dio padre onnipotente - Centro di Apostolato e di Spiritualità

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dio padre onnipotente - Centro di Apostolato e di Spiritualità
VOLUME
QUADERNI CASR
DIO PADRE ONNIPOTENTE
DIO PADRE
Immaginate di rivolgere una domanda a bruciapelo al primo passante in una
strada affollata: "Per lei, chi è Dio?". Non ci vuole molta fantasia per prevedere le
risposte, o meglio i silenzi, lo sguardo vuoto e la bocca aperta.
S. Paolo, percorrendo le strade d'Atene, aveva notato un tempio che
portava sul frontale, la dedica: "Al Dio ignoto". Finalmente, pensò ecco un dio
pagano, che svela il proprio nome!
Infatti, lasciati a loro stessi, ossia al di fuori della rivelazione biblica ed
evangelica, gli uomini hanno potuto inventare solo meschini approcci al Dio
vivente e vero: lo Spirito, la Natura, il Destino, l'Essere supremo, l'Assoluto, il
Grande architetto, l'Idea pura, l'Umanità, la Vita universale...
Allora Paolo, alzatosi in mezzo all'areopago, disse: "Cittadini ateniesi,
vedo che in tutto siete molto timorati degli dèi. Passando infatti e
osservando i monumenti del vostro culto, ho trovato anche un'ara con
l'iscrizione: AI Dio ignoto. Quello che voi adorate senza conoscere, io ve
lo annunzio. (At 17,22-23). Veniva nel mondo la luce vera, quella che
illumina ogni uomo. (Gv 1,9)
Ho scritto: "lasciàti a loro stessi", "al di fuori della rivelazione" ... E tuttavia
m'affretto ad aggiungere che "l'uomo naturale", l'uomo lasciato da Dio a se
stesso, non esiste. Dio ama ogni uomo e non lascia da parte nessuno; quindi
Cristo, "la luce vera, quella che illumina ogni uomo", proietta su ciascuno un
inizio di rivelazione. Non lo dobbiamo mai dimenticare ma tenere
continuamente presente in noi stessi e negli altri...
Cristo illumina ogni uomo. Il balbettio su Dio, quindi, dei pagani, dei
filosofi, dei sapienti, del nostro stesso cuore, nella misura in cui si sono
positivamente e cordialmente aperti a ogni luce che s'annuncia, rappresenta un
certo approccio a Dio, ma, quasi sempre, ancora molto confuso, cosi lontano!
Così come già pregusta la vetta del monte Bianco il turista che sbarca a Genova o
a Marsiglia!
DIO PADRE ONNIPOTENTE
Per passare, quindi, dal "dio ignoto" alla conoscenza del vero Dio, è necessario
accogliere la rivelazione che questo Dio fa di se stesso attraverso la storia e in
Gesù Cristo, nella chiesa. Dobbiamo prendere in considerazione il nostro
simbolo due volte millenario: "Credo in Dio, Padre onnipotente".
"Onnipotente"! Ecco, avevamo immaginato qualcosa di questo genere: la
creazione, il tuono "di Dio", le nostre paure infantili, ahimè!, per l'occhio
scrutatore di Dio' pronto a colpire, l'inferno... "Approcci" (diciamo così) talmente
confusi da allontanar ci da questo Dio cui si era tentati di dare nomi da
sottomarino nucleare lanciamissili: il terribile, il temibile, il folgorante,
l'inflessibile. Ma la verità "si rivela" completamente diversa!
"Onnipotente", certo, ma di quale "onnipotenza"? Comunque, per il
momento, "onnipotente" è talmente su misura di "Dio" ("Dio onnipotente") che
ci sembra di capire, che ci saremmo arrivati perfino da soli, che Dio è proprio
così, senza tuttavia esserne molto entusiasti.
Ma ecco che il simbolo ci disarciona dalla nostra sicurezza con un termine
assolutamente sconcertante: "Padre", "Dio Padre onnipotente". Così i nostri
pensieri sono scombussolati alla radice. Basta col "Dio onnipotente". Non
crediamo al "Dio onnipotente" ma a "Dio Padre". Professiamo il "Padre
onnipotente".
Il termine Padre scoppia qui come una realtà imprevista, che tutto cambia.
"Dio" non può- più avere lo stesso significato di prima; e nemmeno l'attributo di
"onnipotente".
La luce che credevamo avere su Dio ci faceva degli adoratori del "dio
ignoto"; adesso tale luce non solamente è stata potenziata, ma anche totalmente
trasformata. "Padre", infatti, è un essere amoroso, e Dio, così, è un Dio d'amore.
Nient'altro.
Per questo, Dio s'è avvicinato a noi, s'è fatto vicinissimo, "il prossimo",
all'uomo che tratta come un figlio prediletto. Prima ancora ch'egli potesse
comprendere che cosa significhi "Padre", Dio ha detto il suo nome, perché
l'uomo sapesse che Qualcuno è presente, perché potesse rivolgersi a questo
Qualcuno come un bambino verso il padre o la madre.
HA RIVELATO IL SUO NOME
"Dio Padre" s'è rivelato a noi coi suoi interventi nella nostra storia.
Da più di quaranta secoli, con manifestazioni progressive, Dio diventa
prossimo a noi: si rivela a un uomo... a una famiglia... a un popolo ... a tutti i
popoli, affinché tutti gli uomini vivano rapporti filiali con lui che è loro padre.
Una lunga storia che non è finita!
UN DIO CHE PARLA
Questa è la posterità di Terach: Terach generò Abram, Nacor e Aran:
Aran generò Lot. Aran poi morì alla presenza di suo padre Terach
nella sua terra natale, in Ur dei Caldei. Abram e Nacor si presero delle
mogli; la moglie di Abram si chiamava Sarai e la moglie di Nacor
Milca, ch'era figlia di Aran, padre di Milca e padre di Isca. Sarai era
sterile e non aveva figli. Poi Terach prese Abram, suo figlio, e Lot, figlio
di Aran, figlio cioè del suo figlio, e Sarai sua nuora, moglie di Abram
suo figlio, e uscì con loro da Ur dei Caldei per andare nel paese di
Cànaan. Arrivarono fino a Carran e vi si stabilirono. L'età della vita di
Terach fu di 205 anni; Terach morì in Carran. (Gn 11, 27-32).
Siamo nella storia, nella storia degli storici, attorno al 1800 prima di
Cristo. Un certo Terach viveva, con la sua famiglia, in riva all'Eufrate, nella città
d'Ur dei Caldei. Scavi recenti hanno dimostrato quanto questa città fosse già
allora antica, ricca e civilizzata, posta in un luogo ameno del golfo Persico, in un
paese benedetto dal sole, dalle piogge e da fiumi.
Tuttavia Abramo, figlio di Terach, non resta in questo paese fortunato.
Ode, ci dice la bibbia, una voce che gli dice: "Vattene dal tuo paese, dalla tua
patria … verso il paese che io t'indicherò. Farò di te un grande popolo e ti benedirò
... In te si diranno benedette tutte le famiglie della terra" (Gn 12,1-3).
Abramo ascolta la voce interiore, parte e arriva, con la sua famiglia, nel
paese di Canaan.
Ma di chi è mai questa voce?
Con le indicazioni forniteci dalla bibbia, le quali concordano con quelle
della storia generale, possiamo dire che è la voce del Dio El. Il nome El è ancora
un nome comune e può essere tradotto con "onnipotente". Un Dio invisibile,
certo, ma che Abramo sente vicinissimo e del quale coglie, nel proprio cuore, la
presenza e la voce, senza tema di sbagliarsi.
I contemporanei d'Abramo non ignoravano questo Dio El. Abbiamo
ritrovato i loro testi' mitologici, che parlano del Dio El, "il potente", "il creatore".
Gli attribuiscono anche il nome di "benigno", di "padre", ma in senso lato, poiché
l'immaginano lontano, inaccessibile, senza troppo interesse per gli uomini. È il
vero Dio, ma prima ch'egli si riveli. Così i contemporanei d'Abramo preferiscono
rivolgersi a divinità. secondarie, al dio dei temporali,' a quello delle sorgenti, alla
dea della fertilità, come a luogotenenti vicini agli uomini.
Ma Abramo capisce che l’onnipotente è anche il "tutto prossimo", che
vuole camminare con noi, mettersi alla testa della colonna umana, condurci
verso quel paese che ci mostrerà.
Abramo s'impegna, e ci impegna, sulla strada della speranza. Lungo questo
cammino Dio si farà meglio conoscere, non più come il "padre" in senso lato, il
padre lontano, come lo si vedeva prima d'Abramo, ma come il tenero Padre di
tutti e di ciascuno, come il centro, la fonte d'ogni paternità in cielo e sulla terra,
come nostro Padre personale e che ha un nome proprio, come ogni altra
persona.
COME SI CHIAMA TUO PADRE?
In seicento anni, Isacco e Giacobbe e i discendenti d'Abramo il fedele,
hanno tutto il tempo per diventare un popolo.
Questo popolo è schiavo in Egitto.
Dio sta per rivelarsi più profondamente: dirà il suo nome e compirà
qualcosa di straordinario, le due cose insieme, perché questo grande intervento
dia fama al suo nome e perché questo nome di "Dio - Padre" resti legato a un
gesto indimenticabile di liberazione, di libertà.
Non credo affatto al Dio dei filosofi. Nessuna prova della sua esistenza
mi ha mai convinto. La mia fede va a colui che parlò al cuore
d'Abramo, che spinse Mosè ad avventurarsi nella liberazione del suo
popolo e che diede a Elia l'audacia d'opporsi all'iniquità d'Acab. Credo
nel falegname di Nazaret, nel Dio povero e itinerante di Giudea e di
Galilea, nel Dio condannato a morte, nel Dio vivente... (Serge de
Beaurecueil)
Dio si fa, dunque, più vicino a Mosè (in ebraico Moshé) un giorno in cui
quest'ultimo sta pascolando il gregge del suocero, al di là del deserto del Sinai.
Da un roveto ardente, Dio lo chiama: "lo sono il Dio di tuo padre, il Dio d'Abramo,
il Dio d'Isacco, il Dio di Giacobbe ... Ho osservato la miseria del mio popolo in
Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sorveglianti ... Sono sceso per
liberarlo ... Ora va'!
- Ecco, io arrivo dagli Israeliti e dico loro: Il Dio dei vostri padri mi ha
mandato a voi. Ma mi diranno: Come si chiama? E io che cosa risponderò
loro?
- Io sono colui-che-sono ... Dirai agli Israeliti: Io-sono mi ha mandato a voi ...
Questo è il mio nome per sempre; questo è il titolo con cui sarò ricordato
di generazione in generazione" (Es 3).
È la rivelazione del nome di Jahvé: "Io-sono". È lo straordinario momento in cui
si entra nell'amicizia familiare, in cui si attribuisce all'altro un potere su se stessi,
dicendogli: “Mi chiamo così e così, ormai sai come mi chiamo; puoi dunque
chiamarmi; non hai che da chiamarmi”
DIO È UNO DEI NOSTRI
Dobbiamo riflettere un poco su questo mistero del nome.
Che cos’è un nome? Che pensare di questo gesto di Dio che fa conoscere il
suo nome?
Dare un nome a qualche oggetto o a qualcuno è tutt'altra cosa che
"definirlo ", dandone l'"idea", il "concetto". Quando ci si è messi d'accordo nel
dare un determinato nome a un luogo, a un fiore, a una montagna, ne possiamo
parlare, li "dominiamo". Così la bibbia ci mostra Adamo che prende possesso
delle piante e degli animali, imponendo loro un nome. Per le persone, il nome il
nome riguarda essenzialmente i rapporti: dal momento in cui conosco il nome
d'una persona, posso chiamarla, interrogarla, scriverle, insomma allacciare con
lei dei rapporti. Per me non è più uno sconosciuto, un numero.
Se Dio dice il suo nome, quindi, è per porsi innanzitutto in mezzo a noi
come Qualcuno, come un Dio personale: "lo, tal dei tali...".
Inoltre: e per permettere agli uomini di nominarlo: per affidarsi così a essi
perché lo possano chiamare. Facendo ciò, diventa uno del gruppo, uno dei nostri,
ne possiamo parlare, possiamo raggiungerlo pregarlo è lì per noi.
Chi avrebbe sospettato questa adorabile "disponibilità a tutta prova" del
nostro Dio?
UNO CHE È QUI
In “Io sono colui-che-sono" alcuni hanno voluto vedere una definizione di
Dio, della stessa specie di quelle che si trovano nei loro dizionari: "Dio è
l’Essere", "l'Essere assoluto che sussiste in sé". Gli esegeti sono tutti concordi nel
denunciare questa pretesa:
 Il nome qui rivelato non è affatto una definizione, è un nome proprio, il
nome di uno che è concreto, di qualcuno "che è qui", d'uno che s'incontra,
l’opposizione alle vaghe divinità non bene definite, sperdute nelle forze
della natura o dello spirito.
 È un nome di presenza, di prossimità, di salvezza: "Io-sono-qui". Io sono qui
per voi, e voi mi vedrete all'opera; Sono qui presso di voi e non vi lascerò
più. Io sono qui con voi attraverso le vicissitudini della vostra stona. Io
sono qui, e voi potete contare su di me ...
 Infine, è un nome di fedeltà, di solidità: "Io sono qui ora, sempre e per
sempre, mentre tutti i piccoli dei dei vostri vicini passano e si dileguano in
una danza di moscerini. Nella rovina generale delle apparenze, delle
potenze d un giorno, delle bellezze d'un' giorno, delle fortune d'un giorno,
"Sono lo": "Io, Jahvé, sono il primo e sarò anche cogli ultimi ... ".
Io sono il primo e io l'ultimo; fuori di me, non vi sono dèi (Is 44,6)
LO CHIAMERAI GESÙ
Passano dei secoli durante i quali Israele invoca "Jahvé”, dimentica
"Jahvé" - Io-sono - per adorare "quelli che non sono, ritorna a Jahve, loda Jahvé
"che ha fatto meraviglie" ... E tutta la vita tempestosa dell'adolescente con suo
padre.
Ma, in un tempo determinato, un bambino annunciato, atteso da secoli,
nasce a Betlemme. Un messaggio di Jahve fa sapere a Giuseppe: Tu lo chiamerai
Gesù; egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati (Mt 1,21).
"Abramo vostro padre esultò nella speranza di vedere il mio giorno; lo
vide e se ne rallegrò". Gli dissero allora i giudei: “Non hai ancora
cinquant'anni e hai visto Abramo?". Rispose loro Gesù: "In verità vi
dico: prima che Abramo fosse, Io-Sono. (Gv 8,56-58)
Ora, questo Gesù proclamerà un giorno: "Se non credete che Io-Sono,
morirete nei vostri peccati… Quando avrete innalzato Il figlio dell’uomo allora
saprete che Io-Sono ..." (Gv 8,24 e 28).
In questo modo Gesù si presenta come il vero roveto ardente dal quale il
nome di Dio termina di rivelarsi agli uomini, non più mediante una parola che
certi commentatori hanno potuto scambiare per un’idea invece di vedervi una
persona, ma attraverso qualcuno in carne e ossa, Dio incarnato, che s'è potuto
avvicinare, vedere, toccare. “Dio con noi”: Emmanuele… Così prima di morire e
di risorgere, Gesù riassumerà la sua vita e la sua missione in questi termini:
"Padre, ho fatto conoscere il tuo nome agli uomini" (Gv 17,6).
Al culmine della rivelazione, il Signore Gesù si presenta dunque come il nome
vero e vivo di Dio. In Gesù Dio è veramente diventato “la Persona", colui che si può
incontrare, che si può chiamare. Attraverso Gesù, Dio è ormai pienamente del
gruppo, uno dei nostri.
"Dio nessuno l'ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che e nel seno del
Padre, lui lo ha rivelato" .
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IL PADRE GUARDATO CON SOSPETTO
"Leggendo l'antico testamento, quello che più m'ha colpita è che Dio è una
persona. Certo, non lo possiamo vedere, perché è Spirito. Ma si manifesta. Ora lo
vediamo intervenire direttamente nella storia del popolo ebreo; ora lo troviamo
in familiare conversazione con l'uomo, come qualcuno che dicesse ai suoi amici:
'Sediamoci e parliamo un poco'. Il Dio che la bibbia ci rivela è allo stesso tempo
maestoso e familiare" (Testimonianza di Jacqueline, 24 anni).
"Maestoso e familiare", il ritratto del padre in due pennellate, i due aspetti
sui quali il simbolo suscita innanzitutto la nostra fede: "Credo in Dio Padre".
"Dio” è la maestà, "Padre" la familiarità.
LE FILOSOFIE DEL SOSPETTO
Eppure queste due affermazioni messe insieme "Dio" e "Padre" sollevano
enormi difficoltà.
Per una prima ragione che qui solo accenniamo, perché la svilupperemo in
seguito: sembrerebbe una contraddizione che il "Dio onnipotente" possa essere
"Padre", o, se si vuole, che il "Padre" possa essere il "Dio onnipotente"; ma vi
ritorneremo.
Per una seconda ragione, che si presenta sotto forma 'd'obiezione da parte
di certi psicologi moderni: il simbolo del "padre" sarebbe pieno d'ambiguità,
postulerebbe fermenti malsani, soprattutto quando viene applicato a Dio.
Vediamone subito la consistenza.
Nella nostra epoca tecnica siamo portati sempre di più a un linguaggio
chiaro, funzionale: sapere di che cosa si parla per poterla maneggiare. Parole
"esatte', un linguaggio" univoco" come dicono gli studiosi: una parola per ogni
cosa e una cosa per ogni parola.
In linea di principio, d'accordo, anche se questa "mania" è spesso
artificiale, anche se, per esempio, le case produttrici di detersivi confezionano le
loro polverine dai diversi nomi fantasiosi -togliendole dallo stesso barile! Ma
non c'è niente da fare, la signora vuole quella marca perché è la migliore e ve ne
dirà i motivi!
È questa la ragione per cui, al contrario, altri diffidano anche del
linguaggio chiaro? Lo "sospettano" d'essere spesso solo una mistificazione.
Per quanto qui ci riguarda, coloro che sono stati definiti "i filosofi del
sospetto", sospettano in particolare del linguaggio religioso. Secondo loro, il "Dio
Padre" è solo un fantasma che nasconde e protegge sia lo sfruttamento dei
poveri da parte dei ricchi attraverso i rapporti di produzione (Marx), sia il
risentimento camuffato e imbrigliato dei deboli (Nietzsche), sia certe tendenze
oscure e poco confessabili immerse nell'inconscio (Freud), sia un semplice gioco
di parole e di simboli sociali che, nel cuore d'ognuno, rispondono solo al vuoto,
un po' come della carta moneta senza copertura (Althusser e gli strutturalisti)...
Dobbiamo lasciarci interpellare da queste analisi, che ci spingono a una
fede adulta, personale, disinteressata, impegnata nelle lotte per l'uomo. Ma non
si concluda che le religioni in generale e il cristianesimo in particolare sono
solo delle commoventi illusioni. No, non dobbiamo rinunciare a parlare di "Dio
Padre" come richiede il nostro credo; né del "Padre celeste", come fa Gesù nel
vangelo. L'amor ci è stato rivelato con le nostre parole umane, le sole che
potevamo comprendere; e queste parole non sono dei tranelli. Queste realtà
umane, anzi, per quanto umili possano essere di fronte a Dio, traggono la loro
bellezza, la loro bontà, proprio dalle realtà divine corrispondenti che ne
rappresentano la fonte.
Continuiamo, dunque, a parlare di "Dio nostro padre", ma cerchiamo anche
di comprendere meglio" quale Padre sia Dio".
Focalizziamo meglio il problema.
PARRICIDIO
Dobbiamo, innanzitutto, ammettere che parlare di Dio in termini di
"Padre", di "paternità" , può sembrare una provocazione per le nuove
generazioni. Queste sono segnate dalle rivoluzioni, dalla psicanalisi, dallo spirito
scientifico; sono sazie fino alla nausea d'ogni "paternalismo"; i giovani sono
arrivati al "parricidio", ossia all'opposizione ai genitori in generale, al padre in
particolare, il che permette d'affermare sé stessi, negando l'altro ... Allora,
l'immagine di questo Dio-Padre, per quanto "onnipotente" ,è snobbata da alcuni:
"Il padre è morto" ... "Dio è morto". Certo, per i propri figli, il padre ideale non
esiste. E hanno ragione, poveri piccoli! "Mio padre" è stato un debole o un
autoritario, un fortunato o uno sfortunato, un bonaccione o un violento, un
orgoglioso o un senza nerbo, distaccato da me o "sempre alle mie calcagna", uno
che incoraggiava o che faceva cadere le braccia, e via di seguito. Anche la madre,
del resto, per i propri figli, almeno in un determinato momento del loro sviluppo,
non si sottrae alla stessa sorte: possessiva, dominatrice, chiusa, gelosa,
soffocante ... Ciò non toglie che, sempre per il figlio, a meno che non si tratti di
genitori snaturati, i termini "papà" e "mamma" siano pure carichi di forza e di
tenerezza, di sicurezza e di calore; appartengono all'esperienza più
fondamentale e più positiva.
Ma è soprattutto interessante osservare che il Signore, quando ci rivela
Dio Padre, non si richiama alla nostra esperienza di figli nei confronti dei nostri
genitori; non ci dice: "Ricordatevi di vostro padre e di vostra madre: io sono
come loro!". Ci rimanda, invece, alla nostra esperienza adulta di padre o di madre
nei confronti dei nostri figli: "Si dimentica forse una donna del suo bambino, così
da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se queste donne si
dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai!" (Is 49,15).
Quando Israele era giovinetto, io l'ho amato e dall'Egitto ho chiamato
mio figlio. Ma più li chiamavo, più s'allontanavano da me,'
immolavano vittime ai Baal, agli idoli bruciavano incensi. A Efraim io
insegnavo a camminare tenendolo per mano, ma essi non compresero
che avevo cura di loro. Io li traevo con legami di bontà, con vincoli
d'amore; ero per loro come chi solleva un bimbo alla sua guancia; mi
chinavo su di lui per dargli da mangiare. (Os 11,1-4)
"Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede pane, gli darà una pietra? .. Se
dunque voi, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il
Padre vostro celeste darà lo Spirito santo a coloro che glielo chiedono" (Le
11,11-13).
Mi limito a queste citazioni, ma il filone sotterraneo della rivelazione è qui:
Dio-Padre rimanda all'esperienza dei genitori. Si leggano le pagine di Is 66,13; Sal
103,13; Pro 3,11-12, e soprattutto di Lc 15,11 ss: Un padre aveva due figli…
Pertanto, non dobbiamo prendere il "simbolo del padre", che troviamo
nella rivelazione e nel linguaggio religioso per il cattivo verso proprio del figlio e
del suo eventuale risentimento, cosciente o inconscio, ma per il verso giusto,
quello dei genitori amorosi, di cui la terra è piena, quello della tenerezza paterna
che i figli a loro volta proveranno quando saranno diventati adulti e sentiranno
ciò che prima ignoravano quasi completamente: che cosa significhi essere padri
o madri.
Balzac fa dire al suo Papà Goriot: "Io ho veramente compreso ciò che
poteva significare essere Dio, solo quando sono diventato padre".
C’È UN PADRE SOLO: DIO
Dobbiamo aggiungere che anche i padri e le madri possono guardare il
Padre celeste in una falsa ottica.
Infatti, la paternità o maternità umane, per quanto splendide non possono
"dare il la" a Dio. Anzi, la cosa si pone nei termini opposti: la paternità di Dio
viene per prima, questa paternità è fonte d'ogni paternità in cielo e sulla terra,
come dice s. Paolo (Ef 3,15). Insomma Dio-Padre non è a immagine dell’uomopadre, è l'uomo che è creato a immagine di Dio. Dio è infinitamente più Padre di
quanto non lo possa essere il migliore fra gli uomini. "Nessuno è padre quanto
Dio", è stato affermato.
Se quindi l’esperienza così eloquente della paternità umana ci può aiutare
a intravedere ciò che può essere la paternità divina, dobbiamo immediatamente
"ingrandire l'immagine": prendere viva coscienza che il cuore paterno, materno,
anche il più straordinario, è solo un pallido raggio, una favilla, dell'amore
paterno di "Dio Padre onnipotente". In verità solo Dio è padre: "Non chiamate
nessuno 'padre' sulla terra, perché un solo e Il Padre vostro, quello dei cieli" (Mt
23,9).
PADRE DI TUTTI E DI CIASCUNO
"Dio Padre onnipotente" ci ha detto il suo nome nel roveto ardente. Nome di
persona, nome di presenza...
Presenza d'un "Padre", ci dice il simbolo, e noi non abbiamo più paura di
questo termine "sospettato".
Ma da dove gli apostoli l'hanno preso, per immetterlo proprio nel cuore
della nostra fede?
Apriamo la bibbia, questa esperienza d'un popolo, apriamo l'evangelo,
esperienza degli apostoli, e coglieremo a ogni pagina questo Dio "in flagrante
delitto" d'azione paterna in mezzo agli uomini suoi figli.
Questo "Io-Sono-qui" del Sinai è, per tutta la nostra storia che ancora
continua, lo stesso che Teresa di Lisieux, pure essa fatta esperienza, amava
chiamare "Papà, il buon Dio".
PADRE DEL SUO POPOLO ISRAELE
Dopo Abramo, Israele è diventato nazione. Dopo Mosè, Israele sa che il suo
Dio Padre è in mezzo a lui; grazie a questo nome, può afferrarlo, per così dire,
per il braccio o per il mantello.
Dobbiamo subito osservare che,' fra coloro che sono veramente i "suoi",
Dio Padre non fa "chiacchiere" d'amore, non si perde in vuote dichiarazioni,
come i paternalisti... Si chiama Io-Sono-qui, e la sua grande famiglia ne costata la
presenza, l'azione potente, negli avvenimenti della propria vita. Solo
successivamente Dio parla per far capire chi egli è: "Non è lui il padre che ti ha
creato, che ti ha fatto e che ti ha costituito? ... Hai dimenticato il Dio che ti ha
procreato!" (Dt 32,6.18).
Cercherai, ma non troverai, coloro che litigavano con te; saranno
ridotti a nulla, a zero, coloro che ti muovevano guerra. Perché io sono
il Signore tuo Dio che ti tengo per la destra e ti dico: "Non temere, io ti
vengo in aiuto". Non temere, vermiciattolo di Giacobbe, larva d'Israele;
io vengo in tuo aiuto - oracolo del Signore - tuo redentore è il Santo
d'Israele. (Is 41,12-14)
Così, per tutta la sua storia tormentata, Israele, figlio degenere, quando
tutto lascia intendere che dovrà scomparire nell'esilio, sa a chi rivolgersi e quale
corda toccare, ricordando l'indimenticabile liberazione: "Dove sono (…) il
fremito della tua tenerezza e la tua misericordia? Non sforzarti all'insensibilità,
perché tu sei nostro padre… Tu, Signore, sei nostro padre, da sempre ti chiami
nostro redentore" (Is 63, 15-16).
E la fiducia di questo Israele impenitente avrà sempre l'ultima parola:
"Non è forse Efraim un figlio caro per me, un mio fanciullo prediletto? Infatti,
dopo averlo minacciato, me ne ricordo sempre più vivamente. Per questo le mie
viscere si commuovono per lui, provo per lui profonda tenerezza. Oracolo del
Signore" (Ger 31,20).
PADRE D'OGNI UOMO E DI TUTTI GLI UOMINI
Tuttavia, pedagogo paziente, perché Padre perfetto, Dio Padre ha solo
alzato un angolino del velo steso sul mistero infinito della sua paternità.
Attraverso la storia dell'antico testamento, s'è rivelato Padre solo d’un gruppo
particolare, del popolo d'Israele.
Ora', egli è Padre di tutti i popoli, di tutti gli uomini; è Padre d'ogni
uomo, qualunque sia la sua razza, il suo peccato ... E questa la rivelazione del
vangelo.
Così dunque, il nostro Padre "celeste", il nostro Padre "che è nei cieli,
conosce me stesso personalmente, per nome, e io conto per lui! (Osserviamo una
volte per tutte che i termini "celeste", "cieli", non significano un altrove in cui
starebbe Dio. Non c'è un "altrove". Tali termini sono un'espressione di s. Matteo
in sostituzione del termine "Dio" che non si osava, pronunciare in ambienti
giudeo-cristiani; vogliono, quindi, significare: Padre nostro che sei Dio", "Papà, il
buon Dio").
Poi disse ai suoi discepoli: Per questo io vi dico: Non datevi pensiero
per la vostra vita, di quello che mangerete; né per il vostro corpo, come
lo vestirete. La vita vale più del cibo e il corpo più del vestito. Guardate
i corvi: non seminano e non mietono, non hanno ripostiglio né granaio,
e Dio li nutre. Quanto più degli uccelli voi valete! (Lc 12,22-24)
"Papà, il buon Dio", dunque, s'occupa di ciascuno come se fosse il suo unico
figlio: "Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure neanche uno di
essi cadrà a terra senza che il Padre vostro lo voglia! Quanto a voi, perfino i
capelli del vostro capo sono tutti contati; non abbiate dunque timore: voi valete
più di molti passeri!" (Mt 10,29-31).
Così la preoccupazione per l'alloggio, il cibo, il vestito è superata per un
figlio di Dio. Certo, sono necessari il lavoro, la previdenza, ma l'affanno no: "Di
tutte queste cose si preoccupano i pagani; il Padre vostro celeste infatti sa che ne
avete bisogno … Non affannatevi dunque per il domani" perché il domani avrà
già le sue inquietudini. A ciascun giorno basta la sua pena" (Mt 6,32-34).
'
PADRE DEI NON CREDENTI
Però anche, i non credenti dovrebbero vincere questa angoscia per il
domani, perché Dio e anche il loro Padre ...
Ricordate il proverbio reso celebre da un film: "Non dobbiamo prendere i
figli del buon Dio per delle anatre selvagge". Ebbene senza offesa alla sapienza
dei proverbi, coloro che sono "anatre selvagge" sul piano della fede e della
morale sono, alla stessa stregua degli altri, "i figli del buon Dio": il nero e il
bianco, l'arabo e l'israelita, il bandito e il santo, il credente e il non credente,
perfino il miscredente, sono tutti trattati da Dio come figli, amati come figli, con
lo stesso cuore paterno: "Amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori,
perché siate figli del vostro Padre celeste (= vostro Padre, il buon Dio), che fa
sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e
sopra gli ingiusti. Infatti, se amate quelli che vi amano, quale merito ne avete?
Non fanno così anche i pubblicani? .. Siate voi dunque perfetti, come e perfetto il
Padre vostro celeste" (Mt 5,44-47).
Padre d'Israele Padre di tutti gli uomini, Padre di ciascuno, Padre dei
peccatori (cf. Lc 15,11 ss): così è il Dio che ha detto il suo nome a Mosè nel
roveto ardente.
"PADRE ONNIPOTENTE"
La bibbia e il vangelo, ripresi dal nostro credo, rivelandoci che Dio è Padre,
hanno letteralmente capovolto l'idea che si aveva della maestà di Dio. Poter
chiamare "Papà, il buon Dio", non per modo di dire, ma perché è proprio così
("Quale grande amore ci ha dato il Padre per esser: chiamati figli di Dio, e lo
siamo realmente! 1 Gv 3,1), apre veramente i nostri cuori a una gioia indicibile!
Ma subito il nostro simbolo aggiunge che questo Padre e onnipotente".
Che significa? È forse un modo per negare il Padre e la sua tenerezza, e
farei nuovamente ripiombare sotto l’incubo della maestà di Dio.
Quando eravamo bambini pensavamo istintivamente che nostro padre era
onnipotente, o quasi. Ci sollevava verso il soffitto della stanza come un fuscello;
le sue braccia sembravano così forti da portare il mondo. Questa forza ci
incantava, ci dava sicurezza; era come se fosse nostra, perché ne potevamo
disporre. Non ci faceva paura.
Ma il simbolo non si rivolge a del bambini. Per noi, adulti, questa
"onnipotenza" potrebbe contenere qualcosa che ci spaventa ...
DIO DELL’UNIVERSO
Infatti questo "Dio onnipotente" del nostro credo - Pantocrator, in greco - è
ripreso da formule veterotestamentane del tipo: "Dio delle moltitudini", "Dio
delle potenze", "Dio delle schiere celesti”. Queste moltitudini; queste potenze e
queste schiere sono gli eserciti delle stelle che obbediscono agli ordini di Dio
come in una parata militare grandiosa e impeccabile. Sono i sabaoth del nostro
sanctus latino, che la nuova liturgia traduce molto appropriatamente con
"universo": "Dio dell'universo". Tale espressione, indichi essa l'universo degli
astri sul piano cosmico, o l'universo dei re, dei capi e dei signori d'ogni grado sul
piano politico, indica Dio come il sovrano di tutte le cose e di tutte le persone.
Il nostro credo, pertanto, chiamando Dio sia "Padre" che "signore di tutto
l'universo" coniuga, per presentare l'unico Dio, un'immagine familiare
semplicissima con mi richiamo alla terribile potenza divina. Ciò sembrerebbe
contraddittorio, insostenibile …
Tuttavia, proprio in siffatto paradosso s'esprime esattamente la visione
cristiana di Dio, saldando in lui gli estremi opposti: la potenza assoluta e l'amore
assoluto, la distanza assoluta e la prossimità assoluta, l'essere assoluto e l'essere
legato all'uomo con cui Dio s'è mirabilmente compromesso …
ONNIPOTENZA INDIFESA
Poco comprensibili questi due termini astratti? È il linguaggio dei teologi,
un linguaggio professionale. Ma tranquillizziamoci: il nostro "Padre
onnipotente", con l'incarnazione del Figlio suo Gesù, "abrogherà" questo
linguaggio e lo tradurrà sotto i nostri occhi, non in altre parole, ma in fatti, in
fatti semplicissimi, tutta evidenza, terra terra. "Dio infatti ha tanto amato il
mondo da dare il suo Figlio unigenito" (Gv 3,16).
Conseguentemente avremo nella seconda parte del simbolo degli
apostoli: "Credo in Gesù Cristo, suo Figlio unigenito, ecc.", la piena spiegazione
della prima parte: "Credo in Dio Padre onnipotente". Il significato
dell'onnipotenza del Signore di tutte le cose diventerà chiaro d'una chiarezza,
però, inattesa, sconvolgente - solo presso la mangiatoia di Betlemme, la bottega
di falegname a Nazaret e la croce del Calvario.
Di fronte a fatti simili, i più profondi" pensatori sono completamente
sconcertati: ciò che avevano detto di Dio, con le loro parolone astratte, non è
certamente falso, ma appare totalmente marginale!
Giudicate voi: conosciamo in che cosa consiste la sovranità di Dio
solamente quando l'onnipotente s'è spinto all' estremo limite dell'impotenza:
bimbo che vagisce in una stalla, piagato che agonizza su un patibolo ...
Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore. In questo si è
manifestato l'amore di Dio per noi: Dio ha mandato il suo unigenito
Figlio nel mondo, perché noi avessimo la vita per lui. In questo sta
l'amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e
ha mandato il suo Figlio come vittima d'espiazione per i nostri peccati.
(1 Gv 4,8-10)
Di fronte a simili spettacoli, siamo costretti a rivedere tutte le nostre
nozioni di potenza, di sovranità, di signoria. Dio ci rivela che la potenza di Dio è
... il contrario della potenza dell'uomo. La potenza dell'uomo fa affidamento sui
muscoli, sulle armi, sul clamore ... perché non è la potenza suprema, ma solo una
piccola potenza, un "rumoroso petardo" diremmo. Gesù ci rivela che la potenza
suprema è appunto quella che può completamente rinunciare alla potenza: la
sua forza non deriva dalla violenza e dalle armi, ma dall'amore il quale, anche
respinto, è ancora più forte della forza trionfante di tutte le potenze terrene. Per
quanto riguarda l'amore, il più piccolo è sempre il più grande, il più debole è il
più forte, il servo è il signore ... E, inversamente ...
Ora, Dio è amore. La sua onnipotenza è l’onnipotenza dell'amore …
DIO È AMORE
È questa la sua definizione, la sua natura. Volendolo definire diversamente ci
troveremmo di fronte un falso dio, costruiremmo un idolo.
Quando usciamo dalla sfera propria dell'amore e, lavorando di
fantasia, introduciamo in Dio elementi estranei all'amore, quando
pensiamo che l'amore è qualcosa in Dio o un aspetto di Dio e non Dio
stesso, allora "ci 'costruiamo" un idolo. Siffatta "idolatria" alligna nel
cuore dei cristiani sotto la parvenza della fede, quando appunto la fede
non è abbastanza forte e pura per criticare i concetti e le immagini che
si moltiplicano alla sua ombra. (François Varillon)
Certo, Dio è potente; sapiente, santo, giusto, e tutto, tutto … all'ennesima
potenza. Il cuore dell'uomo l'aveva intuito. Ma "potente, sapiente, santo, ecc."
sono aggettivi, non sostantivi. Non ne dobbiamo fare dei sostantivi e dire: "Dio è
potenza, sapienza, santità, giustizia". Dio non può essere definito per la potenza,
là sapienza, la santità, la giustizia; e di tutto questo i filosofi non sapevano nulla e
il cuore dell'uomo non poteva avere una pallida idea. La natura di Dio è d'essere
amore.
- Ma allora, Dio non è potente, sapiente, santo, giusto ... ?
- No, lo è; però questi attributi non esprimono il suo stesso essere; ne
esprimono solo delle qualità. Il suo essere è l'amore ... Il nostro Dio - Amore
è potente, sapiente, santo, giusto, e tutto; tutto, all'ennesima potenza. Ma
non è potenza, sapienza, santità, giustizia, ecc. E amore, nient'altro. È puro
amore.
Facciamo un esempio. Tu comperi una villetta in riviera. La tua casa è
nuova, bianca, luminosa, grande, ben esposta, ecc. Quello che tu possiedi ormai
in riviera non è un biancore, una luminosità, una grandezza ... ma una casa e
nient'altro; tuttavia questa casa è nuova, bianca, luminosa, ecc. Sono questi gli
attributi della tua casa, le sue qualità. Così l'amore non è un attributo di Dio, ma
tutti gli attributi di Dio sono gli attributi dell'amore.
Critichiamo pure le nostre immagini, rifiutiamo coraggiosamente il "Dio
onnipotente", per provare stupore davanti al "Padre onnipotente" come ciè
rivelato dalla Scrittura e proclamato dal nostro credo!
NO AL DIO ONNIPOTENTE SI AL PADRE ONNIPOTENTE
L'amore del mio Dio è antecedente, gratuito, senza ragione, incondizionato. Non
ha altro motivo che il desiderio di Dio d'amarmi, come è d'ogni amore paterno o
materno. '
Genitori degni di questo nome sognano il loro figlio ancora prima d'averne
visto il volto ... Straordinario questo amore: il figlio desiderato, poi atteso, padre
e madre non lo conoscono, non sanno nemmeno se sarà maschio o femmina, né
quale sarà il suo carattere, e nient'altro se non che sarà il loro bambino ... Amore
meraviglioso, che non aspetta di conoscere l'altro per amarlo, che si offre all'
altro qualunque esso sia, che non verrà meno per tutta la vita, e per nessuna
ragione. È di questo tipo, e infinitamente migliore, l'amore del Padre celeste: non
presuppone nulla da parte mia, non ho nessun valore da presentargli prima. Per
darsi, non aspetta che lo ami; per amarmi, non aspetta che io sia amabile. Non è
per nulla una risposta: è antecedente, primo, sovranamente indipendente,
incondizionato…
L'amante dice all'amata: "Tu sei la mia, gioia", il che significa: "Senza
di te sono povero di gioia". Oppure: "Tu sei tutto per me", il che
significa: "Senza di te io sono un niente". Amare vuoi dire esistere
mediante l'altro e per l'altro ... Colui che ama di più, pertanto, è anche
il più povero. L'infinitamente amante, Dio è infinitamente povero.
(François Varillon)
Anche l'amore dei fidanzati, degli sposi, non è-gratuito né incondizionato,
perché è reciprocità. La gratuità totale ed eterna dell'amore è l'onnipotenza del
solo amore paterno del mio Dio.
Naturalmente; il mio amore l'incanterà, se gli rispondo. Il "Padre
onnipotente" è, dunque, un mendicante d'amore, mentre la sua "onnipotenza"
d'amare lo rende "completamente" mendicante e "completamente" povero: egli
è la povertà in tutta la sua potenza.
Povertà, spinta all'infinito, dei genitori d'un figlio ingrato, che non cessano
d'amare…
Essi ne rispettano la libertà, qualunque uso ne faccia…
Così è l'amore del mio Dio! Se fosse un "Dio onnipotente", piegherebbe
l'uomo al suo volere, usando, se necessario, la forza. Questo Dio onnipotente non
esiste. L'amore, invece, del Dio Padre è abbastanza potente da rispettare la
libertà dei suoi figli, infinitamente di più di quanto potremmo aspettare dal
migliore dei padri terreni. "Un uomo aveva due figli…" (Lc 15).
Un vero padre da fiducia, a proprio rischio e pericolo. Gioca tutto su suo
figlio: beni, nome, reputazione, lavoro… Che farà il figlio di tutto questo? Può
tutto sperperare, sciupare, infangare. È il prezzo della libertà. Non si può
costruire un uomo a minor prezzo.
Si dice e si ripete: "Se Dio è buono, perché tutto questo male nel mondo?
Perché non ferma la mano del malvagio?".
La ragione è questa: Dio è un "Padre onnipotente". Per questo "può",
"deve" lasciar partire il figlio prodigo per rispettarne le scelte libere. "Può"
pazientare di fronte alla zizzania che ha invaso il suo campo. Non è stato forse
per amore che ha suscitato davanti a sé degli esseri completamente liberi? Sartre
fa dire a un suo personaggio: "Se l'uomo è libero, Dio non esiste". Infatti, il Dio
onnipotente non esiste, perchè l'uomo è libero. Ma l'uomo è libero proprio
perché il Padre esiste ed è "onnipotente" nel suo amore.
Lui solo pagherà i danni. "Dio s'è regolato sulla pecorella perduta e sugli
errori commessi da essa" (Péguy).
Per questo il nostro Dio 'è il più dipendente di tutti gli esseri.
"Contrariamente a quanto sembra, amore e volontà d'indipendenza sono
incompatibili. Quindi chi ama di più è più dipendente. L'infinitamente amante,
Dio, è infinitamente dipendente (e questo sarebbe incomprensibile se Dio non
fosse puro amore)" (F. Varillon).
Il vero Dio è infinitamente ricco, ma ricco d'amore, infinitamente libero,
ma libero d'amare.