dio padre onnipotente - Centro di Apostolato e di Spiritualità
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VOLUME QUADERNI CASR DIO PADRE ONNIPOTENTE DIO PADRE Immaginate di rivolgere una domanda a bruciapelo al primo passante in una strada affollata: "Per lei, chi è Dio?". Non ci vuole molta fantasia per prevedere le risposte, o meglio i silenzi, lo sguardo vuoto e la bocca aperta. S. Paolo, percorrendo le strade d'Atene, aveva notato un tempio che portava sul frontale, la dedica: "Al Dio ignoto". Finalmente, pensò ecco un dio pagano, che svela il proprio nome! Infatti, lasciati a loro stessi, ossia al di fuori della rivelazione biblica ed evangelica, gli uomini hanno potuto inventare solo meschini approcci al Dio vivente e vero: lo Spirito, la Natura, il Destino, l'Essere supremo, l'Assoluto, il Grande architetto, l'Idea pura, l'Umanità, la Vita universale... Allora Paolo, alzatosi in mezzo all'areopago, disse: "Cittadini ateniesi, vedo che in tutto siete molto timorati degli dèi. Passando infatti e osservando i monumenti del vostro culto, ho trovato anche un'ara con l'iscrizione: AI Dio ignoto. Quello che voi adorate senza conoscere, io ve lo annunzio. (At 17,22-23). Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. (Gv 1,9) Ho scritto: "lasciàti a loro stessi", "al di fuori della rivelazione" ... E tuttavia m'affretto ad aggiungere che "l'uomo naturale", l'uomo lasciato da Dio a se stesso, non esiste. Dio ama ogni uomo e non lascia da parte nessuno; quindi Cristo, "la luce vera, quella che illumina ogni uomo", proietta su ciascuno un inizio di rivelazione. Non lo dobbiamo mai dimenticare ma tenere continuamente presente in noi stessi e negli altri... Cristo illumina ogni uomo. Il balbettio su Dio, quindi, dei pagani, dei filosofi, dei sapienti, del nostro stesso cuore, nella misura in cui si sono positivamente e cordialmente aperti a ogni luce che s'annuncia, rappresenta un certo approccio a Dio, ma, quasi sempre, ancora molto confuso, cosi lontano! Così come già pregusta la vetta del monte Bianco il turista che sbarca a Genova o a Marsiglia! DIO PADRE ONNIPOTENTE Per passare, quindi, dal "dio ignoto" alla conoscenza del vero Dio, è necessario accogliere la rivelazione che questo Dio fa di se stesso attraverso la storia e in Gesù Cristo, nella chiesa. Dobbiamo prendere in considerazione il nostro simbolo due volte millenario: "Credo in Dio, Padre onnipotente". "Onnipotente"! Ecco, avevamo immaginato qualcosa di questo genere: la creazione, il tuono "di Dio", le nostre paure infantili, ahimè!, per l'occhio scrutatore di Dio' pronto a colpire, l'inferno... "Approcci" (diciamo così) talmente confusi da allontanar ci da questo Dio cui si era tentati di dare nomi da sottomarino nucleare lanciamissili: il terribile, il temibile, il folgorante, l'inflessibile. Ma la verità "si rivela" completamente diversa! "Onnipotente", certo, ma di quale "onnipotenza"? Comunque, per il momento, "onnipotente" è talmente su misura di "Dio" ("Dio onnipotente") che ci sembra di capire, che ci saremmo arrivati perfino da soli, che Dio è proprio così, senza tuttavia esserne molto entusiasti. Ma ecco che il simbolo ci disarciona dalla nostra sicurezza con un termine assolutamente sconcertante: "Padre", "Dio Padre onnipotente". Così i nostri pensieri sono scombussolati alla radice. Basta col "Dio onnipotente". Non crediamo al "Dio onnipotente" ma a "Dio Padre". Professiamo il "Padre onnipotente". Il termine Padre scoppia qui come una realtà imprevista, che tutto cambia. "Dio" non può- più avere lo stesso significato di prima; e nemmeno l'attributo di "onnipotente". La luce che credevamo avere su Dio ci faceva degli adoratori del "dio ignoto"; adesso tale luce non solamente è stata potenziata, ma anche totalmente trasformata. "Padre", infatti, è un essere amoroso, e Dio, così, è un Dio d'amore. Nient'altro. Per questo, Dio s'è avvicinato a noi, s'è fatto vicinissimo, "il prossimo", all'uomo che tratta come un figlio prediletto. Prima ancora ch'egli potesse comprendere che cosa significhi "Padre", Dio ha detto il suo nome, perché l'uomo sapesse che Qualcuno è presente, perché potesse rivolgersi a questo Qualcuno come un bambino verso il padre o la madre. HA RIVELATO IL SUO NOME "Dio Padre" s'è rivelato a noi coi suoi interventi nella nostra storia. Da più di quaranta secoli, con manifestazioni progressive, Dio diventa prossimo a noi: si rivela a un uomo... a una famiglia... a un popolo ... a tutti i popoli, affinché tutti gli uomini vivano rapporti filiali con lui che è loro padre. Una lunga storia che non è finita! UN DIO CHE PARLA Questa è la posterità di Terach: Terach generò Abram, Nacor e Aran: Aran generò Lot. Aran poi morì alla presenza di suo padre Terach nella sua terra natale, in Ur dei Caldei. Abram e Nacor si presero delle mogli; la moglie di Abram si chiamava Sarai e la moglie di Nacor Milca, ch'era figlia di Aran, padre di Milca e padre di Isca. Sarai era sterile e non aveva figli. Poi Terach prese Abram, suo figlio, e Lot, figlio di Aran, figlio cioè del suo figlio, e Sarai sua nuora, moglie di Abram suo figlio, e uscì con loro da Ur dei Caldei per andare nel paese di Cànaan. Arrivarono fino a Carran e vi si stabilirono. L'età della vita di Terach fu di 205 anni; Terach morì in Carran. (Gn 11, 27-32). Siamo nella storia, nella storia degli storici, attorno al 1800 prima di Cristo. Un certo Terach viveva, con la sua famiglia, in riva all'Eufrate, nella città d'Ur dei Caldei. Scavi recenti hanno dimostrato quanto questa città fosse già allora antica, ricca e civilizzata, posta in un luogo ameno del golfo Persico, in un paese benedetto dal sole, dalle piogge e da fiumi. Tuttavia Abramo, figlio di Terach, non resta in questo paese fortunato. Ode, ci dice la bibbia, una voce che gli dice: "Vattene dal tuo paese, dalla tua patria … verso il paese che io t'indicherò. Farò di te un grande popolo e ti benedirò ... In te si diranno benedette tutte le famiglie della terra" (Gn 12,1-3). Abramo ascolta la voce interiore, parte e arriva, con la sua famiglia, nel paese di Canaan. Ma di chi è mai questa voce? Con le indicazioni forniteci dalla bibbia, le quali concordano con quelle della storia generale, possiamo dire che è la voce del Dio El. Il nome El è ancora un nome comune e può essere tradotto con "onnipotente". Un Dio invisibile, certo, ma che Abramo sente vicinissimo e del quale coglie, nel proprio cuore, la presenza e la voce, senza tema di sbagliarsi. I contemporanei d'Abramo non ignoravano questo Dio El. Abbiamo ritrovato i loro testi' mitologici, che parlano del Dio El, "il potente", "il creatore". Gli attribuiscono anche il nome di "benigno", di "padre", ma in senso lato, poiché l'immaginano lontano, inaccessibile, senza troppo interesse per gli uomini. È il vero Dio, ma prima ch'egli si riveli. Così i contemporanei d'Abramo preferiscono rivolgersi a divinità. secondarie, al dio dei temporali,' a quello delle sorgenti, alla dea della fertilità, come a luogotenenti vicini agli uomini. Ma Abramo capisce che l’onnipotente è anche il "tutto prossimo", che vuole camminare con noi, mettersi alla testa della colonna umana, condurci verso quel paese che ci mostrerà. Abramo s'impegna, e ci impegna, sulla strada della speranza. Lungo questo cammino Dio si farà meglio conoscere, non più come il "padre" in senso lato, il padre lontano, come lo si vedeva prima d'Abramo, ma come il tenero Padre di tutti e di ciascuno, come il centro, la fonte d'ogni paternità in cielo e sulla terra, come nostro Padre personale e che ha un nome proprio, come ogni altra persona. COME SI CHIAMA TUO PADRE? In seicento anni, Isacco e Giacobbe e i discendenti d'Abramo il fedele, hanno tutto il tempo per diventare un popolo. Questo popolo è schiavo in Egitto. Dio sta per rivelarsi più profondamente: dirà il suo nome e compirà qualcosa di straordinario, le due cose insieme, perché questo grande intervento dia fama al suo nome e perché questo nome di "Dio - Padre" resti legato a un gesto indimenticabile di liberazione, di libertà. Non credo affatto al Dio dei filosofi. Nessuna prova della sua esistenza mi ha mai convinto. La mia fede va a colui che parlò al cuore d'Abramo, che spinse Mosè ad avventurarsi nella liberazione del suo popolo e che diede a Elia l'audacia d'opporsi all'iniquità d'Acab. Credo nel falegname di Nazaret, nel Dio povero e itinerante di Giudea e di Galilea, nel Dio condannato a morte, nel Dio vivente... (Serge de Beaurecueil) Dio si fa, dunque, più vicino a Mosè (in ebraico Moshé) un giorno in cui quest'ultimo sta pascolando il gregge del suocero, al di là del deserto del Sinai. Da un roveto ardente, Dio lo chiama: "lo sono il Dio di tuo padre, il Dio d'Abramo, il Dio d'Isacco, il Dio di Giacobbe ... Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sorveglianti ... Sono sceso per liberarlo ... Ora va'! - Ecco, io arrivo dagli Israeliti e dico loro: Il Dio dei vostri padri mi ha mandato a voi. Ma mi diranno: Come si chiama? E io che cosa risponderò loro? - Io sono colui-che-sono ... Dirai agli Israeliti: Io-sono mi ha mandato a voi ... Questo è il mio nome per sempre; questo è il titolo con cui sarò ricordato di generazione in generazione" (Es 3). È la rivelazione del nome di Jahvé: "Io-sono". È lo straordinario momento in cui si entra nell'amicizia familiare, in cui si attribuisce all'altro un potere su se stessi, dicendogli: “Mi chiamo così e così, ormai sai come mi chiamo; puoi dunque chiamarmi; non hai che da chiamarmi” DIO È UNO DEI NOSTRI Dobbiamo riflettere un poco su questo mistero del nome. Che cos’è un nome? Che pensare di questo gesto di Dio che fa conoscere il suo nome? Dare un nome a qualche oggetto o a qualcuno è tutt'altra cosa che "definirlo ", dandone l'"idea", il "concetto". Quando ci si è messi d'accordo nel dare un determinato nome a un luogo, a un fiore, a una montagna, ne possiamo parlare, li "dominiamo". Così la bibbia ci mostra Adamo che prende possesso delle piante e degli animali, imponendo loro un nome. Per le persone, il nome il nome riguarda essenzialmente i rapporti: dal momento in cui conosco il nome d'una persona, posso chiamarla, interrogarla, scriverle, insomma allacciare con lei dei rapporti. Per me non è più uno sconosciuto, un numero. Se Dio dice il suo nome, quindi, è per porsi innanzitutto in mezzo a noi come Qualcuno, come un Dio personale: "lo, tal dei tali...". Inoltre: e per permettere agli uomini di nominarlo: per affidarsi così a essi perché lo possano chiamare. Facendo ciò, diventa uno del gruppo, uno dei nostri, ne possiamo parlare, possiamo raggiungerlo pregarlo è lì per noi. Chi avrebbe sospettato questa adorabile "disponibilità a tutta prova" del nostro Dio? UNO CHE È QUI In “Io sono colui-che-sono" alcuni hanno voluto vedere una definizione di Dio, della stessa specie di quelle che si trovano nei loro dizionari: "Dio è l’Essere", "l'Essere assoluto che sussiste in sé". Gli esegeti sono tutti concordi nel denunciare questa pretesa: Il nome qui rivelato non è affatto una definizione, è un nome proprio, il nome di uno che è concreto, di qualcuno "che è qui", d'uno che s'incontra, l’opposizione alle vaghe divinità non bene definite, sperdute nelle forze della natura o dello spirito. È un nome di presenza, di prossimità, di salvezza: "Io-sono-qui". Io sono qui per voi, e voi mi vedrete all'opera; Sono qui presso di voi e non vi lascerò più. Io sono qui con voi attraverso le vicissitudini della vostra stona. Io sono qui, e voi potete contare su di me ... Infine, è un nome di fedeltà, di solidità: "Io sono qui ora, sempre e per sempre, mentre tutti i piccoli dei dei vostri vicini passano e si dileguano in una danza di moscerini. Nella rovina generale delle apparenze, delle potenze d un giorno, delle bellezze d'un' giorno, delle fortune d'un giorno, "Sono lo": "Io, Jahvé, sono il primo e sarò anche cogli ultimi ... ". Io sono il primo e io l'ultimo; fuori di me, non vi sono dèi (Is 44,6) LO CHIAMERAI GESÙ Passano dei secoli durante i quali Israele invoca "Jahvé”, dimentica "Jahvé" - Io-sono - per adorare "quelli che non sono, ritorna a Jahve, loda Jahvé "che ha fatto meraviglie" ... E tutta la vita tempestosa dell'adolescente con suo padre. Ma, in un tempo determinato, un bambino annunciato, atteso da secoli, nasce a Betlemme. Un messaggio di Jahve fa sapere a Giuseppe: Tu lo chiamerai Gesù; egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati (Mt 1,21). "Abramo vostro padre esultò nella speranza di vedere il mio giorno; lo vide e se ne rallegrò". Gli dissero allora i giudei: “Non hai ancora cinquant'anni e hai visto Abramo?". Rispose loro Gesù: "In verità vi dico: prima che Abramo fosse, Io-Sono. (Gv 8,56-58) Ora, questo Gesù proclamerà un giorno: "Se non credete che Io-Sono, morirete nei vostri peccati… Quando avrete innalzato Il figlio dell’uomo allora saprete che Io-Sono ..." (Gv 8,24 e 28). In questo modo Gesù si presenta come il vero roveto ardente dal quale il nome di Dio termina di rivelarsi agli uomini, non più mediante una parola che certi commentatori hanno potuto scambiare per un’idea invece di vedervi una persona, ma attraverso qualcuno in carne e ossa, Dio incarnato, che s'è potuto avvicinare, vedere, toccare. “Dio con noi”: Emmanuele… Così prima di morire e di risorgere, Gesù riassumerà la sua vita e la sua missione in questi termini: "Padre, ho fatto conoscere il tuo nome agli uomini" (Gv 17,6). Al culmine della rivelazione, il Signore Gesù si presenta dunque come il nome vero e vivo di Dio. In Gesù Dio è veramente diventato “la Persona", colui che si può incontrare, che si può chiamare. Attraverso Gesù, Dio è ormai pienamente del gruppo, uno dei nostri. "Dio nessuno l'ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che e nel seno del Padre, lui lo ha rivelato" . . IL PADRE GUARDATO CON SOSPETTO "Leggendo l'antico testamento, quello che più m'ha colpita è che Dio è una persona. Certo, non lo possiamo vedere, perché è Spirito. Ma si manifesta. Ora lo vediamo intervenire direttamente nella storia del popolo ebreo; ora lo troviamo in familiare conversazione con l'uomo, come qualcuno che dicesse ai suoi amici: 'Sediamoci e parliamo un poco'. Il Dio che la bibbia ci rivela è allo stesso tempo maestoso e familiare" (Testimonianza di Jacqueline, 24 anni). "Maestoso e familiare", il ritratto del padre in due pennellate, i due aspetti sui quali il simbolo suscita innanzitutto la nostra fede: "Credo in Dio Padre". "Dio” è la maestà, "Padre" la familiarità. LE FILOSOFIE DEL SOSPETTO Eppure queste due affermazioni messe insieme "Dio" e "Padre" sollevano enormi difficoltà. Per una prima ragione che qui solo accenniamo, perché la svilupperemo in seguito: sembrerebbe una contraddizione che il "Dio onnipotente" possa essere "Padre", o, se si vuole, che il "Padre" possa essere il "Dio onnipotente"; ma vi ritorneremo. Per una seconda ragione, che si presenta sotto forma 'd'obiezione da parte di certi psicologi moderni: il simbolo del "padre" sarebbe pieno d'ambiguità, postulerebbe fermenti malsani, soprattutto quando viene applicato a Dio. Vediamone subito la consistenza. Nella nostra epoca tecnica siamo portati sempre di più a un linguaggio chiaro, funzionale: sapere di che cosa si parla per poterla maneggiare. Parole "esatte', un linguaggio" univoco" come dicono gli studiosi: una parola per ogni cosa e una cosa per ogni parola. In linea di principio, d'accordo, anche se questa "mania" è spesso artificiale, anche se, per esempio, le case produttrici di detersivi confezionano le loro polverine dai diversi nomi fantasiosi -togliendole dallo stesso barile! Ma non c'è niente da fare, la signora vuole quella marca perché è la migliore e ve ne dirà i motivi! È questa la ragione per cui, al contrario, altri diffidano anche del linguaggio chiaro? Lo "sospettano" d'essere spesso solo una mistificazione. Per quanto qui ci riguarda, coloro che sono stati definiti "i filosofi del sospetto", sospettano in particolare del linguaggio religioso. Secondo loro, il "Dio Padre" è solo un fantasma che nasconde e protegge sia lo sfruttamento dei poveri da parte dei ricchi attraverso i rapporti di produzione (Marx), sia il risentimento camuffato e imbrigliato dei deboli (Nietzsche), sia certe tendenze oscure e poco confessabili immerse nell'inconscio (Freud), sia un semplice gioco di parole e di simboli sociali che, nel cuore d'ognuno, rispondono solo al vuoto, un po' come della carta moneta senza copertura (Althusser e gli strutturalisti)... Dobbiamo lasciarci interpellare da queste analisi, che ci spingono a una fede adulta, personale, disinteressata, impegnata nelle lotte per l'uomo. Ma non si concluda che le religioni in generale e il cristianesimo in particolare sono solo delle commoventi illusioni. No, non dobbiamo rinunciare a parlare di "Dio Padre" come richiede il nostro credo; né del "Padre celeste", come fa Gesù nel vangelo. L'amor ci è stato rivelato con le nostre parole umane, le sole che potevamo comprendere; e queste parole non sono dei tranelli. Queste realtà umane, anzi, per quanto umili possano essere di fronte a Dio, traggono la loro bellezza, la loro bontà, proprio dalle realtà divine corrispondenti che ne rappresentano la fonte. Continuiamo, dunque, a parlare di "Dio nostro padre", ma cerchiamo anche di comprendere meglio" quale Padre sia Dio". Focalizziamo meglio il problema. PARRICIDIO Dobbiamo, innanzitutto, ammettere che parlare di Dio in termini di "Padre", di "paternità" , può sembrare una provocazione per le nuove generazioni. Queste sono segnate dalle rivoluzioni, dalla psicanalisi, dallo spirito scientifico; sono sazie fino alla nausea d'ogni "paternalismo"; i giovani sono arrivati al "parricidio", ossia all'opposizione ai genitori in generale, al padre in particolare, il che permette d'affermare sé stessi, negando l'altro ... Allora, l'immagine di questo Dio-Padre, per quanto "onnipotente" ,è snobbata da alcuni: "Il padre è morto" ... "Dio è morto". Certo, per i propri figli, il padre ideale non esiste. E hanno ragione, poveri piccoli! "Mio padre" è stato un debole o un autoritario, un fortunato o uno sfortunato, un bonaccione o un violento, un orgoglioso o un senza nerbo, distaccato da me o "sempre alle mie calcagna", uno che incoraggiava o che faceva cadere le braccia, e via di seguito. Anche la madre, del resto, per i propri figli, almeno in un determinato momento del loro sviluppo, non si sottrae alla stessa sorte: possessiva, dominatrice, chiusa, gelosa, soffocante ... Ciò non toglie che, sempre per il figlio, a meno che non si tratti di genitori snaturati, i termini "papà" e "mamma" siano pure carichi di forza e di tenerezza, di sicurezza e di calore; appartengono all'esperienza più fondamentale e più positiva. Ma è soprattutto interessante osservare che il Signore, quando ci rivela Dio Padre, non si richiama alla nostra esperienza di figli nei confronti dei nostri genitori; non ci dice: "Ricordatevi di vostro padre e di vostra madre: io sono come loro!". Ci rimanda, invece, alla nostra esperienza adulta di padre o di madre nei confronti dei nostri figli: "Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se queste donne si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai!" (Is 49,15). Quando Israele era giovinetto, io l'ho amato e dall'Egitto ho chiamato mio figlio. Ma più li chiamavo, più s'allontanavano da me,' immolavano vittime ai Baal, agli idoli bruciavano incensi. A Efraim io insegnavo a camminare tenendolo per mano, ma essi non compresero che avevo cura di loro. Io li traevo con legami di bontà, con vincoli d'amore; ero per loro come chi solleva un bimbo alla sua guancia; mi chinavo su di lui per dargli da mangiare. (Os 11,1-4) "Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede pane, gli darà una pietra? .. Se dunque voi, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro celeste darà lo Spirito santo a coloro che glielo chiedono" (Le 11,11-13). Mi limito a queste citazioni, ma il filone sotterraneo della rivelazione è qui: Dio-Padre rimanda all'esperienza dei genitori. Si leggano le pagine di Is 66,13; Sal 103,13; Pro 3,11-12, e soprattutto di Lc 15,11 ss: Un padre aveva due figli… Pertanto, non dobbiamo prendere il "simbolo del padre", che troviamo nella rivelazione e nel linguaggio religioso per il cattivo verso proprio del figlio e del suo eventuale risentimento, cosciente o inconscio, ma per il verso giusto, quello dei genitori amorosi, di cui la terra è piena, quello della tenerezza paterna che i figli a loro volta proveranno quando saranno diventati adulti e sentiranno ciò che prima ignoravano quasi completamente: che cosa significhi essere padri o madri. Balzac fa dire al suo Papà Goriot: "Io ho veramente compreso ciò che poteva significare essere Dio, solo quando sono diventato padre". C’È UN PADRE SOLO: DIO Dobbiamo aggiungere che anche i padri e le madri possono guardare il Padre celeste in una falsa ottica. Infatti, la paternità o maternità umane, per quanto splendide non possono "dare il la" a Dio. Anzi, la cosa si pone nei termini opposti: la paternità di Dio viene per prima, questa paternità è fonte d'ogni paternità in cielo e sulla terra, come dice s. Paolo (Ef 3,15). Insomma Dio-Padre non è a immagine dell’uomopadre, è l'uomo che è creato a immagine di Dio. Dio è infinitamente più Padre di quanto non lo possa essere il migliore fra gli uomini. "Nessuno è padre quanto Dio", è stato affermato. Se quindi l’esperienza così eloquente della paternità umana ci può aiutare a intravedere ciò che può essere la paternità divina, dobbiamo immediatamente "ingrandire l'immagine": prendere viva coscienza che il cuore paterno, materno, anche il più straordinario, è solo un pallido raggio, una favilla, dell'amore paterno di "Dio Padre onnipotente". In verità solo Dio è padre: "Non chiamate nessuno 'padre' sulla terra, perché un solo e Il Padre vostro, quello dei cieli" (Mt 23,9). PADRE DI TUTTI E DI CIASCUNO "Dio Padre onnipotente" ci ha detto il suo nome nel roveto ardente. Nome di persona, nome di presenza... Presenza d'un "Padre", ci dice il simbolo, e noi non abbiamo più paura di questo termine "sospettato". Ma da dove gli apostoli l'hanno preso, per immetterlo proprio nel cuore della nostra fede? Apriamo la bibbia, questa esperienza d'un popolo, apriamo l'evangelo, esperienza degli apostoli, e coglieremo a ogni pagina questo Dio "in flagrante delitto" d'azione paterna in mezzo agli uomini suoi figli. Questo "Io-Sono-qui" del Sinai è, per tutta la nostra storia che ancora continua, lo stesso che Teresa di Lisieux, pure essa fatta esperienza, amava chiamare "Papà, il buon Dio". PADRE DEL SUO POPOLO ISRAELE Dopo Abramo, Israele è diventato nazione. Dopo Mosè, Israele sa che il suo Dio Padre è in mezzo a lui; grazie a questo nome, può afferrarlo, per così dire, per il braccio o per il mantello. Dobbiamo subito osservare che,' fra coloro che sono veramente i "suoi", Dio Padre non fa "chiacchiere" d'amore, non si perde in vuote dichiarazioni, come i paternalisti... Si chiama Io-Sono-qui, e la sua grande famiglia ne costata la presenza, l'azione potente, negli avvenimenti della propria vita. Solo successivamente Dio parla per far capire chi egli è: "Non è lui il padre che ti ha creato, che ti ha fatto e che ti ha costituito? ... Hai dimenticato il Dio che ti ha procreato!" (Dt 32,6.18). Cercherai, ma non troverai, coloro che litigavano con te; saranno ridotti a nulla, a zero, coloro che ti muovevano guerra. Perché io sono il Signore tuo Dio che ti tengo per la destra e ti dico: "Non temere, io ti vengo in aiuto". Non temere, vermiciattolo di Giacobbe, larva d'Israele; io vengo in tuo aiuto - oracolo del Signore - tuo redentore è il Santo d'Israele. (Is 41,12-14) Così, per tutta la sua storia tormentata, Israele, figlio degenere, quando tutto lascia intendere che dovrà scomparire nell'esilio, sa a chi rivolgersi e quale corda toccare, ricordando l'indimenticabile liberazione: "Dove sono (…) il fremito della tua tenerezza e la tua misericordia? Non sforzarti all'insensibilità, perché tu sei nostro padre… Tu, Signore, sei nostro padre, da sempre ti chiami nostro redentore" (Is 63, 15-16). E la fiducia di questo Israele impenitente avrà sempre l'ultima parola: "Non è forse Efraim un figlio caro per me, un mio fanciullo prediletto? Infatti, dopo averlo minacciato, me ne ricordo sempre più vivamente. Per questo le mie viscere si commuovono per lui, provo per lui profonda tenerezza. Oracolo del Signore" (Ger 31,20). PADRE D'OGNI UOMO E DI TUTTI GLI UOMINI Tuttavia, pedagogo paziente, perché Padre perfetto, Dio Padre ha solo alzato un angolino del velo steso sul mistero infinito della sua paternità. Attraverso la storia dell'antico testamento, s'è rivelato Padre solo d’un gruppo particolare, del popolo d'Israele. Ora', egli è Padre di tutti i popoli, di tutti gli uomini; è Padre d'ogni uomo, qualunque sia la sua razza, il suo peccato ... E questa la rivelazione del vangelo. Così dunque, il nostro Padre "celeste", il nostro Padre "che è nei cieli, conosce me stesso personalmente, per nome, e io conto per lui! (Osserviamo una volte per tutte che i termini "celeste", "cieli", non significano un altrove in cui starebbe Dio. Non c'è un "altrove". Tali termini sono un'espressione di s. Matteo in sostituzione del termine "Dio" che non si osava, pronunciare in ambienti giudeo-cristiani; vogliono, quindi, significare: Padre nostro che sei Dio", "Papà, il buon Dio"). Poi disse ai suoi discepoli: Per questo io vi dico: Non datevi pensiero per la vostra vita, di quello che mangerete; né per il vostro corpo, come lo vestirete. La vita vale più del cibo e il corpo più del vestito. Guardate i corvi: non seminano e non mietono, non hanno ripostiglio né granaio, e Dio li nutre. Quanto più degli uccelli voi valete! (Lc 12,22-24) "Papà, il buon Dio", dunque, s'occupa di ciascuno come se fosse il suo unico figlio: "Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure neanche uno di essi cadrà a terra senza che il Padre vostro lo voglia! Quanto a voi, perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati; non abbiate dunque timore: voi valete più di molti passeri!" (Mt 10,29-31). Così la preoccupazione per l'alloggio, il cibo, il vestito è superata per un figlio di Dio. Certo, sono necessari il lavoro, la previdenza, ma l'affanno no: "Di tutte queste cose si preoccupano i pagani; il Padre vostro celeste infatti sa che ne avete bisogno … Non affannatevi dunque per il domani" perché il domani avrà già le sue inquietudini. A ciascun giorno basta la sua pena" (Mt 6,32-34). ' PADRE DEI NON CREDENTI Però anche, i non credenti dovrebbero vincere questa angoscia per il domani, perché Dio e anche il loro Padre ... Ricordate il proverbio reso celebre da un film: "Non dobbiamo prendere i figli del buon Dio per delle anatre selvagge". Ebbene senza offesa alla sapienza dei proverbi, coloro che sono "anatre selvagge" sul piano della fede e della morale sono, alla stessa stregua degli altri, "i figli del buon Dio": il nero e il bianco, l'arabo e l'israelita, il bandito e il santo, il credente e il non credente, perfino il miscredente, sono tutti trattati da Dio come figli, amati come figli, con lo stesso cuore paterno: "Amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori, perché siate figli del vostro Padre celeste (= vostro Padre, il buon Dio), che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti. Infatti, se amate quelli che vi amano, quale merito ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? .. Siate voi dunque perfetti, come e perfetto il Padre vostro celeste" (Mt 5,44-47). Padre d'Israele Padre di tutti gli uomini, Padre di ciascuno, Padre dei peccatori (cf. Lc 15,11 ss): così è il Dio che ha detto il suo nome a Mosè nel roveto ardente. "PADRE ONNIPOTENTE" La bibbia e il vangelo, ripresi dal nostro credo, rivelandoci che Dio è Padre, hanno letteralmente capovolto l'idea che si aveva della maestà di Dio. Poter chiamare "Papà, il buon Dio", non per modo di dire, ma perché è proprio così ("Quale grande amore ci ha dato il Padre per esser: chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! 1 Gv 3,1), apre veramente i nostri cuori a una gioia indicibile! Ma subito il nostro simbolo aggiunge che questo Padre e onnipotente". Che significa? È forse un modo per negare il Padre e la sua tenerezza, e farei nuovamente ripiombare sotto l’incubo della maestà di Dio. Quando eravamo bambini pensavamo istintivamente che nostro padre era onnipotente, o quasi. Ci sollevava verso il soffitto della stanza come un fuscello; le sue braccia sembravano così forti da portare il mondo. Questa forza ci incantava, ci dava sicurezza; era come se fosse nostra, perché ne potevamo disporre. Non ci faceva paura. Ma il simbolo non si rivolge a del bambini. Per noi, adulti, questa "onnipotenza" potrebbe contenere qualcosa che ci spaventa ... DIO DELL’UNIVERSO Infatti questo "Dio onnipotente" del nostro credo - Pantocrator, in greco - è ripreso da formule veterotestamentane del tipo: "Dio delle moltitudini", "Dio delle potenze", "Dio delle schiere celesti”. Queste moltitudini; queste potenze e queste schiere sono gli eserciti delle stelle che obbediscono agli ordini di Dio come in una parata militare grandiosa e impeccabile. Sono i sabaoth del nostro sanctus latino, che la nuova liturgia traduce molto appropriatamente con "universo": "Dio dell'universo". Tale espressione, indichi essa l'universo degli astri sul piano cosmico, o l'universo dei re, dei capi e dei signori d'ogni grado sul piano politico, indica Dio come il sovrano di tutte le cose e di tutte le persone. Il nostro credo, pertanto, chiamando Dio sia "Padre" che "signore di tutto l'universo" coniuga, per presentare l'unico Dio, un'immagine familiare semplicissima con mi richiamo alla terribile potenza divina. Ciò sembrerebbe contraddittorio, insostenibile … Tuttavia, proprio in siffatto paradosso s'esprime esattamente la visione cristiana di Dio, saldando in lui gli estremi opposti: la potenza assoluta e l'amore assoluto, la distanza assoluta e la prossimità assoluta, l'essere assoluto e l'essere legato all'uomo con cui Dio s'è mirabilmente compromesso … ONNIPOTENZA INDIFESA Poco comprensibili questi due termini astratti? È il linguaggio dei teologi, un linguaggio professionale. Ma tranquillizziamoci: il nostro "Padre onnipotente", con l'incarnazione del Figlio suo Gesù, "abrogherà" questo linguaggio e lo tradurrà sotto i nostri occhi, non in altre parole, ma in fatti, in fatti semplicissimi, tutta evidenza, terra terra. "Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito" (Gv 3,16). Conseguentemente avremo nella seconda parte del simbolo degli apostoli: "Credo in Gesù Cristo, suo Figlio unigenito, ecc.", la piena spiegazione della prima parte: "Credo in Dio Padre onnipotente". Il significato dell'onnipotenza del Signore di tutte le cose diventerà chiaro d'una chiarezza, però, inattesa, sconvolgente - solo presso la mangiatoia di Betlemme, la bottega di falegname a Nazaret e la croce del Calvario. Di fronte a fatti simili, i più profondi" pensatori sono completamente sconcertati: ciò che avevano detto di Dio, con le loro parolone astratte, non è certamente falso, ma appare totalmente marginale! Giudicate voi: conosciamo in che cosa consiste la sovranità di Dio solamente quando l'onnipotente s'è spinto all' estremo limite dell'impotenza: bimbo che vagisce in una stalla, piagato che agonizza su un patibolo ... Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore. In questo si è manifestato l'amore di Dio per noi: Dio ha mandato il suo unigenito Figlio nel mondo, perché noi avessimo la vita per lui. In questo sta l'amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima d'espiazione per i nostri peccati. (1 Gv 4,8-10) Di fronte a simili spettacoli, siamo costretti a rivedere tutte le nostre nozioni di potenza, di sovranità, di signoria. Dio ci rivela che la potenza di Dio è ... il contrario della potenza dell'uomo. La potenza dell'uomo fa affidamento sui muscoli, sulle armi, sul clamore ... perché non è la potenza suprema, ma solo una piccola potenza, un "rumoroso petardo" diremmo. Gesù ci rivela che la potenza suprema è appunto quella che può completamente rinunciare alla potenza: la sua forza non deriva dalla violenza e dalle armi, ma dall'amore il quale, anche respinto, è ancora più forte della forza trionfante di tutte le potenze terrene. Per quanto riguarda l'amore, il più piccolo è sempre il più grande, il più debole è il più forte, il servo è il signore ... E, inversamente ... Ora, Dio è amore. La sua onnipotenza è l’onnipotenza dell'amore … DIO È AMORE È questa la sua definizione, la sua natura. Volendolo definire diversamente ci troveremmo di fronte un falso dio, costruiremmo un idolo. Quando usciamo dalla sfera propria dell'amore e, lavorando di fantasia, introduciamo in Dio elementi estranei all'amore, quando pensiamo che l'amore è qualcosa in Dio o un aspetto di Dio e non Dio stesso, allora "ci 'costruiamo" un idolo. Siffatta "idolatria" alligna nel cuore dei cristiani sotto la parvenza della fede, quando appunto la fede non è abbastanza forte e pura per criticare i concetti e le immagini che si moltiplicano alla sua ombra. (François Varillon) Certo, Dio è potente; sapiente, santo, giusto, e tutto, tutto … all'ennesima potenza. Il cuore dell'uomo l'aveva intuito. Ma "potente, sapiente, santo, ecc." sono aggettivi, non sostantivi. Non ne dobbiamo fare dei sostantivi e dire: "Dio è potenza, sapienza, santità, giustizia". Dio non può essere definito per la potenza, là sapienza, la santità, la giustizia; e di tutto questo i filosofi non sapevano nulla e il cuore dell'uomo non poteva avere una pallida idea. La natura di Dio è d'essere amore. - Ma allora, Dio non è potente, sapiente, santo, giusto ... ? - No, lo è; però questi attributi non esprimono il suo stesso essere; ne esprimono solo delle qualità. Il suo essere è l'amore ... Il nostro Dio - Amore è potente, sapiente, santo, giusto, e tutto; tutto, all'ennesima potenza. Ma non è potenza, sapienza, santità, giustizia, ecc. E amore, nient'altro. È puro amore. Facciamo un esempio. Tu comperi una villetta in riviera. La tua casa è nuova, bianca, luminosa, grande, ben esposta, ecc. Quello che tu possiedi ormai in riviera non è un biancore, una luminosità, una grandezza ... ma una casa e nient'altro; tuttavia questa casa è nuova, bianca, luminosa, ecc. Sono questi gli attributi della tua casa, le sue qualità. Così l'amore non è un attributo di Dio, ma tutti gli attributi di Dio sono gli attributi dell'amore. Critichiamo pure le nostre immagini, rifiutiamo coraggiosamente il "Dio onnipotente", per provare stupore davanti al "Padre onnipotente" come ciè rivelato dalla Scrittura e proclamato dal nostro credo! NO AL DIO ONNIPOTENTE SI AL PADRE ONNIPOTENTE L'amore del mio Dio è antecedente, gratuito, senza ragione, incondizionato. Non ha altro motivo che il desiderio di Dio d'amarmi, come è d'ogni amore paterno o materno. ' Genitori degni di questo nome sognano il loro figlio ancora prima d'averne visto il volto ... Straordinario questo amore: il figlio desiderato, poi atteso, padre e madre non lo conoscono, non sanno nemmeno se sarà maschio o femmina, né quale sarà il suo carattere, e nient'altro se non che sarà il loro bambino ... Amore meraviglioso, che non aspetta di conoscere l'altro per amarlo, che si offre all' altro qualunque esso sia, che non verrà meno per tutta la vita, e per nessuna ragione. È di questo tipo, e infinitamente migliore, l'amore del Padre celeste: non presuppone nulla da parte mia, non ho nessun valore da presentargli prima. Per darsi, non aspetta che lo ami; per amarmi, non aspetta che io sia amabile. Non è per nulla una risposta: è antecedente, primo, sovranamente indipendente, incondizionato… L'amante dice all'amata: "Tu sei la mia, gioia", il che significa: "Senza di te sono povero di gioia". Oppure: "Tu sei tutto per me", il che significa: "Senza di te io sono un niente". Amare vuoi dire esistere mediante l'altro e per l'altro ... Colui che ama di più, pertanto, è anche il più povero. L'infinitamente amante, Dio è infinitamente povero. (François Varillon) Anche l'amore dei fidanzati, degli sposi, non è-gratuito né incondizionato, perché è reciprocità. La gratuità totale ed eterna dell'amore è l'onnipotenza del solo amore paterno del mio Dio. Naturalmente; il mio amore l'incanterà, se gli rispondo. Il "Padre onnipotente" è, dunque, un mendicante d'amore, mentre la sua "onnipotenza" d'amare lo rende "completamente" mendicante e "completamente" povero: egli è la povertà in tutta la sua potenza. Povertà, spinta all'infinito, dei genitori d'un figlio ingrato, che non cessano d'amare… Essi ne rispettano la libertà, qualunque uso ne faccia… Così è l'amore del mio Dio! Se fosse un "Dio onnipotente", piegherebbe l'uomo al suo volere, usando, se necessario, la forza. Questo Dio onnipotente non esiste. L'amore, invece, del Dio Padre è abbastanza potente da rispettare la libertà dei suoi figli, infinitamente di più di quanto potremmo aspettare dal migliore dei padri terreni. "Un uomo aveva due figli…" (Lc 15). Un vero padre da fiducia, a proprio rischio e pericolo. Gioca tutto su suo figlio: beni, nome, reputazione, lavoro… Che farà il figlio di tutto questo? Può tutto sperperare, sciupare, infangare. È il prezzo della libertà. Non si può costruire un uomo a minor prezzo. Si dice e si ripete: "Se Dio è buono, perché tutto questo male nel mondo? Perché non ferma la mano del malvagio?". La ragione è questa: Dio è un "Padre onnipotente". Per questo "può", "deve" lasciar partire il figlio prodigo per rispettarne le scelte libere. "Può" pazientare di fronte alla zizzania che ha invaso il suo campo. Non è stato forse per amore che ha suscitato davanti a sé degli esseri completamente liberi? Sartre fa dire a un suo personaggio: "Se l'uomo è libero, Dio non esiste". Infatti, il Dio onnipotente non esiste, perchè l'uomo è libero. Ma l'uomo è libero proprio perché il Padre esiste ed è "onnipotente" nel suo amore. Lui solo pagherà i danni. "Dio s'è regolato sulla pecorella perduta e sugli errori commessi da essa" (Péguy). Per questo il nostro Dio 'è il più dipendente di tutti gli esseri. "Contrariamente a quanto sembra, amore e volontà d'indipendenza sono incompatibili. Quindi chi ama di più è più dipendente. L'infinitamente amante, Dio, è infinitamente dipendente (e questo sarebbe incomprensibile se Dio non fosse puro amore)" (F. Varillon). Il vero Dio è infinitamente ricco, ma ricco d'amore, infinitamente libero, ma libero d'amare.