parte iv - Silvia Bordini

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parte iv - Silvia Bordini
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PIXEL
1951
«All'era della conquista spaziale e dell'atomo l'artista non deve più creare sculture in bronzo o
in pietra riconoscibili; esistono mezzi come la radio, la televisione, il neon, il radar, i raggi X,
che permettono agli artisti di scoprire nuovi aspetti del tempo e dello spazio (...)
L'applicazione di queste scoperte in tutte le forme della vita crea una trasformazione
sostanziale del pensiero (...) Abbandoniamo la pratica delle forme di arte conosciuta ed
affrontiamo lo sviluppo di un'arte basata nell'unità di tempo e dello spazio (...) un'arte basata
su tecniche e mezzi nuovi; Arte spaziale per ora, neon, luce di Wood, televisione, la 4°
dimensione ideale dell'architettura. ... Si va formando una nuova estetica, forme luminose
attraverso gli spazi. Movimento, colore, tempo, e spazio i concetti della nuova arte.»
(Lucio Fontana, Manifesto tecnico dello spazialismo, 1951, in Crispolti, 1986, p. 36)
1964
«La mia Televisione Sperimentale è la prima ARTE (?) in cui sia possibile il delitto perfetto
(...) Avevo messo un diodo nel verso contrario e avevo ottenuto una televisione negativa 'a
onde'. Se i miei epigoni faranno lo stesso giochetto, il risultato sarà esattamente lo stesso (
diversamente da Webern e dai suoi epigoni (....)
La mia Tv NON è l'espressione della mia personalità, ma semplicemente una 'MUSICA
FISICA'.»
(Nam June Paik, "Fluxus", New York, giugno 1964, cit. in Metamorfosi , 1988, p. 76)
1968
«La macchina - che può facilmente essere definita un'imitazione dei muscoli - sta perdendo la
posizione dominante fra gli strumenti dell'uomo; mentre i dispositivi elettronici e chimici che imitano i processi del cervello e del sistema nervoso - stanno diventando sempre più
importanti.»
(Pontus Hulten, introduzione al catalogo The machine as seen at the end of the mechanical
age, 1968)
1969
«Il vero problema sotteso alla questione 'Arte e Tecnologia' non è di creare un altro giocattolo
scientifico, bensì di come umanizzare la tecnologia e il mezzo elettronico, che si sta
evolvendo rapidamente, troppo rapidamente (...) Suggerirei una 'Stazione TV Silenziosa' (...)
verrà guardata esattamente come si guarda un panorama... o una bella bagnante di Renoir, e
in tal caso tutti godrebbero dell''originale' e non di una riproduzione.»
(Paik, TV Bra for living sculpture (1969), cit. in Metamorfosi ,1988, p. 75)
«La prima cosa che desidero spiegare è il fatto che la galleria non è un vero spazio fisico. La
galleria televisiva esiste solo in una serie di trasmissioni televisive; ciò significa che essa è
più o meno un'istituzione mentale che esiste realmente solo nel momento della trasmissione
televisiva. Non è il posto per mostrare oggetti artistici reali che si possono comprare e portare
a casa. Una delle nostre idee è la comunicazione dell'arte invece del possesso dell'oggetto
artistico.»
(Gerry Schum, Fernsehausstellung Land Art, Hannover 1970, cit. in Cominciamenti, 1988, p.
55)
1970
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«Il film e specialmente la televisione offrono in un certo senso all'artista la possibilità di
evitare la materializzazione delle sue idee; la trasmissione televisiva e la videoregistrazione
creano un diretto contatto fra l'artista e un potenziale pubblico. La trasposizione dell'idea in
termini di comunicabilità o, per usare il termine di Wiener, in una 'visualizzazione', giova
all'idea.
Noi non facciamo più l'esperienza dell'opera d'arte come un dipinto o una scultura, senza
contatto con l'artista (...) L'opera d'arte si fa avanti come l'unione dell'idea, della
visualizzazione e dell'artista che inventò l'idea.»
(Gerry Schum, introduzione alla trasmissione Tv del 30/11/1970, cit. in Cominciamenti,
1988, p. 5O)
1971
«Azione e pensiero; contemplazione e contaminazione; natura e storia; artificiale e naturale;
spontaneo e programmato si mescolano fenomenologicamente esibendo una concezione
unitaria della realtà e dell'esistenza. Le dimensioni compartimentistiche sferrano il loro
attacco all'oggetto; l'evento succede alla cosa; il dualismo tra soggetto e oggetto si annulla; la
distribuzione di ogni coagulazione cede il passo al fluido mutevole della vita. La televisione
come spettacolo crea immagini oggetto, feticci-simbolo, cristallizzazioni archeologiche; la
videoregistrazione come presa diretta non è solo una trasposizione della vita ma un modo di
essere, una modalità percettiva della vita, un tramite percettivo di alcuni al tutto sociale.»
(F. C. Crispolti, in Videolibro, 1971).
1974
«Il poema dei Fleurs du Mal non è altro che una ricerca sull'arte e la comunicazione.
Correspondances
La Nature est un temple où les vivants piliers
Laissent parfois sortir des confuses paroles;
L'homme y passe à travers de forêts se symboles
Qui l'observent avec des regards familiers.
Se si sostituisce la 'Natura' pre-marconiana di Baudelaire con la nostra 'video-sfera' pancibernetizzata, tutte le parole e le immagini di questa poesia simbolista diventano una
definizione precisa di ciò che l'artista dovrebbe compiere oggi in quanto antenna della nostra
società.»
(Nam June Paik, Communication-Art, 1974 , cit. in N. J. Paik, Du cheval à Christo et autre
écrits, Lebeer Hossmann, Bruxelles-Amburgo-Parigi 1993, P. 142)
«Si potrebbe dire che le opere più recenti giocano sulla nozione dei 'puntolini' del video: il
monitor è un punto nello spazio che include lo spettatore, un circolo che da lui è completato la mia idea mira allo spettatore, tira colpi nella sua direzione.»
(Vito Acconci, Some notes on my use of video, "Art Rite", 7, 1974, cit. in Cominciamenti,
1988, p. 75)
«Con il circuito chiuso, la durata è ridotta a un punto (il punto infinito dell'universo di
Minkowsky) e lo spettatore si trova confrontato a un punto di vista simultaneo contenuto
all'interno dello spazio che lo circonda. (...) In un circuito video chiuso, non si tratta più di
immagini di natura temporale e finita. La durata dell'immagine diventa una proprietà del
luogo.»
(Peter Campus, Closed Circuit Video, Everson Musem of Art, 1974,
in Vidéo,
"Communications", 1988, pp. 89-91)
«In ogni vano la telecamera registra tutto il muro di fronte. Sia che si trovi nell'uno o
nell'altro spazio, lo spettatore vedrà le sue azioni presenti riflesse dagli specchi Nello stesso
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tempo vedrà il suo comportamento passato nell'altro spazio proiettato sul monitor e riflesso
nello specchio opposto. Il monitor A mostra ciò che vede la telecamera B con otto secondi di
scarto; mentre il monitor B mostra ciò la telecamera A vede in diretta (...) Poiché l'immagine
dello specchio è percepita come un istante statico, il suo luogo spaziale e temporale da
l'illusione dell'eternità. All'opposto, il mondo visto in video è immerso nel flusso del tempo e
collegato soggettivamente (perché ad essa identificabile) all'esperienza della durata.»
(Dan Graham, Two rooms/reverse video delay, 1974, in Vidéo, "Communications", 1988, pp.
152-53)
1976
«Cosa significa dire 'Il medium del video è il narcisismo' ? (...) Due sono gli aspetti del
quotidiano uso del medium utili per una discussione sul video: la ricezione e la proiezione
simultanea di un immagine; e la psiche umana usata come conduttore. Perché gran parte delle
opere prodotte nel breve arco dell'esistenza della videoarte hanno usato il corpo umano come
strumento centrale. Nel caso dei nastri è stato per lo più il corpo dell'artista. Nel caso delle
videoinstallazioni è stato di solito il corpo dell'osservatore (...) Diversamente dalle altre arti
visuali, il video è capace di registrare e trasmettere nello stesso tempo, producendo un
feedback istantaneo. Dunque è come se il corpo fosse posto in mezzo a due macchine che
sono l'apertura e la chiusura di una parentesi. La prima è la telecamera; la seconda è il
monitor, che riproietta l'immagine del performer con l'immediatezza di uno specchio.»
(Krauss, 1976, cit. in Battcock, 1978, p. 45)
1978
«Penso di comprendere il tempo meglio degli artisti del video che provengono dalla pittura e
dalla scultura. La musica è la manipolazione del tempo. Come i pittori comprendono lo
spazio astratto, così io comprendo il tempo astratto.»
(Nam June Paik, intervista con P. Schimmel, 1978, cit. in Metamorfosi , 1988, p. 75)
«La videoinstallazione in sé possiede varie specifiche caratteristiche che la rendono fertile
per l'esplorazione sia dell'artista sia dello spettatore. E' essenzialmente una scultura - a volte
ambientale, talvolta un oggetto sculturale. Ma spesso è anche una scultura sonora e una
scultura temporale, perché gli elementi statici dell'opera sono parte dell'evento temporale che
si svolge sullo schermo. Infine, l'immagine video crea un altro spazio interamente diverso
dalla configurazione tridimensionale consueta alla scultura (...) Se sul monitor non vi è
nessuna immagine, esso diventa senza spazio e così inserisce la sua non-dimensione
nell'opera.»
(Ingrid Wiegand, Varieties of the Video Installation, in Battcock, 1978, p. 183)
1982
(La videoarte è) «un mezzo tecnico semplice, abbastanza maneggevole, elettronico, che
permette di trovare un luogo di incontro per gli artisti che vengono da varie discipline (...) un
luogo di incontro tra svariate opere o all'interno di un'opera.»
(Hubert Besacier, risposta al questionario "Cosa è la videoarte ?" a cura di Biljana Tomic, in
Bloch, 1982, p. 147)
(La videoarte è) «un'avventura interstiziale che gli artisti conducono attraverso i filtri stabiliti,
consapevoli che è tra gli 'interluoghi' che emerge o può prendere figura non la verità, ma lo
svelamento del senso, mentre il codice, estraneo al senso, non conosce che la prescrizione.
(...) Esiste la speranza, anche se fragile, che una comunicazione che cambia di mano possa
non solo cambiare discorso, ma anche finalità.»
(René Berger, risposta al questionario "Cosa è la videoarte ?" a cura di Biljana Tomic, in
Bloch, 1982, p. 147)
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«La video arte, che ha in un certo modo conosciuto le stesse difficoltà del cinema
sperimentale, è un mezzo che l'artista ha a disposizione per fare arte senza restrizioni, senza
dogmi, senza imposizioni.»
(Rinaldo Bianda, risposta al questionario "Cosa è la videoarte ?" a cura di Biljana Tomic, in
Bloch, 1982, p. 147)
«Quello che mi interessa nella videoarte, è la parte di creazione che può avere. Quindi è
inizialmente una definizione negativa: è ciò che la televisione non fa, nel suo aspetto più
tradizionale (...) E' anche ciò che non si fa in tutte le altre arti. Quello che mi interessa non è
la sua definizione, ma come la videoarte può arrivare a trasgredire i codici, sia della
televisione, sia della pittura o di tutte le altre arti.»
(Anne Marie Duguet, risposta al questionario "Cosa è la videoarte ?" a cura di Biljana Tomic,
in Bloch, 1982, p. 148)
«Io credo che si possano definire videoarte tutti gli usi del video nell'arte, non sull'arte, ma
nell'arte, dentro l'arte visuale.»
(Vittorio Fagone, risposta al questionario "Cosa è la videoarte ?" a cura di Biljana Tomic, in
Bloch, 1982, p. 148)
«La videoarte per me è la musica da camera della nostra epoca.»
(Nicolaus Sombart, risposta al questionario "Cosa è la videoarte ?" a cura di Biljana Tomic,
in Bloch, 1982, p. 150)
«Videoarte ? Equivale a chiedere 'cos'è l'arte' ? una domanda alla quale è molto difficile
rispondere.»
(Biljana Tomic, risposta al questionario "Cosa è la videoarte ?" a cura di Biljana Tomic, in
Bloch, 1982, p. 151)
«I fenomeni che noi descriviamo sono apparsi per la prima volta nella nostra generazione
come prodigi, altrimenti come avrei potuto interpretare il televisore come una scultura e
l'incidente automobilistico come un avvenimento da rappresentare ? Nessun dadaista aveva
fatto queste cose prima di me. Noi artisti di Fluxus abbiamo introdotto tecniche sociologiche
e psicologiche nelle nostre azioni, nei nostri concerti e nei nostri lavori plastici.»
(Wolf Vostell, testo per Pro Musica Nova, maggio 1982, Radio Bremen, cit. in Ubi Fluxus,
1990, p. 278)
1983
«Per gli 'umanisti' la tecnologia è il 'diavolo' che ci distoglie da noi stessi e ci obbliga a
comprometterci in toto, ma nel suo solo interesse, e la tecnologia non ha niente a che vedere
con la natura dell'opera d'arte. Per i tecnologi invece la tecnologia è tutto: la ritengono una
filosofia, talvolta perfino una poesia, e dicono che l'arte senza di essa non potrebbe esistere,
poiché ogni forma artistica nasce da un certo tipo di manipolazione tecnologica. Per la verità
hanno ragione tutti; costituiscono le estremità di un medesimo asse (...) Il video si colloca
esattamente al centro di questa dicotomia tradizionale.»
(Bill Viola, catalogo della mostra, ARC, Parigi 1983-84, cit. in Metamorfosi, 1988, pp. 9798)
1984
«Fin dalle prime esperienze noi ci siamo sentiti attratti dalla televisione intesa come sistema
percettivo piuttosto che dalla ricerca di definizioni e realizzazioni estetiche (...) Di colpo le
mie fonti d'ispirazioni sono cambiate. La novità si poteva trovare nei diversi generi di
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strumenti elettronici, nelle luci stroboscopiche, nella musica elettronica e nel video. Ho
dovuto sottoporre a revisione tutti i miei concetti estetici.»
(Woody Vasulka, intervista con Ken Ausubel, da Steina e Woody Vasulka vidéastes 1969-84,
Paris 1984, cit. in Metamorfosi, 1988, pp. 82, 85)
«Era il gennaio del '74. In quel periodo studiavo la memoria umana: i sensi, la percezione, il
cervello, la memoria.. l'hardware umano, poiché mi ero accorto che, essendomi così tanto
concentrato sull'hardware tecnologico, avevo trascurato l'altra metà dell'equazione. L'idea
delle immagini come organismi viventi mi affascinava.»
(Bill Viola, in Video: A Retrospective, 1974-1984 , Long Beach Museum of Art, a cura di
Kathy Rae Huffman, Long Beach 1984, cit. in Bill Viola, Vedere con la mente e con il cuore,
1993, p. 47)
1985
«Il video include proprio il paradosso di qualità pluralistiche con il tropo e gli strumenti del
progresso tecnologico (...) Il video è un mezzo in sospensione che getta un ponte tra le
condizioni moderniste e postmoderniste con una varietà di configurazioni pluralistiche. La
'morte del modernismo' negli anni '60 e '70 coincide con la nascita del video, e il mezzo
diventa depositario del bisogno modernista del 'nuovo'. Per i suoi inestricabili legami con i
cambiamenti tecnologici, il video sostiene la priorità del 'progresso' con la ricerca di un
miglioramento dell'attrezzatura, della risoluzione, della duplicazione. Eppure il video è anche
postmoderno, specialmente nei suoi effetti (...) Poiché si rivela nel tempo, un'opera video
altera la nozione di una valutazione sintetizzata, unificata di un singolo oggetto singolare. E il
medium stesso sfida le idee convenzionali di oggetto - una condizione chiave del
postmodernismo.»
(Katherine Dieckmann, Electra Myths: Video, Modernism, Postmodernism, "Art Journal",
1985, p. 199)
«Poiché il video non ha norme date e accettate, gli artisti generalmente inventano le proprie
private e idiosincratiche strutture. Questo è complicato dalla nostra inesperienza nel leggere
immagini o simboli visivi, specialmente quando sono separati da un contesto narrativo o
pubblicitario.»
(Ann-Sargent Wooster, Why don't they tell stories like they used to do ?, "Art Journal", 1985,
p. 210)
1986
«Vostell organizza nel 1963 allo Yam Festival di New Brunswick, New York, un happening
durante il quale sotterra un televisore acceso, circondato di filo spinato. Lo stesso anno 1963
nascono gli oggetti inchiodati di Günther Uecker (...) poco più tardi Uecker trafigge con un
gigantesco chiodo un televisore. Anti-gesti, distruzioni e ribaltamenti che segnano
concretamente gli inizi del confronto degli artisti tedeschi o di Paik in Germania, con la
televisione e il televisore. Sono basi molto diverse da quelle degli artisti americani che si
preoccupano di più delle possibilità tecniche e creatrici del video. Va notato che gli americani
'dimenticano' volentieri il televisore come oggetto e presentano solo gli schermi (...) Invece i
tedeschi affrontano l'apparecchio tutto intero, concretamente, sculturalmente.»
(Friedel, 1986, pp. 3-4)
«Perdita dell'immagine, ma ritorno di immagini. Attivazione, cioè, del funzionamento della
memoria (...) Il video è tempo. Presente che passa, cioè immagine per difetto, e nello stesso
tempo passato che persiste ritornando, cioè immagine per eccesso (...) L'immagine
videografica permetterebbe di sperimentare questo luogo (di divisione) in cui il tempo è
visibile. Dove lo si vede perché il tempo è proprio lì».
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(René Payant, "Revue d'esthétique", 1986, cit. in Metamorfosi 1988, p. 148)
1988
«La videoarte è innanzitutto un'arte di passaggi. Mette in discussione le arti e ancor più l'arte
stessa, senza tuttavia trovare in questa messa in discussione la certezza di un'identità. Tutto
questo ne costituisce l'interesse, la ricchezza, il valore di sintomo. E spinge a vederla
soprattutto come problema.»
(Raymond Bellour, Anne-Marie Duguet, La question vidéo, in Vidéo, "Communications",
1988, p. 5)
«Gli inizi della videoarte sono ormai bagnati dall'aura della nostalgia. Secondo il mito, fu
un'epoca di grande libertà di spirito, in cui artisti e attivisti scoprivano un nuovo media che
adottavano per scendere per strada, persuasi che la loro tattica di 'guerrilla' avrebbe finito per
far evolvere la televisione (....) E' un mezzo la cui evoluzione riassume numerose dicotomie
della cultura occidentale, e la sua posizione al crocevia dell'arte, della tecnologia e delle
comunicazioni offre all'interpretazione storica una problematica che è senza precedenti diretti
(...) La videoarte è l'erede dell'ideologia venuta dalla scultura cinetica e dal movimento
artistico e tecnologico degli anni Sessanta (radicati nel cubismo, nel futurismo e nel
Bauhaus), in cui primeggiava la fusione dell'arte e della macchina (...) la sua essenza era la
simultaneità.»
(M. Sturken, Les grandes espérances et la costruction d'une histoire, in Vidéo,
"Communications", 1988, pp.13O-133)
«Il gesto di Paik, inventando la televisione astratta e decollandola dalla televisione figurativa,
apre la via a un'altra pratica - compresa la figurativa - della televisione: l'immagine
elettronica non è votata irreversibilmente alla riproduzione meccanica del reale. La si può
ribaltare, lavorarla, scolpirla, dipingerla. Non resta che inventare gli strumenti capaci di farlo.
Cosa che non aveva interessato Vostell, preoccupato essenzialmente di critica degli effetti
nefasti della tv come rituale sociale schizofrenico.»
(Fargier, 1989, p. 27)
«Se per il filosofo Schopenhauer il mondo era la sua rappresentazione, per il videoasta,
l'elettronico, la materia diventa la sua presentazione, una 'presentazione' esterna diretta e,
simultaneamente, una presentazione interna e indiretta, poiché l'oggetto, lo strumento,
diventa non solo presente all'occhio nudo, ma telepresente».
(Paul Virilio, La Lumière indirecte, in Vidéo, "Communications", 1988, pp.49)
«Ho usato il video come un elemento, uno spazio, una posizione, in una relazione personapersona, faccia a faccia; prendevo una posizione sullo schermo che aveva una qualche
relazione con la posizione dello spettatore al di là di esso (...) La maggior parte dei miei
videotapes funzionavano come incontri-sessioni di gruppo tra uno spettatore e me.»
(Vito Acconci, testimonianza a cura di A. Cigala, cit. in Cominciamenti, 1988, p. 78)
«L'effetto della Diretta in Video invece che all'interno degli Effetti speciali. Non consiste nel
far coincidere una Azione con la sua Rappresentazione, consiste nel far coincidere due stati
della stessa Rappresentazione. O due Rappresentazioni di uno stesso Stato. O l'Azione di una
Rappresentazione con l'Azione di un'altra rappresentazione. In una sola e medesima
Immagine. Da un punto all'altro dell'Immagine tutto avviene in diretta, istantaneamente. La
Specificità Video è ciò che rende un'immagine organica, vivente come un Corpo. Come un
Corpo che non si alimenta che delle proprie evacuazioni. Nulla esce, nulla entra. Tutto va e
viene. Simultaneamente. La Specificità Video è l'effetto di simultaneità generalizzata. Gli
effetti dei suoi effetti sono degli effetti. Compreso l'effetto Poltrona.»
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(Jean-Paul Fargier, Les effets de mes effets sont mes effets, in Vidéo, "Communications",
1988, p. 99-100)
«L'arte degli anni che seguono l'espansione della televisione è stata essenzialmente un'arte
dell'incrostazione, del rovesciamento topologico del fuori e del dentro, degli incontri aleatori,
del rifiuto della scelta e delle gerarchie, un'arte profondamente soggetta all'avvenimento.»
(Edmond Couchot, La mosaïque ordonnèe, in Vidéo, "Communications", 1988, p. 82)
«Il video occupa una posizione unica nella gerarchia o nel sistema delle arti di oggi; un
sistema che è stato ristrutturato in quest'epoca che molti chiamano 'postmoderna', con una
utilizzazione universale dei media che ha segnato una rottura radicale con i sistemi culturali
del passato.»
(Fredric Jameson, La lecture sans l'interprétation. Le postmodernisme et le texte vidéo, in
Vidéo, "Communications", 1988, p. 105)
1989
«La rapidità dei cambiamenti tecnologici del mezzo gli conferiscono un 'senso di
transitorietà' (...) il senso 'che non sia stato ancora pienamente inventato'.»
(Charles Hagen, The Fabulous Chameleo, "Art News", estate 1989, p. 123)
1990
«Ancora una volta voglio avere la libertà di alterare, modificare e invertire l'ordine lapidario e
statico delle cose, il piacere di ribaltare il senso stretto dell'opera ed estenderne le potenzialità
oltre i confini circoscritti (...) La tecnologia ha poi la non consueta capacità di entrare ed
uscire dai confini della logica precostituita, oltre i suoi cancelli. Punge o taglia più
l'immagine elettronica nell'armadio o il vetro pur pungente o più tagliente, ad esso antistante
?
(...) Come è pur sempre difficile separare la tattilità fisica dalla evocativa materialità del suo
virtuale !
I codici della storia dell'arte si trasformeranno mai in riflessioni critiche sul ruolo e sull'uso
improprio delle tecnologie ? E il groviglio dei segni riuscirà mai a diventare discorso sociale
al di fuori delle facili euforie ?»
(Fabrizio Plessi, in Plessi, 1990, p. 91)
1992
«La videoinstallazione è policentrica (...) L'estetica della videoinstallazione è l'estetica
dell'antigerarchia e del pluralismo. Il proposito è quello di impedire la disgregazione e di far
sì che nuove forze siano mobilitate per produrre un'opera intera come una composizione
piena di imprevisti - un'opera d'arte la cui integrità e unità non sono date a priori.»
(Heinrich Klotz, Aesthetics of Electronic Art, in Moving Images, 1992, p. 16)
«Ma cos'è per Paik la Storia ? Una serie di curve, la doppia sinusoide dell'infinito ch'egli ha
posto fin dall'inizio a segno della propria ricerca, segnando con i magneti il flusso elettronico
nelle sue prime video distorsioni o graffiandolo sui suoi pannelli dipinti oggi. Un rapporto col
tempo il quale, dall'attimo che è possibile cogliere immergendosi appropriatamente nella
dimensione elettronica, si estende fino al Neolitico. 'Più lavoro col video più conosco la parte
più lunga e meno conosciuta della storia; l'Età della Pietra (...) Perché gli artisti sono molto
bravi nell'esercizio della memoria. Perché, in effetti, tutta l'esperienza dell'audiovisivo, della
musica e del video accumulata fino ad oggi mi permettono di entrare nella memoria della
storia. Del resto il nostro cervello è fatto così, come un nastro magnetico.»
(M. M. Gazzano, in Novecento, 1992, p. 16)
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«L'immagine si rivela, per mezzo della videoarte, come uno spazio complesso, postsemiologico, post-politico e post-economico, post-sociologico, post-psicologico, postlinguistico - o comprendente tutti questi punti di vista - non soltanto sull'arte stessa ma anche
sulle teorie dell'universo.»
(Van Assche, 1992, p. 15)
1994
«Credo che la televisione sia in effetti strutturata per creare un pubblico e che l'arte sia una
forma di comunicazione. Mentre la videoarte ignora o dimentica queste premesse basilari e
parte per la tangente, ponendosi all'opposizione in modo così radicale da rendere l'opera
totalmente inaccessibile e oscura per ogni tipo di pubblico.»
(Tim Morrison, inVideo d'autore, 1994, p. 16)
«Qual'è il ruolo dell'artista ? Essere un virus. Scovare una cultura e crescere al suo interno. Il
mio ruolo cambia ogni giorno.»
(Gavin Hodge, inVideo d'autore, 1994, p. 19).
«Il video non è più considerato in questo contesto (la collezione video del Musée National
d'Art Moderne del Centre G. Pompidou) come un movimento in sé, ma in quanto attraversa
l'insieme delle grandi correnti dell'arte a partire dagli anni Sessanta fino ai nostri giorni, da
Fluxus all'arte concettuale, passando per la performance e l'arte minimalista. (...) Questi due
modi d'espressione del video - il videotape e l'installazione, il monoschermo o l'apparecchio
televisivo e lo spazio (museo/galleria) - si inseguono lungo tutta la sua breve storia:
l'installazione si trova all'incontro dell'immagine con lo spazio e si presenta come luogo
critico dei diversi parametri che compongono l'immagine riproducibile; il videotape si
posiziona tra la cultura di massa - la diffusione televisiva - e la ricerca legata alle arti
dell'immagine riproducibile (...) Il video sollecita da parte dello spettatore/visitatore un
atteggiamento diverso, più attivo, perfino interattivo. La nozione di alterità è ormai al centro
dell'esperienza dell'opera.»
(Christine Van Assche, Le opere tecnicamente riproducibili nella collezione e nelle mostre
del centre Georges Pompidou, inVideo d'autore, 1994, p. 74)
«I festivals sono stati teatro, in tutti questi anni, di numerose e appassionate discussioni sulla
presentazione delle opere: cinematografica, con la sala buia e il grande schermo ?
Frammentata e dispersa nel medium 'naturale', il piccolo schermo, di fronte al quale magari
soffermarsi solo per poco passando ad altro programma su altro piccolo schermo ? Guidata
(tutti a vedere lo stesso lavoro) o frazionata in mille diverse visioni ?»
(Sandra Lischi, Dell'attenzione. Riflessione in tre punti sui festival del video, inVideo
d'autore, 1994, p. 81)
«Il mondo dell'arte, anche a distanza di anni dagli esordi avanguardistici della video arte nelle
gallerie, esalta o rifiuta, ancora in modo manicheo, il video in base a motivazioni opposte ma
simili che tradiscono la non risoluzione teorica del rapporto tra arte e tecnologia (...) Fa parte
dei tratti di identità del video anche la sua dimensione liminale, lo stare fra: il cinema e la
televisione, le arti visive e il computer con le sue applicazioni. Il suo essere indefinibile
potrebbe attribuirsi sia allo stato di fluidità proprio delle identità in formazione, ma anche alla
fluidità come sua propria natura.»
(Valentina Valentini, Per una cultura dell'immagine elettronica, inVideo d'autore, 1994, pp.
94-5).