umiltà di brescello e superbia di west point

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umiltà di brescello e superbia di west point
Marotta, G.
UMILTÀ DI BRESCELLO E SUPERBIA DI WEST POINT
di Giuseppe Marotta,
da «L’Europeo», Milano 30 ottobre 1955
CHE VE ne sembra di Guareschi? Io e Giovannino sgobbammo al vecchio «Bertoldo», eravamo giovani. Gli ho
voluto bene a intervalli, non so perché. Un giorno mi piace, un giorno mi dispiace. Lo vorrei modesto e ingenuo
com’è; l’orgoglio lo deforma e lo snatura, agli occhi miei, perché don Camillo e Peppone gli somigliano, lo ritraggono, mentre i suoi articoli di fondo, le sue acri invettive politiche gli affibbiano la maschera cinese di una crudeltà
e di una violenza che certo non si addicono all’autore di Mondo piccolo. Io dunque schernii Guareschi quando egli
infierì su Tizio e se Caio; ma quando seppi che la Legge, ignorandone la fondamentale innocenza e bontà (il Codice è purtroppo generico), lo aveva scaraventato in prigione, incominciai, da Roma e da Napoli, a inviargli tante
affettuose cartoline illustrate quante ne poteva reggere il postino. L’immagine di Guareschi in cella mi infastidiva,
mi turbava, specialmente a tavola fra i miei, o se mi dicevo: Che sole... quattro passi in via Caracciolo, oggi, non
me li toglie nessuno. Anche le parole hanno taglio e punta, forano o squartano: ma un uomo di penna in galera
mi fa sempre tornare in mente i banchi delle elementari, un mio libro di lettura alla mezza pagina che riproduceva da un famoso quadro Luigi Settembrini nelle carceri borboniche, fra assassini e ladri. Guareschi è ora quasi
libero, grazie a Dio, ecco sugli schermi la terza avventura del suo rozzo, facinoroso prete di campagna. Don Camillo
e l’onorevole Peppone colloca i due antagonisti nel roveto, nell’ortica di una furiosa battaglia elettorale a Brescello. Il
sindaco ha l’aiuto di una «compagna», di una «pasionaria» cittadina; il curato si giova del solito Cristo, fronteggiandone con soave doppiezza i giusti rimproveri. Svolte patetiche: la fuga e il recupero della moglie di Peppone,
gelosa della segretaria del capo (la dottrina inflessibile di costei ha involucri quanto mai delicati e soffici), e la
grande rinunzia del neo-deputato, il quale, affettuosamente chiamato e sgridato dal caro paesaggio che fluisce ai
lati del trenino, manda al diavolo Roma, scende alla prima stazione e si riavvia con don Camillo al favoloso borgo
padano che aspetta, l’indoviniamo, un quarto libro, e un quarto film. Perché no? Vi prego, non commettiamo
l’errore di chiederci se Don Camillo e l’onorevole Peppone valga l’impegno di essere letto e visto da gente che abbia
tutta l’età che dimostra e tutto il relativo, gelido raziocinio. Per me le avventure del parroco e del tribuno di Brescello, oggi come ieri, sono finte, astratte, puerili come quelle narrate dai Grimm o, anzi, da Collodi. Per me Guareschi è il Geppetto che una sera trovò un legno delle sue parti e invece di convertirlo in mazze da usare l’indomani in uno sciopero o in un tumulto (come avrebbe fatto qualunque suo conterraneo povero di fantasia) ne ricavò un Pinocchio rosso e un Pinocchio nero. Bada, Giovannino, ti faccio un complimento. Don Camillo e Peppone,
come individui reali, un soffio li rovescia. Essi campano, resistono, hanno fortuna (e che fortuna) perché, mentre
ovunque durano tanta paura e tanta collera, ci bisbigliano che fra gli inconciliabili nemici avventati gli uni contro
gli altri da un’opposta concezione della vita, non sono del tutto recisi i vincoli umani. Un Lucifero e un Gabriele
come i tuoi, Giovannino, che si percuotono validamente con una mano e con l’altra fraternamente si accarezzano,
illudono e blandiscono il mondo proprio come una fola della nonna ai bambini intorno alla brace, mentre fuori,
nelle tenebre, mugolano il vento e i lupi.
Don Camillo e l’onorevole Peppone, se lo vedrete con questo animo, riacciuffando, nella sala buia, la miracolosa fanciullezza vostra (il brano dell’episodio di guerra partigiana, e, a loro modo, quello del carro blindato e quello di
don Camillo aggrappato al muro della scuola mentre Peppone arrischia l’esame di quinta, hanno un che di salgariano), vi divertirà. Gallone ha diretto con fervida cura, ma non senza sgarri. Per esempio egli ha inflitto ai discorsi fra il prete’ e il Cristo un tono da avventori al banco di un’osteria, modi e inflessioni concrete, un tu per tu, che
Duvivier aveva cercato invece di evitare ammorbidendo le battute con qualche trepido, mistico pudore: suggerendo cioè l’impressione che quel soprannaturale colloquio si svolgesse nell’intimo, nella coscienza di don Camillo.
Attenti, solerti, Fernandel e Gino Cervi; di scarso rilievo Claude Silvain. Fiancheggiatori: Leda Gloria, Umberto
Spadaro, Memmo Carotenuto, Saro Urzì, Marco Tulli, Giovanni Onorato. Lamberto Maggiorani.
Bibliografia essenziale di Giovannino Guareschi - Archivio Guareschi - «Club dei Ventitré»
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