Marino poco prima la fine della seconda guerra mondiale. Fra i tanti sfollati ve n’è uno che ha perso la memoria e che si distingue per la sua bontà d’animo aiutando gli oppressi e coloro che si trovano in difficoltà. Ma durante una processione egli riacquista la memoria e si ritrova quello che era: un ufficiale nazista responsabile di azioni disumane. Dopo alcuni gesti inconsulti dovuti alla sua disperazione, decide di porre fine ai suoi giorni attraversando un campo minato» (Chiti/Poppi). Due grandi attori a confronto: Vittorio De Sica e Anna Magnani. ore 21.00 Assunta Spina (1948) Regia: Mario Mattòli; soggetto: dalla commedia omonima di Salvatore Di Giacomo; sceneggiatura e dialoghi: Eduardo De Filippo; collaborazione alla sceneggiatura: Gino Caprioli; fotografia: Gabor Pogany; musica: Renzo Rossellini; montaggio: Fernando Tropea; interpreti: Anna Magnani, Eduardo De Filippo, Antonio Centa, Titina De Filippo, Maria Donini, Margherita Pisano; origine: Italia; produzione: Ora Film; durata: 79’ «Dal dramma (1909) di S. Di Giacomo già filmato nel 1915 e nel 1928. Mentre l’amato Michele è in carcere, la fiera Assunta diventa l’amante di un cancelliere. All’uscita Michele, pazzo di gelosia, uccide il rivale. Assunta si lascia condannare al suo posto. È diretto così bene, e ambientato in una Napoli squallida e violenta così credibile, che alcuni critici ci videro lo zampino di Eduardo. Nella parte che sullo schermo fu di Francesca Bertini e Rina De Liguoro, la Magnani è superba» (Morandini). lunedì 27 ore 17.00 Vulcano (1950) Regia: William Dieterle; soggetto: Renzo Avanzo; sceneggiatura: Piero Tellini, Mario Chiari, Victor Stoloff; fotografia: Arturoa Gallea; musica: Enzo Masetti; montaggio: Giancarlo Cappelli; interpreti: Anna Magnani, Rossano Brazzi, Geraldine Brooks, Eduardo Ciannelli, Enzo Stajola, Rosina Fiorini Galli; origine: Italia; produzione: Artisti Associati, Panaria Film; durata: 102’ «Ex prostituta, Maddalena è rimpatriata dalla Questura di Napoli a Vulcano (ME), sua isola natale, e viene accolto dalla sorella. Per lei Maddalena si mette nei guai, la libera da un palombaro losco, perde la vita nell’eruzione del vulcano. È un film voluto da A. Magnani per contrastare Stromboli, terra di Dio che R. Rossellini stava girando con Ingrid Bergman [...]. Girato nell’isola di Salina. Belle riprese subacquee. Scritto da Piero Tellini, Mario Chiari, Victor Stoloff. Dialoghi tradotti in inglese dallo scrittore Erskine Caldwell» (Morandini). ore 19.00 Camicie rosse (Anita Garibaldi) (1952) Regia: Goffredo Alessandrini; soggetto: Enzo Biagi, Renzo Renzi; sceneggiatura: E. Biagi, R. Renzi, Mario Serandrei, Sandro Bolchi, [non accreditati Suso Cecchi D’Amico, Nino Frank, Anna Magnani]; fotografia: Leonida Borboni, Mario Parapetti, Marco Scarpelli; musica: Enzo Masetti; montaggio: M. Serandrei; interpreti: Raf Vallone, Anna Magnani, Serge Reggiani, Carlo Ninchi, Michel Auclair, Jacques Sernas; origine: Italia; produzione: P.G.F.; durata: 100’ «La vita e le imprese di Garibaldi dalla caduta della Repubblica romana, nel 1819, alla fuga verso Venezia, alla morte di Anita. Verso la fine delle riprese Alessandrini abbandonò il set per motivi “sconosciuti”, ma che andavano ricercati in disaccordi con la produzione e con Anna Magnani (che era coproduttrice del film). Proprio grazie alla Magnani, per terminare il film, fu scelto l’esordiente Rosi [...]. Il film fu prodotto dalla P.G.F. (Produzione Grandi Film) di Bologna (Alberto Giovagnoli). Bolognesi erano Biagi e Renzi, il musicista Masetti e gli attori Ninchi e Fantoni. Sottotitolo Anita Garibaldi» (Chiti-Poppi). ore 21.00 La carrozza d’oro (1952) Regia: Jean Renoir; soggetto e sceneggiatura: J. Renoir, Renzo Avanzo, Giulio Macchi, Jack Kirchland; fotografia: Claude Renoir; montaggio: Mario Serandrei; interpreti: Anna Magnani, Odoardo Spadaro, Nadia Fiorelli, Georges Higgins, Duncan Lamont, Paul Campbell; origine: Italia/Francia; produzione: Panaria, Hoche Productions, (Francia); durata: 100’ «La carrozza d’oro è uno dei film chiave di Jean Renoir perché riprende i temi di molti altri, principalmente quello della sincerità in amore e quello della vocazione artistica; è un film costruito secondo il gioco delle scatole cinesi che si incastrano le une nelle altre, un film sui teatro nel teatro. C’è molta ingiustizia nell’accoglienza riservata dal pubblico e dalla critica a La carrozza d’oro, che è forse il capolavoro di Renoir. Si tratta, comunque, del film più nobile e raffinato che sia mai stato girato. Vi si trova tutta la spontaneità e l’inventiva del Renoir d’anteguerra unite al rigore del Renoir americano. Qui tutto è distinzione e gentilezza, grazia e freschezza. È un film tutto di gesti e di comportamenti. Il teatro e la vita si mescolano in un’azione sospesa tra il piano terra e il primo piano di un palazzo come la commedia dell’arte oscilla tra il rispetto della tradizione e l’improvvisazione. Anna Magnani è l’ammirevole vedette di questo film elegante in cui il colore, il ritmo, il montaggio sono all’altezza di un accompagnamento musicale in cui Vivaldi fa la parte del leone. La carrozza d’oro è di una bellezza assoluta, ma la sua bellezza sta tutta nel suo profondo soggetto. Ho descritto l’altro capolavoro di Jean Renoir, La règle du jeu, come una conversazione aperta, un film al quale si è invitati a partecipare; le cose vanno diversamente per La carrozza d’oro che è un lavoro chiuso, finito, che bisogna guardare senza toccare, un film che ha trovato la sua forma definitiva, un oggetto perfetto» (Truffaut). Copia proveniente dal Museo Nazionale del Cinema di Torino martedì 28 ore 17.00 Anna Magnani (ep. di Siamo donne, 1953) Regia: Luchino Visconti; soggetto: Cesare Zavattini, Suso Cecchi D’Amico; fotografia: Gabor Pogany; musica: Alessandro Cicognini; montaggio: Mario Serandrei; interpreti: Anna Magnani; origine: Italia; produzione: Titanus, Film Costellazione; durata: 22’ «Più calore, vivacità e respiro nella “confessione” di Anna Magnani: un ricordo di anni fa, una lite con un autista da piazza finita addirittura in caserma. Luchino Visconti, che ne è stato il regista, l’ha ambientata nella Roma dei tempi in cui Anna Magnani cantava al Quattro Fontane e, sostenuto dalla franca recitazione dell’attrice, ha dato all’episodio tutto il sapore spigliato e umano della rievocazione vissuta, del fatto vero. Introduce il film un prologo che ci espone ansie e timori di due aspiranti attrici, Emma Danieli e Anna Amendola, il giorno in cui vengono prescelte – e davvero a buon diritto – dopo un laborioso concorso: disinvolto e immediato, è diretto da Alfredo Guarini con l’intenzione di offrirci una morale in limine di tutto il film: qui donne che vogliono diventare attrici, là attrici che, o son rimaste donne o, se lo hanno dimenticato, ne soffrono». Versione restaurata dalla Cineteca Nazionale con il contributo di Multithematiques-Cine Classic e con la partecipazione di Unione Latina (Parigi) a seguire Bellissima (1951) Regia: Luchino Visconti; soggetto: Cesare Zavattini; sceneggiatura: Suso Cecchi D’Amico, Francesco Rosi, L. Visconti; fotografia: Piero Portalupi, Paul Roland; musica: Franco Mannino; montaggio: Mario Serandrei; interpreti: Anna Magnani, Walter Chiari, Tina Apicella, Gastone Renzelli, Tecla Scarano, Lola Braccini; origine: Italia; produzione: Film Bellissima; durata: 115’ «Dopo il mirabile incontro con la “diva” Calamai [...] Visconti scopre in Bellissima una Magnani inedita, che oltrepassa, e di non poco, quella rosselliniana di Roma, città aperta. Egli la spoglia dei suoi “vizi”, del suo preoccupante gigionismo, riscontrabile in particolar modo in opere come L’amore dello stesso Rossellini e Vulcano di Dieterle [...]. Bellissima è film su un personaggio proprio perché è storia di una crisi (non delle consuete crisi più o meno da casi clinici); e appunto perché storia di una crisi, e di una crisi risolta, è anche film di ambiente» (Aristarco). ore 20.00 Le Magot de Josefa (La pila della peppa, 1963) Regia: Claude Autant-Lara; soggetto: da un romanzo di Catherine Claude; sceneggiatura: Jean Auranche, Pierre Bost; fotografia: Jacques Natteau; musica: René Cloërc; montaggio: Madeleine Gug; interpreti: Bourvil [André Raimbourg], Anna Magnani, Pierre Brasseur, Ramon Iglesias, Henri Virlojeux, Christian Marin; origine: Francia/Italia; produzione: Productions Raimbourg (Francia), S.O.P.A.C. (Francia), Star Press, Paris (Francia), Arco Film; durata: 91’ In un paese del Sud della Francia l’ostessa Peppa (Anna Magnani) vanta una pila (gruzzolo), ereditata da uno zio gangster d’America, che non esiste. Ha costruito questa menzogna per far invidia al sindaco che in gioventù la mise incinta. La pila della Peppa è una curiosa commedia rurale tratta da un romanzo di Catherine Claude, sceneggiata dalla celebre coppia Aurenche e Bost e diretta con mano sicura dal celebre regista Claude Autant-Lara. ore 21.40 Nella città l’inferno (1958) Regia: Renato Castellani; soggetto: dal romanzo Roma, via delle Mantellate di Isa Mari; sceneggiatura: Suso Cecchi D’Amico, R. Castellani; fotografia: Leonida Borboni; musica: Roman Vlad; montaggio: Jolanda Benvenuti; interpreti: Anna Magnani, Giulietta Masina, Cristina Gajoni, Anita Durante, Milly [Monti], Marcella Rovena; origine: Italia; produzione: Riama Film, Francinex; durata: 106’ «Finalmente un titolo che dice quello che il film vuol dire: sono molti, infatti, gli “inferni” nelle nostre città, ma i peggiori, forse, sono proprio le prigioni, soprattutto certe prigioni dove all’orrore della segregazione e della libertà perduta si aggiunge l’afa in estate, il gelo in inverno, l’esasperazione della promiscuità, dell’inerzia e, per i non cattivi, il rischio di guastarsi a contatto con quanti della bontà hanno perduto anche il ricordo. Guardate, così, l’inferno di questa prigione femminile in cui il film di oggi ci introduce per più di un’ora e mezza [...]; c’è di tutto, in questa bolgia, la delinquente abituale, cinica e violenta, la pazza omicida, la ladra, la truffatrice, l’innocente, o quella che si dice tale, l’ingenua che è rimasta vittima di un raggiro e che mette piede in quell’orrore per la prima volta. Cosa accade, però? Che l’ingenua, sulle prime atterrita da quell’ambiente in cui tutto le sembra ostile ed assurdo, finisce per assuefarsi agli usi, alla mentalità e, soprattutto, ai progetti di quelle che lì si considerano “di casa” e, dimesso il proprio candore, saprà così bene imitare le sue “maestre” che, appena fuori, si comporterà in modo tale da ripresentarsi tra quelle sbarre di lì a non molto [...]. Certo, durante tutto il film, si anela a un attimo di sosta, a un momento di respiro [...] ma Castellani si è assunta l’impresa di descrivere uno spicchio di inferno e bisogna dargli atto di averlo fatto con felice, ispirata esattezza. Lo stesso si dica per l’interpretazione violentemente realistica delle due protagoniste: Anna Magnani, che è persino riuscita a superare se stessa nel disegno aspro, sfrontato, ma tutto tragici risentimenti e intimi strazi della detenuta cinica e autoritaria» (Rondi). mercoledì 29 ore 17.00 Risate di gioia (1960) Regia: Mario Monicelli; soggetto: dai racconti Risate di gioia e Ladri in chiesa di Alberto Moravia; sceneggiatura: Suso Cecchi D’Amico, Age & Scarpelli, M. Monicelli; fotografia: Leonida Barboni; musica: Lelio Luttazzi; montaggio: Adriana Novelli; interpreti: Anna Magnani, Totò, Ben Gazzara, Fred Clark, Edy Wessel, Mac Ronay; produzione: Silvio Clementelli per Titanus; origine: Italia; durata: 106’ «È uno dei film più belli e meno conosciuti del grande padre del cinema italiano, [...] Mario Monicelli. Uscito a Natale ’60, racconta le avventure di una notte particolare, quella dei 31 dicembre con un po’ di dolce vita. Due soliti ignoti, la Magnani e Totò – coppia di rivista, l’unico film girato insieme – che si ritrovano e diventano complici di un malvivente di periferia, Ben Gazzara. Andranno nei guai tutti ma la verve della storia, il tempismo comico, l’allegria di due straordinari temperamenti della commedia rendono il film unico, da riscoprire anche per i riferimenti al cinema d'allora» (Porro). ore 19.00 Mamma Roma (1962) Regia: Pier Paolo Pasolini; soggetto e sceneggiatura: P.P. Pasolini; collaborazione ai dialoghi: Sergio Citti; fotografia: Tonino Delli Colli; montaggio: Nino Baragli; interpreti: Anna Magnani, Franco Citti, Ettore Garofalo, Silvana Corsini, Luisa Loiano, Paolo Volponi; origine: Italia; produzione: Arco Film; durata: 106’ «Quando il suo protettore (Citti) si sposa, la prostituta Mamma Roma (Magnani) decide di rifarsi una vita assieme al figlio Ettore (Garofalo). [...] Il tema dell’incoscienza, o della diversa coscienza, proletaria è il centro del secondo film di Pasolini [...] dove il regista nobilita i suoi personaggi con richiami alla pittura rinascimentale (il Cristo morto del Mantegna), e tocca vertici di pathos senza versare una lacrima: Mamma Roma rappresenta la femminilità dolente ma indistruttibile, mentre Ettore, scettico e prematuramente deluso dalla vita, è fratello ideale di Accattone, senza esserne una scialba replica. Quella della Magnani [...] è una delle sue migliori interpretazioni. Il debuttante Garofalo fu scoperto dal regista mentre faceva il cameriere in una trattoria. Lo scrittore Paolo Volponi è il prete» (Mereghetti). ore 21.00 Roma (1972) Regia: Federico Fellini; soggetto e sceneggiatura: F. Fellini, Bernardino Zapponi; fotografia: Giuseppe Rotunno; musica: Nino Rota; montaggio: Ruggero Mastroianni; interpreti: Peter Gonzales, Fiona Florence [Luisa Alcini], Marne Maitland, Dante Cleri, Mimmo Poli, Anna Magnani; origine: Italia/Francia; produzione: Ultra Film, Les Productions Artistes Associées (Francia); durata: 119’ «Prima d’ogni altra considerazione, credo si debba dire, a proposito di questo film, che se non è il più bello in assoluto (almeno, la cosa è opinabile) è di certo il più “inevitabile” film di Fellini. Un film che, un giorno o l’altro, egli doveva fare fatalmente, credo, così come 8 e mezzo o La dolce vita (vale a dire due film sulla impossibilità di raccontare, per immagini o per iscritto). In effetti Roma è una sorta di compendio dei rapporti di Fellini con l’“esterno”, con il “resto” del mondo. Un mondo che inizia a Rimini, si ferma per poco tempo a Firenze, e si rivela e si conclude a Roma. Tutta la vita e la carriera di Fellini sono legate, in modo schiacciante, alla sua scelta di approdare a Roma poco più che adolescente, e di affrontarvi in modo vago (gli piacevano i giornalisti dei film americani, con il cappello calcato all’indietro e la risposta pronta) ma perentorio la vita da adulto» (Claudio G. Fava). Versione restaurata nel 2005 dalla Cineteca Nazionale con il contributo della Camera di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura di Roma, in collaborazione con la Titanus giovedì 30 ore 17.00 Roma città aperta (replica) ore 19.00 L’onorevole Angelina (replica) ore 21.00 ... correva l’anno di grazia 1870 (1971) Regia: Alfredo Giannetti; soggetto e sceneggiatura: A. Giannetti; collaborazione alla sceneggiatura: Bendicò, Giuseppe Mangione; fotografia: Leonida Borboni; musica: Ennio Morricone; montaggio: Renato Cinquini; interpreti: Anna Magnani, Marcello Mastroianni, Mario Carotenuto, Osvaldo Ruggeri, Duilio Cruciani, Aldo Cecconi; origine: Italia; produzione: Garden Cinematografica, Excelsior 151, Rai Radiotelevisione Italiana; durata: 110’ «È uno dei film televisivi scritti e diretti da Giannetti appositamente per Anna Magnani. Il suo personaggio è ancora una volta quello di una appassionata e coraggiosa popolana, Teresa, il cui marito, Augusto, giace malato nelle prigioni dello Stato pontificio, perché patriota oppositore del potere temporale della Chiesa. Con la breccia di Porta Pia, Roma torna italiana e i prigionieri politici vengono liberati: Augusto è però già in fin di vita e muore tra le braccia di Teresa che gli descrive commossa l’arrivo dei piemontesi in città» (Farinotti). 31 ottobre-16 novembre Il mondo (realmente) rovesciato. Il cinema di Frederick Wiseman Il programma sarà pubblicato nel programma di novembre.