Giustizia riparativa ASAI

Transcript

Giustizia riparativa ASAI
un progetto di giustizia riparativa a torino
di Fabrizio Maniscalco
Ci sono dei punti in un racconto in cui
si può arrivare a vedere altro.
Punti di congiunzione,
in cui ci è concesso scendere
a un livello più profondo.
Mimmo De Simone, I due volti dell’innocenza
C
due. metodologia
44
orreva l’anno 1991 quando il poliziotto australiano Terry O’Connell mise a
punto un modello dettagliato di incontro tra vittima e offensore, alla presenza di familiari e amici stretti. Già dagli anni ’80, O’Connell aveva cominciato
a promuovere un numero elevato di incontri di giustizia riparativa, con diverse
fasce d’età e per diverse tipologie di reato1.
Due anni prima, nel 1989, l’innovativo processo decisionale della Family
Group Conference aveva trovato uno spazio significativo all’interno della legislazione della Nuova Zelanda. Fu esplicitato il riferimento alla tradizione degli
indigeni Māori, in cui la comunità stessa si faceva carico di una situazione di
conflitto e cercava delle risposte condivise2. Sempre nel 1989, il criminologo
australiano John Braithwaite introdusse il concetto di vergogna reintegrativa3.
Durante l’incontro di giustizia riparativa, la vergogna provata dall’offensore non
va soffocata ma riconosciuta e incanalata. Essa è il motore principale che porta
alla consapevolezza e alla riparazione.
Sempre all’inizio degli anni ’90, nacquero esperienze analoghe in altri paesi,
con tempistiche e modalità differenti. La metodologia delle pratiche riparative entrò nelle scuole della Csf Buxmont Academy fondate da Ted Wachtel, in
Pennsylvania. Tutti gli insegnanti e gli educatori utilizzano lo stesso metodo in
modo integrato, con adolescenti in conflitto con la legge penale o espulsi dalla
scuola tradizionale.
In quegli anni cominciarono a far scalpore i risultati straordinari di un nuovo
paradigma di giustizia, quello della Restorative Justice, che si contrappone alla
diffusa, ma poco efficace, giustizia retributiva, dove la comunità affida esclusivamente all’autorità la risposta all’atto inadeguato.
Secondo le Nazioni Unite, la giustizia riparativa è un paradigma che coinvolge
la vittima, il reo e la comunità nella ricerca di soluzioni agli effetti del conflitto
generato dal fatto delittuoso, allo scopo di promuovere la riparazione del danno,
la riconciliazione tra le parti e il rafforzamento del senso di sicurezza collettivo4.
1 Wachtel T., O’Connell T., Wachtel B., Reuniones de Justicia Restaurativa, International
Durante l’incontro (o Restorative Justice Conference) si vuole comprendere chi è
stato danneggiato e quali sono gli effetti concreti ed emozionali di tale situazione, attraverso una gestione collettiva e comunitaria delle conseguenze dell’atto
lesivo.
La vittima non è più un semplice testimone ma è riconosciuta come soggetto
centrale e partecipante5. La riparazione dell’offesa è ricercata nella sua dimensione globale. Una maggiore cura delle persone offese rende la giustizia penale
più seria e ponderata6.
Un altro obiettivo riguarda l’auto-responsabilizzazione dell’offensore. Quest’ultimo non è più il passivo esecutore di una punizione ma si trova ad avere un ruolo
attivo. Non c’è solo il giudice che fa giustizia. L’offensore stesso contribuisce alla
costruzione di soluzioni7.
Il progetto torinese di giustizia riparativa di Asai si inserisce nel solco già ampiamente tracciato in tutti e cinque i continenti. In questo ambito, l’Italia non
è certamente tra i paesi più avanzati. Dalla fine degli anni ’90, però, sono attive
esperienze interessanti, tra cui quelle attinenti alla mediazione penale in ambito
minorile, accompagnate dal lavoro prezioso di alcuni illustri professori e ricercatori universitari.
Nel 2012 è stato firmato un protocollo d’intesa tra Asai, il Nucleo di Prossimità
della Polizia Municipale e la Procura della Repubblica presso il Tribunale per i
Minorenni del Piemonte e della Valle d’Aosta. Ogni anno l’associazione coinvolge circa sessanta adolescenti minorenni all’interno di percorsi ispirati alla giustizia riparativa. Per alcuni di loro sono attive anche collaborazioni con il Centro di
Mediazione Penale di Torino e altri enti del territorio.
La presenza diffusa sul territorio e la molteplicità dei percorsi di Asai permettono di adeguare i percorsi riparativi ai bisogni dei ragazzi e del contesto.
La disponibilità convinta di alcuni vigili, educatori e magistrati ha reso possibile
l’avvio del progetto in un’ottica di rete.
A livello metodologico, il percorso di giustizia riparativa comincia con un primo incontro al quale sono presenti un rappresentante della Polizia Municipale,
un educatore Asai, l’autore minorenne dell’atto lesivo, i suoi genitori o il suo
adulto di riferimento. Si analizza il profilo del minore, alla luce anche delle sue
capacità e dei margini di miglioramento interpersonale. Insieme, si concorda la
partecipazione a una serie di attività di volontariato dove il ragazzo, per diversi
mesi, ha mansioni manuali o di animazione ed è in contatto con coetanei, utenti
e volontari dell’associazione.
Il percorso si conclude con una riunione di verifica tra i soggetti coinvolti già
nel primo incontro. Il momento più intenso è l’incontro tra l’offensore e la vittima, alla presenza dei rispettivi familiari, dell’educatore Asai e del rappresentante
della Polizia Municipale. Quest’ultimo svolge il ruolo di mediatore. Durante l’incontro, che è sempre basato sulla volontarietà e sulla libertà di partecipazione,
Institute For Restorative Practices, Bethlehem, Pennsylvania, USA, 2010, p. 16.
2 Wachtel T., O’Connell T., Wachtel B., Reuniones de Justicia Restaurativa, cit., p. 16.
3 John Braithwaite analizzò dettagliatamente il concetto di vergogna reintegrativa all’interno
5 Schmitz J., Justicia Juvenil Restaurativa. Relato de una experiencia innovadora, en Costa G.,
del suo famoso volume Crime, Shame and Reintegration del 1989.
4 cfr. United Nations, Basic Principles on the Use of Restorative Justice Programmes in Criminal Matters, Resolution 12/2002.
6 Mazzucato C., La Poesia della Verità nella Ricerca della Giustizia, Giustizia e Letteratura i,
Romero C., ¿Qué hacer con las pandillas?, Ciudad Nuestra, Lima, 2009, p. 215.
Milano, Italia, 2012, p. 532.
7 Wachtel T., O’Connell T., Wachtel B., Reuniones de Justicia Restaurativa, cit., p. 189.
TORINO
punti di congiunzione
45
46
tutti i presenti hanno l’opportunità di esprimere i propri sentimenti e di raccontare gli sviluppi della fase preparatoria.
Gli atti lesivi che portano all’attivazione dei processi riparativi in Asai, sono
differenti. Il 75% sono casi di bullismo, cyberbullismo e stalking, mentre meno
numerosi sono i casi di furto e lesione personale. Con uno sguardo più ampio,
ogni singolo percorso andato a buon fine solleva il sistema di giustizia penale
minorile da un successivo sviluppo processuale. In più, le norme sono comprese
e introiettate dall’individuo, che diventa responsabile delle proprie azioni al di là
della semplice minaccia delle sanzioni.
Un aspetto importante riguarda la provenienza degli adolescenti coinvolti nel
progetto. Anche se Asai opera in quartieri torinesi ad alto tasso di immigrazione,
la metà dei ragazzi coinvolti è di origine italiana. Solo il 10% è di genere femminile. L’età si sta abbassando notevolmente: molti episodi gravi di bullismo si
riscontrano all’interno delle scuole secondarie di primo grado. Un terzo di essi
proviene da famiglie senza particolari vulnerabilità economiche: le sofferenze
urbane toccano persone vulnerabili e precarie ma non per forza economicamente
svantaggiate8.
La percentuale di ragazzi che interrompono il programma riparativo prima
del tempo previsto, non supera il 2%. La percentuale di ragazzi che continuano
l’esperienza di volontariato anche dopo la fine del progetto, raggiunge il 10%.
Le statistiche non bastano per dipingere la varietà delle storie personali. Sia
chiaro, nessuna pena può cancellare le fratture umane e sociali di un reato. Però
si può andare oltre, con l’ago e il filo, cioè con una giustizia intesa come ri-unione
di ciò che prima era separato9. Non c’è più soltanto una responsabilità di qualcosa e per qualcosa ma si entra in una dimensione relazionale: l’essere responsabili
verso qualcuno10.
due. metodologia
Nonostante i risultati incoraggianti, attualmente, non esiste alcun sostegno al
progetto. Maggiori risorse permetterebbero, sicuramente, di strutturare percorsi
di formazione per gli operatori e renderebbero più agevole l’interazione con esperienze analoghe in altre città.
8 Ceretti A., Cornelli R., Oltre la paura, Feltrinelli, Milano, Italia, 2013, p. 204.
9 Mazzucato C., Il mondo senza immagini dei giuristi, Giustizia e Letteratura ii, Milano,
2014, p. 462-463.
10 Ceretti A., Cornelli R., Oltre la paura, cit., p. 223.
“sono quella metà che mi piace”
l’esperienza di luca
M
i ricordo molto bene quel primo incontro con il commissario di polizia. Attorno al collo mi ero messo la sciarpa più grande che avevo, con cui cercavo
di nascondermi tutta la faccia. Pensavo: “Io questa cosa del percorso non la faccio
neanche sotto tortura!”.
Dopo le prime settimane di volontariato in Asai, ho capito cosa intendevano per
“forma di riparazione alla comunità”. Alcune settimane dopo, ho anche capito che
la vera tortura era quella che facevo, con altri tre amici, a quel compagno di classe
che vedevamo come lo sfigato della scuola. Sfigati erano i nostri sputi, conditi da
insulti, la cartella buttata nella pattumiera e il diario bruciato. E pure quel video su
Facebook, con tutte quelle prese in giro che nessun click poteva cancellare.
Durante il percorso in Asai mi sono reso conto che, a quel ragazzo, volevo dire
tante cose. Ogni giorno lo incrociavo nel corridoio ma non riuscivo neanche a guardarlo. “Mi odierà”, pensavo.
Infatti lui mi ha odiato per un bel po’ di tempo. Poi un giorno ci siamo seduti in
cerchio, con mia madre e i suoi genitori. C’erano pure un suo amico, il mio educatore Asai, la preside, mio zio, gli altri tre miei amici e i loro genitori. All’inizio,
che vergogna. Peccato che faceva caldo, altrimenti mi portavo la sciarpa enorme del
primo incontro.
Abbiamo parlato tutti, e nessuno è stato interrotto. E alla fine, dopo il cerchio,
con la bibita nel bicchiere, io e quel ragazzo ci siamo salutati abbracciandoci. A
momenti ci rovesciavamo la bibita addosso.
Detto sinceramente, non sono cambiato del tutto. Sono ancora diviso tra due
metà. Ogni settimana, però, quando aiuto nei compiti un bambino o quando saluto
quel ragazzo nel corridoio della scuola, sono quella metà che mi piace.
box