corso di esercizi spirituali ispettoria italia nord est
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Corso di Esercizi Spirituali Ispettoria Italia Nord Est (INE) Casa di accoglienza Pergine, (Trento). Tema: “Consacrati, presbiteri e laici impegnati nella creazione di una cultura vocazionale nella Famiglia Salesiana e nella Chiesa”. 8 L’Amore fraterno, qualità dell’amor e comunità di oranti Don José Pastor Ramírez, sdb Pergine, 17-23 luglio 2011 L’Amore fraterno, qualità dell’amore e comunità di oranti Pomeriggio del 21 luglio 2011 Ieri pomeriggio e oggi in mattinata abbiamo riflettuto sui temi: “Essere presbitero, consacrato e laico impegnato nell’ambito della nostra cultura” e “Il sacerdote, ponte tra due sponde”. Cioè, abbiamo visto le sfide che ci presenta la cultura odierna e come affrontare tali sfide. Per affrontare le “sfide culturali” e diventare “ponte” dobbiamo avere un’amicizia solida con Dio. Per noi membri della Famiglia Salesiana, soprattutto per i salesiani e salesiane, la preghiera ha delle caratteristiche che non possiamo dimenticare: “è gioiosa e creativa, semplice e profonda; si apre alla partecipazione comunitaria, è aderente alla vita e si prolunga in essa” (Cost. Art. 86). Abbiamo bisogno di coltivare una pedagogia dell'orazione che venga esplicitata, prolungata e tradotta in forma concreta e vitale. Siamo chiamati ad essere oranti ed amici di Dio. Per diversi motivi voglio proporvi l’insegnamento di Teresa di Gesù sulla preghiera1: Per Teresa, insegnare a pregare è insegnare a vivere le esigenze dell'amicizia con Dio. Teresa, a chi le chiede una parola sul “tratto” con Dio, comincia insegnando a “trattare” con il prossimo. Teresa mette sempre come verifica della preghiera l’amore verso i fratelli ed il loro servizio. Occorre dunque imparare a trattare veramente il fratello come amico. Per lei nella preghiera è fondamentale l’umiltà. È umile la persona che permette a Dio di essere il protagonista della propria vita. Penso che il concetto di preghiera di Santa Teresa può essere un’opportunità per approfondire e valorizzare la nostra preghiera come FS. La necessità e priorità pastorale di formare il cristiano, soprattutto i giovani alla preghiera è così fortemente percepita oggi da far scrivere che si tratta del dovere primario della Chiesa: «Il problema pastorale più urgente del nostro tempo è quello di insegnare ai nostri fedeli il modo con cui pregare» (Trueman Dicken, El crisol del amor). Da ciò l'importanza di rivolgersi ai grandi oranti, a coloro che si pensa abbiamo trovato la chiave d'accesso al mondo del «rapporto d'amicizia» con Dio. Infatti il ruolo e la parola che ci si aspetta da essi è di condurci all'esperienza di Dio. Prescindere da essi o trasformare il dialogo illuminante in semplice e cieca ammirazione, significa correre il rischio che il nostro sforzo resti senza esito e che la nostra speranza di divenire oranti non giunga mai a concretizzarsi. Oppure si perderà un tempo che potrebbe essere irrecuperabile: «Se io ho sofferto moltissimo – dirà Teresa di Gesù - e ho perduto molto tempo fu appunto per non sapere quello che dovevo fare. […] Mi fanno molta compassione le anime che, arrivate a questo punto, si trovano sole…» (V 14,7). Affrontiamo quindi l’argomento come veri apprendisti nel campo della fede e della preghiera. Abbiamo bisogno di imparare a pregare. Per rispondere alla nostra esigenza, Teresa, maestra di orazione, si dimostra insostituibile. È maestra geniale. Lo ha ribadito Paolo VI conferendole il titolo di Dottore della Chiesa e motivando l’attualità del suo messaggio con queste parole: «Ornata da questo titolo magistrale (vogliamo che) ella abbia una più autorevole missione da compiere, nella sua Famiglia religiosa e nella Chiesa orante e nel mondo, con un suo messaggio perenne e presente: il messaggio dell’orazione» (Insegnamenti di Paolo VI, VIII, 1970). La sua pedagogia educa ad assumere atteggiamenti personali. In concreto e fondamentalmente - come esigenza 1 Questo tema è stato presentato da don Jesús Manuel García ai membri della Comunità salesiana della Casa Generalizia nel ritiro mensile il 4 febbraio 2011. 2 d'amicizia - educa a un atteggiamento di presenza all'Altro, realizzato dal di dentro e a livelli sempre più profondi. Ciò implica un movimento di «raccoglimento», di interiorizzazione, senza i quali non si da presenza, non si da orazione. La pedagogia dell'orazione teresiana presuppone e nasce da una definizione della preghiera che viene esplicitata, prolungata e tradotta in forma concreta e vitale. 1. Il concetto di preghiera come amicizia con Dio Fra le molte definizioni o descrizioni della preghiera cristiana offerte dai trattati di teologia spirituale, si trova quella data da Santa Teresa nel libro della sua Vita, c. 8,5. Pur non essendo tecnicamente una definizione, racchiude in sé una serie di elementi che la rendono estremamente interessante. Ma se non si vuole banalizzare il concetto teresiano o interpretarlo soggettivamente, bisogna compiere una semplice esegesi ed esposizione, partendo dallo stesso testo originale spagnolo. II contesto in cui viene inserita la definizione della preghiera teresiana è significativo. Nel c. 7 della autobiografia Teresa ha descritto con accenti drammatici la sua situazione di crisi religiosa nel monastero dell’Incarnazione; crisi che ha come causa anche il mantenimento di amicizie umane che Dio apertamente rimprovera; ma, paradossalmente, Teresa afferma la sua solitudine più buia a livello di una amicizia spirituale che la riporti sulla retta via. Tra l’amicizia umana e la solitudine spirituale, Teresa si mantiene in piedi con la prassi della preghiera; prassi imparata da giovane, coltivata con amore, ripagata da Dio con grazie interiori; ma preghiera che passa per gli alti e bassi della sua vita spirituale; è lasciata da parte durante un periodo di tempo, ripresa penosamente durante un lungo tratto della sua vita, fra lotte ed aridità. Ma nella fedeltà alla preghiera, all’amicizia con Dio sta’ la chiave di una riuscita, l’opportunità di una conversione come grazia conferitale da Cristo stesso (V 9,1-2). In questo preciso contesto, che prelude il racconto della sua conversione, Teresa inserisce un’apologia della preghiera nella quale impegna la sua personale testimonianza, indirizza un invito pressante, esprime la definizione e le esigenze di questa preghiera di amicizia, per sfociare finalmente in una preghiera rivolta a Dio. Ecco il testo nella traduzione più conosciuta di questo brano di Santa Teresa: «Molti santi e buoni scrittori hanno parlato del gran bene che si ricava esercitandosi nell’orazione, dico nell’orazione mentale. Ne sia ringraziato il Signore! Ma se così non fosse, per poco umile che sia, non sono però così superba d’arrischiarmi io a trattarne. Posso dire soltanto quello che so per esperienza: cioè che chi ha cominciato a fare orazione non pensi più di tralasciarla, malgrado i peccati in cui gli avvenga di cadere. Con l’orazione potrà presto rialzarsi, ma senza di essa sarà molto difficile. Non si faccia tentare dal demonio a lasciarla per umiltà, come ho fatto io, e si persuada che la parola di Dio non può mancare. Se il nostro pentimento è sincero e proponiamo di non più offenderlo, Egli ci accoglie nell’amicizia di prima, ci fa le medesime grazie di prima, e alle volte anche più grandi, se la sincerità del pentimento lo merita. Quanto a coloro che non hanno ancora cominciato io li scongiuro, per amore di Dio, di non privarsi di un tanto bene. Qui non vi è nulla da temere, ma tutto da desiderare. Anche se non facessero progressi, ne si sforzassero di essere così perfetti da meritare i favori e le delizie che Dio riserva agli altri, guadagnerebbero sempre con imparare il cammino del cielo; e perseverando essi in questo santo esercizio, ho molta fiducia nella misericordia di quel Dio che nessuno ha mai preso invano per amico, giacché l’orazione mentale non è altro, per me, che un intimo rapporto di amicizia, un frequente trattenimento da solo a solo con Colui da cui sappiamo d’essere amati. Ma voi direte che ancora non lo amate. Sì, perché l’amore sia vero e l’amicizia durevole, occorrono parità di condizioni, e invece sappiamo che mentre nostro Signore non può avere alcun difetto, noi siamo viziosi, sensuali ed ingrati, per cui non lo possiamo amare quanto Egli si merita» (V 8,5). 3 Un’analisi letterale - «Tratar de amistad». Teresa definisce la preghiera con un termine abbastanza largo come quello di tratto, amicizia, o più concretamente come un «essere amici», avere un rapporto di amicizia. Essere oranti è essere amici di Dio. Privilegia la situazione, l’atteggiamento globale della vita prima di scendere al concreto «intrattenersi» che suppone questa amicizia. In questa accentuazione c’è il desiderio di parlare di una vita più che di un momento, di una condizione permanente di rapporto con Dio più che di un atto concreto di preghiera. - «Estando tratando». Nel ripetitivo teresiano, corrente nel suo linguaggio scritto c’è la coerenza di una amicizia segnata da momenti concreti in cui gli amici si incontrano e si parlano; se è vero che non esiste una vera amicizia se questa non è un atteggiamento durevole, è anche vero, come osserva finemente Teresa, che «anche il rapporto di parentela e di amicizia si perde con la mancanza di comunicazione» (C 26,10). I due poli dell’amicizia vengono richiamati per stabilire i due poli della preghiera: la preghiera-vita che suppone un rapporto costante con Dio, la preghieraesercizio che richiede tempi opportuni dedicati a questa esperienza di incontro, di ascolto, di dialogo. - «Muchas veces». Molte volte, spesso. Alla preghiera come esercizio Teresa assegna la necessaria frequenza, perseveranza che è indice di fedeltà e di continua crescita nell’amore: tempi lunghi e forti per una realtà destinata a crescere dinamicamente fino a diventare una storia di amicizia che richiede costantemente la verifica. - «A solas». Nella solitudine, più che «da solo a solo», secondo il testo spagnolo. È chiaro che questa solitudine richiede lo spazio del silenzio interiore per ascoltare e parlare. La solitudine allora viene richiesta come un bisogno psicologico di concentrazione per essere in un rapporto vitale con Dio ma anche come una necessità di far tacere quanto impedisce la coscienza e rivelazione della presenza di Dio. Ma, bisogna notarlo, contro ogni gratuita accusa di intimismo, la motivazione data da Teresa per questo «a solas» della preghiera, non poteva essere più valida: «perché così faceva il Signore quando pregava, e non perché ne avesse bisogno ma per il nostro insegnamento» (C 24,4). Si vede che Teresa ha meditato spesso sulla preghiera silenziosa e solitaria di Gesù richiamata dagli evangelisti, in modo da presentare anche in questo il Cristo come modello della preghiera; ma soggiace anche nella motivazione teresiana un altro insegnamento di Gesù: «Sapete che sua Maestà ci insegna a pregare in solitudine», con un chiaro riferimento al consiglio della preghiera «nella camera e nel segreto» secondo la terminologia di Mt 6,6. Però Teresa stessa relativizza questo principio quando scrive «Sarebbe ben duro se soltanto nei nascondigli si potesse fare orazione... » (F 5,16); la motivazione è semplice: «il vero amante non cessa mai di amare e pensa sempre all’Amato» (Ibid.). Teresa offre anche altri consigli per una preghiera calata nelle circostanze della vita: (C 29,5); in mezzo alle difficoltà della sofferenza e della malattia (V 7,12). Inoltre, bisogna ribadirlo contro ogni accusa di intimismo, Teresa mette sempre come verifica della preghiera l’amore verso i fratelli ed il loro servizio, fino a sperimentare che nella preghiera la solitudine si riempie di presenze e l’anima viene spinta a lasciare Dio per il prossimo (Esclamazione, 2). - «Con quien sabemos nos ama». Con Dio, cioè, che conosciamo e sappiamo Amico nostro, in una attiva e sempre viva comunicazione di amore. In questa parola è il segreto della preghiera: consapevolezza che Dio ci ama, fede in Dio che ci è amico. La preghiera allora ripropone il dialogo di amore della rivelazione e ne è la risposta. È dialogo, ma in quanto è l’uomo che deve rispondere ad un amore che si è manifestato. Un «sappiamo» che è esperienziale ma che dipende 4 in definitiva dalla rivelazione attraverso la quale noi «sappiamo e crediamo» all’amore che Dio ha per noi. Indirettamente, questo suppone che la preghiera cristiana, come sottolinea Teresa, nasce dall’ascolto della parola dalla rivelazione di Dio compiuta in Gesù Cristo e che diventa per la preghiera stessa evento ed esperienza di fede. 2. Presupposti teologali dell’orazione Per arrivare a questa preghiera teresiana, si richiedono alcuni presupposti, così da diventare persone oranti e non solo persone che fanno orazione. Per Teresa, insegnare a pregare è insegnare a vivere le esigenze dell'amicizia con Dio. O, come ha scritto nel Cammino, «disporre le pedine sullo scacchiere». Si tratta qui di un'impostazione teologale che è fondamentalmente e radicalmente l'esplicitazione e l'esperienza vissuta delle esigenze della fede: senza l'impegno di amare il fratello, di liberarsi da tutti gli attacchi egoistici e di fare la verità, non è possibile vivere l'orazione-amicizia. Anzi, non è possibile che vi sia orazione perché manca l'orante. È chiaro che Teresa non ha fretta di parlare dell'orazione, perché si preoccupa piuttosto dell'orante. Quando mancano le fondamenta, l'edificio crolla. Se la preoccupazione per 1’atto prevale su quella per la persona, l'orazione si riduce a un esercizio, ma che non appartiene alla persona. Soffermiamo quindi su alcune coordinate che, secondo Teresa, fanno di noi uomini di preghiera e non soltanto praticanti dell’orazione. 2.1. Amore fraterno II rapporto con Dio e quello con il fratello non si contrappongono ma si armonizzano, integrandosi in uno stesso movimento, e camminano insieme. Occorre imparare a «trattare» con Dio nella prospettiva del «tratto» con il fratello. Teresa, a chi le chiede una parola sul «tratto» con Dio, comincia insegnando a «trattare» con il prossimo. La prima parola sull'orazione è una parola sul rapporto con i nostri simili. Non può costruirsi e svilupparsi un dialogo con Dio se non partendo dal dialogo con il prossimo. Come si potrebbe parlare di un «tratto» con Dio se non siamo capaci di trattare con il fratello?: «Il Signore vuole opere e opere...». Il «rapporto» con Dio si trova nel «rapporto» con il fratello. Tanto che Teresa può affermare senza mezzi termini che si deve «lasciare Dio» per il fratello (cf. E 2). Di conseguenza, un rapporto con il fratello manchevole e viziato dall'egoismo, priverà l'orazione delle sue radici. Analogamente, all'inverso, le relazioni interpersonali dettate dall'amore rendono fecondo con la stessa forza e la stessa verità il rapporto con Dio, l'orazione. Per imparare a pregare - trattare con Dio in chiave di amicizia - occorre imparare a trattare veramente il fratello come amico. Il Dio dell'orazione «solo a solo» sta dalla parte degli uomini e lo si raggiunge attraverso il passaggio obbligato dei fratelli. Se non ci si incontra con essi, non è possibile un incontro con Dio. Ancora di più: l'incontro fraterno garantisce l'esistenza di un vero incontro con Dio anche quando non si verifichino «forme di orazione» di particolare rilievo, tanto da «essere molto avanti nel servizio di Dio» (C 4,3). La persona cresce nella sua apertura alla trascendenza nella misura con cui si impegna nel servizio ai fratelli. 2.1.1. La qualità dell’amore Per questa precisa impostazione in favore di un attivo impegno nella carità fraterna come condizione per un cammino di orazione, Teresa si preoccupa di chiarire il suo pensiero sulla qualità di tale amore. Infatti non un qualsiasi amore serve la causa dell'orazione. Non basta affermare che per imparare a pregare occorre impegnarsi ad amare e servire il fratello. Occorre sapere che cosa è amare, perché vi sono «affetti bassi che ne usurpano il nome» (C 6,7). 5 Bisogna definire l'amore, o meglio bisogna anzitutto educare il «soggetto» dell'amore. L'apprendistato dell'amore è il più arduo e il più lento cui la creatura umana deve sottoporsi. Lo «stare» con e di fronte al fratello, perché sia cristiano e tale da fomentare lo «stare» con Dio e innanzi a lui, deve essere teologale, ossia avere Dio come principio e come fine. Deve essere amore di Dio: amore ricevuto, dunque capace di superare ogni frazionamento, divisione, particolarismo. Perché un amore che divide non è cristiano. L'amore apre alla totalità e porta alla fraternità universale: «Qui le sorelle devono essere tutte amiche, tutte devono amarsi e aiutarsi a vicenda» (C 4,7). Ciò è frutto di una visione teologale. Quando nella motivazione dei rapporti interpersonali prevalgono i diversi aspetti contingenti che possono trovarsi nella persona amata, allora la relazione risulta deformata in radice. Non è amore ma egoismo. Soltanto un amore che ha Dio come radice e ultima finalità può salvare l'universalità (amare tutti senza escludere nessuno) e la particolarità (amare ciascuno nella sua situazione e condizione come «unico»). Un amore che non renda aperto a Dio sia colui che ama sia chi è amato, è necessariamente schiavizzante. L'amore interumano viene valutato in funzione della sua capacità di «aiutare vicendevolmente» a crescere nell'amore di Dio (cf. C 4,7): «Non permettiamo che la nostra volontà si faccia schiava se non di colui che la comprò con il suo sangue» (C 8). In altri termini: quando Dio non è la presenza che unisce gli uomini fra di loro e non è l'orizzonte verso cui si dirige e si apre ogni amore, questo si degrada, divenendo una relazione egoista e schiavizzante, che blocca qualsiasi possibilità di crescita personale. L'amore teologale è amore disinteressato, gratuito. Non vi è amore quando si cerca l'interesse e il vantaggio proprio, quando l’«io» domina e il «tu» diminuisce (C 6,6; 7,1.3.4). Privo della dimensione teologale, l'amore fra gli uomini degenera in un rete di reciproci favoritismi, ossia di egoismi camuffati, di servizi interessati, di regali con «fattura» da pagare. Chi ci rimette è la gratuità dell'amore. Si resta così ben lontani dalle motivazioni volute da Teresa: «Il vero amore non vuole e non desidera altro che vedere l'amico ricco di tesori celesti» (C 7,1). 2.1.2. Comunità di oranti L'amore fraterno vissuto in simile orizzonte costruisce la persona orante. Tradotto in termini comunitari, equivale ad affermare che un gruppo di persone impegnate a vivere nell'amore reciproco, tese a creare una comunità di comunione sarà necessariamente una comunità orante. E il loro reciproco dialogo sfocerà in un dialogo con Dio, che ne assicurerà la continuità, la consistenza, la verità. Ogni autentico incontro con il «tu» del fratello, si apre al «Tu» divino, trascendente, in cui unicamente può trovare il suo traguardo perfetto la capacità di accoglienza e di dono dell'«io». La cura estrema portata da Teresa nel creare comunità d'amicizia si basa indubbiamente sulla convinzione che tale è la via più breve, anzi assolutamente unica, affinché i singoli membri e il gruppo divengano oranti. Non può esservi una comunità di oranti quando manca la base di relazioni reciproche vivificate dall'amore. Un simile amore non si improvvisa e non lo si possiede per il semplice fatto di proclamarlo. 2.2. Libertà Teresa è intimamente convinta che qualsiasi relazione con persone o cose che non trovino in Dio la loro sorgente e il loro termine, trascina la persona nella schiavitù. Dunque blocca o impedisce il processo di realizzazione personale e la vita di amicizia con Dio, possibile soltanto nella libertà e per la libertà. Perciò la conquista della libertà è una linea forte della pedagogia teresiana dell'orazione. Proporsi di avere Dio come centro e asse della propria esistenza si traduce in uno sforzo di liberazione dalle seduzioni del possesso, in un'educazione a un rapporto non possessivo con le 6 cose e con le persone. Chi vuole possedere, per il fatto stesso di «voler prendere» si condanna ad essere «preso», legato e reso succube, posseduto da ciò che possiede, portando così a una situazione che rende impossibile la preghiera. Occorre dare a Dio un cuore libero per poter godere della sua amicizia. «(Egli) si contenta che ognuno gli dia ciò che ha... Badate però, figlie mie, che per acquistarvi ciò che dico, egli esige che non vi riserviate nulla. Sia poco o molto quello che avete, lo vuole tutto per sé» (5M 1,3). Voler tenere le nostre affezioni... e insieme pretendere molte consolazioni spirituali non va bene: sono due cose che mi pare non vadano d'accordo» (V 11,3). «Dio non si da del tutto se non a coloro che si danno del tutto a lui» (C 28,12). Per farsi liberi occorre lottare: spezzare legami e schiavitù. In concreto occorre sobrietà e austerità di vita, estrema moderazione davanti alle domande che premono dall'esterno o che nascono da quell'abisso incolmabile che siamo noi stessi. «Il nostro corpo ha questo di brutto, che più si vede accontentato, più si mostra esigente. Al minimo bisogno inganna la povera anima e le impedisce di avanzare» (C 11,2). Qualunque fessura, che resti aperta, svuota la scelta di Dio dal suo carattere più specifico, la totalità. La battaglia si combatte all'interno dell'uomo. Non è la distanza fisica ma l'orientamento del cuore, che trovando tutto in Gesù si riempie di lui. Non può esservi un grande amore quando ci si consente allegramente tutti i capricci: «Vita comoda e orazione non sono compatibili» (C 4,2). Si tratta insomma di essere persone di un unico amore: solo tale scelta ben chiara e forte è generatrice di libertà. 2.3. Umiltà L'autrice insiste ripetutamente sull'importanza dell'umiltà nella vita e nell'esercizio dell'orazione: «L'umiltà, come ho detto, è il fondamento dell'edificio dell'orazione» (7M 4,8). È umile la persona che permette a Dio di essere il protagonista della propria vita. L'accettazione del protagonismo di Dio non giustifica nessuna forma di assenteismo, anzi impegna fortemente ad agire. Per Teresa, riconoscere il primato di Dio significa porre il fondamento ultimo e la motivazione definitiva della collaborazione umana. L'umiltà genera audacia e coraggio intrepido nel compito di trasformazione del mondo secondo i disegni di Dio. Infatti Teresa parla più volte delle «anime pusillanimi che si rifugiano sotto il velo dell'umiltà», e restano insabbiate nella mediocrità. La fortezza nell'adempimento dei propri impegni è retaggio dell'umile. Soltanto l'umile sa riconoscere e approfittare dell'azione salvifica di Dio nel suo oggi e nell'oggi della storia. Ciò deve portarlo inevitabilmente ad un costante e serio discernimento della volontà di Dio e della propria risposta. «Capire bene l'umiltà» è conoscere la verità: «Mi chiedevo una volta perché il Signore ama tanto l'umiltà, e mi venne in mente d'improvviso, senza alcuna mia riflessione, che ciò deve essere perché egli è somma Verità e l'umiltà è verità». 2.4. Determinata determinazione Non basta darsi, ma occorre farlo con vigore, con decisione, con fermezza, mobilitando a fondo l'intera persona nella scelta di «seguire nella via dell'orazione». Una determinazione che Teresa definisce precisamente come radicale, irreversibile, perseverante, totalitaria. Sintetizzando con le sue stesse parole, possiamo dire che «(non giungeremo all'acqua viva) se non ci diamo a Dio con la decisione con cui egli si da a noi» (C 16,5). La determinata determinazione, di cui ci parla Teresa, rimanda fondamentalmente alla decisione di mantenersi fedeli alle regole dell'amicizia e alle esigenze di una vita teologale. 7 Decidersi a vivere un amore disinteressato, puro, gratuito, che si fa presenza totalizzante all'Amico e proibisce qualsiasi auto-ascoltazione egoistica: «È importantissimo cominciare (questo cammino dell'orazione) distaccandosi da ogni genere di soddisfazioni» (V 15,11). «Decidersi» non significa convertirci a questa o quella virtù, ma alla sua Persona»: dire «sì» a Dio: «L'importante, credetemi,... è nel praticare le virtù, nel sottomettersi in tutto alla volontà di Dio in modo che l'insieme della nostra vita sia ordinata a che si faccia non la nostra ma la sua volontà» (3M 2,6). Determinazione nel «aiutare Cristo a portare la Croce», di abbracciare la Croce che lo Sposo ha preso su di sé. È «la nostra impresa» nel cammino dell'orazione-amicizia: «Abbracciate la croce che il vostro Sposo portò sulle spalle, convincendovi che questa è la vostra impresa» (2M 1,7). «Abbracciare la croce» significa per lei esplicitamente liberarsi dal desiderio di ogni gusto e consolazione: «Non abituiamoci a cercare consolazioni spirituali. Avvenga ciò che vuole avvenire, ma stiamo abbracciati alla croce che è sempre una gran cosa. Anche questo nostro Signore rimase senza consolazioni» (V 22,10). Accompagnare il Signore con un atteggiamento di amorosa solidarietà è la determinazione che Teresa si propone di inculcare nell'orante: «Chi per suo amore potrà patire di più, patisca e sarà la più avvantaggiata… Quanto al resto, ritenetelo accessorio» (2M 1,7). La determinazione non è soltanto il primo impulso deciso con cui si inizia il cammino dell'orazione, deve invece prolungarsi in una costante volontà di perseveranza. Perché solo le decisioni perseveranti sono costruttive: «Chi ha cominciato a fare orazione, per male che vada, non pensi di tralasciarla» (V 8,5). Conclusione In questo tempo in cui proclamiamo a gran voce che è l'essere, è la vita a preoccuparci, e in cui andiamo cercando con irrequieta ansietà l'autentico e l'essenziale della vocazione cristiana e della vita religiosa, perché soltanto la verità ci sostiene e ci rende credibili, questa lezione di Teresa diventa una vera provocazione e pure una sfida che mette alla prova la verità del nostro desiderio di autenticità e di risignificativà. Pregare è amare; amare è vivere. Senza dicotomie, perché nell'Amico con cui «trattiamo» non vi sono dicotomie. E trattare significa comunicare. «Conformarsi», direbbe santa Teresa. L'orazione non è facile perché non è facile far entrare la vita nelle coordinate dell'amore. Comunque è possibile, radicalmente possibile, perché egli ci ha resi capaci di amare. «Tutti siamo capaci di amare», assicura Teresa. La pedagogia teresiana dell'orazione ha messo l'accento nel punto esatto: salvare la vita per salvare l'orazione. Creare l'orante per avere orazione; preoccuparsi più della persona che prega e meno dell'orazione che fa. Abbiamo qui la rettificazione più essenziale compiuta dalla maestra nella prassi e nell'insegnamento dell'orazione. Ciò assicura anche la massima correlazione fra orazione e vita. Il «vero spirituale» è persona di comunione e di unità, schiavo solo di un amore liberante, che costruisce pietra su pietra il proprio castello interiore e che edifica la casa della comunità. Bibliografia (ordine cronologico) J. MOLTMANN, La Chiesa nella forza dello Spirito, Brescia, Queriniana, 1976. 8 T. ÁLVAREZ – J. CASTELLANO, Nel segreto del Castello. Il cammino della preghiera in Santa Teresa d’Avila, Firenze, OCD, 1982. J. 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