L`inettitudine dai margini. Pressburger dialoga con

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L`inettitudine dai margini. Pressburger dialoga con
Inge Lanslots & Annelies Van den Bogaert
L’inettitudine dai margini.
Pressburger dialoga con Freud tramite Svevo
0. Preambolo
"Italo Svevo è stato uno dei più grandi scrittori europei del secolo Ventesimo.
Il suo caso è unico, per tanti aspetti. Se fosse già dimenticato, lo raccomandiamo ai
lettori." (Pressburger 2008, 314). Tale è la nota che accompagna il paragrafo
introduttivo del terzultimo capitolo di Nel regno oscuro di Giorgio Pressburger,
tuttora l’ultima prova letteraria dello scrittore dalle origini ungheresi. Benché Nel
regno oscuro Svevo venga menzionato una sola volta – il protagonista del romanzo
passa per un paesino detto "oscuro" che ricorda quello a nord del Danubio nei preCarpazi da cui proviene la famiglia di Hektor Schmitz (Pressburger 2008, 213) – e
presentato ulteriormente nella nota 793 appena citata, l’influsso di Svevo è fortemente
tangibile nel romanzo di Pressburger. Lo evidenzia la sinossi, suggerita dall’autore
stesso e inclusa poi alla fine del romanzo, nel senso che questa definisce il romanzo
come il frutto di una rivisitazione del passato, tradottasi poi in una scrittura
terapeutica. In altre parole, il testo romanzesco è supposto portare al superamento di
una crisi, sperimentata come inerzia e addirittura come malattia.
Nel regno oscuro è la storia di un uomo di quarant’anni che, rimasto
completamente solo sulla terra, decide di mettersi in contatto con suo
padre e suo fratello morti. Si rivolge a una chiromante che, in cambio di
tutti i beni dell’uomo, gli promette di esaudirlo. Ma il tentativo non riesce.
Intanto però, l’uomo ha perduto, per contratto, tutto quello che possedeva.
In cinque anni di duro lavoro riesce a rifarsi una vita decorosa. Dopo aver
seppellito l’ultimo lontano parente, il giorno 11 agosto 1999, assiste,
desolato e solo, all’ultima eclissi solare del millennio. Vaga nella città
deserta e intravede una figura d’uomo. Gli chiede aiuto. Questi lo
promette, e lo invita nel suo studio di psicoanalista, in una torre. È
Sigmund Freud. In una lunga serie di incontri, ripercorre con il paziente
tutto ciò che causa il suo tormento. (Pressburger 2008, 329)
La sinossi, di cui abbiamo riportato la prima parte e che inquadra bene la
storia del protagonista, ci fa subito capire che Nel regno oscuro può essere letto come
la trascrizione di una terapia, che durando cinque anni è solo leggermente più lunga di
quella di Zeno Cosini, a cui il dottor S. impose la stesura del diario che costituisce
appunto La coscienza di Zeno di Italo Svevo. Com’è ben noto, sull’identità del dottor
S. si possono avanzare più congetture e identikit, mentre in Nel regno oscuro il
terapeuta, o meglio, lo psicoanalista, però, viene quasi subito identificato come il
grande "professore" Sigmund Freud (Pressburger 2008, 17) – il paziente-protagonista,
anche chiamato eroe, rimane provvisoriamente anonimo.
1. Continuità e rottura
Nel romanzo di Pressburger l’anonimità del protagonista e l’identificazione
immediata del terapeuta segnano chiaramente il rovesciamento del contesto
terapeutico della Coscienza di Zeno, ma tale cambiamento si spiega alla luce del
profilo dei protagonisti della prosa di Giorgio Pressburger. Infatti, sia nei romanzi che
nei racconti il protagonista – si tratta sempre di un personaggio maschile – spesso non
porta nome (o lo si scopre solo verso la fine della storia), che viene presentato e poi
individuato con la sua professione. Come il paziente di Nel regno oscuro, il
protagonista dei testi precedenti di Pressburger viene afflitto, colpito da una crisi
1
esistenziale: cioè un episodio ovvero un momentum sconvolge improvvisamente la
sua realtà; ne soffre, consecutivamente, la percezione della stessa realtà. Da agente
della propria sorte il protagonista si trasforma in oggetto che viene confrontato con
fenomeni incongrui o addirittura inspiegabili e, quando la scienza non porta più
sollievo, egli ricorre a istanze o a terapie che, fino al momentum, aveva snobbato
perché appartenenti all’irrazionale, accedendoci sempre tramite un personaggio
femminile. Ciò nonostante il protagonista si perderà – uno dei primi sintomi è
l’incapacità dell’uso della parola – fino a dissolversi nel nulla (Lanslots, Van den
Bogaert 2004, 2007, 2012; Lanslots 2008).
D’altro canto il protagonista di Nel regno oscuro sembrerebbe un personaggio
eccezionale perché riesce non solo a sottrarsi progressivamente a tale perdita ma
anche a ricuperare la facoltà della parola, motivo per cui l’ultimo romanzo di
Pressburger non si costruisce a partire dalla dicotomia razionale versus irrazionale.
Nel caso dell’autore, nato nel 1937 a Budapest e che approdò a Trieste dopo la
rivoluzione del 1956, tali poli corrispondono agli archetipi del maschile versus
femminile. Nel caso di Nel regno oscuro l’assenza dei poli fa sì che si diluisce
progressivamente la convinzione del paziente-protagonista di soffrire di una malattia
incurabile, che ha contagiato la sua anima. Tutto ciò non vuol dire che Nel regno
oscuro non si interroghi sulla validità delle griglie interpretative offerte dalla scienza
e da saperi alternativi, in termini del resto molto simili a quelli adoperati nella
Coscienza di Zeno – vengono squalificati come pseudoscienza o, addirittura,
ciarlateneria, ma per la prima volta lo scopo terapeutico costituisce la base della
scrittura.
2. Scrittura imposta
"Insiste a fare il
(Pressburger 2008, 19)
viaggio
oscuro?"
Come nella Coscienza di Zeno quindi: "interviene dall’esterno un’imposizione
a scrivere a cui non è possibile sottrarsi e sfuggire, perché viene da quella sorta di
«stregone» che è il medico, psicoanalista per di più, cioè dedito a curare le anime (per
così dire)" (Bárberi Squarotti 1988, VII). L’anima in Nel regno oscuro non solo soffre
di una crisi esistenziale ma anche di solitudine e sente il bisogno di ricostruire un
rapporto con il suo mondo. Il paziente-protagonista, però, si vedrà costretto a
rimandare il riconnettersi con i parenti e in particolare con i familiari molto stretti, il
padre e il fratello.
Il lettore di Nel regno oscuro si aspetta allora alla ricostruzione di una storia
privata a scopo terapeutico, ma viene invece confrontato con una narrazione che si
concentra apparentemente sulla ricostruzione del Novecento, una ricostruzione che
non sarà né lineare né (crono)logica, ma associativa. Durante le sedute dallo
psicoanalista il paziente-protagonista si imbatte in una serie di personaggi secondari,
che vanno da artisti e scrittori, attraverso scienziati, a personaggi storici non sempre
morti; al protagonista si presentano: i cantanti Tenco, Dalida e Guccini, i registi
Antonioni, Greenaway e Pier Paolo Pasolini, il fumettista Paz(ienza), l’autore
fantascientifico Wells, il poeta Celan, il monumentale Thomas Mann, ma anche
Gandhi, Martin Luther King, Anna Frank, e poi Hitler, Stalin, Franco, per citarne solo
alcuni. Tutti i personaggi cosiddetti secondari possono essere catalogati secondo il
binomio del Bene versus il Male. Tra gli ultimi si schierano tutti coloro che si sono
lasciati corrompere dal potere o che hanno inflitto la violenza agli altri, anche se erano
convinti di fare del Bene. Tra i carnefici, anche loro malgrado, figurano quelli che
agivano all’insegna dell’utopia del comunismo, del sadismo ideologico effettuatosi
2
nei lager, del radicalismo violento propagato dall’estrema destra (Freda, Ventura,
Zorzi e Delle Chiaie) e dalla RAF (dal gruppo Baader-Meinhof), etc. Nei confronti
dei fautori del Male il paziente del professore Freud non prova nessuna empatia. Il
paziente si impietosisce invece nei confronti di chi non seppe reggere. In questo
proposito il decimo capitolo è particolarmente avvincente: è il capitolo intitolato, "La
città delle donne" (Pressburger 2008, 75-80), capitolo dedicato alle donne che si sono
lasciate sopraffare dalla sofferenza e che ha come setting la città di Praga dove il
paziente-protagonista prova, per esempio, pena per Milena Jesenská. Non va
dimenticato che la città di Franz Kafka, come le altre soste spaziotemporali del
romanzo di Pressburger, viene evocata nello spazio chiuso dello studio del professor
Freud, che si situa in una torre.
Lungo il percorso associativo e molto frammentario che compie il pazienteprotagonista il lettore ha l’impressione che questo, pur cercando di analizzare i motivi
e le pulsioni altrui, stia provando a rimuovere sia le proprie ansie e perplessità, che i
propri traumi e demoni per cui la mole di Nel regno oscuro non è solo riconducibile
alla Coscienza di Zeno nella misura in cui le modalità degli incontri apparentemente
incongrui ricordano apertamente il viaggio dantesco, soprattutto la prima parte
dell’Inferno. Accompagnato da una guida il paziente-protagonista, infatti, avvia la sua
discesa muovendosi in un "limbo" (Pressburger 2008, 23), mentre definisce la realtà
circostante in termini di "commedia" e/o "dramma" (Pressburger 2008, 112). Oltre a
ciò il percorso del paziente si allinea all’Eneide virgiliana (Pressburger 2008, Nota 9,
250). Lo attesta lo scrittore stesso in più occasioni; il riferimento alla Commedia è
stato elaborato maggiormente nelle interviste e conferenze date in occasione della
pubblicazione di Nel regno oscuro (Fortuna, Gragnolati, Trabant 2010; Pressburger
2010), ma anche nel testo stesso, verso la fine si riferisce apertamente all’Inferno
dantesco, ribadendo che l’inferno è meno favoloso o fantasioso (Pressburger 2008,
189-190): "Sai, l’inferno c’è. Sì, c’è. Dante non lo sapeva. Per lui l’inferno era
fantasia. Io invece sì, ho visto l’inferno che esiste oggi. […] quando l’inferno scende
sulla terra occorre un’altra immaginazione.". I riferimenti al poema epico di Virgilio,
invece, si riscontrano per lo più nel testo stesso e vengono approfonditi nel fitto
apparato delle note. Proprio per la combinatoria delle fonti Svevo-Dante-Virgilio la
scrittura terapeutica, che progredisce secondo il principio delle libere associazioni,
non può non divergere da quella di Zeno/Svevo.
3. Scrittura a strati
Le scritture di Zeno/Svevo e del paziente-protagonista/Pressburger vengono
però incorniciate da un avvertimento da parte dello psicoanalista. In La coscienza di
Zeno il dottor S. esprime i suoi dubbi sulla sincerità e sull’autenticità della scrittura
autobiografica del paziente sperando che la pubblicazione sia un atto vendicativo e
che questa dispiaccia a Zeno Cosini, mentre in Nel regno oscuro l’avvertimento del
professor Freud, che non è stato firmato ma che viene contestualizzato nella prima
nota, ha un tono più neutro:
Le rispedisco lo scritto,1 con in corsivo le annotazioni riguardanti quello
che lei ha fatto durante le nostre “sedute”.
Ne ho tenuto il diario per cinque anni.
E che si abbia pietà di noi. (Pressburger 2008, 5)
Dall’avvertimento si può dedurre che l’istanza narrativa del testo sia lo stesso Freud
che, alla rilettura degli appunti fatti durante le sessioni, ha aggiunto ulteriori
commenti, ben marcati in corsivi e spesso tra parentesi, destinati in primo luogo al
paziente e non ad un pubblico di lettori. La trascrizione delle sessioni viene distribuita
3
in vari capitoli, che portano tutti un titolo dalle connotazioni letterarie che inserisce il
testo in un dialogo intertestuale, cioè letterario-mitologico come per esempio Nella
selva del deserto. La selva oscura (capitolo 2) o Acheronte. Minosse (capitolo 4). Il
titolo viene seguito da una specie di sinossi, in caratteri tondi messa tra parentesi, che
a sua volta ha un carattere prettamente letterario. Oltre alla scrittura tripliforma del
Freud di Pressburger si manifesta la presenza di un’altra voce narrante, ma questa
viene emarginata nel fitto apparato paratestuale. Nel testo stesso tale presenza sembra
limitarsi all’occorrenza delle note, che più di un valore enciclopedico hanno una
valenza metatestuale nel senso che fungono anche da strumento d’analisi del testo. È
esemplare la seconda nota:
Il racconto dell’autore prende le mosse da una domanda a lui rivolta da un
personaggio per ora senza identità. Oltre alle prime notizie sul luogo della
scena, da questo punto in avanti le sensazioni descritte dal personaggio
che dice "io" saranno puramente acustiche. Questo rende il racconto più
misterioso, ma nello stesso tempo stabilisce subito un contatto con un
antico poema di cui parleremo più avanti. Secondo alcuni, il fatto di
esibire elementi puramente uditivi può anche rinviare all’allusione a uno
stato prenatale in cui il feto più che vedere, ascolta il mondo. In questo
senso, l’inizio del racconto sarebbe la descrizione di un faticoso venire al
mondo sia del personaggio, sia del libro. (Pressburger 2008, 249)
Questa nota colpisce non solo per il contesto terapeutico e per le allusioni alla teoria
freudiana, ma fornisce un commento sulla genesi sia del personaggio che del libro. Si
registri anche l’osservazione prolettica, che in altre occasioni spunterà insieme a
considerazioni analettiche.
L’insieme delle note, che, come sottolinea Angela Fabris, correda l’inferno
pressburgeriano "sull’esempio dell’Inferno dantesco commentato da Gianfranco
Contini" (2010, 138), si estende per ben ottanta pagine (Pressburger 2008, 249-323)
ed è il frutto di una scrittura a quattro mani, cioè di una collaborazione forse
inaspettata tra Giorgio Pressburger e Donata Salimbeni. Inoltre, le note vengono
completate con la sinossi menzionata prima (e intitolata Per i librai, Pressburger
2008, 329-330) e con una Lettera a due amici (Pressburger 2008, 325-327), firmata
con "Giorgio", rivolta a Laura e Giulio (Lepschy). Tutti gli elementi paratestuali con
firme – "signature" nella terminologia di Philippe Lejeune (1975) – reinquadrano il
testo stesso, ma sono allo stesso tempo ben individuabili. In altre parole, la scrittura
ha una stratificazione nitida, mentre in La coscienza di Zeno l’(auto)ironia all’interno
del testo fa intuire che la scrittura cosiddetta autobiografica ha più strati. Al lettore dei
testi viene imposto un altro percorso, che nel caso di Nel regno oscuro è
inevitabilmente multiplo.
4. L’atto memoriale
Ecco che la fronte si corruga perché ogni
parola è composta di tante lettere e il
presente imperioso risorge ed offusca il
presente. (Svevo 2004, 626)
In questa luce l’autobiografia va intesa come scrittura memoriale che ha
sempre due componenti: da un lato il bisogno del ritorno alla storia originale e
dall’altro la tendenza alla narrativizzazione (Salerno 2011). Quest’ultima porta
ineluttabilmente al cancellamento della realtà del personaggio cosicché non esiste più
nulla al di fuori del racconto. L’autobiografico tende a coincidere con un personaggio
che si sta finzionalizzando. (den Toonder 2000, 325 e 327). Nella Coscienza Svevo
tramite Zeno crea un alter-ego fittizio. Pressburger, invece, ricostruisce con l’aiuto di
4
Freud l’identità del paziente protagonista. La ricostruizione è frammentaria per la
struttura del romanzo e allo stesso tempo si fa a partire da caratteristiche dei
personaggi secondari che emergono durante le sedute. L’atto memoriale si basa non
sulla memoria individuale ma su quella collettiva. Il romanzo che ne risulta dialoga
con un immaginario collettivo e allo stesso tempo spuntano riferimenti indiretti
all’autore in carne ed ossa, alla sua opera ma non alle voci narranti, cioè non a Freud
né al suo paziente.
Di particolare interesse in questo contesto è la presenza del topos dei gemelli
inseparabili, riconducibili ai mitologici Castore e Polluce. Nella nota 9 si legge tra
l’altro che:
[…] sul significato delle figure gemellari esistono miti antichi e moderni,
da Castore e Polluce degli antichi Greci, agli studi della psicologia e della
biologia moderne. Una vasta letteratura descrive questa forma di duplice
vita, duplice gioia e duplice pena. (Pressburger 2008, 250).
Il topos si concretizza tramite da una parte l’incontro con altri gemelli o i loro parenti
(come nel caso dell’incontro di Ulrike Meinhof che ebbe due figlie gemelle) e
dall’altra al ricordo della perdita del fratello gemello del paziente. Proprio in questo
notiamo una corrispondenza molto puntuale tra la narrativa e la vita autoriale,
Pressburger stesso essendo la metà sopravvissuta di due gemelli. A questo punto va
osservato che le prime prove letterarie di Giorgio Pressburger furono scritte proprio
insieme al fratello gemello Nicola, scomparso nel 1986, e che il lutto era già stato
elaborato in molti altri suoi scritti, quali La legge degli spazi bianchi e L’orologio di
Monaco a cui Pressburger riferisce esplicitamente nelle note 528 e 801 (Pressburger
2008, 293 e 314). Nel Regno oscuro è in un certo qual senso un atto di riscrittura della
propria produzione. D’altronde, la tematica dei gemelli si riallaccia alla figura del
sosia che in questo caso viene coinvolto nell’atto scrittorio. L’identità del personaggio
e quella dell’istanza narrativa diventano una entità composita ma allo stesso tempo
indistrincabile.
5. Il vapore
Vedo, intravvedo delle immagini bizzarre
che non possono avere nessuna relazione col
mio passato: una locomotiva che sbuffa su
una salita trascinando delle innumerevoli
vetture; chissà donde venga e dove vada e
perché sia ora capitata qui! (Svevo 2004,
626-627)
Sia Svevo che Pressburger ricorrono alle stesse immagini per visualizzare
l’atto memoriale. La vita dei protagonisti viene paragonata ad un treno molto lungo
che stenta a salire e la cui traiettoria è molto problematica, come lo illustra il brano
riportato in esergo a questo punto. Per Zeno il treno rappresenta innanzitutto il
dinamismo e la velocità con cui passa la vita, che corre il pericolo di deragliare.
Scrivendo, anzi incidendo sulla carta tali dolorosi ricordi, scopro che
l’immagine che m’ossessionò al primo mio tentativo di vedere nel mio
passato, quella locomotiva che trascina una sequela di vagoni su per
un’erta, io l’ebbi per la prima volta ascoltando da quel sofà il respiro di
mio padre. Vanno così le locomotive che trascinano dei pesi enormi:
emettono degli sbuffi regolari che poi s’accelerano e finiscono in una
sosta, anche quella una sosta minacciosa perché chi ascolta può temere di
veder finire la macchina e il suo traino a precipizio a valle. Davvero! Il
mio primo sforzo di ricordare, m’avevano riportato a quella notte, alle ore
più importanti della mia vita. (Svevo 2004, 669).
5
La vita, secondo Zeno, è innanzitutto originale perché è un concatenarsi di eventi
inaspettati la cui caratteristica principale è appunto la fluidità. Afferma il protagonista
di La coscienza di Zeno: "Bisogna moversi. La vita ha dei veleni, ma anche degli altri
veleni che servono di contravveleni. Solo correndo si può sottrarsi ai primi e giovarsi
degli altri." (Svevo 2004, 958). Per Pressburger, invece, il treno diventa un mostro che
rischia di schiacciarlo. "Il treno mi viene addosso (…) Il terrore mi paralizzava, stavo
su un binario. Era sera. Tanto fumo. Una vecchia locomotiva s’avvicinava e non
avevo la forza di scansarmi. (…) da quei binari mortali." (Pressburger 2008, 66).
L’immagine del treno viene collegata in modo sistematico a quella del fumo
che a sua volta viene anche descritto come nebbia, bruma… Il fumo è indizio della
confusione, della cecità e della paralisi del paziente-protagonista e si dissolve, del
resto, in quello dei sigari che circonda sempre il professor Freud nel suo studio. Il
fumo assume quindi altre dimensioni che nella Coscienza di Zeno, ma rimane anche
nel romanzo di Pressburger un filo conduttore.
Tornando all’immagine del treno bisogna osservare che all’aspetto del mostro
si aggiungono altri valori simbolico-storici. Il treno non solo rappresenta la storia
privata in crisi ma anche quella dell’intera umanità, quindi la Storia. Il treno rievoca i
convogli che portavano ai Lager (Pressburger 2008, 183), il che è sperimentato come
l’immagine più tragica evocata dal treno. Si informa allora il professor Freud: "Un
altro treno? Non le basta quello legato a quel ricordo così tragico? Che cosa, quale
treno della memoria attraversa correndo la sua mente?" Risponde poi il paziente: "La
Storia, professore, corre anche quella e urla e romba come una valanga. […]"
(Pressburger 2008, 136). Va detto, per inciso, che il dialogo fra il paziente e Freud si
sviluppa ulteriormente prendendo la forma di una poesia che viene continuata alle
pagine 149-151 su musica di Webern (Lanslots, Van den Bogaert 2012; Salerno
2011).
In Nel regno oscuro la Storia corre ma la si può ripercorrere in due direzioni,
dal primo vagone all’ultimo o vice versa, per cui sarebbe secondo Pressburger
"metamerica", un termine imprestato alla biologia:
indica quegli animali (vermi e altri) il cui corpo è diviso in segmenti.
Mentre si forma il corpo, in alcuni di questi animali, l’ultimo è quello più
giovane. In altri, quello più vicino al capo è quello nato per ultimo. I treni
sono metamerici. (Pressburger 2008, nota 533, 293).
Sempre nell’ambito dell’immagine del treno si scopre un’altra pista chiave,
quella della salita faticosa (Svevo 2004, 626-627) perché nella vita detta originale si
presentano ostacoli che bloccano lo sguardo, come lo sostiene Zeno all’inizio della
sua autobiografia: "Più di dieci lustri me ne separano i miei occhi presbiti forse
potrebbero arrivarci se la luce che ancora ne riverbera non fosse tagliata da ostacoli
d’ogni genere, vere alte montagne: i miei anni e qualche mia ora." (Svevo 2004, 626)
Rispetto a quella di La coscienza di Zeno la simbologia della montagna viene
quindi ingrandita in Nel Regno oscuro e subito associata ad altre fonti letterarie e
enciclopediche, quali Dante e la sua concezione geografica della Commedia (Fortuna,
Gragnolati, Trabant 2010), il Vecchio Testamento e i monti Sinai e Ararat, Thomas
Mann e la montagna incombente (Pressburger 2008, 250), ma evidentemente anche
Goethe e il suo Faust di cui il testo riporta una citazione che poi ha generato il titolo
del romanzo di Pressburger: si tratta proprio dell’evocazione del "regno oscuro", un
regno intangibile ma vero, generato dalla sofferenza. Ciò si evidenzia nel brano
seguente:
Ebbe così inizio quel cammino che doveva portarmi nel regno oscuro, "im
düstern Reich",24 da cui nel "Faust" di Goethe25 giunge dall’abisso dell’al
di là la voce implorante del piccolo Euphorion, 26 precipitato dalla cima
6
d’un monte: "Non lasciarmi nel regno oscuro, mamma, non lasciarmi
solo." Quell’implorazione, quando la lessi, mi strinse il cuore. Ora la stavo
facendo io con terrore impossibile a dirsi. Io mi trovavo in quel regno
oscuro,27 e non sapevo che potenze invocare per aiuto. Quel regno non
aveva forma, né dimensione, non stava in un posto. La sua unica misura
era il tempo.28 […] Compresi di essere precipitato da una montagna […].
(Pressburger 2008, 18).
Tuttavia il percorso del paziente, imposto dalla montagna, non è né discensionale né
ascensionale, ma concentrico. La montagna, che sorge in un setting letterariosimbolico-onirico e quindi per forza in un mondo interiore o interiorizzato, si infila
nella realtà del paziente-protoganista personificandosi in una creatura gigantesca e
minacciosa, come viene chiarito nel commento metatestuale che costituisce la nota
899.
La montagna che si mette in moto qui non è un’immagine astratta e
miracolosa. È lo spaventoso cumulo di morti che pare avvicinarsi
all’autore minacciando di inghiottirlo. Ciò può intendersi nel senso
letterale, ma l’allusione può essere riferita anche al movimento causato
dall’attenzione crescente di chi osserva. Anche questo può generare un
pericolo di inabissamento. (Pressburger 2008, 322)
6. Il nuovo patto
La montagna, infatti, inghiottirà il paziente-protagonista che ne esce poi
dall’altra parte dove si trova davanti al padre e il fratello-gemello morti. La narrazione
finisce proprio nel momento in cui si salutano con affetto. Infranto il muro fra i morti
e i vivi (Pressburger 2008, 247), si interrompe l’atto memoriale e si prepara una
nuova memoria, quella dell’incontro. La memoria ormai è parte integrante della
costruzione letteraria:
Elle est questionnée à l’intérieur de l’autobiographie même, elle constitue
le noyau de cet autre discours présent dans le récit de vie, la fiction. Ainsi,
la mémoire est plutôt considérée comme élément renouvelant du genre que
comme moyen de ressusciter le passé. (den Toonder 2000, 331).
Ed è proprio per la centralità della memoria che i romanzi dei due scrittori triestini,
per estensione anche mitteleuropei, hanno contribuito nell’arco di quasi cento anni al
rinnovamento del genere romanzesco proponendo nuovi patti romanzescoautobiografici.
La narrazione di Nel regno oscuro, infatti, riecheggia in modo originale la
scrittura terapeutica di Zeno/Svevo consolidando o ingrandendo da una parte il
dialogo con Freud, che nella narrazione stessa figura in quanto psicoanalista e
fumatore incannito, e dall’altra l’immaginario nato nel diario di Zeno perché il
romanzo di Pressburger si costruisce allo stesso tempo a partire da un ipotesto
letterario-storico. La sofferenza apparentemente incurabile, da cui scaturiscono il testo
e l’ipotesto, può essere superata solo a patto che si narrino le storie altrui e quella
propria. Così, il paziente-protagonista si vede guarire. La narrazione di questa
guarigione non è fluida né completa – anche le lacune generano senso, e deve
congedarsi dall’istanza narrativa del terapeuta – ai piedi della montagna l’eroe saluta
Freud (Salerno 2011, 675). La (auto)conoscenza progressiva è un crucio e potrebbe
diventare salvezza a condizione che la figura dell’eroe e quella dello scrittore
coincidano, il che non si realizza nel primo romanzo della trilogia pressburgeriana.
Come suggeriscono l’epifania conclusiva del romanzo (Salerno 2011, 675) e il
commento autoriale Per i librai, ciò potrebbe avverarsi nella seconda puntata della
trilogia, il "Purgatorio" secondo l’eroe/autore.
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