Trattamento fiscale e trasferimenti monetari a favore delle famiglie in

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Trattamento fiscale e trasferimenti monetari a favore delle famiglie in
CAPP, Centro di Analisi delle Politiche Pubbliche
www.capp.unimo.it
Trattamento fiscale e trasferimenti monetari a favore delle famiglie:
analisi del quinquennio 1998-2002 e possibili sviluppi
alla luce del DPEF per il 2003-2006
Stefano Toso
30 Settembre 2002
Trattamento fiscale e trasferimenti monetari a favore delle famiglie:
analisi del quinquennio 1998-2002 e possibili sviluppi
alla luce del DPEF per il 2003-2006#
Stefano Toso*
30 Settembre 2002
1. Premessa e sintesi del lavoro
E’ opinione diffusa che le politiche a sostegno delle responsabilità familiari in Italia
siano insufficienti. Il giudizio negativo, confortato da numerosi confronti internazionali,
riguarda sia il lato del prelievo fiscale sia quello dei trasferimenti. Con riferimento al lato dei
trasferimenti, l’anomalia italiana emerge non appena si considerano il livello e la
composizione delle risorse impegnate in relazione al totale della spesa per la protezione
sociale. Ad un’incidenza sul Pil della spesa complessiva inferiore alla media europea si
accompagna un peso elevato delle prestazioni pensionistiche per vecchiaia e reversibilità.
Dati di fonte Eurostat, relativi al 1998, mostrano come l’incidenza della spesa totale
per la protezione sociale in Italia sia inferiore, di circa due punti e mezzo, alla media europea:
il 25,2% contro il 27,7% del Pil (cfr. Tab. 1). Rispetto al dato complessivo, assume rilievo la
ripartizione della spesa, essendo questa assorbita in modo preponderante dalla componente
previdenziale, destinata alle generazioni più anziane. Anche depurando i dati nazionali da
specifici fattori demografici od economici, legati alla struttura per età della popolazione o al
livello del reddito nazionale, le prestazioni per trattamenti di vecchiaia, anzianità e
reversibilità in Italia rappresentano il 64% della spesa totale, a fronte di una media europea
del 45,7%. Lo sbilanciamento generazionale, a sfavore delle coorti più giovani, è anche
attestato dalle limitate risorse rivolte al sostegno dei carichi familiari in senso stretto (il 4%
contro l’8% europeo) e a quelle poco più che trascurabili riservate al sostegno della
disoccupazione e alla lotta alla povertà (3%), se paragonate di nuovo alla media dei 15 paesi
(11%).
Le peculiarità della spesa sociale italiana, condivise dagli altri sistemi di welfare
dell’Europa meridionale, trovano riscontro a livello di impatto distributivo. Il 73% dei
cittadini residenti nell’Unione europea percepisce almeno un trasferimento in moneta, una
percentuale che scende a livelli compresi tra il 51 e il 58% in Grecia, Spagna e Italia (i valori
più bassi in assoluto). Il rapporto si inverte, tuttavia, non appena si considerano i percettori di
soli trattamenti pensionistici a fini di vecchiaia: rispetto a una percentuale media europea del
30%, le quote di beneficiari sul totale della popolazione nei paesi dell’area mediterranea
oscillano tra il 34% della Spagna e il 40% dell’Italia (la Grecia si colloca in una posizione
intermedia, al 39%). Se si escludono dal computo dei benefici le pensioni di vecchiaia e
reversibilità e si considerano le restanti prestazioni in moneta, a qualunque titolo erogato,
l’Italia, la Grecia e il Portogallo sono i paesi europei la cui spesa sociale ha la minore efficacia
#
Studio svolto su incarico della Provincia Autonoma di Bolzano - Alto Adige.
Dipartimento di Scienze Economiche, Università di Bologna e CAPP (www.capp.unimo.it). Email:
[email protected], tel.: 051 2092645. Questo lavoro attinge in larga parte da ricerche svolte in collaborazione
con M. Baldini, P. Bosi, A. Francalanci, M. Matteuzzi e C. Mazzaferro, che ringrazio.
*
1
nell’azione di contrasto della povertà. Basti ricordare, con riferimento all’Italia, che l’indice di
diffusione (percentuale di individui poveri sul totale della popolazione) si riduce grazie ai
trasferimenti non pensionistici di soli tre punti percentuali assoluti (dal 22 al 19%), contro una
riduzione media, a livello di Unione europea (EU-15), di circa 9 punti (dal 26 al 17%) (cfr.
Tab. 2) . Il fatto di presentare un tasso di povertà dopo i trasferimenti solo di poco superiore al
dato medio europeo (19% contro 17%) è quindi più dovuto alla minore diffusione della
povertà prima dei trasferimenti (22% contro una media europea del 26%) che non all’azione
perequativa di questi ultimi. A conferma dell’insoddisfacente performance redistributiva dei
trasferimenti non pensionistici in senso stretto, va ricordato che, ancora di recente e per
frazioni non trascurabili della popolazione, la spesa italiana si ripartiva in modo crescente
all’aumentare del reddito familiare, in evidente contrasto con i più elementari principi di
equità verticale (Eurostat 1999)1.
Tab.1. Spesa totale per prestazioni sociali (% sul Pil) e sua composizione percentuale per funzioni
nei paesi dell’Unione Europea nel 1998
Austria
Belgio
Danimarca
Finlandia
Francia
Germania
Grecia
Irlanda
Italia
Lussemburgo
Olanda
Portogallo
Regno Unito
Spagna
Svezia
Ue (15)
Spesa
totale/Pil
Vecchiaia e
superstiti
28,4
27,5
30,0
27,2
30,5
29,3
24,5
16,1
25,2
24,1
28,5
23,4
26,8
21,6
33,3
27,7
48
43
38
34
44
42
53
25
64
44
41
43
44
46
39
46
Invalidità,
Famiglia
malattia e
e figli
cure sanitarie
35
10
33
9
31
13
37
13
34
10
36
10
30
8
41
13
30
4
37
14
40
5
46
5
37
9
37
2
35
11
35
8
Disoccupazione
5
13
12
12
8
9
5
15
3
4
7
5
4
13
9
7
Abitazione e
esclusione
sociale
1
3
6
4
5
3
4
5
0
1
7
2
7
1
5
4
Fonte: European Commission (2001), p. 122.
Tab.2. Percentuale della popolazione nei paesi dell’Unione europea con reddito inferiore
al 60% del reddito mediano, prima e dopo i trasferimenti pubblici*, 1996
EU-15 AU BE DA FI
FR
GE
GR
IR
IT
LU OL PO RU
SP
SV
Prima dei
trasferimenti
26
24
28
30
..
27
23
23
33
22
24
24
27
32
26
..
Dopo i
trasferimenti
17
13
17
11
..
16
16
21
18
19
12
12
22
19
18
14
(*): escluse le pensioni di vecchiaia e reversibilità.
Fonte: European Commission (2001), p. 97.
1
Per ulteriori analisi dell’impatto distributivo della spesa sociale in Italia cfr., da ultimo, Baldini et al. (2002) e
O’Donoghue et al. (2002).
2
Nonostante il quadro poco incoraggiante offerto dai dati, è opportuno procedere con
cautela. In primo luogo le politiche a sostegno delle responsabilità familiari sono così di
frequente associate ad interventi di sostegno dei redditi bassi che risulta difficile separare, in
concreto, i molteplici obiettivi (equità orizzontale, equità verticale, incentivo demografico)
svolte dagli istituti che comportano un’erogazione monetaria a favore delle famiglie (Franco,
Sartor 1994). In secondo luogo le politiche familiari sono spesso attuate con strumenti diversi
dai sussidi, ovvero con prestazioni in natura, come ad esempio i servizi per asilo nido,
l’assistenza agli anziani non autosufficienti, e così via. In terzo luogo, nel fare il punto sulle
politiche familiari in Italia, non può essere taciuto lo sforzo finanziario messo in atto negli
ultimi anni, sforzo finanziario a cui hanno fatto da bussola le proposte della Commissione per
l’analisi delle compatibilità macroeconomiche della spesa sociale (1997), meglio nota come
Commissione Onofri.
Le proposte della Commissione Onofri, elaborate nei primi mesi del 1997 e ispirate ad
un principio di universalismo selettivo (universalismo quanto a titolarità dei diritti, selettività
in base alla condizione economica nell’offerta delle prestazioni), prevedevano l’avvio di un
schema di Minimo vitale familiare unitamente alla rimodulazione delle detrazioni IRPEF per
figli a carico, la conseguente razionalizzazione degli istituti monetari esistenti, il
potenziamento delle prestazioni in natura, l’istituzione di nuovi criteri di verifica della
condizione economica con cui selezionare gli aventi diritto alla spesa sociale e/o stabilirne il
grado di compartecipazione finanziaria, e l’introduzione di una legislazione a carattere
nazionale sull’assistenza. Lo schema di Minimo vitale familiare, nelle intenzioni della
Commissione, avrebbe dovuto riassumere in un unico istituto le funzioni di sostegno delle
responsabilità familiari e di contrasto della povertà, consentendo quindi il graduale ma
definitivo superamento dei vari istituti categoriali esistenti, tra cui l’assegno al nucleo
familiare, la pensione e l’assegno sociale, le integrazioni al minimo. La proposta di
rimodulazione delle detrazioni IRPEF per carichi di famiglia, secondo uno schema di imposta
negativa per i contribuenti cosiddetti incapienti, teneva invece conto dell’opportunità di
coordinare tale istituto con quello del Minimo vitale.
L’affiorare di orientamenti parzialmente divergenti, sia rispetto alle sollecitazioni della
Commissione Onofri sia rispetto ai condizionamenti posti dal risanamento finanziario in
corso, non hanno impedito in anni recenti l’approvazione di una serie nutrita di misure tra cui:
i) l’istituzione del Fondo per le politiche sociali (l. n. 449/1997), ii) l’introduzione, in via
sperimentale, del reddito minimo d’inserimento (RMI), un sussidio monetario non categoriale
di contrasto della povertà (d.lgs. n. 237/1998), iii) aumenti degli assegni al nucleo familiare e
delle pensioni sociali, iv) il Patto sociale per lo sviluppo e l’occupazione del 22.12.1998,
contenente indicazioni sulla programmata riforma dell’assegno al nucleo familiare e
dell’indennità di maternità per le donne lavoratrici, v) l’introduzione di un assegno per i
nuclei familiari con almeno tre minori (A3F), subordinato alla prova dei mezzi ma non
limitato ai lavoratori dipendenti, e di un assegno di maternità (AM) per madri non coperte da
altra tutela assicurativa, anch’esso erogato su base selettiva (decreto del Ministero della
solidarietà sociale n. 306/1999), vi) disposizioni per il sostegno della maternità e della
paternità, ad ampliamento del diritto alla cura familiare e ai congedi parentali (l. n. 53/2000),
vii) la “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”
meglio nota come legge nazionale dell’assistenza (l.n. 328/2000). Il mix di interventi è stato
inoltre arricchito dalla definizione di nuovi criteri di verifica dei mezzi economici dei soggetti
che richiedono prestazioni sociali agevolate (d.lgs. n. 109/1998 e d.lgs. n. 130/2000). I nuovi
criteri hanno condotto alla sperimentazione, tuttora in corso, dell’Indicatore della situazione
economica (ISE).
3
A fronte dei provvedimenti presi, ispirati in alcuni casi più da una logica incrementale
che da un nitido disegno di riforma, il dibattito in sede politica ha fatto emergere una chiara
posizione a favore della permanenza dell’istituto tradizionalmente rivolto alla tutela della
famiglia, l’Assegno al nucleo familiare, istituto di cui restano tuttavia irrisolti sia il problema
dell’efficace disegno della platea dei beneficiari e della struttura dei benefici, sia quello del
suo coordinamento con gli altri strumenti di sostegno della famiglia e di contrasto della
povertà (A3F, AM, RMI), di più recente introduzione.
Per quanto riguarda i limiti dell’attuale Assegno al nucleo familiare, l’anomalia
principale consiste nell’essere riservato ai soli lavoratori dipendenti, ai pensionati e ai
disoccupati indennizzati (e dal 2001 anche agli iscritti alla gestione separata dell’Inps, i
cosiddetti lavoratori atipici). Dall’Assegno al nucleo rimangono tuttavia esclusi i lavoratori
autonomi. Fermo restando il carattere categoriale dell’istituto, i motivi che si sono finora
opposti ad una riforma dell’Assegno in senso universalistico hanno a che fare principalmente
con due aspetti: i) il suo finanziamento contributivo e le difficoltà a prevederne un’estensione
a tutti i lavoratori autonomi, ii) il carattere selettivo delle prestazioni erogate, che, in assenza
della messa a regime dell’ISE e della sua estensione a tutte le prestazioni assistenziali
monetarie erogate dall’amministrazione centrale, comporterebbe un’indebita redistribuzione
tra lavoratori dipendenti e lavoratori autonomi, a vantaggio di questi ultimi.
La logica incrementale che ha guidato il legislatore è stata particolarmente visibile in
materia di trattamento fiscale della famiglia, con il potenziamento delle detrazioni IRPEF per
figli a carico decretato nelle manovre finanziarie dell’ultimo quinquennio e con la
conseguente accentuazione degli elementi di universalismo già presenti nel sistema di
tassazione personale vigente. Il potenziamento delle detrazioni ha tuttavia operato in modo
non coerente con criteri di equità orizzontale definiti su base familiare, essendo le detrazioni
di carattere strettamente individuale, e ha finito per penalizzare quei percettori di redditi – i
percettori che occupano le fasce di reddito più basse - che hanno un debito d’imposta
incapiente rispetto all’entità della detrazione.
Alla luce del processo di riforma inaugurato con i provvedimenti citati, si può dire in
prima approssimazione che gli istituti maggiormente rilevanti ai fini del sostegno delle
responsabilità familiari sono i seguenti: sul versante della spesa, l’assegno al nucleo familiare,
l’assegno alle famiglie con almeno tre minori e l’assegno di maternità; sul versante delle
agevolazioni fiscali, le detrazioni per carichi di famiglia nell’ambito dell’IRPEF.
Il primo paragrafo del lavoro fornisce a questo riguardo una ricostruzione delle
principali caratteristiche normative dei predetti istituti. Questo paragrafo si sofferma anche su
altri provvedimenti di riforma (ISE, RMI, contributi integrativi per il pagamento dei canoni di
locazione e fornitura gratuita dei libri di testo scolastici) per le implicazioni da questi
esercitati, in misura più o meno accentuata, sulle politiche familiari. Vengono invece escluse
dall’analisi le prestazioni in natura, erogate tradizionalmente dalle amministrazioni locali. La
scelta di circoscrivere la ricerca alle prestazioni in moneta e di non considerare quelle in
natura (servizi di cura a favore di minori, anziani, disabili, ecc.) è solo in parte arbitraria, se si
considera la netta superiorità delle prime sulle seconde in termini di risorse erogate (circa il
90% della spesa per assistenza in Italia è costituita da prestazioni in moneta) e la limitata
disponibilità di evidenza empirica per quanto concerne gli effetti delle prestazioni in natura
sul reddito delle famiglie.
Alla stima delle risorse impiegate a sostegno del reddito delle famiglie, alle
performance dei programmi di spesa vigenti e ai problemi lasciati aperti dal pur elevato
attivismo del legislatore nel periodo 1998-2001 è dedicato il secondo paragrafo.
4
Il terzo paragrafo ha per oggetto gli orientamenti contenuti nel Documento Economico
di Programmazione economico-finanziario 2003-2006 in materia di politiche sociali e fiscali e
i provvedimenti che l’attuale governo intende prendere con la manovra finanziaria per il 2003.
Particolare attenzione è dedicata all’ipotesi di ridisegno dell’IRPEF, previsto dal disegno di
legge delega di riforma fiscale in discussione in Parlamento, e alla prima tranche di riforma,
così come prefigurata nel Patto per l’Italia del Luglio 2002 e recepita dalla Finanziaria 2003.
Sulla base delle informazioni disponibili, le modifiche dell’IRPEF previste dalla manovra per
il 2003 privilegeranno i redditi medio-bassi. Tali modifiche dovrebbero tuttavia esaurire gran
parte degli sgravi che il disegno di legge delega di riforma fiscale concede a tali fasce di
reddito.
2. Il quadro normativo
In questo paragrafo si fornisce una sintetica illustrazione delle caratteristiche dei
principali programmi di spesa destinati alle politiche familiari, limitando l’attenzione a quelli
più significativi: l’assegno al nucleo familiare, l’assegno alle famiglie con almeno tre minori e
l’assegno di maternità, i contributi integrativi per il pagamento dei canoni di locazione, la
fornitura gratuita (totale o parziale) dei libri di testo scolastici, il reddito minimo
d’inserimento e le detrazioni fiscali per carichi di famiglia. L’illustrazione di alcuni dei
predetti programmi presuppone l’esposizione delle modalità di verifica della condizione
economica a cui è subordinata la loro erogazione. Essendo tali modalità riconducibili alla
normativa sull’ISE, il paragrafo prenderà in esame anche tale istituto.
2.1. L’assegno al nucleo familiare
Assieme alle detrazioni IRPEF per carichi di famiglia, l’assegno al nucleo familiare
(ANF) rappresenta la principale forma di intervento a sostegno delle responsabilità familiari
in Italia. L’ANF, la cui attuale disciplina fa essenzialmente riferimento alla normativa
introdotta con il d.lgs. n. 153/1988, spetta alle seguenti categorie di potenziali beneficiari:
lavoratori dipendenti attivi (sia privati sia pubblici), disoccupati indennizzati, lavoratori
cassaintegrati o in mobilità, lavoratori assenti per malattia o maternità, lavoratori richiamati in
armi, lavoratori in aspettativa per cariche pubbliche, lavoratori dell’industria o marittimi in
congedo matrimoniale, assistiti per tubercolosi, pensionati o ex-lavoratori dipendenti. A
partire dal 2001, l’assegno è esteso agli iscritti alla gestione separata dell’Inps (i lavoratori
cosiddetti parasubordinati).
I redditi da considerare, per stabilire il diritto al sussidio, sono quelli assoggettabili ad
IRPEF, gli altri redditi di qualsiasi natura e, se superiori a 1.032,91 euro (2 milioni di lire)
annui, quelli esenti o assoggettati a ritenuta alla fonte o a imposta sostitutiva. Sono esclusi dal
computo i trattamenti di fine rapporto, le rendite vitalizie erogate dall’INAIL, le pensioni di
guerra, le indennità di accompagnamento, i trattamenti di integrazione salariale, le quote di
indennità di trasferta non eccedenti il limite di assoggettabilità all’IRPEF. Il diritto a percepire
l’assegno sussiste solo se nel nucleo familiare la somma dei redditi da lavoro dipendente e da
pensione o da altra prestazione previdenziale è pari almeno al 70% del reddito familiare
complessivo. L’ANF è attualmente finanziato con contributi sociali a carico dei datori di
lavoro, con un’aliquota contributiva del 2,48%.
L’ANF spetta ai seguenti componenti, anche se non conviventi con il richiedente e non
a carico: il richiedente stesso, il coniuge non legalmente ed effettivamente separato, i figli con
5
meno di 18 anni, i figli maggiorenni inabili, che si trovano, per difetto fisico o mentale,
nell’assoluta e permanente impossibilità di dedicarsi ad un proficuo lavoro.
L’erogazione dell’assegno è fatta con riferimento a numerose tipologie familiari
(famiglie con almeno due componenti senza figli e senza componenti inabili, famiglie con
almeno due componenti senza figli e con componenti inabili, famiglie con entrambi i genitori
e almeno un figlio minore in cui non siano presenti componenti inabili, famiglie con un solo
genitore e almeno un figlio minore in cui non siano presenti componenti inabili, famiglie con
entrambi i genitori e almeno un figlio minore in cui sia presente almeno un componente
inabile, famiglie con un solo genitore e almeno un figlio minore in cui sia presente almeno un
componente inabile, ecc.). Per ciascuna di queste tipologie è prevista una prestazione di
importo che è variabile in modo crescente all’aumentare del numero dei componenti e in
modo decrescente all’aumentare del reddito familiare, per raggiungere un valore pari a zero in
corrispondenza ad un dato valore di reddito (soglia di esclusione). Tanto l’importo
dell’assegno quanto la soglia di esclusione sono funzione, oltre che della numerosità del
nucleo familiare e del suo reddito, anche di ulteriori caratteristiche del nucleo come ad
esempio la presenza di fratelli, sorelle o inabili2. A titolo esemplificativo si riporta la tabella
relativa ai nuclei con entrambi i genitori e almeno un figlio minore in cui non siano presenti
componenti inabili (cfr. Tab. 3).
Tab. 3. Importo complessivo mensile dell’Assegno al nucleo familiare
per livello di reddito e numero di componenti il nucleo
Nuclei familiari con entrambi i genitori e almeno un figlio minore in cui non siano presenti componenti inabili.
Assegni mensili validi dal 1/7/2002 al 30/6/2003 (in euro)
Reddito familiare
annuo
Da
a
0
11.422,99
11.422,99 14.134,93
14.134,93 16.846,34
16.846,34 19.556,70
19.556,70 22.269,17
22.269,17 24.980,57
24.980,57 27.693,04
27.693,04 30.403,40
30.403,40 33.114,81
33.114,81 35.825,69
35.825,69 38.538,70
38.538,70 41.250,10
41.250,10 43.962,05
43.962,05 46.673,45
46.673,45 49.385,93
49.385,93 52.098,40
Importo dell’assegno per numero dei componenti il nucleo familiare
1
-
2
-
3
130,66
114,65
92,45
65,59
43,90
25,82
15,49
15,49
12,91
12,91
12,91
-
4
250,48
220,53
190,57
158,04
111,55
81,60
57,33
38,73
25,82
25,82
23,24
23,24
23,24
-
5
358,94
339,83
312,97
283,02
241,70
217,43
176,63
135,83
102,77
91,93
91,93
78,50
78,50
78,50
-
6
492,18
481,34
473,07
453,97
407,48
390,96
364,10
339,31
317,62
225,18
154,42
154,42
132,21
132,21
132,21
-
7*
619,75
600,64
584,11
565,00
507,68
488,57
466,88
439,50
426,08
398,70
292,83
218,98
218,98
189,02
189,02
189,02
(*) In caso di nuclei composti da più di sette componenti, l’importo dell’assegno va maggiorato di un ulteriore
10% nonché di euro 53,71 per ogni componente oltre il settimo.
L’importo dell’ANF non è soggetta a indicizzazione, mentre è previsto l’adeguamento
dei limiti di reddito delle classi cui si associano gli importi dell’assegno. Con effetto dal
primo luglio di ogni anno tali limiti vengono rivalutati in misura pari alla variazione
2
Il diritto all’assegno, per quanto riguarda i lavoratori parasubordinati, è soggetto a vincoli più restrittivi di
quelli previsti per i lavoratori dipendenti, sia rispetto ai limiti di reddito, sia rispetto al numero dei componenti il
nucleo familiare.
6
percentuale dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati calcolato
dall’Istat.
L’azione più significativa di potenziamento dell’ANF, successivamente al loro
ridisegno nel 1988, risale al periodo seguente alla riforma del sistema pensionistico del 1995,
periodo nel quale, oltre al contemporaneo taglio dell’aliquota di finanziamento, dal 6,2% al
4,8%, si sono registrati i primi aumenti degli importi unitari e del numero dei beneficiari. Con
riferimento ai provvedimenti assunti nella seconda metà degli anni novanta, si possono in
particolare ricordare: nel 1996, l’aumento dell’importo mensile dell’assegno per i nuclei
familiari con almeno due figli e l’incremento in misura variabile, a seconda della
composizione familiare, di quello per i nuclei con figli minorenni; nel 1997, l’innalzamento
del 20% tutti gli importi mensili, l’aumento del valore dei limiti di reddito al fine di
incrementare del 20% il numero dei beneficiari, l’aumento di un altro 25% dell’importo
dell’assegno per le famiglie comprendenti soggetti inabili; nel 1998 e nel 1999, l’ulteriore
aumento degli importi e dei limiti di reddito vigenti per i nuclei con figli, con particolare
riferimento alle famiglie con più di un figlio, a quelle monoparentali o a quelle comprendenti
soggetti portatori di handicap. Il biennio successivo non ha apportato modifiche di rilievo alla
struttura dell’istituto (a parte le tradizionali rivalutazioni dei limiti delle classi di reddito),
mentre per quanto riguarda gli aspetti relativi al suo finanziamento, sono state operate
ulteriori riduzioni delle aliquote contributive, in attuazione delle indicazioni contenute nel
Patto sociale per lo sviluppo del dicembre 1998. Tali riduzioni si sono tradotte integralmente
in riduzioni del costo del lavoro, senza effetti sulle retribuzioni nette dei lavoratori.
2.2. L’Indicatore della situazione economica
I provvedimenti di riforma delle politiche familiari della fine degli anni novanta si
intrecciano con la sperimentazione, tuttora in corso, del nuovo metro di valutazione della
condizione economica, l’ISE, per l’accesso e la compartecipazione finanziaria alla fornitura
locale di benefici in natura (servizi di asilo nido, mense scolastiche, accoglienza di anziani
non autosufficienti in strutture protette, ecc.) 3.
L’ISE, disciplinato dai decreti legislativi n. 109/98 e dal d.lgs. n. 130/00, è calcolato
come una combinazione lineare di reddito e patrimonio, ove la componente reddituale è data
dal reddito complessivo IRPEF, al netto di una franchigia per l’affitto dell’abitazione fino a
un massimo di 5.164 euro (10 milioni di lire), a cui si aggiunge la valutazione forfetaria dei
redditi da attività finanziarie. La componente patrimoniale è invece data dalla somma della
ricchezza mobiliare e immobiliare, al netto di alcune franchigie tra cui il valore
dell’abitazione principale, fino ad un massimo di 51.645 euro (100 milioni di lire), e
un’ulteriore franchigia fino a 15.494 euro (30 milioni di lire) sul patrimonio mobiliare. La
componente patrimoniale, così calcolata, va poi moltiplicata per un coefficiente pari al 20%.
Il computo dell’ISE avviene su base familiare e presuppone l’applicazione di una scala di
equivalenza, ossia di coefficienti in grado di tenere conto della eterogeneità demografica tra
famiglie (per numero di componenti, composizione, ecc.). Una volta calcolato l’ISE
monetario a livello familiare, esso viene quindi diviso per il coefficiente di equivalenza
appropriato, così da ottenere il corrispondente valore equivalente.
Con il Dpcm n. 242/2001 e il Dpcm del 18 Maggio 2001 è stato sostanzialmente
completato il lungo iter normativo dell’ISE. Il primo dei due decreti detta i criteri per
l’individuazione del nucleo familiare in tutte quelle situazioni particolari (soggetti che ai fini
IRPEF risultano a carico di più persone, coniugi non legalmente separati che non hanno la
3
Per una ricostruzione critica del disegno ispiratore della riforma, cfr. Bosi (2000).
7
medesima residenza, minori non conviventi con i genitori o in affidamento presso terzi, ecc.)
non disciplinate dalla norma quadro. Il Dpcm n. 242/2001 sana definitivamente
l’incongruenza presente nel decreto istitutivo che, nel delimitare l’ambito familiare di
riferimento del richiedente una prestazione sociale, lasciava aperta la possibilità di
appartenenze multiple: la valutazione della situazione economica del richiedente era infatti
determinata con riferimento al nucleo familiare composto dal richiedente medesimo, dai
soggetti con i quali conviveva e da quelli considerati a suo carico ai fini IRPEF, senza un
esame preventivo dell’eventuale conflitto tra il criterio anagrafico e quello fiscale. Il problema
è stato di fatto risolto dal d.lgs. n. 130/2000, che indica nel criterio anagrafico quello
prevalente dei due (rimandando a norme specifiche l’individuazione del nucleo familiare in
casi particolari). Il secondo dei Dpcm citati, del 18 Maggio 2001, prevede la revisione della
modulistica riguardante la dichiarazione sostitutiva unica e l’attestazione, nonché le relative
istruzioni per la compilazione, originariamente regolata dal decreto ministeriale del
29/7/1999. Con la predisposizione dei modelli-tipo la sperimentazione dell’istituto è potuta
finalmente passare alla fase operativa4 5.
L’introduzione dell’ISE costituisce un’occasione importante per aggredire uno dei
problemi principali che affligge la spesa sociale italiana, e in particolare quella assistenziale,
vale a dire la presenza di una esasperata categorialità per quanto riguardo le prestazioni
erogate, da un lato, e l’inadeguatezza dei criteri di selettività applicati alle erogazioni
medesime, dall’altro. Solo criteri di selettività poco attendibili hanno infatti sinora potuto
giustificare l’impronta fortemente categoriale nell’erogazione dei sussidi.
Le novità introdotte dall’ISE, rispetto al coacervo di criteri vigenti in precedenza,
appaiono destinate ad avere conseguenze di rilievo sul benessere delle famiglie e, almeno
sulla carta, a ricondurre la spesa a principi di maggiore equità e uniformità. Più d’uno
sembrano essere i punti di forza del nuovo indicatore: i) l’abbattimento delle barriere categoriali
tra lavoratori dipendenti ed autonomi nell’accesso alla spesa di welfare, ii) l’inclusione nella
componente reddituale dell’ISE, seppure in modo forfetario, dei redditi da attività finanziarie,
finora esclusi dalla prova dei mezzi, iii) la considerazione del patrimonio, in quanto segnaletico
di un’autonoma capacità di spesa, distinta da quella derivante dal solo possesso del reddito,
iv) il riferimento all’ambito familiare (la famiglia anagrafica) per valutare la condizione
economica dell’utente, fermo restando il carattere individuale del diritto all’accesso6.
La principale applicazione in corso dell’ISE riguarda due programmi nazionali, di tipo
monetario: l’assegno alle famiglie con almeno tre minori e l’assegno di maternità riservato
alle giovani madri non coperte da tutela assicurativa. Alla sperimentazione dell’Ise sono però
primariamente interessati anche gli enti locali che erogano prestazioni sociali agevolate di
loro competenza (servizi di asilo nido e di scuola materna, contributi mensa, assistenza
domiciliare, ricoveri in case protette, ecc.).
4
Sebbene la sperimentazione sia ormai in corso, va segnalato la perdurante mancata emanazione, prevista dal
d.l. n. 130/00, del DPCM che avrebbe dovuto fissare i limiti dell’applicazione dell’ISE nel caso delle prestazioni
assistenziali a soggetti non autosufficienti o disabili. L’assenza di una disciplina specifica di tale fattispecie ha,
da un lato, congelato l’affermazione del principio contenuto nel decreto 130 dell’evidenziazione della situazione
economica del solo assistito, e ha, dall’altro, consentito agli enti erogatori di proseguire nella pratica di
coinvolgere nella definizione del diritto a tali prestazioni e/o nella compartecipazione al loro costo soggetti
esterni al nucleo standard del richiedente.
5
Dal punto di vista procedurale, va ricordato che con la pressoché piena operatività della sperimentazione è
divenuto operativo anche il sistema informatico di trasmissione dei dati contenuti nelle dichiarazioni sostitutive
uniche e di calcolo dell’ISE che la normativa ha attribuito all’INPS.
6
Per una stima degli effetti redistributivi potenzialmente attribuibili alla riforma cfr. Baldini, Toso (2000).
8
2.3. L’assegno di maternità e l’assegno alle famiglie con almeno tre figli minori
L’assegno di maternità e l’assegno ai nuclei familiari con almeno tre figli minori
devono la loro introduzione agli articoli 65 e 66 della legge n. 448/987. L’assegno di maternità
è una prestazione rivolta alle madri cittadine italiane residenti8 che non beneficiano del
trattamento previdenziale di maternità e il cui nucleo familiare dispone di un ISE inferiore nel
2001 a 26.918,15 euro (52.120.800 lire), con riferimento ad una famiglia di tre componenti.
La normativa inizialmente in vigore prevedeva che, per i figli nati tra il 1° luglio 1999 e il 30
giugno 2000, venisse corrisposta alle madri una somma mensile di 103,29 euro (200.000 lire)
per cinque mensilità, incrementata a 154,94 euro (300.000 lire) per i parti successivi al 1°
luglio 20009. Per gli eventi verificatisi successivamente al 1° gennaio 2001, l’articolo 80 della
legge n. 388/00 aveva fissato in 258 euro (500.000 lire) la somma concessa. Per le nascite, gli
affidamenti preadottivi e le adozioni senza affidamento avvenute nel 2002 l’importo mensile
dell’assegno è stato fissato, nella misura intera, in 265,20 euro (513.500 lire), attribuendone il
diritto alle madri appartenenti a nuclei familiari con un ISE inferiore a 27.644,94 euro
(53.528.062 lire)10. Possono beneficiare della prestazione anche le donne lavoratrici la cui
indennità di maternità corrisposta dagli enti previdenziali competenti risulta inferiore alla
somma erogata con l’assegno; in questo caso il suo ammontare è dato dalla differenza tra i
due importi.
La seconda prestazione introdotta (assegno ai nuclei familiari con almeno tre minori –
A3F) consiste nell’erogazione di un assegno monetario alle famiglie composte da cittadini
italiani o comunitari residenti nel territorio dello Stato che hanno almeno tre figli con meno di
18 anni e un ISE inferiore a una determinata soglia. Nel 1999, anno dell’introduzione
dell’A3F, la soglia di esclusione, con riferimento ad un nucleo di cinque componenti, era data
da 36 milioni di lire (18.592,44 euro), mentre l’importo (massimo) dell’assegno era fissato in
L. 200.000 (103,29 euro) per tredici mensilità. L’assegno veniva erogato nel suo importo
pieno fino ad un ISE di L. 30.800.000 (15.906,87 euro) e in un importo via via decrescente
all’aumentare dell’ISE, secondo un’aliquota marginale di sottrazione del sussidio pari al 50%,
sino ad annullarsi al raggiungimento della soglia di 36 milioni di lire (18.592,44 euro).
L’importo dell’A3F veniva in particolare calcolato in una misura pari al 50% della differenza
tra tale soglia e l’ISE del beneficiario. Nel 2001 il limite al di sotto del quale si gode
dell’assegno in misura piena è stato rivisto, passando da 30.800.000 lire (15.906,87 euro) a
33.400.000 lire (17.249,66 euro), ed è stata rivista anche la modalità di calcolo dell’importo
dell’assegno una volta superato tale limite: non più il 50% (quindi la metà) della differenza tra
la soglia di esclusione e l’ISE del beneficiario bensì l’intera differenza tra la soglia (rimasta
invariata) e l’ISE del beneficiario medesimo. L’importo massimo dell’A3F da corrispondere a
coloro che ne hanno maturato il diritto nel corso del 2002 è stato fissato nella misura di
110,58 euro (214.112 lire), mentre la soglia di esclusione per i nuclei di cinque componenti è
stata rivalutata a 19.904.35 euro (38.540.200 lire).
I criteri impiegati per la valutazione della situazione economica dei beneficiari sono
gli stessi per entrambe le tipologie di assegno e, sino all’emanazione del decreto legislativo n.
130/00 e dei relativi decreti attuativi, sono stati disciplinati con il decreto del Ministro per la
7
Alcune modifiche a tali articoli sono state introdotte con l’articolo 50 della legge n. 144/99. Si tratta in
particolare di correzioni alla procedura con la quale vengono erogati gli assegni.
8
Con l’articolo 49 della legge n. 488/99 la possibilità di beneficiare dell’assegno di maternità è stata estesa, a
decorrere dal 1° luglio 2000, anche alle donne residenti comunitarie o in possesso di carta di soggiorno.
9
A partire dalla stessa data l’articolo 49, comma 12 della legge n. 488/99 ha esteso il diritto all’assegno ai casi di
minori adottati o in affidamento preadottivo.
10
La soglia si riferisce ad una famiglia di tre componenti. Le soglie relative a nuclei familiari di diversa
numerosità si ottengono applicando la scala di equivalenza dell’ISE.
9
solidarietà sociale n. 306/99. In sintesi, la situazione economica veniva determinata
sommando il reddito della famiglia al patrimonio mobiliare e immobiliare della stessa, una
volta che il patrimonio medesimo fosse stato moltiplicato per un parametro pari al 20%. Il
valore dell’ISE così ottenuto veniva poi diviso per un opportuno coefficiente di equivalenza,
così come stabilito dal decreto legislativo n. 109/98, per tenere conto della dimensione e della
composizione del nucleo familiare. Il meccanismo di calcolo impiegato era solo in parte
quello previsto dal decreto istitutivo dell’ISE in quanto, ai fini della valutazione della
componente patrimoniale, la disciplina dei due assegni (AM e A3F) affermava all’articolo 4
comma 6 che “non si tiene conto della casa di abitazione del nucleo di proprietà di alcuno dei
suoi componenti.” Tale deroga alla normativa dell’ISE – deroga ritenuta da più d’un
osservatore ingiustificata - ha finito con il favorire ulteriormente chi disponeva della proprietà
della casa di residenza rispetto a che vive in affitto.
Per quanto riguarda la definizione del nucleo familiare, la nozione adottata è stata più
estesa di quella definita dal DPCM n. 221/99 dal momento che, come in seguito disciplinato
dal decreto legislativo n. 130/00, sono stati presi in considerazione i soggetti a carico ai fini
IRPEF non solo del richiedente, ma anche di ogni altro componente della famiglia anagrafica.
Nelle prime due annualità di erogazione degli assegni si è quindi avuto a che fare con
una disciplina che ha adottato criteri in parte difformi rispetto a quelli definiti dalla normativa
ISE; tale difformità è stata superata solo con il Regolamento introdotto con il decreto del
Ministro per solidarietà sociale n. 337/00 che ha stabilito all’articolo 1, commi 1 e 2, il
completo adeguamento del sistema di valutazione della situazione economica previsto per la
concessione degli assegni alle disposizioni contenute nel decreto legislativo n. 130/00 e nei
suoi provvedimenti attuativi11. In particolare, all’articolo 3, comma 3 viene cancellata
l’esclusione dalla valutazione della componente patrimoniale della casa di residenza di
proprietà del nucleo familiare, mentre all’articolo 3, comma 2 viene assunto, quale famiglia di
riferimento, quella standard indicato dalla disciplina dell’ISE.
Per quanto concerne il procedimento amministrativo che regola la fornitura degli
assegni, va ricordato che le due prestazioni sono state disciplinate su scala nazionale con un
provvedimento del Ministro per la solidarietà sociale e finanziate con un Fondo istituito
presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri. E’ previsto che i beneficiari siano individuati
dai singoli Comuni e che i pagamenti siano effettuati dall’INPS.
2.4. I contributi integrativi per il pagamento dei canoni di locazione
Con il decreto del Ministro dei Lavori Pubblici 7 giugno 1999 sono stati definiti i requisiti
minimi richiesti ai conduttori di alloggi in locazione per poter beneficiare dei contributi
integrativi previsti dall’articolo 11, comma 3 della legge n. 431/98 ed i criteri per la
determinazione del loro ammontare.
Le risorse necessarie per il finanziamento di tale prestazione provengono dal “Fondo
nazionale per il sostegno all’accesso alle abitazioni in locazione” che è istituito presso il
Ministero dei lavori pubblici e dispone di una dotazione annua pari a 600 miliardi di lire
(309,87 milioni di euro) per il 1999, il 2000 e il 2001, suddivisa tra le regioni e le province
autonome di Trento e Bolzano (nel 2001) nella misura indicata dalla tabella 4.
11
Tale Regolamento ha corretto, a soli quattro mesi dalla sua entrata in vigore, quello dettato con il decreto del
Ministro per la solidarietà sociale n. 452/00 che aveva lasciato immutato il criterio di calcolo dell’ISE.
10
Tab. 4 – La distribuzione per il 2001 tra le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano
del Fondo nazionale per il sostegno all’accesso alle abitazioni in locazione
Importo
Regioni e
Province Autonome
Piemonte
Valle d’Aosta
Lombardia
Trento
Bolzano
Veneto
Friuli Venezia Giulia
Liguria
Emilia Romagna
Toscana
Umbria
Marche
Lazio
Abruzzo
Molise
Campania
Puglia
Basilicata
Calabria
Sicilia
Sardegna
Totale
%
5,901
0,094
16,187
0,282
0,24
5,263
0,396
2,276
8,594
6,094
1,429
1,132
10,654
0,673
0,195
19,549
7,928
0,656
5,751
5,901
0,805
100,000
milioni di lire
38.356,5
611,0
105.215,5
1.833,0
1.560,0
34.209,5
2.574,0
14.794,0
55.861,0
39.611,0
9.288,51
7.358,0
69.251,0
4.374,5
1.267,5
127.068,5
51.532,0
4.264,0
37.381,5
38.356,5
5.232,5
650.000,0
migliaia di
euro
19.809,479
315,555
54.339,271
946,665
805,673
17.667,732
1.329,360
7.640,463
28.849,799
20.457,374
4.797,110
3.800,090
35.765,157
2.259,241
654,609
65.625,403
26.614,057
2.202,172
19.305,934
19.809,479
2.702,361
335.696,984
I requisiti individuati dal Ministero per l’ottenimento della prestazione rappresentano
un’evidente testimonianza delle difficoltà che la disciplina dell’ISE ha sino ad oggi incontrato
nella sua completa affermazione. Dalla lettura del testo normativo emerge infatti una palese
contraddizione tra il richiamo esplicito al decreto legislativo n. 109/98 e alla situazione
economica e patrimoniale del nucleo familiare e la concreta definizione dei criteri di accesso
al beneficio e di determinazione dell’entità del contributo. Se all’articolo 1, comma 3 si
afferma infatti che, “ai fini della verifica della situazione economica e patrimoniale del nucleo
familiare deve essere resa apposita dichiarazione ai sensi del decreto legislativo 31 marzo
1998, n. 109”, al comma precedente il requisito minimo di accesso viene definito, in linea con
quanto indicato all’articolo 11, comma 4 della legge n. 431/98, con riferimento al solo reddito
annuo imponibile complessivo (inteso quale quello risultante dall’ultima dichiarazione dei
redditi) del nucleo familiare del richiedente, che deve risultare non superiore al valore di due
pensioni minime INPS.
Nel decreto non viene inoltre data alcuna indicazione relativamente alla definizione di
nucleo familiare da adottare, né è prevista alcuna applicazione di coefficienti di equivalenza
alla situazione reddituale, una volta calcolata, per tenere conto della dimensione e
composizione familiare del richiedente. Al riguardo specifiche previsioni sono stabilite
unicamente in relazione alla presenza nel nucleo familiare di soggetti con più di 65 anni o
11
disabili e per l’esistenza di situazioni di “particolare debolezza sociale”. In questi casi viene
concessa una maggiorazione del 25% del contributo assegnato o, alternativamente, un
abbattimento di uguale valore percentuale del livello di reddito che determina il diritto al
contributo.
La limitatezza del criterio di determinazione della situazione economica indicato nel
decreto ministeriale ha in molti casi indotto le regioni e i comuni a procedere ad una sua
integrazione con elementi di valutazione perlopiù tratti dalla normativa regionale in materia di
edilizia residenziale pubblica, travalicando però in questo modo le disposizioni contenute nel
decreto stesso che all’articolo 2, comma 1 attribuisce a tali enti la sola possibilità di stabilire
ulteriori articolazioni delle soglie di reddito (rispetto a quelle previste dal decreto), a
condizione che essi concorrano con proprie risorse ad incrementare i fondi attribuiti a livello
nazionale.
Se in alcuni casi tali interventi integrativi sono riusciti ad avvicinare, se non addirittura ad
uniformare, il sistema di valutazione della situazione economica adottato per questa specifica
prestazione alla disciplina generale dell’ISE, il più delle volte essi hanno finito per
incrementare la disomogeneità dei criteri valutativi, rendendo così difficile una lettura
complessiva degli esiti del meccanismo di attribuzione del beneficio introdotto.
2.5. La fornitura gratuita, totale o parziale, dei libri di testo scolastici
Una ulteriore forma di intervento monetario a sostegno dei redditi familiari è
rappresentata dalla disciplina adottata per la fornitura gratuita, totale o parziale, dei libri di
testo agli studenti della scuola dell’obbligo e della scuola secondaria superiore, prevista
dall’articolo 27 della legge n. 448/98.
Tale disciplina costituisce un esempio, non isolato, del difficile processo di
omogeneizzazione dei criteri di valutazione della situazione economica impiegati
nell’erogazione di benefici e prestazioni sociali agevolate. Nonostante nel testo di legge si
affermi che, ai fini della valutazione della situazione economica degli aventi diritto al
beneficio, devono essere applicati i criteri indicati dal decreto legislativo n. 109/98, è difficile
trovare nel DPCM attuativo un qualche collegamento formale con la normativa dell’ISE, cui
viene fatto esplicito riferimento solo per gli aspetti relativi al controllo della veridicità delle
informazioni fornite dai richiedenti la prestazione. L’articolo 1 prevede infatti al comma 1 che
“possono accedere al beneficio della fornitura gratuita totale o parziale dei libri di testo gli
alunni che adempiono l’obbligo scolastico e che appartengano a nuclei familiari il cui reddito
annuo […] sia equivalente o inferiore a trenta milioni di lire.” Appare subito evidente come la
condizione economica familiare coincida con la situazione reddituale ottenuta, come risulta
dal successivo articolo 2, sommando tutti i redditi netti dei componenti il nucleo familiare
risultanti dalla dichiarazione ai fini IRPEF o dall’ultimo certificato sostitutivo (lettera a) e il
reddito delle attività finanziarie (lettera b). Oltre a non esserci alcun riferimento al patrimonio,
anche le componenti reddituali prese in considerazione non sono definite dal DPCM in modo
chiaro, tanto da richiedere l’emanazione di una Circolare esplicativa12 in cui si precisa che: i)
il reddito netto è dato dal reddito complessivo diminuito dell’importo IRPEF, comprensivo
dell’addizionale regionale; ii) il reddito delle attività finanziarie è costituito da tutti gli
interessi, dividendi e da rendite derivanti da investimenti mobiliari percepiti al 31 dicembre
1998 e non risultanti dalla dichiarazione dei redditi. Si tratta di componenti reddituali definite
in modo diverso rispetto a quanto indicato dalla disciplina dell’ISE, mentre analoghe sono le
detrazioni concesse alle famiglie che risiedono in abitazioni in locazione: 1.291,14 euro
(2.500.000 lire) per i nuclei che non possiedono immobili adibiti ad uso abitativo o
12
Ministero della pubblica istruzione e Ministero dell’interno, Circolare Interministeriale 23 settembre 1999.
12
residenziale nel comune di residenza, elevati a 1.807,59 (3.500.000 lire) per quelli che non
hanno la proprietà di immobili in altri comuni.
Se la nozione di famiglia adottata nella fornitura della prestazione in questione è
quella standard indicata dal DPCM n. 221/9913, diverso però è il modo in cui la numerosità
familiare incide nella valutazione della condizione economica. Non è infatti previsto il ricorso
alla scala di equivalenza dell’ISE, ma viene fatto uso di un meccanismo di detrazioni dal
reddito così congegnato: 516,45 euro (1.000.000 di lire) per il secondo figlio, 774,68 euro
(1.500.000 lire) per il terzo e 1.032,9 euro (2.000.000 di lire) per ciascun figlio successivo al
terzo e per ciascun altro componente posto a carico del richiedente14, cioè di colui che esercita
la potestà genitoriale.
Con il DPCM n. 226/00 hanno trovato conferma per l’anno scolastico 2000/2001 i
criteri di selezione dei beneficiari della prestazione previsti per l’annualità precedente: si
continua cioè ad utilizzare un meccanismo di valutazione della situazione economica
incoerente rispetto all’ISE, una scelta che appare ancor più paradossale alla luce
dell’emanazione del decreto legislativo n. 130/00 con la quale, come si è sottolineato in
precedenza, si è provveduto a integrare e correggere la disciplina originaria.
Discutibile appare infine anche l’aspetto procedurale: come nel caso degli assegni AM
e A3F si ha infatti a che fare con un procedimento che coinvolge “a cascata” Ministero
dell’interno, regioni e comuni. I fondi necessari per il finanziamento di tale intervento
provengono infatti dal bilancio del Ministero dell’interno, alle regioni spetta invece il compito
di definire la loro ripartizione tra i vari comuni, i quali infine provvedono ad individuare gli
aventi diritto e ad erogare le somme ad essi spettanti.
Complessivamente le risorse messe in campo per l’anno scolastico 1999/2000
ammontavano a 200 miliardi di lire (103,29 milioni di euro), di cui 150 miliardi (77,47
milioni di euro) destinati agli alunni che frequentano la scuola dell’obbligo e 50 miliardi di
lire (25,82 milioni di euro) riservati alla fornitura dei testi agli studenti degli istituti superiori.
Per gli anni scolastici 2000/2001 e 2001/2002 sono stati stanziati con le leggi n. 488/99 e n.
388/00 rispettivamente 100 miliardi di lire (51,64 milioni di euro) e 200 miliardi di lire
(103,29 milioni di euro) rispettivamente.
2.6. Il Reddito minimo di inserimento
Il Reddito Minimo di Inserimento (RMI), previsto dall’art. 59, c. 48 della l. n. 449/97,
rappresenta un istituto assolutamente innovativo nell’ambito del sistema italiano di protezione
sociale, destinato a colmare una delle più rilevanti lacune nei confronti degli altri sistemi
vigenti in Europa. Si tratta infatti di una misura nazionale di garanzia del reddito di ultima
istanza15, integrata da servizi e attività volte a favorire l’inserimento lavorativo e sociale dei
beneficiari.
Come indicato nel decreto legislativo n. 237/98, con riferimento ad un nucleo
familiare composto da una sola persona e con un reddito mensile inferiore nel 2002 a 273,72
13
Anche in questo caso la Circolare Interministeriale è intervenuta a chiarire la definizione di nucleo familiare
indicata nel DPCM precisando che, anche se non risultano conviventi dallo stato di famiglia, ne fanno sempre
parte i genitori dello studente e gli altri figli a loro carico ad eccezione dei casi di separazione o di divorzio in cui
viene preso in considerazione il genitore cui lo studente è stato affidato e gli altri figli fiscalmente a suo carico.
14
Tale cifra è elevata a 1.549,37 euro (3 milioni di lire) in caso di invalidità totale, mentre è di 1.032,91 euro (2
milioni di lire) la detrazione concessa per ciascun figlio a cui sia riconosciuto un handicap grave o un’invalidità
superiore al 66%.
15
Va sottolineato che le misure locali di sostegno al reddito attualmente vigenti sono fortemente differenziate su
base territoriale, dando quindi luogo ad una fortissima eterogeneità di intervento.
13
euro (530.000 lire), la prestazione consiste nell’erogazione di un assegno monetario il cui
importo è dato dalla differenza tra tale soglia reddituale e il reddito mensile effettivamente
percepito dal nucleo familiare16. Il RMI rappresenta uno strumento di “assistenza attiva”
prevedendo, accanto al sostegno finanziario, anche interventi di integrazione sociale
finalizzati alla promozione delle capacità individuali e dell’autonomia economica dei soggetti
coinvolti. In particolare, i beneficiari dell’assegno devono essere disponibili a sottoscrivere
con l’amministrazione comunale competente un “programma di inclusione sociale”, cioè un
piano di attività definito sulla base delle loro competenze e necessità e delle risorse
localmente disponibili e finalizzato a sviluppare le capacità dei soggetti rispetto
all’inserimento lavorativo e all’integrazione sociale17.
Il RMI è stato inizialmente introdotto in via sperimentale in 39 comuni selezionati con
il decreto del Ministro per la solidarietà sociale 5 agosto 1998 sulla base di criteri complessi e
rigorosi18. Nonostante la sperimentazione, avviata nell’ottobre del 1998, sia stata conclusa il
31 dicembre 2000 e la l. n. 328/2000 (“Legge quadro per la realizzazione del sistema
integrato di interventi e servizi sociali”) abbia configurato il RMI quale misura generalizzata
di assistenza, non si è al momento ancora proceduto alla sua applicazione all’intero territorio
nazionale. Con la legge n. 388/00 (articolo 80, comma 1) è stata infatti decisa solo la
prosecuzione dell’attuazione dell’istituto nei comuni coinvolti nella sperimentazione e la sua
estensione a quelli “compresi nei territori per i quali sono stati approvati, alla data del 30
giugno 2000, i patti territoriali […] che i medesimi comuni hanno sottoscritto o ai quali hanno
aderito e che comprendono comuni già individuati o da individuare ai sensi dell’articolo 4 del
medesimo decreto legislativo n. 237 del 1998.”19
Per l’individuazione dei beneficiari della prestazione e per la determinazione
dell’ammontare dell’assegno erogato la legge prevede, come si è detto sopra, la verifica della
condizione economica. I criteri impiegati per tale valutazione, sempre definiti dal decreto
legislativo n. 237/98, sono però solo molto parzialmente ricollegabili alle indicazioni fornite
dalla normativa ISE, sebbene l’iter del provvedimento attuativo del RMI abbia proceduto di
pari passo con quello del decreto legislativo n. 109/98. Per il RMI è infatti prevalsa la
necessità di prevedere la definizione di una disciplina ad hoc, che tenesse conto delle
peculiarità che caratterizzano una misura di contrasto della povertà rispetto alla fornitura di
prestazioni sociali di altra natura. Da questa considerazione è derivata la scelta del legislatore
di escludere dal beneficio tutti coloro che possiedono una qualsiasi disponibilità patrimoniale,
sia mobiliare che immobiliare, ad eccezione dell’abitazione di residenza di valore inferiore
alla soglia fissata dall’amministrazione comunale competente20.
Anche la definizione della situazione reddituale si discosta da quella indicata dalla
disciplina dell’ISE: il reddito preso in considerazione è infatti costituito da “qualsiasi
16
La soglia mensile originariamente fissata dal decreto istitutivo per il 1998 era di 258,22 euro (500.000 lire).
Ai sensi dell’articolo 7, comma 1 del decreto legislativo n. 237/98, possono fare domanda di ammissione al
Reddito Minimo di Inserimento i soggetti “legalmente residenti da almeno dodici mesi, ovvero, se cittadini di
Stati non appartenenti all’Unione europea o apolidi, da almeno tre anni, in uno dei comuni che effettuano la
sperimentazione”.
18
Si è innanzitutto fatto riferimento a precisi indicatori stabiliti dall’ISTAT, quali il tasso di disoccupazione, il
livello dei reati commessi, il numero di minori coinvolti, il livello di scolarizzazione, la condizione di abitabilità
delle case. Si è inoltre tenuto conto delle disomogeneità territoriali di carattere economico, demografico e
sociale, dei livelli di povertà, della varietà di interventi già presenti nell’area di riferimento e della disponibilità
dell’Amministrazione comunale a partecipare alla sperimentazione.
19
Si tratta complessivamente di altri 268 Comuni individuati con i decreti del Ministro per la solidarietà sociale
20 aprile 2001 e 7 maggio 2001.
20
Tale esclusione rappresenta un vantaggio concesso ai proprietari di abitazioni di residenza rispetto a coloro
che vivono in locazione, ai quali per questa prestazione non viene neanche garantita la detrazione forfetaria dal
reddito prevista dalla disciplina dell’ISE.
17
14
emolumento a qualunque titolo percepito e da chiunque erogato”21 ed è comprensivo quindi
anche di quelle misure previdenziali e assistenziali (quali, ad esempio, l’Assegno al nucleo
familiare) che, non essendo rilevanti ai fini della determinazione del reddito complessivo
IRPEF, risultano escluse dal calcolo dell’ISE. La loro considerazione consente invece di
avvicinarsi ad una nozione di reddito disponibile che indubbiamente rappresenta un
riferimento migliore, rispetto a quello del semplice reddito imponibile IRPEF, per un istituto
rivolto all’integrazione del reddito delle famiglie in condizioni di particolare indigenza22.
Connessa alla particolarità della prestazione erogata è la decisione di valutare nella
misura del 75% i redditi di lavoro, sia dipendente che autonomo. Non si tratta in questo caso
dell’affermazione di un principio di discriminazione qualitativa, ma di un modo per tenere
conto del disincentivo alla produzione di reddito di lavoro che si verrebbe a creare qualora
fosse concessa un’integrazione pari all’intera differenza tra la soglia di esclusione e il reddito
effettivamente conseguito dai beneficiari della prestazione. La presenza di tale franchigia ha
in sostanza la funzione di attenuare i fenomeni di welfare dependency, tipici di sistemi di
spesa assistenziale ben più selettivi del nostro. Attraverso la valutazione parziale (nella misura
del 75%) del reddito da lavoro, il limite reddituale in corrispondenza del quale si perde il
diritto al RMI non coincide più con la soglia di esclusione bensì con un valore mensile di
364,61 euro (707.000 lire). Al di sotto di tale valore, il sussidio erogato cresce
proporzionalmente sino a raggiungere l’ammontare massimo (273,72 euro) in corrispondenza
di un reddito nullo23.
Tanto la nozione di famiglia adottata dalla legislazione sul RMI quanto le modalità per
tenere conto delle eterogeneità familiari appaiono coerenti con quanto previsto per l’ISE. Ai
fini della determinazione del diritto al beneficio viene infatti preso in considerazione il nucleo
composto dal richiedente, dalle persone con le quali convive e da quelle considerate a suo
carico ai fini IRPEF; per quanto riguarda la scala di equivalenza adottata, essa è in tutto
identica a quella che regola la determinazione dell’ISE, sia nei valori dei coefficienti
commisurati alle diverse numerosità familiari, sia nelle maggiorazioni previste in presenza di
specifiche condizioni familiari (presenza di disabili, nuclei bireddito con minori, ecc.).
2.7. Le detrazioni IRPEF per carichi di famiglia
Le detrazioni fiscali per carichi familiari, in particolare per il coniuge, per i figli e per
altri familiari a carico, rappresentano il principale strumento a sostegno delle responsabilità
familiari presente sul lato delle spese fiscali (tax expenditures). Stante l’interpretazione
strettamente individuale data dalla giurisprudenza costituzionale del nostro paese al concetto
di capacità contributiva, le detrazioni per carichi familiari svolgono anche l’importante
funzione di tenere indirettamente conto della situazione familiare del contribuente e del peso
che questa esercita nella sua capacità di pagare le imposte.
Le detrazioni per carichi familiari sono differenziate a seconda che si consideri il
coniuge non legalmente ed effettivamente separato a carico, da un lato, e i figli e le altre
persone a carico, dall’altro. Sono considerate a carico le persone che possiedono un reddito
complessivo non superiore a 2.840,51 euro, purché siano conviventi con il contribuente o
percepiscano assegni alimentari non risultanti da provvedimenti dell’autorità giudiziaria.
21
Decreto legislativo n. 237/98, articolo 6, comma 2.
Una corretta definizione di reddito disponibile richiederebbe a rigori, oltre all’inclusione dei trasferimenti
pubblici, anche la detrazione dell’IRPEF pagata dai componenti il nucleo familiare del beneficiario, detrazione
peraltro non ammessa dalla normativa sul RMI.
23
In sostanza viene simulato uno schema di imposta negativa sul reddito ad aliquota marginale costante del 75%,
il cui importo massimo è di 273,72 euro mensili (530.000 lire).
22
15
Per quanto riguarda la detrazione per il coniuge a carico, essa ha un importo
moderatamente decrescente all’aumentare del reddito complessivo IRPEF, fino ad un livello
di reddito di circa 52.000 euro, e successivamente costante, per valori del reddito complessivo
superiori (cfr. Tab. 5). Oltre a rispondere a finalità di equità verticale, come dimostra il
relativo favore riservato ai contribuenti con redditi più bassi, tale detrazione ha il compito di
tenere conto dei problemi di iniquità orizzontale che un sistema di tassazione progressivo su
base individuale introduce tra famiglie che, a parità di reddito complessivo e di numero di
componenti, presentano forti differenze di basi imponibili tra i suoi membri24.
Tab. 5. Le detrazioni IRPEF per coniuge a carico nel 2002 (in euro)
Classe di reddito complessivo
Fino a 15.493,71
Da 15.493,71 a 30.987,41
Da 30.987,41 a 51.645,59
Oltre 51.645,69
Detrazione
546,18
496,60
459,42
422,23
Le detrazioni per figli e altre persone a carico (genitori, fratelli, suocere, nuore, ecc.)
hanno un importo graduato in modo decrescente all’aumentare del reddito complessivo e, in
alcuni casi, variabile in funzione del numero d’ordine del figlio (cfr. Tab. 6). Tale
graduazione riflette il duplice obiettivo di favorire i nuclei familiari con più figli ed
economicamente bisognosi. Gli importi delle detrazioni riflettono la nuova struttura introdotta
dalla manovra finanziaria per il 2002, che ha fissato in 516 euro (un milione di lire) lo sgravio
spettante per ciascun figlio a carico, purché il reddito complessivo sia inferiore a 36.152 euro
(70 milioni di lire). Se invece il reddito supera i 36.152 euro, il predetto importo è concesso
solo in casi particolari: se il reddito è compreso tra i 36.152 e i 41.317 euro, i figli a carico
devono essere almeno due; se il reddito è compreso tra i 41.317 e i 46.481 euro, i figli a carico
devono essere almeno tre; se il reddito è compreso tra i 46.481 e i 51.646 euro, i figli devono
essere almeno quattro. Se questi vincoli congiunti di reddito e numerosità dei figli a carico
non sono rispettati, si applicano importi minori (cfr. Tab. 6).
L’importo della detrazione per figli e altri familiari a carico va ripartito fra gli aventi
diritto in proporzione all’effettivo onere sostenuto da ciascuno di essi. In assenza di particolari
motivi che giustifichino una ripartizione diversa, nel caso, ad esempio, di figli a carico di
entrambi i genitori, la detrazione va divisa per due. Nel caso di mancanza fisica o giuridica di
uno dei genitori, al primo figlio spetta la detrazione in misura maggiorata, pari a quella
spettante per il coniuge a carico, ove più vantaggiosa.
Per ogni figlio portatore di handicap spetta inoltre, anziché la detrazione a lui riferita
secondo quanto indicato nella Tabella 6, una detrazione pari a 774,69 euro. Per ogni figlio di
età inferiore ai tre anni, invece, l’importo della detrazione è incrementato di 123,95 euro.
L’aumento non è però riconosciuto se il figlio a cui si riferisce gode già della detrazione per
coniuge a carico, di quella per figlio portatore di handicap, o della detrazione pari a 516,46
euro.
24
La penalizzazione maggiore, in assenza della detrazione per coniuge a carico, riguarderebbe, com’è noto, la
famiglia monoreddito.
16
Tab. 6. Le detrazioni IRPEF per figli e altri familiari a carico nel 2002 (in euro)
Classe di reddito
complessivo
Da 0 a 36.151,98
1
516,46
2
516,46
ciascun figlio
Numero di figli
3
516,46
ciascun figlio
4
516,46
ciascun figlio
Da 36.151,98 a 41.316,55
303,68
516,46
ciascun figlio
516,46
ciascun figlio
516,46
ciascun figlio
Da 41.316,55 a 46.481,12
303,68
303,68 primo figlio
336,73 secondo figlio
516,46
ciascun figlio
516,46
ciascun figlio
Da 46.481,12 a 51.645,69
303,68
303,68 primo figlio
336,73 secondo figlio
303,68 primo figlio
336,73 secondo e terzo figlio
516,46
ciascun figlio
Oltre 51.645,69
285,08
285,08
ciascun figlio
285,08
ciascun figlio
516,46
ciascun figlio
La normativa riguardante le detrazioni per familiari a carico ha subito cambiamenti di
un certo rilievo a partire dal 1998: gli importi sono stati aumentati in misura rilevante, almeno
se paragonati con quelli degli anni precedenti, e le detrazioni per gli altri familiari a carico
sono state equiparate a quelle per i figli, che ora danno diritto alla detrazione anche se
maggiorenni. Sebbene tali aumenti, essendo in ammontare fisso, abbiano favorito in
proporzione di più i redditi bassi, va rimarcato che essi hanno anche accentuato il problema
della cosiddetta incapienza. Con tale termine ci si riferisce alla situazione in cui la detrazione,
o un suo aumento, non può essere goduta interamente in quanto l’imposta lorda non è
sufficientemente capiente, ossia in quanto il debito lordo d’imposta è inferiore all’ammontare
della detrazione cui si ha diritto. Il problema si pone evidentemente per i contribuenti più
poveri, la cui IRPEF lorda potrebbe essere non sufficientemente elevata da consentire di
avvalersi del maggiore sgravio fiscale.
3. Le politiche a sostegno delle responsabilità familiari nel quinquennio 1998-2002:
risultati conseguiti e problemi aperti
Come è stato anticipato nei paragrafi precedenti, la parte finale del decennio scorso ha
registrato significativi progressi nella riforma delle politiche familiari. E’ stata varata la
normativa dell’ISE, è stata avviata la sperimentazione del RMI, nuovi istituti sono stati
introdotti. Il segno delle riforme è nel complesso universalistico e, pur nella selettività
imposta dal rispetto di stringenti vincoli di bilancio, sembra avere prodotto un impatto
perequativo sulla distribuzione personale del reddito25.
Le misure prese presentano tuttavia alcuni difetti sotto il profilo del disegno
complessivo, sia per le perduranti incongruenze che caratterizzano gli istituti esistenti, sia per
alcune ambivalenze che caratterizzano i nuovi, sia per la dimensione finanziaria degli
interventi, modesta rispetto alla spesa sociale complessiva.
L’assegno alle famiglie con almeno tre minori (A3F), concepito principalmente come
strumento di contrasto della povertà e subordinato a criteri di eleggibilità in termini di ISE
particolarmente selettivi, ha l’inconveniente di cumularsi con l’assegno al nucleo familiare
(ANF), istituto ben più importante, in termini di impegno finanziario, e tuttavia limitato ai soli
25
Cfr., ad esempio, CNEL (2000) e Commissione d’indagine sull’esclusione sociale (2002).
17
lavoratori dipendenti o pensionati ex-dipendenti, e subordinato a una prova dei mezzi
(sostanzialmente il reddito imponibile IRPEF) diversa da quella applicata al nuovo istituto. Il
ricorso a criteri di verifica della condizione economica differenti e scarsamente correlati tra
loro solleva problemi di iniquità di trattamento e di scarso coordinamento tra gli istituti che
andrebbero prontamente risolti.
Per quanto riguarda specificamente l’assegno al nucleo familiare (ANF), i provvedimenti
tampone presi nella seconda metà degli anni novanta hanno creato non poco disordine nella
struttura delle prestazioni vigenti. Gli aumenti sono stati decisi senza apparenti criteri di
coerenza equitativa: prova ne è che gli importi degli assegni variano da nucleo a nucleo, e da
una classe di reddito all’altra, senza alcun riferimento ad una scala di equivalenza osservata,
ovvero con scale di equivalenza implicite che appaiono del tutto irrazionali26.
L’introduzione dell’assegno di maternità (AM) a favore delle madri non lavoratrici
(casalinghe, disoccupate) in condizioni di bisogno economico ha potenziato la gamma di
strumenti di stampo universale fornendo anche a queste donne un sostegno economico,
limitato nel tempo e subordinato alla prova dei mezzi, a tutela della maternità. Questo nuovo
istituto viene a coesistere tuttavia con la preesistente indennità di maternità riservata alle
madri che lavorano, un’indennità non means-tested, la cui funzione è più quella di risarcire la
donna della mancata capacità di guadagno nel periodo della maternità che di tutelare la
maternità di per sé.
La sperimentazione del RMI si trova in una fase di delicata implementazione.
Nonostante sulla sperimentazione siano pesati limiti e ritardi di varia natura, accentuati dalla
localizzazione dell’esperimento in contesti in cui il tessuto economico e l’offerta di servizi
sociali presentano gravi carenze, le informazioni disponibili sullo stato di valutazione della
riforma forniscono un quadro incoraggiante27. L’introduzione del RMI sembra avere
innescato un processo di maggiore civilizzazione nei rapporti tra cittadini e enti locali e di
contrasto del clientelismo, ristabilendo condizioni di certezza dei diritti nella fornitura delle
prestazioni. La sperimentazione ha anche costituito un’occasione di consolidamento dei
rapporti istituzionali tra i vari livelli di governo e di impulso alla collaborazione tra i diversi
attori coinvolti (enti locali, soggetti privati, terzo settore). Sulla base dei dati resi disponibili
dagli istituti preposti alla valutazione dell’esperimento, la spesa complessivamente erogata nel
biennio 1999-2000 ammonta a poco meno di 430 miliardi di lire, di cui oltre il 90% a
vantaggio di residenti nel Sud e nelle isole, pari ad un sussidio medio mensile per famiglia di
circa 730.000 lire. Oltre il 97% delle risorse erogate è gravato sul Fondo nazionale per le
politiche sociali (il Fondo a cui la legge quadro sull’assistenza assegna un ruolo di
razionalizzazione dei flussi di finanziamento da parte del governo centrale delle politiche
sociali), mentre le amministrazioni comunali si sono fatte carico del restante 3%. I nuclei
familiari inseriti nella sperimentazione sono stati poco meno di 25.600, di cui circa 23.300 nel
Sud e nelle isole. I beneficiari del RMI ammontano invece a poco meno di 86.000 individui,
pari a circa il 3,6% della popolazione residente nei 39 comuni oggetto della sperimentazione
iniziale. Sotto il profilo socio-demografico, il nuovo istituto ha interessato principalmente le
famiglie numerose (con almeno due figli minori) e con disabili; minore è invece la presenza
di coppie senza figli e di nuclei con un solo componente. Estremamente ridotta è anche la
quota di beneficiari anziani, essendo questi ultimi già destinatari di altri trasferimenti meno
selettivi del RMI. Per quanto concerne i programmi di inserimento, la tipologia più ricorrente
26
La scala di equivalenza implicita traduce, in termini di differenze monetarie, l’insieme delle caratteristiche
diverse dal reddito (numero di figli a carico, assenza di uno dei due genitori, presenza di inabili, ecc.) a cui il
sistema degli assegni familiari dà implicitamente rilievo nel determinare il beneficio da erogare alle diverse
tipologie familiari. Per una stima recente delle scale di equivalenza implicite nell’ANF cfr. Ricci (2000).
27
Cfr. Commissione di indagine sull’esclusione sociale (2002).
18
è costituita dai programmi di integrazione socio-relazionale, seguita dalle attività di cura e
sostegno intra-familiare; bassa, e concentrata nei comuni del Nord, è invece la quota di
programmi di tipo occupazionale. Sebbene quest’ultimo dato segnali la limitata efficacia del
RMI nel determinare nuova occupazione, le testimonianze degli operatori sottolineano che
l’inserimento di soggetti svantaggiati in un percorso di promozione sociale ha comunque
innescato una spirale virtuosa in termini di motivazione alla ricerca di una occupazione,
recupero di dignità ed autostima28.
La sperimentazione del RMI pone una serie di delicati interrogativi, a cui dovrà essere
data risposta prima della sua messa a regime. Essi concernono principalmente il
finanziamento dell’istituto, la definizione dei criteri di accesso ed il rigore nei controlli, la
qualità dei programmi di inserimento. Per quanto riguarda il finanziamento, è decisivo che la
determinazione delle risorse necessarie per attivare l’istituto venga stabilita a livello di
governo centrale: nel caso questa fosse sottoposta ai vincoli di bilancio dell’amministrazione
locale, il contenuto innovativo ne risulterebbe ridimensionato. Le stime degli istituti di
valutazione indicano in 2,4-3,1 miliardi di euro (4.600-6.000 miliardi di lire) il costo annuo
della messa a regime del RMI. La cifra non tiene conto dei risparmi di spesa (310-413 milioni
di euro, pari a circa 600-800 miliardi di lire) che potrebbero derivare dalla soppressione di
precedenti istituti di minimo vitale, erogati perlopiù nei comuni del Nord e del Centro. Per
quanto riguarda la definizione dei criteri di accesso ed il rigore nei controlli, è indispensabile
che i margini di discrezionalità di cui si sono avvalsi finora gli enti erogatori siano tenuti sotto
stretto controllo al fine di impedire l’insorgere di forme di iniquità nell’accesso ad un istituto
che si vuole universale. La sperimentazione ha infatti evidenziato un’accentuata
disomogeneità tra comuni nell’attività di verifica dei mezzi economici (deroghe al previsto
divieto di possesso di patrimoni mobiliari, trattamento del lavoro sommerso), nella scelta dei
tempi con cui procedere alla verifica medesima e nella formalizzazione di accordi di
collaborazione istituzionale (con Guardia di Finanza, INPS e INAIL) a fini di controllo della
veridicità delle dichiarazioni rese. Per quanto riguarda, infine, la qualità dei programmi di
inserimento, appare cruciale che si ponga costante attenzione alla loro definizione, che dovrà
essere personalizzata e resa coerente con i bisogni rilevati, e al rafforzamento dei rapporti tra i
diversi attori istituzionali, in modo da evitare rischi di delegittimazione dell’istituto e
incentivazione di comportamenti opportunistici da parte dei singoli beneficiari.
Il completamento dell’iter normativo dell’ISE è stato lento e faticoso. Iniziato alla fine
del 1997, l’iter si è concluso sostanzialmente nella primavera del 2001 e le applicazioni più
significative potranno realizzarsi solo a partire dall’anno in corso. Le principali indicazioni
che sembrano emergere dalle primissime applicazioni locali, in termini dell’impatto esercitato
sull’utenza e sugli stessi enti erogatori, appaiono le seguenti29: i) buona parte dei comuni si
sono avvalsi della facoltà, inizialmente concessa dal decreto istitutivo, di prevedere modalità
di valutazione differenziate rispetto alla disciplina standard (relativamente alla determinazione
dell’unità familiare di riferimento e alla valutazione del patrimonio), dimostrando di
prediligere consistenti margini di discrezionalità nell’applicazione della riforma ma, allo
stesso tempo, rischiando di compromettere l’obiettivo di fondo della stessa, l’uniformità e
l’equità dei criteri di selezione; ii) l’inclusione del patrimonio nell’ISE sembra assolvere a
quella funzione di graduazione della situazione economica tra soggetti diversi, attribuitagli
dalla riforma, avvicinando in alcuni casi le posizioni di categorie di contribuenti che
28
La positività dei percorsi avviati con la sperimentazione è attestata anche da altri eventi (rientri da morosità e
arretrati di pagamento di affitti o utenze, sensibile diminuzione dei fenomeni di micro-criminalità in alcuni
grandi comuni del Sud - Foggia, Napoli, Reggio Calabria - inseriti nella sperimentazione, presa in carico di
persone senza dimora).
29
Cfr. Commissione tecnica per la spesa pubblica (2001a), Ministero del lavoro e delle politiche sociali (2002).
19
tradizionalmente presentano un differente grado di attendibilità in sede di dichiarazione
fiscale del reddito; iii) ragionevoli dubbi sull’esito positivo della riforma derivano
dall’estensione dell’ISE a talune prestazioni per le quali si sono registrati preoccupanti prese di
distanza dalla normativa quadro e il rischio di una proliferazione di «riccometri»; iv) l’attività
di controllo risulta il principale tallone d’Achille della riforma: i riscontri si limitano infatti
alla mera verifica della composizione del nucleo familiare, mentre nessun accertamento viene
effettuato sulle dichiarazioni reddituali e patrimoniali dei richiedenti le prestazioni sociali,
anche in considerazione dell’inadeguatezza degli strumenti al momento disponibili. Decisivo,
ai fini del positivo esito della sperimentazione, sarà concentrare l’attenzione sulle procedure
di controllo, prevedendo indicazioni da parte del governo centrale sulle modalità più efficaci
con cui operare le verifiche da parte della Guardia di Finanza. Al di là delle prime indicazioni
sulla sperimentazione, va comunque rimarcato che l’ISE non si applica ai grandi istituti di
spesa nazionale (assegno al nucleo familiare, integrazioni al minimo delle pensioni,
trattamenti di invalidità civile, pensione e assegno sociale), il cui peso sul totale delle risorse
erogate a fini assistenziali è assolutamente prevalente. Il naturale coordinamento dei vari
tronconi della riforma suggerirebbe di procedere, con gradualità ma senza incertezze,
all’estensione dell’ISE a tali istituti.
Come è stato autorevolmente osservato, la politica di riforme perseguita nell’ultimo
quadriennio non sembra aver risolto alcuni dilemmi difficilmente eludibili per un coerente
ridisegno delle politiche familiari30.
Il primo dilemma a che fare con il peso relativo da assegnare agli istituti universali di
sostegno delle responsabilità familiari in senso stretto, rispetto ai programmi di contrasto della
povertà. Il sostegno delle responsabilità familiari è principalmente soddisfatto, nell’attuale
ordinamento, dalle detrazioni IRPEF per carichi di famiglia e in parte dall’assegno al nucleo
familiare.
Il secondo dilemma riguarda la decisione se gli istituti a sostegno delle responsabilità
familiari debbano essere offerti con modalità universali, non dipendenti dalla verifica della
condizione economica, o selettive. Attualmente, operano sistemi di selettività diversi e
contrastanti tra loro: a svantaggio dei redditi medio-alti per i lavoratori dipendenti e di ogni
livello di reddito per i lavoratori autonomi nel caso dell’assegno al nucleo familiare, a
svantaggio dei redditi più bassi (perché esenti d’imposta o caratterizzati da un’IRPEF lorda
non capiente) nel caso delle detrazioni fiscali. Anche ponendo rimedio a tali incongruenze,
rimane il quesito se sia preferibile, soprattutto in presenza di stringenti vincoli di bilancio,
limitare la fruibilità di detrazioni e assegni per il nucleo, una volta superate certe soglie di
benessere economico, o di estenderla a tutti indistintamente.
Il terzo dilemma ha a che fare con il canale, fiscale o di spesa, da privilegiare nella
realizzazione dei trasferimenti monetari. La detrazione fiscale è uno strumento ritenuto più
efficiente dei sussidi poiché può utilizzare un canale, quello fiscale appunto, la cui
amministrazione è maggiormente consolidata. In mancanza di meccanismi di imposta
negativa, ossia di strumenti redistributivi integrati tax-benefit presenti in altre realtà (ad
esempio Stati Uniti, Regno Unito e Canada) ma assenti in quella italiana, il ricorso al canale
fiscale ha però l’inconveniente di raggiungere solo i contribuenti “capienti”, escludendo quelli
il cui debito d’imposta è nullo o insufficiente a godere pienamente dello sgravio fiscale. Va
inoltre ricordato che, in un sistema di tassazione personale in cui l’unità impositiva è
l’individuo e non il nucleo familiare, il soddisfacimento di obiettivi di equità (verticale e
30
Cfr. Commissione d’indagine sull’esclusione sociale (2002).
20
orizzontale) tra nuclei di diversa composizione e numerosità è di più complessa
realizzazione31.
Quali risposte ha implicitamente dato il legislatore ai quesiti sopra citati? Una
possibile indicazione degli orientamenti seguiti può essere desunta da alcune stime effettuate
dalla Commissione d’indagine sull’esclusione sociale, a partire dalle statistiche ufficiali ed
integrate da informazioni derivate da modelli di microsimulazione, dell’ordine di grandezza
dei principali interventi, sia sul lato delle uscite, sia su quello delle spese fiscali, che hanno
natura di trasferimento di monetario a favore delle famiglie. La Tab. 7 fornisce un quadro
abbastanza eloquente dei passi compiuti dal 1996 al 2000.
Tab. 7. Spesa e fonti di finanziamento delle principali politiche familiari 1996-2000 (milioni di euro)
Uscite
Assegno al nucleo familiare
di cui a nuclei di pensionati
Detrazioni IRPEF per carichi familiari
di cui per il coniuge
Assegno alle famiglie con almeno tre minori
Assegno di maternità
Reddito minimo di inserimento
Entrate
Contributi sociali per assegni familiari
Imposte (a carico del bilancio dello stato)
In % del PIL
Anno 1996
1
7.075
3.357
3.718
0
0
0
7.075
3.615
3.460
0,7
Anno 2000
2
12.137
4.907
1.033
6.714
3.357
310
114
93
12.137
4.132
8.005
1,1
Variazione
3=2–1
5.062
1.550
2.996
310
114
93
5.062
517
4.545
0,4
Fonte: Commissione di indagine sull’esclusione sociale (2002), p. 82.
Nell’anno iniziale preso a riferimento (1996) la spesa per le politiche familiari, in
quell’anno pari alla somma della spesa per l’assegno al nucleo familiare (ANF) e per
detrazioni IRPEF per carichi familiari, ammontava a circa 7.075 milioni di euro (13.700
miliardi di lire), di cui metà relativa all’ANF e l’altra metà destinata alle detrazioni fiscali per
carichi familiari. Nel 2000 le somme impiegate per programmi di questo tipo hanno raggiunto
i 12.137 milioni di euro (23.500 miliardi di lire). L’incremento della spesa è stato quindi
considerevole, quanto meno in valori assoluti. Nel periodo in esame sono anche comparsi
nuovi programmi di spesa (A3F, AM, RMI).
Il fronte più rilevante degli impegni di spesa non è tuttavia rappresentato dai nuovi
istituti, bensì da quelli preesistenti e tra questi, in particolare, dalle detrazioni fiscali per
carichi familiari. Queste ultime sono infatti aumentate di 2.996 milioni di euro (5.800 miliardi
di lire), mentre l’incremento degli assegni al nucleo familiare si è attestato sui 4.907 milioni
(3.000 miliardi di lire). Importi decisamente superiori rispetto a quanto stanziato per i nuovi
istituti (A3F, AM e RMI), pari a circa 520 milioni di euro (1.000 miliardi di lire). Sebbene
non sia possibile distinguere chiaramente la parte destinata al sostegno delle responsabilità
familiari in senso stretto da quella rivolta al contrasto della povertà, l’orientamento seguito dal
31
Si consideri, ad esempio, l’aumento a 516 euro della detrazione per figli e altri familiari a carico introdotto
dalla Finanziaria per il 2002 (si veda di nuovo la tabella 6). Le modalità che regolano la nuova struttura delle
detrazioni impedisce una corretta applicazione della detrazione a livello familiare. Il limite di reddito di 36.152
euro (progressivamente aumentato per ciascun figlio successivo al primo) è infatti valutato con riferimento a
ciascuno dei coniugi ed è destinato a produrre effetti poco coerenti rispetto all’imponibile familiare. Un nucleo
familiare con un reddito di 71.788 euro equidistribuito tra due coniugi percettori può godere per un figlio a
carico della nuova e più alta detrazione di 516 euro, mentre un nucleo monoreddito che abbia un reddito
complessivo di 36.668 euro ha diritto alla vecchia detrazione di 304 euro.
21
legislatore sembra quanto meno discutibile. L’aumento della spesa per l’ANF significa infatti
rafforzare un istituto incoerente con un’impostazione universale, a causa del suo carattere
categoriale. L’incremento delle detrazioni fiscali per carichi di famiglia rappresenta invece un
sostegno delle responsabilità familiari tendenzialmente universale, se non fosse per il
problema della incapienza, fenomeno che penalizza i contribuenti più poveri e che si acuisce
ogni qualvolta si procede ad un incremento delle detrazioni medesime32.
I dati per il 2001 relativi al peso e alle performance dei nuovi programmi di spesa,
inclusi quelli relativi al contributo affitti e alla fornitura dei libri di testo scolastici, sono
riportati nella Tab. 8. Le informazioni, di fonte INPS, sono state elaborate dal Gruppo di
studio incaricato del monitoraggio degli interventi di politica occupazionale e del lavoro,
presso il Ministero del Lavoro e delle politiche sociali33.
Tab. 8. Spesa per programmi di spesa sociale di recente introduzione – competenza 2001 (milioni di euro)
Assegno alle famiglie con almeno tre minori (a)
Assegno di maternità (a)
Reddito minimo di inserimento (b)
Contributo affitti (b)
Fornitura libri di testo (b)
Totale
Anno 2001
104,9
116,0
181,0
335,7
103,3
840,9
(a): ammontare complessivo erogato dall’INPS con riferimento all’anno in cui è stato maturato il diritto
alla prestazione e non a quello in cui si è effettuato il pagamento.
(b) ammontare stanziato nella Finanziaria per il 2002.
Fonte: Ministero del lavoro e delle politiche sociali (2002), pp. 60, 105.
Dalla tabella si nota come, tra quelle analizzate, la politica con lo stanziamento
maggiore è quella relativa ai contributi integrativi per il pagamento dei canoni di locazione
(contributo affitti), per un valore di circa 336 milioni di euro (650 miliardi di lire). La
Finanziaria per il 2002 ha peraltro ridotto le risorse assegnate a tale programma di spesa a
circa 249 milioni di euro (482 miliardi di lire). Tali cifre sottostimano però l’ammontare
complessivamente speso, essendo possibili integrazioni a livello locale (comuni, regioni). La
facoltà di articolare a tale livello anche i requisiti di ammissibilità e l’importo del beneficio
rende difficile un’analisi complessiva di questo istituto. Per quanto riguarda gli assegni alle
famiglie con almeno tre minori e di maternità i dati riportati in tabella sono relativi alle
somme effettivamente erogate dall’INPS nell’anno in cui è maturato il diritto al beneficio e
non a quello in cui si è effettuato il pagamento. Questo spiega l’apparente flessione nel 2001
della spesa per l’assegno alle famiglie con almeno tre minori, scesa da 310 milioni di euro nel
2000 a 104,9 milioni nel 2001.
La ripartizione regionale della spesa dei nuovi programmi di spesa (escluso il RMI, la
cui sperimentazione è concentrata in un numero molto circoscritto di comuni) mostra una
distribuzione non uniforme sul territorio nazionale. Quattro regioni meridionali, Campania,
Sicilia, Puglia e Calabria, assorbono da sole il 75 e il 63% circa, rispettivamente, della spesa
complessiva per l’assegno alle famiglie con almeno tre minori e per l’assegno di maternità. La
concentrazione delle risorse al Sud non è sorprendente, considerati i più elevati tassi di
povertà economica del Mezzogiorno e i rigidi criteri di selettività a cui è subordinata
32
Secondo stime recenti, se l’impianto delle attuali detrazioni fiscali per carichi familiari fosse esteso anche ai
soggetti non capienti, secondo un meccanismo di imposta negativa, dovrebbero essere erogate risorse per circa
un miliardo di euro. Cfr. Commissione tecnica per la spesa pubblica (2001b).
33
Cfr. Ministero del lavoro e delle politiche sociali (2002).
22
l’erogazione dei due benefici. Correlata al problema dell’emergenza abitativa in alcune
regioni del Nord e del Centro appare invece la concentrazione della spesa per contributi
integrativi per il pagamento dei canoni di locazione. Percentuali elevate si registrano in
Lombardia (che assorbe il 16% del Fondo), nel Lazio (10%), in Emilia Romagna (8%), in
Piemonte e in Toscana (6%). La regione che assorbe la quota relativa più ampia del Fondo è
peraltro ancora una del Sud, la Campania, con il 20%.
In aggiunta al proseguimento dei programmi di spesa di nuova istituzione, e al già
ricordato aumento delle detrazioni fiscali per carichi di famiglia, le leggi finanziarie per il
2001 e per il 2002 hanno introdotto incrementi dei trattamenti integrati al minimo e di quelli
con caratteristiche assistenziali, graduati in funzione dell’età. L’operazione si colloca nel
solco delle politiche perequative a favore degli anziani e di maggiore attenzione verso gli
importi pensionistici più ridotti, perseguite nell’ultimo biennio, prima dal governo Amato e
poi da quello Berlusconi. Ragioni di opportunità politica e di urgenza nel porre parziale
rimedio al problema dei contribuenti “incapienti” giustificano in parte l’operazione. Tali
provvedimenti, e in particolare l’aumento delle pensioni minime, appaiono tuttavia criticabili
da più punti di vista: in primo luogo, perché violano il principio dell’equità attuariale posto
dalla riforma Dini a fondamento dei criteri di determinazione dei trattamenti corrispondenti a
diverse età di pensionamento; in secondo luogo, perché, in assenza di una revisione del
sistema di verifica della condizione economica che ne disciplinino più equamente
l’erogazione, rischiano di esercitare effetti redistributivi mediocri; in terzo luogo perché
lasciano aperti problemi di disegno complessivo del sistema. L’insoddisfazione, da più parti
denunciata, per la coesistenza di una pluralità di istituti disegnati in maniera scarsamente
coerente suggerirebbe viceversa un generale riordino dei trasferimenti monetari, che
coinvolga l’assegno al nucleo familiare e il reddito minimo d’inserimento, che sperimenti
forme di integrazione tax-benefit con lo strumento delle detrazioni fiscali per familiari a
carico e realizzi una più chiara distinzione degli obiettivi di contrasto della povertà e di
sostegno delle responsabilità familiari34.
4. Il DPEF 2003-2006 e la manovra finanziaria per il 2003
Il nuovo Documento di Programmazione economico-finanziario 2003-2006 non aiuta
a fare chiarezza sugli obiettivi programmatici e sulle risorse finanziarie che il governo in
carica intende impegnare nel prossimo triennio per le politiche familiari. Pur prestando un
tributo rituale alla famiglia, in quanto “nucleo fondamentale della società”, il paragrafo sulla
politica sociale del DPEF appare vago e lacunoso sulle scelte di politica di bilancio che il
governo compirà con la Finanziaria per il 2003. L’impressione è che si sia in presenza di un
semplice elenco di temi che compongono da anni l’agenda sulla spesa sociale35. L’unico
34
Cfr. ad esempio Commissione tecnica per la spesa pubblica (2000, 2001b) e De Vincenti (2001). Per una
proposta organica di riforma delle politiche assistenziali e dei programmi di assicurazione sul mercato del
lavoro, cfr. anche Boeri, Perotti (2002).
35
Le finalità del governo, si legge nel DPEF, riguardano “la promozione di interventi diretti alla realizzazione di
prestazioni sociali uniformi su tutto il territorio nazionale in materia di diritti dell’infanzia e dell’adolescenza; il
sostegno ai progetti sperimentali attivati dalle Regioni ed Enti locali; l’attuazione di nuove misure di contrasto
della povertà, la promozione di azioni concertate promosse da enti ed associazioni operanti nei settori del
volontariato e del no profit”. Ci si propone inoltre di “valorizzare e sostenere le responsabilità familiari,
rafforzare i diritti dei minori; adottare misure che sostengono il servizio domiciliare per le persone non
autosufficienti, in particolare gli anziani e le disabilità gravi; favorire l’integrazione sociale e i diritti delle
persone disabili e incentivare la definizione di programmi annuali e pluriennali che disciplinano le politiche
sociali”. Nell’ambito delle compatibilità di finanza pubblica, si legge infine, il governo intende “almeno
consolidare le risorse destinate alle attività indicate dal Piano nazionale degli interventi e dei servizi sociali, al
23
provvedimento rilevante contenuto in Finanziaria consiste, all’articolo 28, nell’unificazione
delle risorse stanziate dal Fondo nazionale per le politiche sociali, che saranno trasferite alle
Regioni non più in maniera finalizzata per ciascuna voce di intervento ma in modo indistinto.
Gli altri interventi (a tutela dell’infanzia, degli anziani non autosufficienti, ecc.) restano
materia di confronto parlamentare, ma al di fuori della sessione di bilancio. Non resta quindi
che attendere la pubblicazione, annunciata dal ministro competente per Natale 2002, del libro
bianco sulle politiche sociali, che dovrebbe contenere una ricognizione complessiva del
sistema e un’analisi della spesa corrente e della sua riqualificazione.
Prime, scarne indicazioni degli orientamenti che il governo intende seguire
relativamente alla messa a regime del reddito minimo d’inserimento sono contenute nel Patto
per l’Italia, siglato nel luglio 2002 e sottoscritto dal Governo, da associazioni sindacali
(esclusa la CGIL) e da organizzazioni imprenditoriali e di categoria. Secondo il Patto per
l’Italia, il RMI non verrebbe generalizzato a livello nazionale, così come previsto dalla legge
328/2000 (art. 27), bensì ridefinito a livello locale, in relazione alla presunta “impraticabilità
di individuare attraverso la legge dello Stato soggetti aventi diritto ad entrare in questa rete di
sicurezza sociale”. Il governo ritiene “perciò preferibile realizzare il cofinanziamento, con una
quota delle risorse del Fondo per le politiche sociali, di programmi regionali, approvati
dall’amministrazione centrale, finalizzati a garantire un reddito essenziale ai cittadini non
assistiti da altre misure di integrazione del reddito”. L’amministrazione centrale si limiterebbe
ad una funzione “di coordinamento e di controllo sull’andamento e sui risultati dei programmi
medesimi”. Il Patto non esclude peraltro una “eventuale prosecuzione dell’esperimento …
[che] dovrà essere coerente con le finalità sopra descritte e con gli obiettivi di contrasto
dell’economia sommersa”.
Venendo meno il carattere nazionale, è alto il rischio, a nostro parere, che una messa a
regime del RMI su base regionale risulti inefficace nel perseguimento degli obiettivi che
erano stati assegnati all’istituto e che persista l’attuale disomogeneità territoriale
nell’assistenza monetaria di ultima istanza, là dove oggi prevista dalle singole
amministrazioni locali. Negativo sarebbe anche un ulteriore prolungamento della
sperimentazione per le incertezze che questo provocherebbe nei già delicati rapporti esistenti
tra i vari attori coinvolti – governo centrale, amministrazioni locali, operatori sociali sia
pubblici sia privati, beneficiari del sussidio - (Saraceno 2002).
Con il Patto per l’Italia, l’esecutivo si è anche impegnato a introdurre alcune
significative modifiche della tassazione personale del reddito. Tali modifiche si
preannunciano come la prima tranche della riforma prevista dal disegno di legge delega
tuttora in discussione in Parlamento, una riforma radicale, da attuarsi nell’arco dell’intera
legislatura, e che porterebbe all’introduzione di un nuovo tipo di imposta sul reddito, l’IRE, in
sostituzione dell’IRPEF. Il modello teorico di riferimento della riforma, verso cui tenderebbe
il sistema, è il modello di tassazione flat-rate, basato su una o al massimo due aliquote
marginali (la riforma ne prevede due, una al 23% fino a 100.000 euro, l’altra al 33% oltre i
100.000 euro) e un sistema di deduzioni dalla base imponibile necessario a garantire
progressività all’imposta e a tenere conto di altre caratteristiche economiche del contribuente
(condizioni familiari, spese meritorie, ecc.). Sebbene la delega non chiarisca in modo
esauriente alcuni elementi del nuovo sistema a regime (struttura delle deduzioni, minimo
esente, ecc.), peraltro cruciali per individuarne in modo chiaro gli obiettivi e gli effetti, prime
valutazioni operate da alcuni centri di ricerca mettono in evidenza come la riforma
dell’IRPEF che si intende attuare entro il 2006 produrrà effetti sperequati sulla distribuzione
livello del 2002, prevedendo comunque la possibilità di integrare il Fondo nazionale per le politiche sociali per
ulteriori iniziative a sostegno delle attività sociali”.
24
del reddito delle famiglie e sgravi d’imposta concentrati soprattutto a favore del 10% più ricco
delle famiglie (Baldini, Bosi 2002a).
La nuova struttura dell’IRPEF prevista dalla manovra finanziaria per il 2003 appare
coerente con il disegno di riforma complessivo e produrrà nel prossimo anno una riduzione di
gettito stimata in 5,5 miliardi di euro, da ottenersi attraverso il ridisegno della scala delle
aliquote, la trasformazione delle attuali detrazioni d’imposta a favore dei redditi di lavoro in
deduzioni dalla base imponibile e l’estensione dell’area di esenzione. La struttura delle
aliquote resterebbe quella tradizionale, imperniata su cinque aliquote, ma con alcune
variazioni concentrate nella parte iniziale della scala. In particolare, le due aliquote vigenti,
del 18% (fino a 10.000 euro circa) e del 23% (fino a 15.000 euro circa) verrebbero
rimpiazzate da un’aliquota unica del 23%, relativa ai redditi fino a 15.000 euro. Verrebbero
invece creati due scaglioni, al 29 e al 31%, per i redditi compresi, rispettivamente, tra i 15.000
e i 29.000 euro e tra i 29.000 e i 32.600 euro, in sostituzione della vecchia aliquota del 32%.
Rimarrebbero invece sostanzialmente invariati i due scaglioni più elevati, quello da 32.600 a
70.000 euro (aliquota del 39%) e quello oltre i 70.000 euro (aliquota del 45%) (cfr. Tab. 9). A
ogni contribuente sarebbe concessa una deduzione dalla base imponibile pari a 3.000 euro,
incrementata di 4.500 euro se lavoratore dipendente, 4.000 se pensionati o 1.500 se lavoratore
autonomo. La deduzione verrebbe erogata in modo decrescente al crescere del reddito e si
annullerebbe per valori di imponibile intorno ai 30.000 euro, coerentemente all’obiettivo di
concentrare gli sgravi sui redditi compresi tra 0 e 25.000 euro. L’effetto degli sgravi sarebbe
di esentare dall’imposta i redditi da lavoro dipendente non superiori a 7.500 euro, quelli da
pensione fino a 7.000 euro e quelli da lavoro autonomo fino a 4.500 euro. Rimarrebbero
invece inalterate le detrazioni per carichi di famiglia e gli oneri detraibili per spese meritorie.
Tab.9. la scala delle aliquote marginali dell’IRPEF nel 2002 e nel disegno di legge finanziaria 2003
IRPEF 2002
IRPEF Disegno di Legge finanziaria 2003
Scaglioni di reddito (in euro)
Aliquota marginale*
Scaglioni di reddito (in euro)
Aliquota marginale*
Fino a 10.329,14
18%
Fino a 15.000
23%
Da 10.329,14 a 15.493,71
24%
Da 15.000 a 29.000
29%
Da 15.493,71 a 30.987,41
32%
Da 29.000 a 32.600
31%
Da 30.987,41 a 69.721,68
39%
Da 32.600 a 70.000
39%
Oltre 69.721,68
45%
Oltre 70.000
45%
(*) I valori delle aliquote marginali non includono la quota dello 0,9% a favore delle Regioni.
Stime dell’impatto sul gettito e sulla distribuzione personale del reddito indicano che
le modifiche apportate all’IRPEF produrrebbero una perdita di circa 6,1 miliardi di euro,
coerente con le previsioni del governo, e una lievissima riduzione nella disuguaglianza dei
redditi familiari disponibili equivalenti: l’indice di Gini36 si ridurrebbe di poco meno di un
decimo di punto, passando dal 34,03 allo 33,95% (Baldini 2002; Baldini, Bosi 2002b).
L’analisi della distribuzione per decili degli sgravi fiscali mostra tuttavia che al 20%
più povero delle famiglie, buona parte delle quali sono già oggi di fatto esentate dall’IRPEF,
36
L’indice di Gini è il più noto indicatore impiegato nelle analisi distributive e serve a quantificare il livello della
disuguaglianza di una distribuzione. Esso assume valori compresi tra zero (valore minimo) e uno (valore
massimo) ovvero, in termini percentuali, tra 0 (perfetta eguaglianza) e 100 (massima disuguaglianza).
25
andrebbero guadagni pressoché trascurabili (inferiori all’1%) e che l’incremento
percentualmente più sensibile del reddito disponibile, nell’ordine di un punto e mezzo
percentuale circa, si avrebbe per le famiglie che occupano i decili mediani, dal quarto al
settimo (cfr. Tab. 10).
Tab.10. Effetti delle modifiche dell’IRPEF nel 2003 sulla distribuzione
dei redditi familiari disponibili equivalenti*
Decili di
famiglie
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
Media
Aliquota
media sul
reddito
imponibile
IRPEF 2002
Aliquota
media sul
reddito
imponibile
IRPEF 2003
1
3,1%
6,2%
10,6%
12,8%
13,9%
16,1%
17,3%
19,1%
21,7%
31,0%
19,9%
2
2,9%
5,3%
9,2%
11,4%
12,5%
14,7%
15,9%
17,9%
20,6%
30,4%
18,9%
Variazione
Variazione del Distribuzione
dell’aliquota
reddito
% della
media in % del
disponibile
riduzione del
reddito
equivalente
gettito totale
imponibile
rispetto al
familiare
gettito 2002
3=1–2
-0,2%
0,11%
0,4%
-0,9%
0,65%
3,9%
-1,3%
1,19%
7,4%
-1,3%
1,32%
8,8%
-1,4%
1,28%
10,5%
-1,3%
1,27%
12,0%
-1,4%
1,32%
13,9%
-1,2%
1,20%
15,0%
-1,0%
1,00%
15,0%
-0,5%
0,48%
13,3%
-1,0%
0,95%
(*) scala di equivalenza ISE.
Fonte: Baldini (2002).
In termini assoluti, circa il 70% dell’ammontare complessivamente restituito alle
famiglie andrebbe a favore degli ultimi cinque decili, dal sesto al decimo, ossia la metà più
ricca della popolazione (ultima colonna della tab. 10). Anche una tappa intermedia del
processo di riforma dell’IRPEF che voglia privilegiare i redditi medio-bassi, quindi, è
verosimile che finisca per destinare una quota ingente della riduzione d’imposta alla fascia più
ricca della distribuzione.
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