Trattamento fiscale e trasferimenti monetari a favore delle famiglie in
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Trattamento fiscale e trasferimenti monetari a favore delle famiglie in
CAPP, Centro di Analisi delle Politiche Pubbliche www.capp.unimo.it Trattamento fiscale e trasferimenti monetari a favore delle famiglie: analisi del quinquennio 1998-2002 e possibili sviluppi alla luce del DPEF per il 2003-2006 Stefano Toso 30 Settembre 2002 Trattamento fiscale e trasferimenti monetari a favore delle famiglie: analisi del quinquennio 1998-2002 e possibili sviluppi alla luce del DPEF per il 2003-2006# Stefano Toso* 30 Settembre 2002 1. Premessa e sintesi del lavoro E’ opinione diffusa che le politiche a sostegno delle responsabilità familiari in Italia siano insufficienti. Il giudizio negativo, confortato da numerosi confronti internazionali, riguarda sia il lato del prelievo fiscale sia quello dei trasferimenti. Con riferimento al lato dei trasferimenti, l’anomalia italiana emerge non appena si considerano il livello e la composizione delle risorse impegnate in relazione al totale della spesa per la protezione sociale. Ad un’incidenza sul Pil della spesa complessiva inferiore alla media europea si accompagna un peso elevato delle prestazioni pensionistiche per vecchiaia e reversibilità. Dati di fonte Eurostat, relativi al 1998, mostrano come l’incidenza della spesa totale per la protezione sociale in Italia sia inferiore, di circa due punti e mezzo, alla media europea: il 25,2% contro il 27,7% del Pil (cfr. Tab. 1). Rispetto al dato complessivo, assume rilievo la ripartizione della spesa, essendo questa assorbita in modo preponderante dalla componente previdenziale, destinata alle generazioni più anziane. Anche depurando i dati nazionali da specifici fattori demografici od economici, legati alla struttura per età della popolazione o al livello del reddito nazionale, le prestazioni per trattamenti di vecchiaia, anzianità e reversibilità in Italia rappresentano il 64% della spesa totale, a fronte di una media europea del 45,7%. Lo sbilanciamento generazionale, a sfavore delle coorti più giovani, è anche attestato dalle limitate risorse rivolte al sostegno dei carichi familiari in senso stretto (il 4% contro l’8% europeo) e a quelle poco più che trascurabili riservate al sostegno della disoccupazione e alla lotta alla povertà (3%), se paragonate di nuovo alla media dei 15 paesi (11%). Le peculiarità della spesa sociale italiana, condivise dagli altri sistemi di welfare dell’Europa meridionale, trovano riscontro a livello di impatto distributivo. Il 73% dei cittadini residenti nell’Unione europea percepisce almeno un trasferimento in moneta, una percentuale che scende a livelli compresi tra il 51 e il 58% in Grecia, Spagna e Italia (i valori più bassi in assoluto). Il rapporto si inverte, tuttavia, non appena si considerano i percettori di soli trattamenti pensionistici a fini di vecchiaia: rispetto a una percentuale media europea del 30%, le quote di beneficiari sul totale della popolazione nei paesi dell’area mediterranea oscillano tra il 34% della Spagna e il 40% dell’Italia (la Grecia si colloca in una posizione intermedia, al 39%). Se si escludono dal computo dei benefici le pensioni di vecchiaia e reversibilità e si considerano le restanti prestazioni in moneta, a qualunque titolo erogato, l’Italia, la Grecia e il Portogallo sono i paesi europei la cui spesa sociale ha la minore efficacia # Studio svolto su incarico della Provincia Autonoma di Bolzano - Alto Adige. Dipartimento di Scienze Economiche, Università di Bologna e CAPP (www.capp.unimo.it). Email: [email protected], tel.: 051 2092645. Questo lavoro attinge in larga parte da ricerche svolte in collaborazione con M. Baldini, P. Bosi, A. Francalanci, M. Matteuzzi e C. Mazzaferro, che ringrazio. * 1 nell’azione di contrasto della povertà. Basti ricordare, con riferimento all’Italia, che l’indice di diffusione (percentuale di individui poveri sul totale della popolazione) si riduce grazie ai trasferimenti non pensionistici di soli tre punti percentuali assoluti (dal 22 al 19%), contro una riduzione media, a livello di Unione europea (EU-15), di circa 9 punti (dal 26 al 17%) (cfr. Tab. 2) . Il fatto di presentare un tasso di povertà dopo i trasferimenti solo di poco superiore al dato medio europeo (19% contro 17%) è quindi più dovuto alla minore diffusione della povertà prima dei trasferimenti (22% contro una media europea del 26%) che non all’azione perequativa di questi ultimi. A conferma dell’insoddisfacente performance redistributiva dei trasferimenti non pensionistici in senso stretto, va ricordato che, ancora di recente e per frazioni non trascurabili della popolazione, la spesa italiana si ripartiva in modo crescente all’aumentare del reddito familiare, in evidente contrasto con i più elementari principi di equità verticale (Eurostat 1999)1. Tab.1. Spesa totale per prestazioni sociali (% sul Pil) e sua composizione percentuale per funzioni nei paesi dell’Unione Europea nel 1998 Austria Belgio Danimarca Finlandia Francia Germania Grecia Irlanda Italia Lussemburgo Olanda Portogallo Regno Unito Spagna Svezia Ue (15) Spesa totale/Pil Vecchiaia e superstiti 28,4 27,5 30,0 27,2 30,5 29,3 24,5 16,1 25,2 24,1 28,5 23,4 26,8 21,6 33,3 27,7 48 43 38 34 44 42 53 25 64 44 41 43 44 46 39 46 Invalidità, Famiglia malattia e e figli cure sanitarie 35 10 33 9 31 13 37 13 34 10 36 10 30 8 41 13 30 4 37 14 40 5 46 5 37 9 37 2 35 11 35 8 Disoccupazione 5 13 12 12 8 9 5 15 3 4 7 5 4 13 9 7 Abitazione e esclusione sociale 1 3 6 4 5 3 4 5 0 1 7 2 7 1 5 4 Fonte: European Commission (2001), p. 122. Tab.2. Percentuale della popolazione nei paesi dell’Unione europea con reddito inferiore al 60% del reddito mediano, prima e dopo i trasferimenti pubblici*, 1996 EU-15 AU BE DA FI FR GE GR IR IT LU OL PO RU SP SV Prima dei trasferimenti 26 24 28 30 .. 27 23 23 33 22 24 24 27 32 26 .. Dopo i trasferimenti 17 13 17 11 .. 16 16 21 18 19 12 12 22 19 18 14 (*): escluse le pensioni di vecchiaia e reversibilità. Fonte: European Commission (2001), p. 97. 1 Per ulteriori analisi dell’impatto distributivo della spesa sociale in Italia cfr., da ultimo, Baldini et al. (2002) e O’Donoghue et al. (2002). 2 Nonostante il quadro poco incoraggiante offerto dai dati, è opportuno procedere con cautela. In primo luogo le politiche a sostegno delle responsabilità familiari sono così di frequente associate ad interventi di sostegno dei redditi bassi che risulta difficile separare, in concreto, i molteplici obiettivi (equità orizzontale, equità verticale, incentivo demografico) svolte dagli istituti che comportano un’erogazione monetaria a favore delle famiglie (Franco, Sartor 1994). In secondo luogo le politiche familiari sono spesso attuate con strumenti diversi dai sussidi, ovvero con prestazioni in natura, come ad esempio i servizi per asilo nido, l’assistenza agli anziani non autosufficienti, e così via. In terzo luogo, nel fare il punto sulle politiche familiari in Italia, non può essere taciuto lo sforzo finanziario messo in atto negli ultimi anni, sforzo finanziario a cui hanno fatto da bussola le proposte della Commissione per l’analisi delle compatibilità macroeconomiche della spesa sociale (1997), meglio nota come Commissione Onofri. Le proposte della Commissione Onofri, elaborate nei primi mesi del 1997 e ispirate ad un principio di universalismo selettivo (universalismo quanto a titolarità dei diritti, selettività in base alla condizione economica nell’offerta delle prestazioni), prevedevano l’avvio di un schema di Minimo vitale familiare unitamente alla rimodulazione delle detrazioni IRPEF per figli a carico, la conseguente razionalizzazione degli istituti monetari esistenti, il potenziamento delle prestazioni in natura, l’istituzione di nuovi criteri di verifica della condizione economica con cui selezionare gli aventi diritto alla spesa sociale e/o stabilirne il grado di compartecipazione finanziaria, e l’introduzione di una legislazione a carattere nazionale sull’assistenza. Lo schema di Minimo vitale familiare, nelle intenzioni della Commissione, avrebbe dovuto riassumere in un unico istituto le funzioni di sostegno delle responsabilità familiari e di contrasto della povertà, consentendo quindi il graduale ma definitivo superamento dei vari istituti categoriali esistenti, tra cui l’assegno al nucleo familiare, la pensione e l’assegno sociale, le integrazioni al minimo. La proposta di rimodulazione delle detrazioni IRPEF per carichi di famiglia, secondo uno schema di imposta negativa per i contribuenti cosiddetti incapienti, teneva invece conto dell’opportunità di coordinare tale istituto con quello del Minimo vitale. L’affiorare di orientamenti parzialmente divergenti, sia rispetto alle sollecitazioni della Commissione Onofri sia rispetto ai condizionamenti posti dal risanamento finanziario in corso, non hanno impedito in anni recenti l’approvazione di una serie nutrita di misure tra cui: i) l’istituzione del Fondo per le politiche sociali (l. n. 449/1997), ii) l’introduzione, in via sperimentale, del reddito minimo d’inserimento (RMI), un sussidio monetario non categoriale di contrasto della povertà (d.lgs. n. 237/1998), iii) aumenti degli assegni al nucleo familiare e delle pensioni sociali, iv) il Patto sociale per lo sviluppo e l’occupazione del 22.12.1998, contenente indicazioni sulla programmata riforma dell’assegno al nucleo familiare e dell’indennità di maternità per le donne lavoratrici, v) l’introduzione di un assegno per i nuclei familiari con almeno tre minori (A3F), subordinato alla prova dei mezzi ma non limitato ai lavoratori dipendenti, e di un assegno di maternità (AM) per madri non coperte da altra tutela assicurativa, anch’esso erogato su base selettiva (decreto del Ministero della solidarietà sociale n. 306/1999), vi) disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, ad ampliamento del diritto alla cura familiare e ai congedi parentali (l. n. 53/2000), vii) la “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali” meglio nota come legge nazionale dell’assistenza (l.n. 328/2000). Il mix di interventi è stato inoltre arricchito dalla definizione di nuovi criteri di verifica dei mezzi economici dei soggetti che richiedono prestazioni sociali agevolate (d.lgs. n. 109/1998 e d.lgs. n. 130/2000). I nuovi criteri hanno condotto alla sperimentazione, tuttora in corso, dell’Indicatore della situazione economica (ISE). 3 A fronte dei provvedimenti presi, ispirati in alcuni casi più da una logica incrementale che da un nitido disegno di riforma, il dibattito in sede politica ha fatto emergere una chiara posizione a favore della permanenza dell’istituto tradizionalmente rivolto alla tutela della famiglia, l’Assegno al nucleo familiare, istituto di cui restano tuttavia irrisolti sia il problema dell’efficace disegno della platea dei beneficiari e della struttura dei benefici, sia quello del suo coordinamento con gli altri strumenti di sostegno della famiglia e di contrasto della povertà (A3F, AM, RMI), di più recente introduzione. Per quanto riguarda i limiti dell’attuale Assegno al nucleo familiare, l’anomalia principale consiste nell’essere riservato ai soli lavoratori dipendenti, ai pensionati e ai disoccupati indennizzati (e dal 2001 anche agli iscritti alla gestione separata dell’Inps, i cosiddetti lavoratori atipici). Dall’Assegno al nucleo rimangono tuttavia esclusi i lavoratori autonomi. Fermo restando il carattere categoriale dell’istituto, i motivi che si sono finora opposti ad una riforma dell’Assegno in senso universalistico hanno a che fare principalmente con due aspetti: i) il suo finanziamento contributivo e le difficoltà a prevederne un’estensione a tutti i lavoratori autonomi, ii) il carattere selettivo delle prestazioni erogate, che, in assenza della messa a regime dell’ISE e della sua estensione a tutte le prestazioni assistenziali monetarie erogate dall’amministrazione centrale, comporterebbe un’indebita redistribuzione tra lavoratori dipendenti e lavoratori autonomi, a vantaggio di questi ultimi. La logica incrementale che ha guidato il legislatore è stata particolarmente visibile in materia di trattamento fiscale della famiglia, con il potenziamento delle detrazioni IRPEF per figli a carico decretato nelle manovre finanziarie dell’ultimo quinquennio e con la conseguente accentuazione degli elementi di universalismo già presenti nel sistema di tassazione personale vigente. Il potenziamento delle detrazioni ha tuttavia operato in modo non coerente con criteri di equità orizzontale definiti su base familiare, essendo le detrazioni di carattere strettamente individuale, e ha finito per penalizzare quei percettori di redditi – i percettori che occupano le fasce di reddito più basse - che hanno un debito d’imposta incapiente rispetto all’entità della detrazione. Alla luce del processo di riforma inaugurato con i provvedimenti citati, si può dire in prima approssimazione che gli istituti maggiormente rilevanti ai fini del sostegno delle responsabilità familiari sono i seguenti: sul versante della spesa, l’assegno al nucleo familiare, l’assegno alle famiglie con almeno tre minori e l’assegno di maternità; sul versante delle agevolazioni fiscali, le detrazioni per carichi di famiglia nell’ambito dell’IRPEF. Il primo paragrafo del lavoro fornisce a questo riguardo una ricostruzione delle principali caratteristiche normative dei predetti istituti. Questo paragrafo si sofferma anche su altri provvedimenti di riforma (ISE, RMI, contributi integrativi per il pagamento dei canoni di locazione e fornitura gratuita dei libri di testo scolastici) per le implicazioni da questi esercitati, in misura più o meno accentuata, sulle politiche familiari. Vengono invece escluse dall’analisi le prestazioni in natura, erogate tradizionalmente dalle amministrazioni locali. La scelta di circoscrivere la ricerca alle prestazioni in moneta e di non considerare quelle in natura (servizi di cura a favore di minori, anziani, disabili, ecc.) è solo in parte arbitraria, se si considera la netta superiorità delle prime sulle seconde in termini di risorse erogate (circa il 90% della spesa per assistenza in Italia è costituita da prestazioni in moneta) e la limitata disponibilità di evidenza empirica per quanto concerne gli effetti delle prestazioni in natura sul reddito delle famiglie. Alla stima delle risorse impiegate a sostegno del reddito delle famiglie, alle performance dei programmi di spesa vigenti e ai problemi lasciati aperti dal pur elevato attivismo del legislatore nel periodo 1998-2001 è dedicato il secondo paragrafo. 4 Il terzo paragrafo ha per oggetto gli orientamenti contenuti nel Documento Economico di Programmazione economico-finanziario 2003-2006 in materia di politiche sociali e fiscali e i provvedimenti che l’attuale governo intende prendere con la manovra finanziaria per il 2003. Particolare attenzione è dedicata all’ipotesi di ridisegno dell’IRPEF, previsto dal disegno di legge delega di riforma fiscale in discussione in Parlamento, e alla prima tranche di riforma, così come prefigurata nel Patto per l’Italia del Luglio 2002 e recepita dalla Finanziaria 2003. Sulla base delle informazioni disponibili, le modifiche dell’IRPEF previste dalla manovra per il 2003 privilegeranno i redditi medio-bassi. Tali modifiche dovrebbero tuttavia esaurire gran parte degli sgravi che il disegno di legge delega di riforma fiscale concede a tali fasce di reddito. 2. Il quadro normativo In questo paragrafo si fornisce una sintetica illustrazione delle caratteristiche dei principali programmi di spesa destinati alle politiche familiari, limitando l’attenzione a quelli più significativi: l’assegno al nucleo familiare, l’assegno alle famiglie con almeno tre minori e l’assegno di maternità, i contributi integrativi per il pagamento dei canoni di locazione, la fornitura gratuita (totale o parziale) dei libri di testo scolastici, il reddito minimo d’inserimento e le detrazioni fiscali per carichi di famiglia. L’illustrazione di alcuni dei predetti programmi presuppone l’esposizione delle modalità di verifica della condizione economica a cui è subordinata la loro erogazione. Essendo tali modalità riconducibili alla normativa sull’ISE, il paragrafo prenderà in esame anche tale istituto. 2.1. L’assegno al nucleo familiare Assieme alle detrazioni IRPEF per carichi di famiglia, l’assegno al nucleo familiare (ANF) rappresenta la principale forma di intervento a sostegno delle responsabilità familiari in Italia. L’ANF, la cui attuale disciplina fa essenzialmente riferimento alla normativa introdotta con il d.lgs. n. 153/1988, spetta alle seguenti categorie di potenziali beneficiari: lavoratori dipendenti attivi (sia privati sia pubblici), disoccupati indennizzati, lavoratori cassaintegrati o in mobilità, lavoratori assenti per malattia o maternità, lavoratori richiamati in armi, lavoratori in aspettativa per cariche pubbliche, lavoratori dell’industria o marittimi in congedo matrimoniale, assistiti per tubercolosi, pensionati o ex-lavoratori dipendenti. A partire dal 2001, l’assegno è esteso agli iscritti alla gestione separata dell’Inps (i lavoratori cosiddetti parasubordinati). I redditi da considerare, per stabilire il diritto al sussidio, sono quelli assoggettabili ad IRPEF, gli altri redditi di qualsiasi natura e, se superiori a 1.032,91 euro (2 milioni di lire) annui, quelli esenti o assoggettati a ritenuta alla fonte o a imposta sostitutiva. Sono esclusi dal computo i trattamenti di fine rapporto, le rendite vitalizie erogate dall’INAIL, le pensioni di guerra, le indennità di accompagnamento, i trattamenti di integrazione salariale, le quote di indennità di trasferta non eccedenti il limite di assoggettabilità all’IRPEF. Il diritto a percepire l’assegno sussiste solo se nel nucleo familiare la somma dei redditi da lavoro dipendente e da pensione o da altra prestazione previdenziale è pari almeno al 70% del reddito familiare complessivo. L’ANF è attualmente finanziato con contributi sociali a carico dei datori di lavoro, con un’aliquota contributiva del 2,48%. L’ANF spetta ai seguenti componenti, anche se non conviventi con il richiedente e non a carico: il richiedente stesso, il coniuge non legalmente ed effettivamente separato, i figli con 5 meno di 18 anni, i figli maggiorenni inabili, che si trovano, per difetto fisico o mentale, nell’assoluta e permanente impossibilità di dedicarsi ad un proficuo lavoro. L’erogazione dell’assegno è fatta con riferimento a numerose tipologie familiari (famiglie con almeno due componenti senza figli e senza componenti inabili, famiglie con almeno due componenti senza figli e con componenti inabili, famiglie con entrambi i genitori e almeno un figlio minore in cui non siano presenti componenti inabili, famiglie con un solo genitore e almeno un figlio minore in cui non siano presenti componenti inabili, famiglie con entrambi i genitori e almeno un figlio minore in cui sia presente almeno un componente inabile, famiglie con un solo genitore e almeno un figlio minore in cui sia presente almeno un componente inabile, ecc.). Per ciascuna di queste tipologie è prevista una prestazione di importo che è variabile in modo crescente all’aumentare del numero dei componenti e in modo decrescente all’aumentare del reddito familiare, per raggiungere un valore pari a zero in corrispondenza ad un dato valore di reddito (soglia di esclusione). Tanto l’importo dell’assegno quanto la soglia di esclusione sono funzione, oltre che della numerosità del nucleo familiare e del suo reddito, anche di ulteriori caratteristiche del nucleo come ad esempio la presenza di fratelli, sorelle o inabili2. A titolo esemplificativo si riporta la tabella relativa ai nuclei con entrambi i genitori e almeno un figlio minore in cui non siano presenti componenti inabili (cfr. Tab. 3). Tab. 3. Importo complessivo mensile dell’Assegno al nucleo familiare per livello di reddito e numero di componenti il nucleo Nuclei familiari con entrambi i genitori e almeno un figlio minore in cui non siano presenti componenti inabili. Assegni mensili validi dal 1/7/2002 al 30/6/2003 (in euro) Reddito familiare annuo Da a 0 11.422,99 11.422,99 14.134,93 14.134,93 16.846,34 16.846,34 19.556,70 19.556,70 22.269,17 22.269,17 24.980,57 24.980,57 27.693,04 27.693,04 30.403,40 30.403,40 33.114,81 33.114,81 35.825,69 35.825,69 38.538,70 38.538,70 41.250,10 41.250,10 43.962,05 43.962,05 46.673,45 46.673,45 49.385,93 49.385,93 52.098,40 Importo dell’assegno per numero dei componenti il nucleo familiare 1 - 2 - 3 130,66 114,65 92,45 65,59 43,90 25,82 15,49 15,49 12,91 12,91 12,91 - 4 250,48 220,53 190,57 158,04 111,55 81,60 57,33 38,73 25,82 25,82 23,24 23,24 23,24 - 5 358,94 339,83 312,97 283,02 241,70 217,43 176,63 135,83 102,77 91,93 91,93 78,50 78,50 78,50 - 6 492,18 481,34 473,07 453,97 407,48 390,96 364,10 339,31 317,62 225,18 154,42 154,42 132,21 132,21 132,21 - 7* 619,75 600,64 584,11 565,00 507,68 488,57 466,88 439,50 426,08 398,70 292,83 218,98 218,98 189,02 189,02 189,02 (*) In caso di nuclei composti da più di sette componenti, l’importo dell’assegno va maggiorato di un ulteriore 10% nonché di euro 53,71 per ogni componente oltre il settimo. L’importo dell’ANF non è soggetta a indicizzazione, mentre è previsto l’adeguamento dei limiti di reddito delle classi cui si associano gli importi dell’assegno. Con effetto dal primo luglio di ogni anno tali limiti vengono rivalutati in misura pari alla variazione 2 Il diritto all’assegno, per quanto riguarda i lavoratori parasubordinati, è soggetto a vincoli più restrittivi di quelli previsti per i lavoratori dipendenti, sia rispetto ai limiti di reddito, sia rispetto al numero dei componenti il nucleo familiare. 6 percentuale dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati calcolato dall’Istat. L’azione più significativa di potenziamento dell’ANF, successivamente al loro ridisegno nel 1988, risale al periodo seguente alla riforma del sistema pensionistico del 1995, periodo nel quale, oltre al contemporaneo taglio dell’aliquota di finanziamento, dal 6,2% al 4,8%, si sono registrati i primi aumenti degli importi unitari e del numero dei beneficiari. Con riferimento ai provvedimenti assunti nella seconda metà degli anni novanta, si possono in particolare ricordare: nel 1996, l’aumento dell’importo mensile dell’assegno per i nuclei familiari con almeno due figli e l’incremento in misura variabile, a seconda della composizione familiare, di quello per i nuclei con figli minorenni; nel 1997, l’innalzamento del 20% tutti gli importi mensili, l’aumento del valore dei limiti di reddito al fine di incrementare del 20% il numero dei beneficiari, l’aumento di un altro 25% dell’importo dell’assegno per le famiglie comprendenti soggetti inabili; nel 1998 e nel 1999, l’ulteriore aumento degli importi e dei limiti di reddito vigenti per i nuclei con figli, con particolare riferimento alle famiglie con più di un figlio, a quelle monoparentali o a quelle comprendenti soggetti portatori di handicap. Il biennio successivo non ha apportato modifiche di rilievo alla struttura dell’istituto (a parte le tradizionali rivalutazioni dei limiti delle classi di reddito), mentre per quanto riguarda gli aspetti relativi al suo finanziamento, sono state operate ulteriori riduzioni delle aliquote contributive, in attuazione delle indicazioni contenute nel Patto sociale per lo sviluppo del dicembre 1998. Tali riduzioni si sono tradotte integralmente in riduzioni del costo del lavoro, senza effetti sulle retribuzioni nette dei lavoratori. 2.2. L’Indicatore della situazione economica I provvedimenti di riforma delle politiche familiari della fine degli anni novanta si intrecciano con la sperimentazione, tuttora in corso, del nuovo metro di valutazione della condizione economica, l’ISE, per l’accesso e la compartecipazione finanziaria alla fornitura locale di benefici in natura (servizi di asilo nido, mense scolastiche, accoglienza di anziani non autosufficienti in strutture protette, ecc.) 3. L’ISE, disciplinato dai decreti legislativi n. 109/98 e dal d.lgs. n. 130/00, è calcolato come una combinazione lineare di reddito e patrimonio, ove la componente reddituale è data dal reddito complessivo IRPEF, al netto di una franchigia per l’affitto dell’abitazione fino a un massimo di 5.164 euro (10 milioni di lire), a cui si aggiunge la valutazione forfetaria dei redditi da attività finanziarie. La componente patrimoniale è invece data dalla somma della ricchezza mobiliare e immobiliare, al netto di alcune franchigie tra cui il valore dell’abitazione principale, fino ad un massimo di 51.645 euro (100 milioni di lire), e un’ulteriore franchigia fino a 15.494 euro (30 milioni di lire) sul patrimonio mobiliare. La componente patrimoniale, così calcolata, va poi moltiplicata per un coefficiente pari al 20%. Il computo dell’ISE avviene su base familiare e presuppone l’applicazione di una scala di equivalenza, ossia di coefficienti in grado di tenere conto della eterogeneità demografica tra famiglie (per numero di componenti, composizione, ecc.). Una volta calcolato l’ISE monetario a livello familiare, esso viene quindi diviso per il coefficiente di equivalenza appropriato, così da ottenere il corrispondente valore equivalente. Con il Dpcm n. 242/2001 e il Dpcm del 18 Maggio 2001 è stato sostanzialmente completato il lungo iter normativo dell’ISE. Il primo dei due decreti detta i criteri per l’individuazione del nucleo familiare in tutte quelle situazioni particolari (soggetti che ai fini IRPEF risultano a carico di più persone, coniugi non legalmente separati che non hanno la 3 Per una ricostruzione critica del disegno ispiratore della riforma, cfr. Bosi (2000). 7 medesima residenza, minori non conviventi con i genitori o in affidamento presso terzi, ecc.) non disciplinate dalla norma quadro. Il Dpcm n. 242/2001 sana definitivamente l’incongruenza presente nel decreto istitutivo che, nel delimitare l’ambito familiare di riferimento del richiedente una prestazione sociale, lasciava aperta la possibilità di appartenenze multiple: la valutazione della situazione economica del richiedente era infatti determinata con riferimento al nucleo familiare composto dal richiedente medesimo, dai soggetti con i quali conviveva e da quelli considerati a suo carico ai fini IRPEF, senza un esame preventivo dell’eventuale conflitto tra il criterio anagrafico e quello fiscale. Il problema è stato di fatto risolto dal d.lgs. n. 130/2000, che indica nel criterio anagrafico quello prevalente dei due (rimandando a norme specifiche l’individuazione del nucleo familiare in casi particolari). Il secondo dei Dpcm citati, del 18 Maggio 2001, prevede la revisione della modulistica riguardante la dichiarazione sostitutiva unica e l’attestazione, nonché le relative istruzioni per la compilazione, originariamente regolata dal decreto ministeriale del 29/7/1999. Con la predisposizione dei modelli-tipo la sperimentazione dell’istituto è potuta finalmente passare alla fase operativa4 5. L’introduzione dell’ISE costituisce un’occasione importante per aggredire uno dei problemi principali che affligge la spesa sociale italiana, e in particolare quella assistenziale, vale a dire la presenza di una esasperata categorialità per quanto riguardo le prestazioni erogate, da un lato, e l’inadeguatezza dei criteri di selettività applicati alle erogazioni medesime, dall’altro. Solo criteri di selettività poco attendibili hanno infatti sinora potuto giustificare l’impronta fortemente categoriale nell’erogazione dei sussidi. Le novità introdotte dall’ISE, rispetto al coacervo di criteri vigenti in precedenza, appaiono destinate ad avere conseguenze di rilievo sul benessere delle famiglie e, almeno sulla carta, a ricondurre la spesa a principi di maggiore equità e uniformità. Più d’uno sembrano essere i punti di forza del nuovo indicatore: i) l’abbattimento delle barriere categoriali tra lavoratori dipendenti ed autonomi nell’accesso alla spesa di welfare, ii) l’inclusione nella componente reddituale dell’ISE, seppure in modo forfetario, dei redditi da attività finanziarie, finora esclusi dalla prova dei mezzi, iii) la considerazione del patrimonio, in quanto segnaletico di un’autonoma capacità di spesa, distinta da quella derivante dal solo possesso del reddito, iv) il riferimento all’ambito familiare (la famiglia anagrafica) per valutare la condizione economica dell’utente, fermo restando il carattere individuale del diritto all’accesso6. La principale applicazione in corso dell’ISE riguarda due programmi nazionali, di tipo monetario: l’assegno alle famiglie con almeno tre minori e l’assegno di maternità riservato alle giovani madri non coperte da tutela assicurativa. Alla sperimentazione dell’Ise sono però primariamente interessati anche gli enti locali che erogano prestazioni sociali agevolate di loro competenza (servizi di asilo nido e di scuola materna, contributi mensa, assistenza domiciliare, ricoveri in case protette, ecc.). 4 Sebbene la sperimentazione sia ormai in corso, va segnalato la perdurante mancata emanazione, prevista dal d.l. n. 130/00, del DPCM che avrebbe dovuto fissare i limiti dell’applicazione dell’ISE nel caso delle prestazioni assistenziali a soggetti non autosufficienti o disabili. L’assenza di una disciplina specifica di tale fattispecie ha, da un lato, congelato l’affermazione del principio contenuto nel decreto 130 dell’evidenziazione della situazione economica del solo assistito, e ha, dall’altro, consentito agli enti erogatori di proseguire nella pratica di coinvolgere nella definizione del diritto a tali prestazioni e/o nella compartecipazione al loro costo soggetti esterni al nucleo standard del richiedente. 5 Dal punto di vista procedurale, va ricordato che con la pressoché piena operatività della sperimentazione è divenuto operativo anche il sistema informatico di trasmissione dei dati contenuti nelle dichiarazioni sostitutive uniche e di calcolo dell’ISE che la normativa ha attribuito all’INPS. 6 Per una stima degli effetti redistributivi potenzialmente attribuibili alla riforma cfr. Baldini, Toso (2000). 8 2.3. L’assegno di maternità e l’assegno alle famiglie con almeno tre figli minori L’assegno di maternità e l’assegno ai nuclei familiari con almeno tre figli minori devono la loro introduzione agli articoli 65 e 66 della legge n. 448/987. L’assegno di maternità è una prestazione rivolta alle madri cittadine italiane residenti8 che non beneficiano del trattamento previdenziale di maternità e il cui nucleo familiare dispone di un ISE inferiore nel 2001 a 26.918,15 euro (52.120.800 lire), con riferimento ad una famiglia di tre componenti. La normativa inizialmente in vigore prevedeva che, per i figli nati tra il 1° luglio 1999 e il 30 giugno 2000, venisse corrisposta alle madri una somma mensile di 103,29 euro (200.000 lire) per cinque mensilità, incrementata a 154,94 euro (300.000 lire) per i parti successivi al 1° luglio 20009. Per gli eventi verificatisi successivamente al 1° gennaio 2001, l’articolo 80 della legge n. 388/00 aveva fissato in 258 euro (500.000 lire) la somma concessa. Per le nascite, gli affidamenti preadottivi e le adozioni senza affidamento avvenute nel 2002 l’importo mensile dell’assegno è stato fissato, nella misura intera, in 265,20 euro (513.500 lire), attribuendone il diritto alle madri appartenenti a nuclei familiari con un ISE inferiore a 27.644,94 euro (53.528.062 lire)10. Possono beneficiare della prestazione anche le donne lavoratrici la cui indennità di maternità corrisposta dagli enti previdenziali competenti risulta inferiore alla somma erogata con l’assegno; in questo caso il suo ammontare è dato dalla differenza tra i due importi. La seconda prestazione introdotta (assegno ai nuclei familiari con almeno tre minori – A3F) consiste nell’erogazione di un assegno monetario alle famiglie composte da cittadini italiani o comunitari residenti nel territorio dello Stato che hanno almeno tre figli con meno di 18 anni e un ISE inferiore a una determinata soglia. Nel 1999, anno dell’introduzione dell’A3F, la soglia di esclusione, con riferimento ad un nucleo di cinque componenti, era data da 36 milioni di lire (18.592,44 euro), mentre l’importo (massimo) dell’assegno era fissato in L. 200.000 (103,29 euro) per tredici mensilità. L’assegno veniva erogato nel suo importo pieno fino ad un ISE di L. 30.800.000 (15.906,87 euro) e in un importo via via decrescente all’aumentare dell’ISE, secondo un’aliquota marginale di sottrazione del sussidio pari al 50%, sino ad annullarsi al raggiungimento della soglia di 36 milioni di lire (18.592,44 euro). L’importo dell’A3F veniva in particolare calcolato in una misura pari al 50% della differenza tra tale soglia e l’ISE del beneficiario. Nel 2001 il limite al di sotto del quale si gode dell’assegno in misura piena è stato rivisto, passando da 30.800.000 lire (15.906,87 euro) a 33.400.000 lire (17.249,66 euro), ed è stata rivista anche la modalità di calcolo dell’importo dell’assegno una volta superato tale limite: non più il 50% (quindi la metà) della differenza tra la soglia di esclusione e l’ISE del beneficiario bensì l’intera differenza tra la soglia (rimasta invariata) e l’ISE del beneficiario medesimo. L’importo massimo dell’A3F da corrispondere a coloro che ne hanno maturato il diritto nel corso del 2002 è stato fissato nella misura di 110,58 euro (214.112 lire), mentre la soglia di esclusione per i nuclei di cinque componenti è stata rivalutata a 19.904.35 euro (38.540.200 lire). I criteri impiegati per la valutazione della situazione economica dei beneficiari sono gli stessi per entrambe le tipologie di assegno e, sino all’emanazione del decreto legislativo n. 130/00 e dei relativi decreti attuativi, sono stati disciplinati con il decreto del Ministro per la 7 Alcune modifiche a tali articoli sono state introdotte con l’articolo 50 della legge n. 144/99. Si tratta in particolare di correzioni alla procedura con la quale vengono erogati gli assegni. 8 Con l’articolo 49 della legge n. 488/99 la possibilità di beneficiare dell’assegno di maternità è stata estesa, a decorrere dal 1° luglio 2000, anche alle donne residenti comunitarie o in possesso di carta di soggiorno. 9 A partire dalla stessa data l’articolo 49, comma 12 della legge n. 488/99 ha esteso il diritto all’assegno ai casi di minori adottati o in affidamento preadottivo. 10 La soglia si riferisce ad una famiglia di tre componenti. Le soglie relative a nuclei familiari di diversa numerosità si ottengono applicando la scala di equivalenza dell’ISE. 9 solidarietà sociale n. 306/99. In sintesi, la situazione economica veniva determinata sommando il reddito della famiglia al patrimonio mobiliare e immobiliare della stessa, una volta che il patrimonio medesimo fosse stato moltiplicato per un parametro pari al 20%. Il valore dell’ISE così ottenuto veniva poi diviso per un opportuno coefficiente di equivalenza, così come stabilito dal decreto legislativo n. 109/98, per tenere conto della dimensione e della composizione del nucleo familiare. Il meccanismo di calcolo impiegato era solo in parte quello previsto dal decreto istitutivo dell’ISE in quanto, ai fini della valutazione della componente patrimoniale, la disciplina dei due assegni (AM e A3F) affermava all’articolo 4 comma 6 che “non si tiene conto della casa di abitazione del nucleo di proprietà di alcuno dei suoi componenti.” Tale deroga alla normativa dell’ISE – deroga ritenuta da più d’un osservatore ingiustificata - ha finito con il favorire ulteriormente chi disponeva della proprietà della casa di residenza rispetto a che vive in affitto. Per quanto riguarda la definizione del nucleo familiare, la nozione adottata è stata più estesa di quella definita dal DPCM n. 221/99 dal momento che, come in seguito disciplinato dal decreto legislativo n. 130/00, sono stati presi in considerazione i soggetti a carico ai fini IRPEF non solo del richiedente, ma anche di ogni altro componente della famiglia anagrafica. Nelle prime due annualità di erogazione degli assegni si è quindi avuto a che fare con una disciplina che ha adottato criteri in parte difformi rispetto a quelli definiti dalla normativa ISE; tale difformità è stata superata solo con il Regolamento introdotto con il decreto del Ministro per solidarietà sociale n. 337/00 che ha stabilito all’articolo 1, commi 1 e 2, il completo adeguamento del sistema di valutazione della situazione economica previsto per la concessione degli assegni alle disposizioni contenute nel decreto legislativo n. 130/00 e nei suoi provvedimenti attuativi11. In particolare, all’articolo 3, comma 3 viene cancellata l’esclusione dalla valutazione della componente patrimoniale della casa di residenza di proprietà del nucleo familiare, mentre all’articolo 3, comma 2 viene assunto, quale famiglia di riferimento, quella standard indicato dalla disciplina dell’ISE. Per quanto concerne il procedimento amministrativo che regola la fornitura degli assegni, va ricordato che le due prestazioni sono state disciplinate su scala nazionale con un provvedimento del Ministro per la solidarietà sociale e finanziate con un Fondo istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri. E’ previsto che i beneficiari siano individuati dai singoli Comuni e che i pagamenti siano effettuati dall’INPS. 2.4. I contributi integrativi per il pagamento dei canoni di locazione Con il decreto del Ministro dei Lavori Pubblici 7 giugno 1999 sono stati definiti i requisiti minimi richiesti ai conduttori di alloggi in locazione per poter beneficiare dei contributi integrativi previsti dall’articolo 11, comma 3 della legge n. 431/98 ed i criteri per la determinazione del loro ammontare. Le risorse necessarie per il finanziamento di tale prestazione provengono dal “Fondo nazionale per il sostegno all’accesso alle abitazioni in locazione” che è istituito presso il Ministero dei lavori pubblici e dispone di una dotazione annua pari a 600 miliardi di lire (309,87 milioni di euro) per il 1999, il 2000 e il 2001, suddivisa tra le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano (nel 2001) nella misura indicata dalla tabella 4. 11 Tale Regolamento ha corretto, a soli quattro mesi dalla sua entrata in vigore, quello dettato con il decreto del Ministro per la solidarietà sociale n. 452/00 che aveva lasciato immutato il criterio di calcolo dell’ISE. 10 Tab. 4 – La distribuzione per il 2001 tra le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano del Fondo nazionale per il sostegno all’accesso alle abitazioni in locazione Importo Regioni e Province Autonome Piemonte Valle d’Aosta Lombardia Trento Bolzano Veneto Friuli Venezia Giulia Liguria Emilia Romagna Toscana Umbria Marche Lazio Abruzzo Molise Campania Puglia Basilicata Calabria Sicilia Sardegna Totale % 5,901 0,094 16,187 0,282 0,24 5,263 0,396 2,276 8,594 6,094 1,429 1,132 10,654 0,673 0,195 19,549 7,928 0,656 5,751 5,901 0,805 100,000 milioni di lire 38.356,5 611,0 105.215,5 1.833,0 1.560,0 34.209,5 2.574,0 14.794,0 55.861,0 39.611,0 9.288,51 7.358,0 69.251,0 4.374,5 1.267,5 127.068,5 51.532,0 4.264,0 37.381,5 38.356,5 5.232,5 650.000,0 migliaia di euro 19.809,479 315,555 54.339,271 946,665 805,673 17.667,732 1.329,360 7.640,463 28.849,799 20.457,374 4.797,110 3.800,090 35.765,157 2.259,241 654,609 65.625,403 26.614,057 2.202,172 19.305,934 19.809,479 2.702,361 335.696,984 I requisiti individuati dal Ministero per l’ottenimento della prestazione rappresentano un’evidente testimonianza delle difficoltà che la disciplina dell’ISE ha sino ad oggi incontrato nella sua completa affermazione. Dalla lettura del testo normativo emerge infatti una palese contraddizione tra il richiamo esplicito al decreto legislativo n. 109/98 e alla situazione economica e patrimoniale del nucleo familiare e la concreta definizione dei criteri di accesso al beneficio e di determinazione dell’entità del contributo. Se all’articolo 1, comma 3 si afferma infatti che, “ai fini della verifica della situazione economica e patrimoniale del nucleo familiare deve essere resa apposita dichiarazione ai sensi del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 109”, al comma precedente il requisito minimo di accesso viene definito, in linea con quanto indicato all’articolo 11, comma 4 della legge n. 431/98, con riferimento al solo reddito annuo imponibile complessivo (inteso quale quello risultante dall’ultima dichiarazione dei redditi) del nucleo familiare del richiedente, che deve risultare non superiore al valore di due pensioni minime INPS. Nel decreto non viene inoltre data alcuna indicazione relativamente alla definizione di nucleo familiare da adottare, né è prevista alcuna applicazione di coefficienti di equivalenza alla situazione reddituale, una volta calcolata, per tenere conto della dimensione e composizione familiare del richiedente. Al riguardo specifiche previsioni sono stabilite unicamente in relazione alla presenza nel nucleo familiare di soggetti con più di 65 anni o 11 disabili e per l’esistenza di situazioni di “particolare debolezza sociale”. In questi casi viene concessa una maggiorazione del 25% del contributo assegnato o, alternativamente, un abbattimento di uguale valore percentuale del livello di reddito che determina il diritto al contributo. La limitatezza del criterio di determinazione della situazione economica indicato nel decreto ministeriale ha in molti casi indotto le regioni e i comuni a procedere ad una sua integrazione con elementi di valutazione perlopiù tratti dalla normativa regionale in materia di edilizia residenziale pubblica, travalicando però in questo modo le disposizioni contenute nel decreto stesso che all’articolo 2, comma 1 attribuisce a tali enti la sola possibilità di stabilire ulteriori articolazioni delle soglie di reddito (rispetto a quelle previste dal decreto), a condizione che essi concorrano con proprie risorse ad incrementare i fondi attribuiti a livello nazionale. Se in alcuni casi tali interventi integrativi sono riusciti ad avvicinare, se non addirittura ad uniformare, il sistema di valutazione della situazione economica adottato per questa specifica prestazione alla disciplina generale dell’ISE, il più delle volte essi hanno finito per incrementare la disomogeneità dei criteri valutativi, rendendo così difficile una lettura complessiva degli esiti del meccanismo di attribuzione del beneficio introdotto. 2.5. La fornitura gratuita, totale o parziale, dei libri di testo scolastici Una ulteriore forma di intervento monetario a sostegno dei redditi familiari è rappresentata dalla disciplina adottata per la fornitura gratuita, totale o parziale, dei libri di testo agli studenti della scuola dell’obbligo e della scuola secondaria superiore, prevista dall’articolo 27 della legge n. 448/98. Tale disciplina costituisce un esempio, non isolato, del difficile processo di omogeneizzazione dei criteri di valutazione della situazione economica impiegati nell’erogazione di benefici e prestazioni sociali agevolate. Nonostante nel testo di legge si affermi che, ai fini della valutazione della situazione economica degli aventi diritto al beneficio, devono essere applicati i criteri indicati dal decreto legislativo n. 109/98, è difficile trovare nel DPCM attuativo un qualche collegamento formale con la normativa dell’ISE, cui viene fatto esplicito riferimento solo per gli aspetti relativi al controllo della veridicità delle informazioni fornite dai richiedenti la prestazione. L’articolo 1 prevede infatti al comma 1 che “possono accedere al beneficio della fornitura gratuita totale o parziale dei libri di testo gli alunni che adempiono l’obbligo scolastico e che appartengano a nuclei familiari il cui reddito annuo […] sia equivalente o inferiore a trenta milioni di lire.” Appare subito evidente come la condizione economica familiare coincida con la situazione reddituale ottenuta, come risulta dal successivo articolo 2, sommando tutti i redditi netti dei componenti il nucleo familiare risultanti dalla dichiarazione ai fini IRPEF o dall’ultimo certificato sostitutivo (lettera a) e il reddito delle attività finanziarie (lettera b). Oltre a non esserci alcun riferimento al patrimonio, anche le componenti reddituali prese in considerazione non sono definite dal DPCM in modo chiaro, tanto da richiedere l’emanazione di una Circolare esplicativa12 in cui si precisa che: i) il reddito netto è dato dal reddito complessivo diminuito dell’importo IRPEF, comprensivo dell’addizionale regionale; ii) il reddito delle attività finanziarie è costituito da tutti gli interessi, dividendi e da rendite derivanti da investimenti mobiliari percepiti al 31 dicembre 1998 e non risultanti dalla dichiarazione dei redditi. Si tratta di componenti reddituali definite in modo diverso rispetto a quanto indicato dalla disciplina dell’ISE, mentre analoghe sono le detrazioni concesse alle famiglie che risiedono in abitazioni in locazione: 1.291,14 euro (2.500.000 lire) per i nuclei che non possiedono immobili adibiti ad uso abitativo o 12 Ministero della pubblica istruzione e Ministero dell’interno, Circolare Interministeriale 23 settembre 1999. 12 residenziale nel comune di residenza, elevati a 1.807,59 (3.500.000 lire) per quelli che non hanno la proprietà di immobili in altri comuni. Se la nozione di famiglia adottata nella fornitura della prestazione in questione è quella standard indicata dal DPCM n. 221/9913, diverso però è il modo in cui la numerosità familiare incide nella valutazione della condizione economica. Non è infatti previsto il ricorso alla scala di equivalenza dell’ISE, ma viene fatto uso di un meccanismo di detrazioni dal reddito così congegnato: 516,45 euro (1.000.000 di lire) per il secondo figlio, 774,68 euro (1.500.000 lire) per il terzo e 1.032,9 euro (2.000.000 di lire) per ciascun figlio successivo al terzo e per ciascun altro componente posto a carico del richiedente14, cioè di colui che esercita la potestà genitoriale. Con il DPCM n. 226/00 hanno trovato conferma per l’anno scolastico 2000/2001 i criteri di selezione dei beneficiari della prestazione previsti per l’annualità precedente: si continua cioè ad utilizzare un meccanismo di valutazione della situazione economica incoerente rispetto all’ISE, una scelta che appare ancor più paradossale alla luce dell’emanazione del decreto legislativo n. 130/00 con la quale, come si è sottolineato in precedenza, si è provveduto a integrare e correggere la disciplina originaria. Discutibile appare infine anche l’aspetto procedurale: come nel caso degli assegni AM e A3F si ha infatti a che fare con un procedimento che coinvolge “a cascata” Ministero dell’interno, regioni e comuni. I fondi necessari per il finanziamento di tale intervento provengono infatti dal bilancio del Ministero dell’interno, alle regioni spetta invece il compito di definire la loro ripartizione tra i vari comuni, i quali infine provvedono ad individuare gli aventi diritto e ad erogare le somme ad essi spettanti. Complessivamente le risorse messe in campo per l’anno scolastico 1999/2000 ammontavano a 200 miliardi di lire (103,29 milioni di euro), di cui 150 miliardi (77,47 milioni di euro) destinati agli alunni che frequentano la scuola dell’obbligo e 50 miliardi di lire (25,82 milioni di euro) riservati alla fornitura dei testi agli studenti degli istituti superiori. Per gli anni scolastici 2000/2001 e 2001/2002 sono stati stanziati con le leggi n. 488/99 e n. 388/00 rispettivamente 100 miliardi di lire (51,64 milioni di euro) e 200 miliardi di lire (103,29 milioni di euro) rispettivamente. 2.6. Il Reddito minimo di inserimento Il Reddito Minimo di Inserimento (RMI), previsto dall’art. 59, c. 48 della l. n. 449/97, rappresenta un istituto assolutamente innovativo nell’ambito del sistema italiano di protezione sociale, destinato a colmare una delle più rilevanti lacune nei confronti degli altri sistemi vigenti in Europa. Si tratta infatti di una misura nazionale di garanzia del reddito di ultima istanza15, integrata da servizi e attività volte a favorire l’inserimento lavorativo e sociale dei beneficiari. Come indicato nel decreto legislativo n. 237/98, con riferimento ad un nucleo familiare composto da una sola persona e con un reddito mensile inferiore nel 2002 a 273,72 13 Anche in questo caso la Circolare Interministeriale è intervenuta a chiarire la definizione di nucleo familiare indicata nel DPCM precisando che, anche se non risultano conviventi dallo stato di famiglia, ne fanno sempre parte i genitori dello studente e gli altri figli a loro carico ad eccezione dei casi di separazione o di divorzio in cui viene preso in considerazione il genitore cui lo studente è stato affidato e gli altri figli fiscalmente a suo carico. 14 Tale cifra è elevata a 1.549,37 euro (3 milioni di lire) in caso di invalidità totale, mentre è di 1.032,91 euro (2 milioni di lire) la detrazione concessa per ciascun figlio a cui sia riconosciuto un handicap grave o un’invalidità superiore al 66%. 15 Va sottolineato che le misure locali di sostegno al reddito attualmente vigenti sono fortemente differenziate su base territoriale, dando quindi luogo ad una fortissima eterogeneità di intervento. 13 euro (530.000 lire), la prestazione consiste nell’erogazione di un assegno monetario il cui importo è dato dalla differenza tra tale soglia reddituale e il reddito mensile effettivamente percepito dal nucleo familiare16. Il RMI rappresenta uno strumento di “assistenza attiva” prevedendo, accanto al sostegno finanziario, anche interventi di integrazione sociale finalizzati alla promozione delle capacità individuali e dell’autonomia economica dei soggetti coinvolti. In particolare, i beneficiari dell’assegno devono essere disponibili a sottoscrivere con l’amministrazione comunale competente un “programma di inclusione sociale”, cioè un piano di attività definito sulla base delle loro competenze e necessità e delle risorse localmente disponibili e finalizzato a sviluppare le capacità dei soggetti rispetto all’inserimento lavorativo e all’integrazione sociale17. Il RMI è stato inizialmente introdotto in via sperimentale in 39 comuni selezionati con il decreto del Ministro per la solidarietà sociale 5 agosto 1998 sulla base di criteri complessi e rigorosi18. Nonostante la sperimentazione, avviata nell’ottobre del 1998, sia stata conclusa il 31 dicembre 2000 e la l. n. 328/2000 (“Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”) abbia configurato il RMI quale misura generalizzata di assistenza, non si è al momento ancora proceduto alla sua applicazione all’intero territorio nazionale. Con la legge n. 388/00 (articolo 80, comma 1) è stata infatti decisa solo la prosecuzione dell’attuazione dell’istituto nei comuni coinvolti nella sperimentazione e la sua estensione a quelli “compresi nei territori per i quali sono stati approvati, alla data del 30 giugno 2000, i patti territoriali […] che i medesimi comuni hanno sottoscritto o ai quali hanno aderito e che comprendono comuni già individuati o da individuare ai sensi dell’articolo 4 del medesimo decreto legislativo n. 237 del 1998.”19 Per l’individuazione dei beneficiari della prestazione e per la determinazione dell’ammontare dell’assegno erogato la legge prevede, come si è detto sopra, la verifica della condizione economica. I criteri impiegati per tale valutazione, sempre definiti dal decreto legislativo n. 237/98, sono però solo molto parzialmente ricollegabili alle indicazioni fornite dalla normativa ISE, sebbene l’iter del provvedimento attuativo del RMI abbia proceduto di pari passo con quello del decreto legislativo n. 109/98. Per il RMI è infatti prevalsa la necessità di prevedere la definizione di una disciplina ad hoc, che tenesse conto delle peculiarità che caratterizzano una misura di contrasto della povertà rispetto alla fornitura di prestazioni sociali di altra natura. Da questa considerazione è derivata la scelta del legislatore di escludere dal beneficio tutti coloro che possiedono una qualsiasi disponibilità patrimoniale, sia mobiliare che immobiliare, ad eccezione dell’abitazione di residenza di valore inferiore alla soglia fissata dall’amministrazione comunale competente20. Anche la definizione della situazione reddituale si discosta da quella indicata dalla disciplina dell’ISE: il reddito preso in considerazione è infatti costituito da “qualsiasi 16 La soglia mensile originariamente fissata dal decreto istitutivo per il 1998 era di 258,22 euro (500.000 lire). Ai sensi dell’articolo 7, comma 1 del decreto legislativo n. 237/98, possono fare domanda di ammissione al Reddito Minimo di Inserimento i soggetti “legalmente residenti da almeno dodici mesi, ovvero, se cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea o apolidi, da almeno tre anni, in uno dei comuni che effettuano la sperimentazione”. 18 Si è innanzitutto fatto riferimento a precisi indicatori stabiliti dall’ISTAT, quali il tasso di disoccupazione, il livello dei reati commessi, il numero di minori coinvolti, il livello di scolarizzazione, la condizione di abitabilità delle case. Si è inoltre tenuto conto delle disomogeneità territoriali di carattere economico, demografico e sociale, dei livelli di povertà, della varietà di interventi già presenti nell’area di riferimento e della disponibilità dell’Amministrazione comunale a partecipare alla sperimentazione. 19 Si tratta complessivamente di altri 268 Comuni individuati con i decreti del Ministro per la solidarietà sociale 20 aprile 2001 e 7 maggio 2001. 20 Tale esclusione rappresenta un vantaggio concesso ai proprietari di abitazioni di residenza rispetto a coloro che vivono in locazione, ai quali per questa prestazione non viene neanche garantita la detrazione forfetaria dal reddito prevista dalla disciplina dell’ISE. 17 14 emolumento a qualunque titolo percepito e da chiunque erogato”21 ed è comprensivo quindi anche di quelle misure previdenziali e assistenziali (quali, ad esempio, l’Assegno al nucleo familiare) che, non essendo rilevanti ai fini della determinazione del reddito complessivo IRPEF, risultano escluse dal calcolo dell’ISE. La loro considerazione consente invece di avvicinarsi ad una nozione di reddito disponibile che indubbiamente rappresenta un riferimento migliore, rispetto a quello del semplice reddito imponibile IRPEF, per un istituto rivolto all’integrazione del reddito delle famiglie in condizioni di particolare indigenza22. Connessa alla particolarità della prestazione erogata è la decisione di valutare nella misura del 75% i redditi di lavoro, sia dipendente che autonomo. Non si tratta in questo caso dell’affermazione di un principio di discriminazione qualitativa, ma di un modo per tenere conto del disincentivo alla produzione di reddito di lavoro che si verrebbe a creare qualora fosse concessa un’integrazione pari all’intera differenza tra la soglia di esclusione e il reddito effettivamente conseguito dai beneficiari della prestazione. La presenza di tale franchigia ha in sostanza la funzione di attenuare i fenomeni di welfare dependency, tipici di sistemi di spesa assistenziale ben più selettivi del nostro. Attraverso la valutazione parziale (nella misura del 75%) del reddito da lavoro, il limite reddituale in corrispondenza del quale si perde il diritto al RMI non coincide più con la soglia di esclusione bensì con un valore mensile di 364,61 euro (707.000 lire). Al di sotto di tale valore, il sussidio erogato cresce proporzionalmente sino a raggiungere l’ammontare massimo (273,72 euro) in corrispondenza di un reddito nullo23. Tanto la nozione di famiglia adottata dalla legislazione sul RMI quanto le modalità per tenere conto delle eterogeneità familiari appaiono coerenti con quanto previsto per l’ISE. Ai fini della determinazione del diritto al beneficio viene infatti preso in considerazione il nucleo composto dal richiedente, dalle persone con le quali convive e da quelle considerate a suo carico ai fini IRPEF; per quanto riguarda la scala di equivalenza adottata, essa è in tutto identica a quella che regola la determinazione dell’ISE, sia nei valori dei coefficienti commisurati alle diverse numerosità familiari, sia nelle maggiorazioni previste in presenza di specifiche condizioni familiari (presenza di disabili, nuclei bireddito con minori, ecc.). 2.7. Le detrazioni IRPEF per carichi di famiglia Le detrazioni fiscali per carichi familiari, in particolare per il coniuge, per i figli e per altri familiari a carico, rappresentano il principale strumento a sostegno delle responsabilità familiari presente sul lato delle spese fiscali (tax expenditures). Stante l’interpretazione strettamente individuale data dalla giurisprudenza costituzionale del nostro paese al concetto di capacità contributiva, le detrazioni per carichi familiari svolgono anche l’importante funzione di tenere indirettamente conto della situazione familiare del contribuente e del peso che questa esercita nella sua capacità di pagare le imposte. Le detrazioni per carichi familiari sono differenziate a seconda che si consideri il coniuge non legalmente ed effettivamente separato a carico, da un lato, e i figli e le altre persone a carico, dall’altro. Sono considerate a carico le persone che possiedono un reddito complessivo non superiore a 2.840,51 euro, purché siano conviventi con il contribuente o percepiscano assegni alimentari non risultanti da provvedimenti dell’autorità giudiziaria. 21 Decreto legislativo n. 237/98, articolo 6, comma 2. Una corretta definizione di reddito disponibile richiederebbe a rigori, oltre all’inclusione dei trasferimenti pubblici, anche la detrazione dell’IRPEF pagata dai componenti il nucleo familiare del beneficiario, detrazione peraltro non ammessa dalla normativa sul RMI. 23 In sostanza viene simulato uno schema di imposta negativa sul reddito ad aliquota marginale costante del 75%, il cui importo massimo è di 273,72 euro mensili (530.000 lire). 22 15 Per quanto riguarda la detrazione per il coniuge a carico, essa ha un importo moderatamente decrescente all’aumentare del reddito complessivo IRPEF, fino ad un livello di reddito di circa 52.000 euro, e successivamente costante, per valori del reddito complessivo superiori (cfr. Tab. 5). Oltre a rispondere a finalità di equità verticale, come dimostra il relativo favore riservato ai contribuenti con redditi più bassi, tale detrazione ha il compito di tenere conto dei problemi di iniquità orizzontale che un sistema di tassazione progressivo su base individuale introduce tra famiglie che, a parità di reddito complessivo e di numero di componenti, presentano forti differenze di basi imponibili tra i suoi membri24. Tab. 5. Le detrazioni IRPEF per coniuge a carico nel 2002 (in euro) Classe di reddito complessivo Fino a 15.493,71 Da 15.493,71 a 30.987,41 Da 30.987,41 a 51.645,59 Oltre 51.645,69 Detrazione 546,18 496,60 459,42 422,23 Le detrazioni per figli e altre persone a carico (genitori, fratelli, suocere, nuore, ecc.) hanno un importo graduato in modo decrescente all’aumentare del reddito complessivo e, in alcuni casi, variabile in funzione del numero d’ordine del figlio (cfr. Tab. 6). Tale graduazione riflette il duplice obiettivo di favorire i nuclei familiari con più figli ed economicamente bisognosi. Gli importi delle detrazioni riflettono la nuova struttura introdotta dalla manovra finanziaria per il 2002, che ha fissato in 516 euro (un milione di lire) lo sgravio spettante per ciascun figlio a carico, purché il reddito complessivo sia inferiore a 36.152 euro (70 milioni di lire). Se invece il reddito supera i 36.152 euro, il predetto importo è concesso solo in casi particolari: se il reddito è compreso tra i 36.152 e i 41.317 euro, i figli a carico devono essere almeno due; se il reddito è compreso tra i 41.317 e i 46.481 euro, i figli a carico devono essere almeno tre; se il reddito è compreso tra i 46.481 e i 51.646 euro, i figli devono essere almeno quattro. Se questi vincoli congiunti di reddito e numerosità dei figli a carico non sono rispettati, si applicano importi minori (cfr. Tab. 6). L’importo della detrazione per figli e altri familiari a carico va ripartito fra gli aventi diritto in proporzione all’effettivo onere sostenuto da ciascuno di essi. In assenza di particolari motivi che giustifichino una ripartizione diversa, nel caso, ad esempio, di figli a carico di entrambi i genitori, la detrazione va divisa per due. Nel caso di mancanza fisica o giuridica di uno dei genitori, al primo figlio spetta la detrazione in misura maggiorata, pari a quella spettante per il coniuge a carico, ove più vantaggiosa. Per ogni figlio portatore di handicap spetta inoltre, anziché la detrazione a lui riferita secondo quanto indicato nella Tabella 6, una detrazione pari a 774,69 euro. Per ogni figlio di età inferiore ai tre anni, invece, l’importo della detrazione è incrementato di 123,95 euro. L’aumento non è però riconosciuto se il figlio a cui si riferisce gode già della detrazione per coniuge a carico, di quella per figlio portatore di handicap, o della detrazione pari a 516,46 euro. 24 La penalizzazione maggiore, in assenza della detrazione per coniuge a carico, riguarderebbe, com’è noto, la famiglia monoreddito. 16 Tab. 6. Le detrazioni IRPEF per figli e altri familiari a carico nel 2002 (in euro) Classe di reddito complessivo Da 0 a 36.151,98 1 516,46 2 516,46 ciascun figlio Numero di figli 3 516,46 ciascun figlio 4 516,46 ciascun figlio Da 36.151,98 a 41.316,55 303,68 516,46 ciascun figlio 516,46 ciascun figlio 516,46 ciascun figlio Da 41.316,55 a 46.481,12 303,68 303,68 primo figlio 336,73 secondo figlio 516,46 ciascun figlio 516,46 ciascun figlio Da 46.481,12 a 51.645,69 303,68 303,68 primo figlio 336,73 secondo figlio 303,68 primo figlio 336,73 secondo e terzo figlio 516,46 ciascun figlio Oltre 51.645,69 285,08 285,08 ciascun figlio 285,08 ciascun figlio 516,46 ciascun figlio La normativa riguardante le detrazioni per familiari a carico ha subito cambiamenti di un certo rilievo a partire dal 1998: gli importi sono stati aumentati in misura rilevante, almeno se paragonati con quelli degli anni precedenti, e le detrazioni per gli altri familiari a carico sono state equiparate a quelle per i figli, che ora danno diritto alla detrazione anche se maggiorenni. Sebbene tali aumenti, essendo in ammontare fisso, abbiano favorito in proporzione di più i redditi bassi, va rimarcato che essi hanno anche accentuato il problema della cosiddetta incapienza. Con tale termine ci si riferisce alla situazione in cui la detrazione, o un suo aumento, non può essere goduta interamente in quanto l’imposta lorda non è sufficientemente capiente, ossia in quanto il debito lordo d’imposta è inferiore all’ammontare della detrazione cui si ha diritto. Il problema si pone evidentemente per i contribuenti più poveri, la cui IRPEF lorda potrebbe essere non sufficientemente elevata da consentire di avvalersi del maggiore sgravio fiscale. 3. Le politiche a sostegno delle responsabilità familiari nel quinquennio 1998-2002: risultati conseguiti e problemi aperti Come è stato anticipato nei paragrafi precedenti, la parte finale del decennio scorso ha registrato significativi progressi nella riforma delle politiche familiari. E’ stata varata la normativa dell’ISE, è stata avviata la sperimentazione del RMI, nuovi istituti sono stati introdotti. Il segno delle riforme è nel complesso universalistico e, pur nella selettività imposta dal rispetto di stringenti vincoli di bilancio, sembra avere prodotto un impatto perequativo sulla distribuzione personale del reddito25. Le misure prese presentano tuttavia alcuni difetti sotto il profilo del disegno complessivo, sia per le perduranti incongruenze che caratterizzano gli istituti esistenti, sia per alcune ambivalenze che caratterizzano i nuovi, sia per la dimensione finanziaria degli interventi, modesta rispetto alla spesa sociale complessiva. L’assegno alle famiglie con almeno tre minori (A3F), concepito principalmente come strumento di contrasto della povertà e subordinato a criteri di eleggibilità in termini di ISE particolarmente selettivi, ha l’inconveniente di cumularsi con l’assegno al nucleo familiare (ANF), istituto ben più importante, in termini di impegno finanziario, e tuttavia limitato ai soli 25 Cfr., ad esempio, CNEL (2000) e Commissione d’indagine sull’esclusione sociale (2002). 17 lavoratori dipendenti o pensionati ex-dipendenti, e subordinato a una prova dei mezzi (sostanzialmente il reddito imponibile IRPEF) diversa da quella applicata al nuovo istituto. Il ricorso a criteri di verifica della condizione economica differenti e scarsamente correlati tra loro solleva problemi di iniquità di trattamento e di scarso coordinamento tra gli istituti che andrebbero prontamente risolti. Per quanto riguarda specificamente l’assegno al nucleo familiare (ANF), i provvedimenti tampone presi nella seconda metà degli anni novanta hanno creato non poco disordine nella struttura delle prestazioni vigenti. Gli aumenti sono stati decisi senza apparenti criteri di coerenza equitativa: prova ne è che gli importi degli assegni variano da nucleo a nucleo, e da una classe di reddito all’altra, senza alcun riferimento ad una scala di equivalenza osservata, ovvero con scale di equivalenza implicite che appaiono del tutto irrazionali26. L’introduzione dell’assegno di maternità (AM) a favore delle madri non lavoratrici (casalinghe, disoccupate) in condizioni di bisogno economico ha potenziato la gamma di strumenti di stampo universale fornendo anche a queste donne un sostegno economico, limitato nel tempo e subordinato alla prova dei mezzi, a tutela della maternità. Questo nuovo istituto viene a coesistere tuttavia con la preesistente indennità di maternità riservata alle madri che lavorano, un’indennità non means-tested, la cui funzione è più quella di risarcire la donna della mancata capacità di guadagno nel periodo della maternità che di tutelare la maternità di per sé. La sperimentazione del RMI si trova in una fase di delicata implementazione. Nonostante sulla sperimentazione siano pesati limiti e ritardi di varia natura, accentuati dalla localizzazione dell’esperimento in contesti in cui il tessuto economico e l’offerta di servizi sociali presentano gravi carenze, le informazioni disponibili sullo stato di valutazione della riforma forniscono un quadro incoraggiante27. L’introduzione del RMI sembra avere innescato un processo di maggiore civilizzazione nei rapporti tra cittadini e enti locali e di contrasto del clientelismo, ristabilendo condizioni di certezza dei diritti nella fornitura delle prestazioni. La sperimentazione ha anche costituito un’occasione di consolidamento dei rapporti istituzionali tra i vari livelli di governo e di impulso alla collaborazione tra i diversi attori coinvolti (enti locali, soggetti privati, terzo settore). Sulla base dei dati resi disponibili dagli istituti preposti alla valutazione dell’esperimento, la spesa complessivamente erogata nel biennio 1999-2000 ammonta a poco meno di 430 miliardi di lire, di cui oltre il 90% a vantaggio di residenti nel Sud e nelle isole, pari ad un sussidio medio mensile per famiglia di circa 730.000 lire. Oltre il 97% delle risorse erogate è gravato sul Fondo nazionale per le politiche sociali (il Fondo a cui la legge quadro sull’assistenza assegna un ruolo di razionalizzazione dei flussi di finanziamento da parte del governo centrale delle politiche sociali), mentre le amministrazioni comunali si sono fatte carico del restante 3%. I nuclei familiari inseriti nella sperimentazione sono stati poco meno di 25.600, di cui circa 23.300 nel Sud e nelle isole. I beneficiari del RMI ammontano invece a poco meno di 86.000 individui, pari a circa il 3,6% della popolazione residente nei 39 comuni oggetto della sperimentazione iniziale. Sotto il profilo socio-demografico, il nuovo istituto ha interessato principalmente le famiglie numerose (con almeno due figli minori) e con disabili; minore è invece la presenza di coppie senza figli e di nuclei con un solo componente. Estremamente ridotta è anche la quota di beneficiari anziani, essendo questi ultimi già destinatari di altri trasferimenti meno selettivi del RMI. Per quanto concerne i programmi di inserimento, la tipologia più ricorrente 26 La scala di equivalenza implicita traduce, in termini di differenze monetarie, l’insieme delle caratteristiche diverse dal reddito (numero di figli a carico, assenza di uno dei due genitori, presenza di inabili, ecc.) a cui il sistema degli assegni familiari dà implicitamente rilievo nel determinare il beneficio da erogare alle diverse tipologie familiari. Per una stima recente delle scale di equivalenza implicite nell’ANF cfr. Ricci (2000). 27 Cfr. Commissione di indagine sull’esclusione sociale (2002). 18 è costituita dai programmi di integrazione socio-relazionale, seguita dalle attività di cura e sostegno intra-familiare; bassa, e concentrata nei comuni del Nord, è invece la quota di programmi di tipo occupazionale. Sebbene quest’ultimo dato segnali la limitata efficacia del RMI nel determinare nuova occupazione, le testimonianze degli operatori sottolineano che l’inserimento di soggetti svantaggiati in un percorso di promozione sociale ha comunque innescato una spirale virtuosa in termini di motivazione alla ricerca di una occupazione, recupero di dignità ed autostima28. La sperimentazione del RMI pone una serie di delicati interrogativi, a cui dovrà essere data risposta prima della sua messa a regime. Essi concernono principalmente il finanziamento dell’istituto, la definizione dei criteri di accesso ed il rigore nei controlli, la qualità dei programmi di inserimento. Per quanto riguarda il finanziamento, è decisivo che la determinazione delle risorse necessarie per attivare l’istituto venga stabilita a livello di governo centrale: nel caso questa fosse sottoposta ai vincoli di bilancio dell’amministrazione locale, il contenuto innovativo ne risulterebbe ridimensionato. Le stime degli istituti di valutazione indicano in 2,4-3,1 miliardi di euro (4.600-6.000 miliardi di lire) il costo annuo della messa a regime del RMI. La cifra non tiene conto dei risparmi di spesa (310-413 milioni di euro, pari a circa 600-800 miliardi di lire) che potrebbero derivare dalla soppressione di precedenti istituti di minimo vitale, erogati perlopiù nei comuni del Nord e del Centro. Per quanto riguarda la definizione dei criteri di accesso ed il rigore nei controlli, è indispensabile che i margini di discrezionalità di cui si sono avvalsi finora gli enti erogatori siano tenuti sotto stretto controllo al fine di impedire l’insorgere di forme di iniquità nell’accesso ad un istituto che si vuole universale. La sperimentazione ha infatti evidenziato un’accentuata disomogeneità tra comuni nell’attività di verifica dei mezzi economici (deroghe al previsto divieto di possesso di patrimoni mobiliari, trattamento del lavoro sommerso), nella scelta dei tempi con cui procedere alla verifica medesima e nella formalizzazione di accordi di collaborazione istituzionale (con Guardia di Finanza, INPS e INAIL) a fini di controllo della veridicità delle dichiarazioni rese. Per quanto riguarda, infine, la qualità dei programmi di inserimento, appare cruciale che si ponga costante attenzione alla loro definizione, che dovrà essere personalizzata e resa coerente con i bisogni rilevati, e al rafforzamento dei rapporti tra i diversi attori istituzionali, in modo da evitare rischi di delegittimazione dell’istituto e incentivazione di comportamenti opportunistici da parte dei singoli beneficiari. Il completamento dell’iter normativo dell’ISE è stato lento e faticoso. Iniziato alla fine del 1997, l’iter si è concluso sostanzialmente nella primavera del 2001 e le applicazioni più significative potranno realizzarsi solo a partire dall’anno in corso. Le principali indicazioni che sembrano emergere dalle primissime applicazioni locali, in termini dell’impatto esercitato sull’utenza e sugli stessi enti erogatori, appaiono le seguenti29: i) buona parte dei comuni si sono avvalsi della facoltà, inizialmente concessa dal decreto istitutivo, di prevedere modalità di valutazione differenziate rispetto alla disciplina standard (relativamente alla determinazione dell’unità familiare di riferimento e alla valutazione del patrimonio), dimostrando di prediligere consistenti margini di discrezionalità nell’applicazione della riforma ma, allo stesso tempo, rischiando di compromettere l’obiettivo di fondo della stessa, l’uniformità e l’equità dei criteri di selezione; ii) l’inclusione del patrimonio nell’ISE sembra assolvere a quella funzione di graduazione della situazione economica tra soggetti diversi, attribuitagli dalla riforma, avvicinando in alcuni casi le posizioni di categorie di contribuenti che 28 La positività dei percorsi avviati con la sperimentazione è attestata anche da altri eventi (rientri da morosità e arretrati di pagamento di affitti o utenze, sensibile diminuzione dei fenomeni di micro-criminalità in alcuni grandi comuni del Sud - Foggia, Napoli, Reggio Calabria - inseriti nella sperimentazione, presa in carico di persone senza dimora). 29 Cfr. Commissione tecnica per la spesa pubblica (2001a), Ministero del lavoro e delle politiche sociali (2002). 19 tradizionalmente presentano un differente grado di attendibilità in sede di dichiarazione fiscale del reddito; iii) ragionevoli dubbi sull’esito positivo della riforma derivano dall’estensione dell’ISE a talune prestazioni per le quali si sono registrati preoccupanti prese di distanza dalla normativa quadro e il rischio di una proliferazione di «riccometri»; iv) l’attività di controllo risulta il principale tallone d’Achille della riforma: i riscontri si limitano infatti alla mera verifica della composizione del nucleo familiare, mentre nessun accertamento viene effettuato sulle dichiarazioni reddituali e patrimoniali dei richiedenti le prestazioni sociali, anche in considerazione dell’inadeguatezza degli strumenti al momento disponibili. Decisivo, ai fini del positivo esito della sperimentazione, sarà concentrare l’attenzione sulle procedure di controllo, prevedendo indicazioni da parte del governo centrale sulle modalità più efficaci con cui operare le verifiche da parte della Guardia di Finanza. Al di là delle prime indicazioni sulla sperimentazione, va comunque rimarcato che l’ISE non si applica ai grandi istituti di spesa nazionale (assegno al nucleo familiare, integrazioni al minimo delle pensioni, trattamenti di invalidità civile, pensione e assegno sociale), il cui peso sul totale delle risorse erogate a fini assistenziali è assolutamente prevalente. Il naturale coordinamento dei vari tronconi della riforma suggerirebbe di procedere, con gradualità ma senza incertezze, all’estensione dell’ISE a tali istituti. Come è stato autorevolmente osservato, la politica di riforme perseguita nell’ultimo quadriennio non sembra aver risolto alcuni dilemmi difficilmente eludibili per un coerente ridisegno delle politiche familiari30. Il primo dilemma a che fare con il peso relativo da assegnare agli istituti universali di sostegno delle responsabilità familiari in senso stretto, rispetto ai programmi di contrasto della povertà. Il sostegno delle responsabilità familiari è principalmente soddisfatto, nell’attuale ordinamento, dalle detrazioni IRPEF per carichi di famiglia e in parte dall’assegno al nucleo familiare. Il secondo dilemma riguarda la decisione se gli istituti a sostegno delle responsabilità familiari debbano essere offerti con modalità universali, non dipendenti dalla verifica della condizione economica, o selettive. Attualmente, operano sistemi di selettività diversi e contrastanti tra loro: a svantaggio dei redditi medio-alti per i lavoratori dipendenti e di ogni livello di reddito per i lavoratori autonomi nel caso dell’assegno al nucleo familiare, a svantaggio dei redditi più bassi (perché esenti d’imposta o caratterizzati da un’IRPEF lorda non capiente) nel caso delle detrazioni fiscali. Anche ponendo rimedio a tali incongruenze, rimane il quesito se sia preferibile, soprattutto in presenza di stringenti vincoli di bilancio, limitare la fruibilità di detrazioni e assegni per il nucleo, una volta superate certe soglie di benessere economico, o di estenderla a tutti indistintamente. Il terzo dilemma ha a che fare con il canale, fiscale o di spesa, da privilegiare nella realizzazione dei trasferimenti monetari. La detrazione fiscale è uno strumento ritenuto più efficiente dei sussidi poiché può utilizzare un canale, quello fiscale appunto, la cui amministrazione è maggiormente consolidata. In mancanza di meccanismi di imposta negativa, ossia di strumenti redistributivi integrati tax-benefit presenti in altre realtà (ad esempio Stati Uniti, Regno Unito e Canada) ma assenti in quella italiana, il ricorso al canale fiscale ha però l’inconveniente di raggiungere solo i contribuenti “capienti”, escludendo quelli il cui debito d’imposta è nullo o insufficiente a godere pienamente dello sgravio fiscale. Va inoltre ricordato che, in un sistema di tassazione personale in cui l’unità impositiva è l’individuo e non il nucleo familiare, il soddisfacimento di obiettivi di equità (verticale e 30 Cfr. Commissione d’indagine sull’esclusione sociale (2002). 20 orizzontale) tra nuclei di diversa composizione e numerosità è di più complessa realizzazione31. Quali risposte ha implicitamente dato il legislatore ai quesiti sopra citati? Una possibile indicazione degli orientamenti seguiti può essere desunta da alcune stime effettuate dalla Commissione d’indagine sull’esclusione sociale, a partire dalle statistiche ufficiali ed integrate da informazioni derivate da modelli di microsimulazione, dell’ordine di grandezza dei principali interventi, sia sul lato delle uscite, sia su quello delle spese fiscali, che hanno natura di trasferimento di monetario a favore delle famiglie. La Tab. 7 fornisce un quadro abbastanza eloquente dei passi compiuti dal 1996 al 2000. Tab. 7. Spesa e fonti di finanziamento delle principali politiche familiari 1996-2000 (milioni di euro) Uscite Assegno al nucleo familiare di cui a nuclei di pensionati Detrazioni IRPEF per carichi familiari di cui per il coniuge Assegno alle famiglie con almeno tre minori Assegno di maternità Reddito minimo di inserimento Entrate Contributi sociali per assegni familiari Imposte (a carico del bilancio dello stato) In % del PIL Anno 1996 1 7.075 3.357 3.718 0 0 0 7.075 3.615 3.460 0,7 Anno 2000 2 12.137 4.907 1.033 6.714 3.357 310 114 93 12.137 4.132 8.005 1,1 Variazione 3=2–1 5.062 1.550 2.996 310 114 93 5.062 517 4.545 0,4 Fonte: Commissione di indagine sull’esclusione sociale (2002), p. 82. Nell’anno iniziale preso a riferimento (1996) la spesa per le politiche familiari, in quell’anno pari alla somma della spesa per l’assegno al nucleo familiare (ANF) e per detrazioni IRPEF per carichi familiari, ammontava a circa 7.075 milioni di euro (13.700 miliardi di lire), di cui metà relativa all’ANF e l’altra metà destinata alle detrazioni fiscali per carichi familiari. Nel 2000 le somme impiegate per programmi di questo tipo hanno raggiunto i 12.137 milioni di euro (23.500 miliardi di lire). L’incremento della spesa è stato quindi considerevole, quanto meno in valori assoluti. Nel periodo in esame sono anche comparsi nuovi programmi di spesa (A3F, AM, RMI). Il fronte più rilevante degli impegni di spesa non è tuttavia rappresentato dai nuovi istituti, bensì da quelli preesistenti e tra questi, in particolare, dalle detrazioni fiscali per carichi familiari. Queste ultime sono infatti aumentate di 2.996 milioni di euro (5.800 miliardi di lire), mentre l’incremento degli assegni al nucleo familiare si è attestato sui 4.907 milioni (3.000 miliardi di lire). Importi decisamente superiori rispetto a quanto stanziato per i nuovi istituti (A3F, AM e RMI), pari a circa 520 milioni di euro (1.000 miliardi di lire). Sebbene non sia possibile distinguere chiaramente la parte destinata al sostegno delle responsabilità familiari in senso stretto da quella rivolta al contrasto della povertà, l’orientamento seguito dal 31 Si consideri, ad esempio, l’aumento a 516 euro della detrazione per figli e altri familiari a carico introdotto dalla Finanziaria per il 2002 (si veda di nuovo la tabella 6). Le modalità che regolano la nuova struttura delle detrazioni impedisce una corretta applicazione della detrazione a livello familiare. Il limite di reddito di 36.152 euro (progressivamente aumentato per ciascun figlio successivo al primo) è infatti valutato con riferimento a ciascuno dei coniugi ed è destinato a produrre effetti poco coerenti rispetto all’imponibile familiare. Un nucleo familiare con un reddito di 71.788 euro equidistribuito tra due coniugi percettori può godere per un figlio a carico della nuova e più alta detrazione di 516 euro, mentre un nucleo monoreddito che abbia un reddito complessivo di 36.668 euro ha diritto alla vecchia detrazione di 304 euro. 21 legislatore sembra quanto meno discutibile. L’aumento della spesa per l’ANF significa infatti rafforzare un istituto incoerente con un’impostazione universale, a causa del suo carattere categoriale. L’incremento delle detrazioni fiscali per carichi di famiglia rappresenta invece un sostegno delle responsabilità familiari tendenzialmente universale, se non fosse per il problema della incapienza, fenomeno che penalizza i contribuenti più poveri e che si acuisce ogni qualvolta si procede ad un incremento delle detrazioni medesime32. I dati per il 2001 relativi al peso e alle performance dei nuovi programmi di spesa, inclusi quelli relativi al contributo affitti e alla fornitura dei libri di testo scolastici, sono riportati nella Tab. 8. Le informazioni, di fonte INPS, sono state elaborate dal Gruppo di studio incaricato del monitoraggio degli interventi di politica occupazionale e del lavoro, presso il Ministero del Lavoro e delle politiche sociali33. Tab. 8. Spesa per programmi di spesa sociale di recente introduzione – competenza 2001 (milioni di euro) Assegno alle famiglie con almeno tre minori (a) Assegno di maternità (a) Reddito minimo di inserimento (b) Contributo affitti (b) Fornitura libri di testo (b) Totale Anno 2001 104,9 116,0 181,0 335,7 103,3 840,9 (a): ammontare complessivo erogato dall’INPS con riferimento all’anno in cui è stato maturato il diritto alla prestazione e non a quello in cui si è effettuato il pagamento. (b) ammontare stanziato nella Finanziaria per il 2002. Fonte: Ministero del lavoro e delle politiche sociali (2002), pp. 60, 105. Dalla tabella si nota come, tra quelle analizzate, la politica con lo stanziamento maggiore è quella relativa ai contributi integrativi per il pagamento dei canoni di locazione (contributo affitti), per un valore di circa 336 milioni di euro (650 miliardi di lire). La Finanziaria per il 2002 ha peraltro ridotto le risorse assegnate a tale programma di spesa a circa 249 milioni di euro (482 miliardi di lire). Tali cifre sottostimano però l’ammontare complessivamente speso, essendo possibili integrazioni a livello locale (comuni, regioni). La facoltà di articolare a tale livello anche i requisiti di ammissibilità e l’importo del beneficio rende difficile un’analisi complessiva di questo istituto. Per quanto riguarda gli assegni alle famiglie con almeno tre minori e di maternità i dati riportati in tabella sono relativi alle somme effettivamente erogate dall’INPS nell’anno in cui è maturato il diritto al beneficio e non a quello in cui si è effettuato il pagamento. Questo spiega l’apparente flessione nel 2001 della spesa per l’assegno alle famiglie con almeno tre minori, scesa da 310 milioni di euro nel 2000 a 104,9 milioni nel 2001. La ripartizione regionale della spesa dei nuovi programmi di spesa (escluso il RMI, la cui sperimentazione è concentrata in un numero molto circoscritto di comuni) mostra una distribuzione non uniforme sul territorio nazionale. Quattro regioni meridionali, Campania, Sicilia, Puglia e Calabria, assorbono da sole il 75 e il 63% circa, rispettivamente, della spesa complessiva per l’assegno alle famiglie con almeno tre minori e per l’assegno di maternità. La concentrazione delle risorse al Sud non è sorprendente, considerati i più elevati tassi di povertà economica del Mezzogiorno e i rigidi criteri di selettività a cui è subordinata 32 Secondo stime recenti, se l’impianto delle attuali detrazioni fiscali per carichi familiari fosse esteso anche ai soggetti non capienti, secondo un meccanismo di imposta negativa, dovrebbero essere erogate risorse per circa un miliardo di euro. Cfr. Commissione tecnica per la spesa pubblica (2001b). 33 Cfr. Ministero del lavoro e delle politiche sociali (2002). 22 l’erogazione dei due benefici. Correlata al problema dell’emergenza abitativa in alcune regioni del Nord e del Centro appare invece la concentrazione della spesa per contributi integrativi per il pagamento dei canoni di locazione. Percentuali elevate si registrano in Lombardia (che assorbe il 16% del Fondo), nel Lazio (10%), in Emilia Romagna (8%), in Piemonte e in Toscana (6%). La regione che assorbe la quota relativa più ampia del Fondo è peraltro ancora una del Sud, la Campania, con il 20%. In aggiunta al proseguimento dei programmi di spesa di nuova istituzione, e al già ricordato aumento delle detrazioni fiscali per carichi di famiglia, le leggi finanziarie per il 2001 e per il 2002 hanno introdotto incrementi dei trattamenti integrati al minimo e di quelli con caratteristiche assistenziali, graduati in funzione dell’età. L’operazione si colloca nel solco delle politiche perequative a favore degli anziani e di maggiore attenzione verso gli importi pensionistici più ridotti, perseguite nell’ultimo biennio, prima dal governo Amato e poi da quello Berlusconi. Ragioni di opportunità politica e di urgenza nel porre parziale rimedio al problema dei contribuenti “incapienti” giustificano in parte l’operazione. Tali provvedimenti, e in particolare l’aumento delle pensioni minime, appaiono tuttavia criticabili da più punti di vista: in primo luogo, perché violano il principio dell’equità attuariale posto dalla riforma Dini a fondamento dei criteri di determinazione dei trattamenti corrispondenti a diverse età di pensionamento; in secondo luogo, perché, in assenza di una revisione del sistema di verifica della condizione economica che ne disciplinino più equamente l’erogazione, rischiano di esercitare effetti redistributivi mediocri; in terzo luogo perché lasciano aperti problemi di disegno complessivo del sistema. L’insoddisfazione, da più parti denunciata, per la coesistenza di una pluralità di istituti disegnati in maniera scarsamente coerente suggerirebbe viceversa un generale riordino dei trasferimenti monetari, che coinvolga l’assegno al nucleo familiare e il reddito minimo d’inserimento, che sperimenti forme di integrazione tax-benefit con lo strumento delle detrazioni fiscali per familiari a carico e realizzi una più chiara distinzione degli obiettivi di contrasto della povertà e di sostegno delle responsabilità familiari34. 4. Il DPEF 2003-2006 e la manovra finanziaria per il 2003 Il nuovo Documento di Programmazione economico-finanziario 2003-2006 non aiuta a fare chiarezza sugli obiettivi programmatici e sulle risorse finanziarie che il governo in carica intende impegnare nel prossimo triennio per le politiche familiari. Pur prestando un tributo rituale alla famiglia, in quanto “nucleo fondamentale della società”, il paragrafo sulla politica sociale del DPEF appare vago e lacunoso sulle scelte di politica di bilancio che il governo compirà con la Finanziaria per il 2003. L’impressione è che si sia in presenza di un semplice elenco di temi che compongono da anni l’agenda sulla spesa sociale35. L’unico 34 Cfr. ad esempio Commissione tecnica per la spesa pubblica (2000, 2001b) e De Vincenti (2001). Per una proposta organica di riforma delle politiche assistenziali e dei programmi di assicurazione sul mercato del lavoro, cfr. anche Boeri, Perotti (2002). 35 Le finalità del governo, si legge nel DPEF, riguardano “la promozione di interventi diretti alla realizzazione di prestazioni sociali uniformi su tutto il territorio nazionale in materia di diritti dell’infanzia e dell’adolescenza; il sostegno ai progetti sperimentali attivati dalle Regioni ed Enti locali; l’attuazione di nuove misure di contrasto della povertà, la promozione di azioni concertate promosse da enti ed associazioni operanti nei settori del volontariato e del no profit”. Ci si propone inoltre di “valorizzare e sostenere le responsabilità familiari, rafforzare i diritti dei minori; adottare misure che sostengono il servizio domiciliare per le persone non autosufficienti, in particolare gli anziani e le disabilità gravi; favorire l’integrazione sociale e i diritti delle persone disabili e incentivare la definizione di programmi annuali e pluriennali che disciplinano le politiche sociali”. Nell’ambito delle compatibilità di finanza pubblica, si legge infine, il governo intende “almeno consolidare le risorse destinate alle attività indicate dal Piano nazionale degli interventi e dei servizi sociali, al 23 provvedimento rilevante contenuto in Finanziaria consiste, all’articolo 28, nell’unificazione delle risorse stanziate dal Fondo nazionale per le politiche sociali, che saranno trasferite alle Regioni non più in maniera finalizzata per ciascuna voce di intervento ma in modo indistinto. Gli altri interventi (a tutela dell’infanzia, degli anziani non autosufficienti, ecc.) restano materia di confronto parlamentare, ma al di fuori della sessione di bilancio. Non resta quindi che attendere la pubblicazione, annunciata dal ministro competente per Natale 2002, del libro bianco sulle politiche sociali, che dovrebbe contenere una ricognizione complessiva del sistema e un’analisi della spesa corrente e della sua riqualificazione. Prime, scarne indicazioni degli orientamenti che il governo intende seguire relativamente alla messa a regime del reddito minimo d’inserimento sono contenute nel Patto per l’Italia, siglato nel luglio 2002 e sottoscritto dal Governo, da associazioni sindacali (esclusa la CGIL) e da organizzazioni imprenditoriali e di categoria. Secondo il Patto per l’Italia, il RMI non verrebbe generalizzato a livello nazionale, così come previsto dalla legge 328/2000 (art. 27), bensì ridefinito a livello locale, in relazione alla presunta “impraticabilità di individuare attraverso la legge dello Stato soggetti aventi diritto ad entrare in questa rete di sicurezza sociale”. Il governo ritiene “perciò preferibile realizzare il cofinanziamento, con una quota delle risorse del Fondo per le politiche sociali, di programmi regionali, approvati dall’amministrazione centrale, finalizzati a garantire un reddito essenziale ai cittadini non assistiti da altre misure di integrazione del reddito”. L’amministrazione centrale si limiterebbe ad una funzione “di coordinamento e di controllo sull’andamento e sui risultati dei programmi medesimi”. Il Patto non esclude peraltro una “eventuale prosecuzione dell’esperimento … [che] dovrà essere coerente con le finalità sopra descritte e con gli obiettivi di contrasto dell’economia sommersa”. Venendo meno il carattere nazionale, è alto il rischio, a nostro parere, che una messa a regime del RMI su base regionale risulti inefficace nel perseguimento degli obiettivi che erano stati assegnati all’istituto e che persista l’attuale disomogeneità territoriale nell’assistenza monetaria di ultima istanza, là dove oggi prevista dalle singole amministrazioni locali. Negativo sarebbe anche un ulteriore prolungamento della sperimentazione per le incertezze che questo provocherebbe nei già delicati rapporti esistenti tra i vari attori coinvolti – governo centrale, amministrazioni locali, operatori sociali sia pubblici sia privati, beneficiari del sussidio - (Saraceno 2002). Con il Patto per l’Italia, l’esecutivo si è anche impegnato a introdurre alcune significative modifiche della tassazione personale del reddito. Tali modifiche si preannunciano come la prima tranche della riforma prevista dal disegno di legge delega tuttora in discussione in Parlamento, una riforma radicale, da attuarsi nell’arco dell’intera legislatura, e che porterebbe all’introduzione di un nuovo tipo di imposta sul reddito, l’IRE, in sostituzione dell’IRPEF. Il modello teorico di riferimento della riforma, verso cui tenderebbe il sistema, è il modello di tassazione flat-rate, basato su una o al massimo due aliquote marginali (la riforma ne prevede due, una al 23% fino a 100.000 euro, l’altra al 33% oltre i 100.000 euro) e un sistema di deduzioni dalla base imponibile necessario a garantire progressività all’imposta e a tenere conto di altre caratteristiche economiche del contribuente (condizioni familiari, spese meritorie, ecc.). Sebbene la delega non chiarisca in modo esauriente alcuni elementi del nuovo sistema a regime (struttura delle deduzioni, minimo esente, ecc.), peraltro cruciali per individuarne in modo chiaro gli obiettivi e gli effetti, prime valutazioni operate da alcuni centri di ricerca mettono in evidenza come la riforma dell’IRPEF che si intende attuare entro il 2006 produrrà effetti sperequati sulla distribuzione livello del 2002, prevedendo comunque la possibilità di integrare il Fondo nazionale per le politiche sociali per ulteriori iniziative a sostegno delle attività sociali”. 24 del reddito delle famiglie e sgravi d’imposta concentrati soprattutto a favore del 10% più ricco delle famiglie (Baldini, Bosi 2002a). La nuova struttura dell’IRPEF prevista dalla manovra finanziaria per il 2003 appare coerente con il disegno di riforma complessivo e produrrà nel prossimo anno una riduzione di gettito stimata in 5,5 miliardi di euro, da ottenersi attraverso il ridisegno della scala delle aliquote, la trasformazione delle attuali detrazioni d’imposta a favore dei redditi di lavoro in deduzioni dalla base imponibile e l’estensione dell’area di esenzione. La struttura delle aliquote resterebbe quella tradizionale, imperniata su cinque aliquote, ma con alcune variazioni concentrate nella parte iniziale della scala. In particolare, le due aliquote vigenti, del 18% (fino a 10.000 euro circa) e del 23% (fino a 15.000 euro circa) verrebbero rimpiazzate da un’aliquota unica del 23%, relativa ai redditi fino a 15.000 euro. Verrebbero invece creati due scaglioni, al 29 e al 31%, per i redditi compresi, rispettivamente, tra i 15.000 e i 29.000 euro e tra i 29.000 e i 32.600 euro, in sostituzione della vecchia aliquota del 32%. Rimarrebbero invece sostanzialmente invariati i due scaglioni più elevati, quello da 32.600 a 70.000 euro (aliquota del 39%) e quello oltre i 70.000 euro (aliquota del 45%) (cfr. Tab. 9). A ogni contribuente sarebbe concessa una deduzione dalla base imponibile pari a 3.000 euro, incrementata di 4.500 euro se lavoratore dipendente, 4.000 se pensionati o 1.500 se lavoratore autonomo. La deduzione verrebbe erogata in modo decrescente al crescere del reddito e si annullerebbe per valori di imponibile intorno ai 30.000 euro, coerentemente all’obiettivo di concentrare gli sgravi sui redditi compresi tra 0 e 25.000 euro. L’effetto degli sgravi sarebbe di esentare dall’imposta i redditi da lavoro dipendente non superiori a 7.500 euro, quelli da pensione fino a 7.000 euro e quelli da lavoro autonomo fino a 4.500 euro. Rimarrebbero invece inalterate le detrazioni per carichi di famiglia e gli oneri detraibili per spese meritorie. Tab.9. la scala delle aliquote marginali dell’IRPEF nel 2002 e nel disegno di legge finanziaria 2003 IRPEF 2002 IRPEF Disegno di Legge finanziaria 2003 Scaglioni di reddito (in euro) Aliquota marginale* Scaglioni di reddito (in euro) Aliquota marginale* Fino a 10.329,14 18% Fino a 15.000 23% Da 10.329,14 a 15.493,71 24% Da 15.000 a 29.000 29% Da 15.493,71 a 30.987,41 32% Da 29.000 a 32.600 31% Da 30.987,41 a 69.721,68 39% Da 32.600 a 70.000 39% Oltre 69.721,68 45% Oltre 70.000 45% (*) I valori delle aliquote marginali non includono la quota dello 0,9% a favore delle Regioni. Stime dell’impatto sul gettito e sulla distribuzione personale del reddito indicano che le modifiche apportate all’IRPEF produrrebbero una perdita di circa 6,1 miliardi di euro, coerente con le previsioni del governo, e una lievissima riduzione nella disuguaglianza dei redditi familiari disponibili equivalenti: l’indice di Gini36 si ridurrebbe di poco meno di un decimo di punto, passando dal 34,03 allo 33,95% (Baldini 2002; Baldini, Bosi 2002b). L’analisi della distribuzione per decili degli sgravi fiscali mostra tuttavia che al 20% più povero delle famiglie, buona parte delle quali sono già oggi di fatto esentate dall’IRPEF, 36 L’indice di Gini è il più noto indicatore impiegato nelle analisi distributive e serve a quantificare il livello della disuguaglianza di una distribuzione. Esso assume valori compresi tra zero (valore minimo) e uno (valore massimo) ovvero, in termini percentuali, tra 0 (perfetta eguaglianza) e 100 (massima disuguaglianza). 25 andrebbero guadagni pressoché trascurabili (inferiori all’1%) e che l’incremento percentualmente più sensibile del reddito disponibile, nell’ordine di un punto e mezzo percentuale circa, si avrebbe per le famiglie che occupano i decili mediani, dal quarto al settimo (cfr. Tab. 10). Tab.10. Effetti delle modifiche dell’IRPEF nel 2003 sulla distribuzione dei redditi familiari disponibili equivalenti* Decili di famiglie 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 Media Aliquota media sul reddito imponibile IRPEF 2002 Aliquota media sul reddito imponibile IRPEF 2003 1 3,1% 6,2% 10,6% 12,8% 13,9% 16,1% 17,3% 19,1% 21,7% 31,0% 19,9% 2 2,9% 5,3% 9,2% 11,4% 12,5% 14,7% 15,9% 17,9% 20,6% 30,4% 18,9% Variazione Variazione del Distribuzione dell’aliquota reddito % della media in % del disponibile riduzione del reddito equivalente gettito totale imponibile rispetto al familiare gettito 2002 3=1–2 -0,2% 0,11% 0,4% -0,9% 0,65% 3,9% -1,3% 1,19% 7,4% -1,3% 1,32% 8,8% -1,4% 1,28% 10,5% -1,3% 1,27% 12,0% -1,4% 1,32% 13,9% -1,2% 1,20% 15,0% -1,0% 1,00% 15,0% -0,5% 0,48% 13,3% -1,0% 0,95% (*) scala di equivalenza ISE. Fonte: Baldini (2002). In termini assoluti, circa il 70% dell’ammontare complessivamente restituito alle famiglie andrebbe a favore degli ultimi cinque decili, dal sesto al decimo, ossia la metà più ricca della popolazione (ultima colonna della tab. 10). Anche una tappa intermedia del processo di riforma dell’IRPEF che voglia privilegiare i redditi medio-bassi, quindi, è verosimile che finisca per destinare una quota ingente della riduzione d’imposta alla fascia più ricca della distribuzione. 26 Riferimenti bibliografici Baldini, M., 2002 Gli effetti distributivi della manovra sull’Irpef per il 2003, in Prometeia, Rapporto di previsione, Settembre 2003. 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