Paola De Pietri | TO FACE

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Paola De Pietri | TO FACE
 Paola De Pietri | TO FACE
Landscape along Austrian and Italian front of the First World War
una mostra fotografica del MAXXI Architettura
a cura di Francesca Fabiani
apertura al pubblico 17 maggio – 30 settembre 2012
MAXXI – Sala Carlo Scarpa | www.fondazionemaxxi.it
Roma 16 maggio 2012. Trincee nel terreno e tunnel scavati nella roccia lentamente ricoperti dalla
vegetazione, crateri di bombe esplose riempite dalle rocce e dalla neve, rovine di rifugi nel silenzio rarefatto
delle montagne: è la lenta riappropriazione da parte della natura dei luoghi che furono teatro di battaglia nel
corso della Prima Guerra Mondiale.
E’ TO FACE. Landscape along austrian and italian front of the First World War di Paola De Pietri, un
racconto fotografico che diventa una mostra, organizzata dal MAXXI Architettura diretto da Margherita
Guccione e curata da Francesca Fabiani, esposta nella Sala Carlo Scarpa del MAXXI dal 17 maggio al 30
settembre 2012.
TO FACE è un percorso, nel tempo, nella memoria e nello spazio, che si snoda lungo il fronte italo-austriaco
del primo conflitto mondiale soffermandosi sulle tracce ormai labili che vi ha lasciato. Paola De Pietri, una
delle fotografe italiane più interessanti della sua generazione, ci parla così di “Storia” attraverso una fotografia
rarefatta e assolutamente antispettacolare.
In mostra le 21 fotografie di grande formato che fanno parte del progetto realizzato tra il 2009 e il 2011,
vincitore del prestigioso premio europeo “Albert Renger-Patzsch” conferito dalla Dietrich Oppenberg Stiftung
per la prima volta ad una fotografa italiana.
“Con questa mostra - dice Margherita Guccione - dedicata ad una delle fotografe più interessanti del
panorama italiano, il MAXXI Architettura intende offrire una nuova occasione per far conoscere al pubblico le
figure di spicco e le tendenze in atto nel mondo della fotografia contemporanea. Negli anni si è rafforzata una
vera e propria linea di ricerca, che sta dando spazio a tutti quegli autori che, attraverso lo sguardo fotografico,
esercitano un pensiero critico autonomo sul paesaggio e sull’architettura contemporanea”.
“Paola De Pietri – sottolinea Francesca Fabiani - è un’artista attenta a tutte quelle manifestazioni che
riguardano l’accadere dell’esistenza. La sua ricerca, lontana da un approccio di tipo reportagistico, segue il
filo delle transizioni lievi, dei passaggi lenti, di quella dimensione esistenziale in cui le cose - anche se
apparentemente immobili – si modificano”.
TO FACE tradotto letteralmente significa affrontare, fronteggiare, tenere testa (anche a un nemico) o
assumersi la responsabilità delle proprie azioni, ma significa anche semplicemente guardare, stare di fronte a
qualcosa o qualcuno. Ed è questo che la fotografa cerca di fare: vedere con i propri occhi ciò che resta di
quella storia che ha determinato l’oggi.
“Come tutti ho conosciuto le vicende della prima guerra mondiale a scuola, e come molti della mia
generazione ne ho sentito parlare in famiglia. – dice Paola De Pietri – “(…) Ho cercato in questi luoghi il filo
sottile della memoria, l’ultimo baluardo di un passato che esce dalla sfera privata, prima dell’oblio. Sulle
montagne, dove il tempo dell'uomo si è fermato e solo il tempo della natura ha agito le sue trasformazioni, i
paesaggi che appaiono 'naturali' sono frutto delle battaglie e della permanenza di migliaia di soldati. In questi
luoghi, ora meta di vacanza, è difficile ritrovare sotto i propri passi l’eco delle battaglie e del dramma: come se
l’ ‘innocenza’ dell’oggi avesse rimosso le violenze della storia”.
Paola De Pietri nasce nel 1960 a Reggio Emilia dove vive e lavora. Ha studiato lettere e filosofia al DAMS di
Bologna. Con TO FACE ha vinto il premio Albert Renger-Patzsch. Alcune sue opere sono presenti nelle Collezioni
di Fotografia/MAXXI Architettura.
E’ in uscita Il libro monografico dedicato al progetto TO FACE di Paola De Pietri pubblicato dall’editore Steidl
Publishers, Gottingen con i testi di Mario Rigoni Stern, Roberta Valtorta, Paola De Pietri.
MAXXI Museo nazionale delle arti del XXI secolo
via Guido Reni, 4/A, 00196 ROMA | info e prenotazioni tel. +39 06 32810 - www.fondazionemaxxi.it
ORARI: martedì-mercoledì-giovedì-venerdì-domenica 11:00/19:00 - sabato 11:00/22:00 - chiuso lunedì
la biglietteria chiude un’ora prima del museo
BIGLIETTI: intero €11 | ridotto €8
Ufficio stampa MAXXI +39 06 322.51.78, [email protected] ; www.fondazionemaxxi.it
MAXXI – MUSEO NAZIONALE DELLE ARTI DEL XXI SECOLO
Paola De Pietri | TO FACE
Landscape along Austrian and Italian front of the First World War
17 maggio – 30 settembre 2012
Paola De Pietri
Quasi un secolo fa ebbe inizio la prima guerra mondiale e fu soprattutto una guerra di posizione e di
trincea.
Tra i numerosi fronti quello aperto tra Austria e Italia si sviluppava per la maggior parte lungo l’arco
alpino e pre-alpino, e ad est nella zona del Carso.
Per la prima volta nella storia gli scontri avvennero a quote ritenute impossibili, e alla ferocia dei
combattimenti si aggiunsero condizioni ambientali e metereologiche difficilissime. Luoghi incontaminati
accolsero migliaia di soldati, e della loro permanenza e delle battaglie ancora troviamo traccia.
Come tutti ho conosciuto e appreso le vicende della prima guerra mondiale a scuola, e come molti della
mia generazione ne ho sentito parlare in famiglia. Gli eventi sono lontani, ma alcune gesta si
tramandano nel racconto che attraversa le generazioni; mio padre nato nel 1915 e mia madre nel 1923
riportavano le storie sentite dai loro genitori. Erano racconti di cronaca, vicende di persone conosciute,
di parenti, amici, vicini di casa. Il fatto storico lontano persiste ancora come storia personale, anche se
ormai è giunto quasi al limite del ricordo.
Ho cercato nei luoghi testimoni di quella storia il filo sottile della memoria, l’ultimo baluardo di un passato
che esce dalla sfera privata, prima dell’oblio. Sulle montagne, dove il tempo dell'uomo si è fermato e
solo il tempo della natura ha agito le sue trasformazioni, i paesaggi che appaiono 'naturali' sono invece il
frutto delle battaglie e della permanenza per anni di centinaia di migliaia di soldati.
Le fotografie, realizzate lungo il fronte tra Italia e Austria - sulle Alpi e Prealpi e nella zona del Carso seguono il filo della disintegrazione dei segni inferti dagli eventi bellici alla montagna e il loro
riassorbimento nell’ambiente naturale. Sono trincee, caverne, vette sconvolte dallo scoppio di mine,
crateri provocati dall’esplosione di migliaia e migliaia di bombe, rovine di baracche, depositi costruiti con
i materiali del sito.
In questi luoghi, oasi di pace e meditazione e ora spesso meta di vacanza e di escursioni, le
trasformazioni del paesaggio sono ancora evidenti. Difficile ripensare e ritrovare sotto i propri passi l’eco
delle battaglie e del dramma avvenuto a quasi cento anni di distanza, come se l’‘innocenza’ dell’oggi
avesse rimosso le violenze della storia.
Paola De Pietri nasce nel 1960 a Reggio Emilia dove vive e lavora.
Ha studiato lettere e filosofia al DAMS di Bologna. Le sue immagini indagano la condizione dell'individuo
nella sua relazione con l'ambiente e comportano un'implicazione concettuale tesa alla presa di
coscienza delle dinamiche spazio-temporali del vissuto Il suo lavoro nasce dunque da un'attenta
osservazione del territorio, urbano o naturale in cui si attuano queste dinamiche. Nello spazio cittadino
l'artista è passata dall'analisi dell'esperienza personale e del quotidiano, al racconto di storie di passanti,
sospese in una dimensione temporale indefinita. Il mistero della natura è invece descritto con estrema
delicatezza, nel continuo mutare dei suoi agenti - il vento, le maree, le migrazioni degli uccelli - in un
lavoro volto a rendere palese la percezione dell'instabilità, dell'effimero. «L'idea di transitorietà e di
piccoli ma fondamentali variazioni temporali è in molti miei lavori e accompagna il passaggio da uno
stato all'altro, sia nel paesaggio che nella condizione dell'uomo».
La stessa azione formatrice del tempo sulla natura attraverso la quale il luoghi sono percepiti come
perennemente in transizione é il motivo dominante della serie TO FACE con il quale ha vinto il premio
Albert Renger-Patzsch.
Sue opere sono presenti nelle collezioni di Fotografia/MAXXI Architettura.
Paola De Pietri | TO FACE
Landscape along Austrian and Italian front of the First World War
17 maggio – 30 settembre 2012
Margherita Guccione, Direttore MAXXI Architettura
Con questa mostra, dedicata ad una delle fotografe più interessanti del panorama italiano, il MAXXI
Architettura intende offrire una nuova occasione per far conoscere al pubblico le figure di spicco e le
tendenze in atto nel mondo della fotografia contemporanea. Fin dall’inizio della sua attività il museo ha
riservato grande attenzione alla fotografia di architettura e di paesaggio, dedicando ad essa uno spazio la Sala Carlo Scarpa con l’attiguo Centro Fotografia - e la costituzione di una collezione specifica. Negli
anni si è rafforzata una vera e propria linea di ricerca che sta dando spazio a tutti quegli autori che,
attraverso lo sguardo fotografico, esercitano un pensiero critico autonomo sul paesaggio e
sull’architettura contemporanea. Il lavoro TO FACE - per la prima volta esposto in Italia - ne è un
esempio rilevante: indaga poeticamente sulle trasformazioni del paesaggio e sulla permanenza dei segni
del passato. Ha vinto il prestigioso Premio Albert Renger-Patzsch conferito dalla Dietrich Oppenberg
Stiftung per la pubblicazione del libro fotografico con l’editore Steidl.
Paola De Pietri | TO FACE
Landscape along Austrian and Italian front of the First World War
17 maggio – 30 settembre 2012
Francesca Fabiani, curatore della mostra
Paola De Pietri (Reggio Emilia 1960) è un’artista attenta a tutte quelle manifestazioni che riguardano
l’accadere dell’esistenza. La sua ricerca, lontana da un approccio di tipo reportagistico, segue il filo delle
transizioni lievi, dei passaggi lenti, di quella dimensione esistenziale in cui le cose - anche se
apparentemente immobili - si modificano. «L’idea di transitorietà e di piccoli ma fondamentali variazioni
temporali è in molti miei lavori e accompagna il passaggio da uno stato all’altro, sia nel paesaggio che
nella condizione dell’uomo». Analizzando i contesti in cui si attuano queste dinamiche, il suo sguardo si
posa indifferentemente sulle cose, sulle persone, sulla natura o sugli spazi urbani, in quanto tutti
elementi di quel grande ingranaggio che è la vita. Nel caso di questo ultimo lavoro entrano in gioco due
elementi a dir poco paradigmatici: Storia e Natura; entrambi soggetti “agenti” nella modificazione del
paesaggio.
To Face racconta, con i toni lirici ma rigorosi propri di questa fotografa, la lenta riappropriazione da parte
della natura dei luoghi che furono teatro di battaglia nel corso della Prima Guerra Mondiale. Un percorso
- nel tempo e nella memoria oltre che fisico - che si snoda lungo il fronte italo-austriaco soffermandosi
sulle tracce ormai labili che il conflitto vi ha lasciato: trincee nel terreno, tunnel scavati nella roccia,
crateri di bombe esplose, rovine di rifugi. Elementi della storia che la natura ha riassorbito nel suo lento
e perpetuo esistere. “To face” significa affrontare, confrontarsi, fronteggiare un nemico o un pericolo,
assumersi la responsabilità delle proprie azioni; ma significa anche semplicemente guardare, stare di
fronte a qualcosa o qualcuno.
Come spiega la stessa De Pietri, si tratta allora di voler vedere con i propri occhi ciò che resta della
“Storia”, di quella storia che ha determinato l’oggi: «Come tutti ho conosciuto le vicende della prima
guerra mondiale a scuola, e come molti della mia generazione ne ho sentito parlare in famiglia. Gli
eventi sono lontani, ma si tramandano nel racconto che attraversa le generazioni; mio padre e mia
madre riportavano le storie sentite dai loro genitori: vicende di parenti, amici, vicini di casa. Il fatto storico
persiste ancora come storia personale, anche se ormai giunto al limite del ricordo. Ho cercato in questi
luoghi il filo sottile della memoria, l’ultimo baluardo di un passato che esce dalla sfera privata, prima
dell’oblio. Sulle montagne, dove il tempo dell’uomo si è fermato e solo il tempo della natura ha agito le
sue trasformazioni, i paesaggi che appaiono ‘naturali’ sono frutto delle battaglie e della permanenza di
migliaia di soldati. In questi luoghi, ora meta di vacanza, è difficile ritrovare sotto i propri passi l’eco delle
battaglie e del dramma: come se l’‘innocenza’ dell’oggi avesse rimosso le violenze della storia».
Difficile in effetti immaginare qualcosa di più lontano dal fragore della battaglia della calma silenziosa e
rarefatta di questi paesaggi di montagna. Attraverso una fotografia volutamente antispettacolare Paola
De Pietri ci parla di storia costruendo un discorso attraverso la grammatica semplice della natura.
Compresi nello spazio profondo tra un primo piano che riesce a rendere la sostanza del sasso e del filo
d’erba, e un orizzonte lontano che lascia tempo allo sguardo, veniamo assorbiti in una dimensione che
non è più solo quella del guardare ma quella del sentire, dell’esserci, del capire anche solo per un
momento, come deve esser stata davvero, la Storia.
Paola De Pietri | TO FACE
Landscape along Austrian and Italian front of the First World War
17 maggio – 30 settembre 2012
Roberta Valtorta, Direttore MUFO di Cinisello Balsamo
Pensiero che si fa immagine
Un fascino silenzioso, una quotidianità della natura che nulla ha a che vedere con la rappresentazione
della montagna più acquisita e consolidata, quella, pur molto importante nell’immaginario dei turisti, di
tutti noi quando siamo turisti, fondata sulla magnificenza e sulla meraviglia. Questi, certo, sono paesaggi
di montagna, ma Paola De Pietri evita sapientemente il rischio e l’inganno della bellezza del paesaggio,
dei colori saturi e brillanti, delle luci attraenti nella loro straordinarietà, scegliendo invece un tipo di
fotografia sottilmente e dolcemente documentaria, antispettacolare.
Come sempre nel lavoro di questa artista rigorosa, anche in To Face, recente ricerca sui territori montani
che furono teatro della prima guerra mondiale, qualcosa si cela sotto l’apparente semplicità e, anzi,
affiora proprio dai toni volutamente smorzati della bellezza. Come quasi la totalità del paesaggio
contemporaneo, questo paesaggio non è infatti completamente naturale: è invece modificato dall’uomo,
plasmato dall’azione della storia. La prima guerra mondiale, la “grande guerra” che ha partorito il
Novecento, lo ha segnato.
Da un lato gli uomini hanno manipolato la montagna al fine di trasformarla in luogo attrezzato di
manufatti funzionali alle azioni belliche, come strade, trincee o depositi di armi e munizioni. Dall’altro lato,
la guerra stessa ha inferto al paesaggio colpi che ne hanno cambiato la morfologia, distruggendo e
ricomponendo la materia della montagna e creando voragini nella continuità del paesaggio. Ma se l’homo
faber costruisce e distrugge, nel lungo tempo della vita del mondo il lavoro della natura continuamente
riassorbe ciò che l’uomo continuamente modifica.
Scegliendo un luogo nel quale alberi, erba, terra, sassi vanno coprendo i segni della guerra, Paola De
Pietri, proprio come su un terreno di montagna, si muove sul sottile crinale che separa il ricordo dal buio
dell’oblio. Ci siamo abituati a pensare che la fotografia funga da sostegno alla memoria poiché registra e
fissa dei dati e dunque li conserva. Questo pensiero è diventato una sorta di certezza, ci tiene
compagnia. In To Face, invece, la nostra memoria viene chiamata in causa non solo a partire da ciò che
nell’immagine è chiaro e visibile, ma anche da ciò che percepiamo solo in forma di tracce, rovine, sparsi
elementi, e infine anche a partire da ciò che non è visibile, e dunque non può essere registrato. Solo esili
indizi possono ricondurci alla complessità degli eventi prodotti dalla storia e ora celati “sotto” il paesaggio
naturale. Anche se in queste immagini è possibile riconoscere ciò che resta di una trincea, questa è
soprattutto una fotografia di ciò che non c’è più, è la registrazione di lontani segni, simili a quelli
dell’archeologia più antica, che ci parla attraverso frammenti di realtà perdute, rovine.
Paola De Pietri lavora non solo su quella che proustianamente si definisce “memoria volontaria”, cioè la
memoria che si attiva grazie al riaffioramento di dati precisi e ordinabili (e dunque anche di dati di tipo
fotografico), ma anche sulla “memoria involontaria”, che si nutre di piccole sensazioni e di sottilissimi
richiami. L’artista non si lascia tuttavia trasportare da misteriosi incontri tra il suo sguardo e la scena che
le sta davanti. Al contrario, formula a priori un pensiero che la possa guidare nella sua indagine. La sua
fotografia è progetto, è un pensiero che, a partire dal ricordo dei racconti di quella guerra ormai così
lontana ascoltati sui banchi di scuola oppure in famiglia, torna indietro nella storia. Seguire questo
pensiero ha significato per Paola De Pietri andare a cercare e a verificare la materialità dei luoghi di
quella antica guerra di montagna.
Dove un secolo fa c’era la guerra, ora c’è la natura, e i segni che quella ha lasciato sono confusi nella
pietra della montagna o nell’erba che tutto ricopre.
Se per trasformare il pensiero in immagini Paola De Pietri compie un sottile lavoro di concettualizzazione,
questo non esclude che vi sia racconto; ma, nuovamente, si tratta di un racconto sui generis nel quale
dominano il vuoto e il silenzio: un racconto quasi privo del suo oggetto.
Abbiamo tanto riflettuto, da un po’ di anni a questa parte, sulla fine della grandi narrazioni e
sull’appiattimento della profondità della storia sulla dimensione unica del presente, sulla frammentazione,
la provvisorietà e la discontinuità dei linguaggi, la veloce trasformazione dei saperi, l’impossibilità di
capire i caratteri salienti del tempo in cui viviamo e di pensare il passato. Ci siamo chiesti se fosse
ancora possibile, per l’uomo contemporaneo, pensare se stesso dentro il grande procedere della storia,
di questa cercando le possibili tracce e i significati nel presente. Paola De Pietri ha affrontato questo
problema in modo schietto e radicale, frontale si potrebbe dire. Ha scelto di salire con il proprio corpo e i
propri passi ripetutamente e programmaticamente a quelle altezze della montagna alle quali gli uomini
costruivano, si nascondevano come i loro preistorici antenati, combattevano, uccidevano e morivano. Per
accostarsi a una grande narrazione ha impegnato il suo corpo per alcuni anni esplorando a fondo la
montagna. La storia, per farsi ancora percepire tra gli affanni della nostra postmodernità, esige tempo e
fatica.