L`inettitudine dai margini. Pressburger dialoga con
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L`inettitudine dai margini. Pressburger dialoga con
Inge Lanslots & Annelies Van den Bogaert L’inettitudine dai margini. Pressburger dialoga con Freud tramite Svevo 0. Preambolo "Italo Svevo è stato uno dei più grandi scrittori europei del secolo Ventesimo. Il suo caso è unico, per tanti aspetti. Se fosse già dimenticato, lo raccomandiamo ai lettori." (Pressburger 2008, 314). Tale è la nota che accompagna il paragrafo introduttivo del terzultimo capitolo di Nel regno oscuro di Giorgio Pressburger, tuttora l’ultima prova letteraria dello scrittore dalle origini ungheresi. Benché Nel regno oscuro Svevo venga menzionato una sola volta – il protagonista del romanzo passa per un paesino detto "oscuro" che ricorda quello a nord del Danubio nei preCarpazi da cui proviene la famiglia di Hektor Schmitz (Pressburger 2008, 213) – e presentato ulteriormente nella nota 793 appena citata, l’influsso di Svevo è fortemente tangibile nel romanzo di Pressburger. Lo evidenzia la sinossi, suggerita dall’autore stesso e inclusa poi alla fine del romanzo, nel senso che questa definisce il romanzo come il frutto di una rivisitazione del passato, tradottasi poi in una scrittura terapeutica. In altre parole, il testo romanzesco è supposto portare al superamento di una crisi, sperimentata come inerzia e addirittura come malattia. Nel regno oscuro è la storia di un uomo di quarant’anni che, rimasto completamente solo sulla terra, decide di mettersi in contatto con suo padre e suo fratello morti. Si rivolge a una chiromante che, in cambio di tutti i beni dell’uomo, gli promette di esaudirlo. Ma il tentativo non riesce. Intanto però, l’uomo ha perduto, per contratto, tutto quello che possedeva. In cinque anni di duro lavoro riesce a rifarsi una vita decorosa. Dopo aver seppellito l’ultimo lontano parente, il giorno 11 agosto 1999, assiste, desolato e solo, all’ultima eclissi solare del millennio. Vaga nella città deserta e intravede una figura d’uomo. Gli chiede aiuto. Questi lo promette, e lo invita nel suo studio di psicoanalista, in una torre. È Sigmund Freud. In una lunga serie di incontri, ripercorre con il paziente tutto ciò che causa il suo tormento. (Pressburger 2008, 329) La sinossi, di cui abbiamo riportato la prima parte e che inquadra bene la storia del protagonista, ci fa subito capire che Nel regno oscuro può essere letto come la trascrizione di una terapia, che durando cinque anni è solo leggermente più lunga di quella di Zeno Cosini, a cui il dottor S. impose la stesura del diario che costituisce appunto La coscienza di Zeno di Italo Svevo. Com’è ben noto, sull’identità del dottor S. si possono avanzare più congetture e identikit, mentre in Nel regno oscuro il terapeuta, o meglio, lo psicoanalista, però, viene quasi subito identificato come il grande "professore" Sigmund Freud (Pressburger 2008, 17) – il paziente-protagonista, anche chiamato eroe, rimane provvisoriamente anonimo. 1. Continuità e rottura Nel romanzo di Pressburger l’anonimità del protagonista e l’identificazione immediata del terapeuta segnano chiaramente il rovesciamento del contesto terapeutico della Coscienza di Zeno, ma tale cambiamento si spiega alla luce del profilo dei protagonisti della prosa di Giorgio Pressburger. Infatti, sia nei romanzi che nei racconti il protagonista – si tratta sempre di un personaggio maschile – spesso non porta nome (o lo si scopre solo verso la fine della storia), che viene presentato e poi individuato con la sua professione. Come il paziente di Nel regno oscuro, il protagonista dei testi precedenti di Pressburger viene afflitto, colpito da una crisi 1 esistenziale: cioè un episodio ovvero un momentum sconvolge improvvisamente la sua realtà; ne soffre, consecutivamente, la percezione della stessa realtà. Da agente della propria sorte il protagonista si trasforma in oggetto che viene confrontato con fenomeni incongrui o addirittura inspiegabili e, quando la scienza non porta più sollievo, egli ricorre a istanze o a terapie che, fino al momentum, aveva snobbato perché appartenenti all’irrazionale, accedendoci sempre tramite un personaggio femminile. Ciò nonostante il protagonista si perderà – uno dei primi sintomi è l’incapacità dell’uso della parola – fino a dissolversi nel nulla (Lanslots, Van den Bogaert 2004, 2007, 2012; Lanslots 2008). D’altro canto il protagonista di Nel regno oscuro sembrerebbe un personaggio eccezionale perché riesce non solo a sottrarsi progressivamente a tale perdita ma anche a ricuperare la facoltà della parola, motivo per cui l’ultimo romanzo di Pressburger non si costruisce a partire dalla dicotomia razionale versus irrazionale. Nel caso dell’autore, nato nel 1937 a Budapest e che approdò a Trieste dopo la rivoluzione del 1956, tali poli corrispondono agli archetipi del maschile versus femminile. Nel caso di Nel regno oscuro l’assenza dei poli fa sì che si diluisce progressivamente la convinzione del paziente-protagonista di soffrire di una malattia incurabile, che ha contagiato la sua anima. Tutto ciò non vuol dire che Nel regno oscuro non si interroghi sulla validità delle griglie interpretative offerte dalla scienza e da saperi alternativi, in termini del resto molto simili a quelli adoperati nella Coscienza di Zeno – vengono squalificati come pseudoscienza o, addirittura, ciarlateneria, ma per la prima volta lo scopo terapeutico costituisce la base della scrittura. 2. Scrittura imposta "Insiste a fare il (Pressburger 2008, 19) viaggio oscuro?" Come nella Coscienza di Zeno quindi: "interviene dall’esterno un’imposizione a scrivere a cui non è possibile sottrarsi e sfuggire, perché viene da quella sorta di «stregone» che è il medico, psicoanalista per di più, cioè dedito a curare le anime (per così dire)" (Bárberi Squarotti 1988, VII). L’anima in Nel regno oscuro non solo soffre di una crisi esistenziale ma anche di solitudine e sente il bisogno di ricostruire un rapporto con il suo mondo. Il paziente-protagonista, però, si vedrà costretto a rimandare il riconnettersi con i parenti e in particolare con i familiari molto stretti, il padre e il fratello. Il lettore di Nel regno oscuro si aspetta allora alla ricostruzione di una storia privata a scopo terapeutico, ma viene invece confrontato con una narrazione che si concentra apparentemente sulla ricostruzione del Novecento, una ricostruzione che non sarà né lineare né (crono)logica, ma associativa. Durante le sedute dallo psicoanalista il paziente-protagonista si imbatte in una serie di personaggi secondari, che vanno da artisti e scrittori, attraverso scienziati, a personaggi storici non sempre morti; al protagonista si presentano: i cantanti Tenco, Dalida e Guccini, i registi Antonioni, Greenaway e Pier Paolo Pasolini, il fumettista Paz(ienza), l’autore fantascientifico Wells, il poeta Celan, il monumentale Thomas Mann, ma anche Gandhi, Martin Luther King, Anna Frank, e poi Hitler, Stalin, Franco, per citarne solo alcuni. Tutti i personaggi cosiddetti secondari possono essere catalogati secondo il binomio del Bene versus il Male. Tra gli ultimi si schierano tutti coloro che si sono lasciati corrompere dal potere o che hanno inflitto la violenza agli altri, anche se erano convinti di fare del Bene. Tra i carnefici, anche loro malgrado, figurano quelli che agivano all’insegna dell’utopia del comunismo, del sadismo ideologico effettuatosi 2 nei lager, del radicalismo violento propagato dall’estrema destra (Freda, Ventura, Zorzi e Delle Chiaie) e dalla RAF (dal gruppo Baader-Meinhof), etc. Nei confronti dei fautori del Male il paziente del professore Freud non prova nessuna empatia. Il paziente si impietosisce invece nei confronti di chi non seppe reggere. In questo proposito il decimo capitolo è particolarmente avvincente: è il capitolo intitolato, "La città delle donne" (Pressburger 2008, 75-80), capitolo dedicato alle donne che si sono lasciate sopraffare dalla sofferenza e che ha come setting la città di Praga dove il paziente-protagonista prova, per esempio, pena per Milena Jesenská. Non va dimenticato che la città di Franz Kafka, come le altre soste spaziotemporali del romanzo di Pressburger, viene evocata nello spazio chiuso dello studio del professor Freud, che si situa in una torre. Lungo il percorso associativo e molto frammentario che compie il pazienteprotagonista il lettore ha l’impressione che questo, pur cercando di analizzare i motivi e le pulsioni altrui, stia provando a rimuovere sia le proprie ansie e perplessità, che i propri traumi e demoni per cui la mole di Nel regno oscuro non è solo riconducibile alla Coscienza di Zeno nella misura in cui le modalità degli incontri apparentemente incongrui ricordano apertamente il viaggio dantesco, soprattutto la prima parte dell’Inferno. Accompagnato da una guida il paziente-protagonista, infatti, avvia la sua discesa muovendosi in un "limbo" (Pressburger 2008, 23), mentre definisce la realtà circostante in termini di "commedia" e/o "dramma" (Pressburger 2008, 112). Oltre a ciò il percorso del paziente si allinea all’Eneide virgiliana (Pressburger 2008, Nota 9, 250). Lo attesta lo scrittore stesso in più occasioni; il riferimento alla Commedia è stato elaborato maggiormente nelle interviste e conferenze date in occasione della pubblicazione di Nel regno oscuro (Fortuna, Gragnolati, Trabant 2010; Pressburger 2010), ma anche nel testo stesso, verso la fine si riferisce apertamente all’Inferno dantesco, ribadendo che l’inferno è meno favoloso o fantasioso (Pressburger 2008, 189-190): "Sai, l’inferno c’è. Sì, c’è. Dante non lo sapeva. Per lui l’inferno era fantasia. Io invece sì, ho visto l’inferno che esiste oggi. […] quando l’inferno scende sulla terra occorre un’altra immaginazione.". I riferimenti al poema epico di Virgilio, invece, si riscontrano per lo più nel testo stesso e vengono approfonditi nel fitto apparato delle note. Proprio per la combinatoria delle fonti Svevo-Dante-Virgilio la scrittura terapeutica, che progredisce secondo il principio delle libere associazioni, non può non divergere da quella di Zeno/Svevo. 3. Scrittura a strati Le scritture di Zeno/Svevo e del paziente-protagonista/Pressburger vengono però incorniciate da un avvertimento da parte dello psicoanalista. In La coscienza di Zeno il dottor S. esprime i suoi dubbi sulla sincerità e sull’autenticità della scrittura autobiografica del paziente sperando che la pubblicazione sia un atto vendicativo e che questa dispiaccia a Zeno Cosini, mentre in Nel regno oscuro l’avvertimento del professor Freud, che non è stato firmato ma che viene contestualizzato nella prima nota, ha un tono più neutro: Le rispedisco lo scritto,1 con in corsivo le annotazioni riguardanti quello che lei ha fatto durante le nostre “sedute”. Ne ho tenuto il diario per cinque anni. E che si abbia pietà di noi. (Pressburger 2008, 5) Dall’avvertimento si può dedurre che l’istanza narrativa del testo sia lo stesso Freud che, alla rilettura degli appunti fatti durante le sessioni, ha aggiunto ulteriori commenti, ben marcati in corsivi e spesso tra parentesi, destinati in primo luogo al paziente e non ad un pubblico di lettori. La trascrizione delle sessioni viene distribuita 3 in vari capitoli, che portano tutti un titolo dalle connotazioni letterarie che inserisce il testo in un dialogo intertestuale, cioè letterario-mitologico come per esempio Nella selva del deserto. La selva oscura (capitolo 2) o Acheronte. Minosse (capitolo 4). Il titolo viene seguito da una specie di sinossi, in caratteri tondi messa tra parentesi, che a sua volta ha un carattere prettamente letterario. Oltre alla scrittura tripliforma del Freud di Pressburger si manifesta la presenza di un’altra voce narrante, ma questa viene emarginata nel fitto apparato paratestuale. Nel testo stesso tale presenza sembra limitarsi all’occorrenza delle note, che più di un valore enciclopedico hanno una valenza metatestuale nel senso che fungono anche da strumento d’analisi del testo. È esemplare la seconda nota: Il racconto dell’autore prende le mosse da una domanda a lui rivolta da un personaggio per ora senza identità. Oltre alle prime notizie sul luogo della scena, da questo punto in avanti le sensazioni descritte dal personaggio che dice "io" saranno puramente acustiche. Questo rende il racconto più misterioso, ma nello stesso tempo stabilisce subito un contatto con un antico poema di cui parleremo più avanti. Secondo alcuni, il fatto di esibire elementi puramente uditivi può anche rinviare all’allusione a uno stato prenatale in cui il feto più che vedere, ascolta il mondo. In questo senso, l’inizio del racconto sarebbe la descrizione di un faticoso venire al mondo sia del personaggio, sia del libro. (Pressburger 2008, 249) Questa nota colpisce non solo per il contesto terapeutico e per le allusioni alla teoria freudiana, ma fornisce un commento sulla genesi sia del personaggio che del libro. Si registri anche l’osservazione prolettica, che in altre occasioni spunterà insieme a considerazioni analettiche. L’insieme delle note, che, come sottolinea Angela Fabris, correda l’inferno pressburgeriano "sull’esempio dell’Inferno dantesco commentato da Gianfranco Contini" (2010, 138), si estende per ben ottanta pagine (Pressburger 2008, 249-323) ed è il frutto di una scrittura a quattro mani, cioè di una collaborazione forse inaspettata tra Giorgio Pressburger e Donata Salimbeni. Inoltre, le note vengono completate con la sinossi menzionata prima (e intitolata Per i librai, Pressburger 2008, 329-330) e con una Lettera a due amici (Pressburger 2008, 325-327), firmata con "Giorgio", rivolta a Laura e Giulio (Lepschy). Tutti gli elementi paratestuali con firme – "signature" nella terminologia di Philippe Lejeune (1975) – reinquadrano il testo stesso, ma sono allo stesso tempo ben individuabili. In altre parole, la scrittura ha una stratificazione nitida, mentre in La coscienza di Zeno l’(auto)ironia all’interno del testo fa intuire che la scrittura cosiddetta autobiografica ha più strati. Al lettore dei testi viene imposto un altro percorso, che nel caso di Nel regno oscuro è inevitabilmente multiplo. 4. L’atto memoriale Ecco che la fronte si corruga perché ogni parola è composta di tante lettere e il presente imperioso risorge ed offusca il presente. (Svevo 2004, 626) In questa luce l’autobiografia va intesa come scrittura memoriale che ha sempre due componenti: da un lato il bisogno del ritorno alla storia originale e dall’altro la tendenza alla narrativizzazione (Salerno 2011). Quest’ultima porta ineluttabilmente al cancellamento della realtà del personaggio cosicché non esiste più nulla al di fuori del racconto. L’autobiografico tende a coincidere con un personaggio che si sta finzionalizzando. (den Toonder 2000, 325 e 327). Nella Coscienza Svevo tramite Zeno crea un alter-ego fittizio. Pressburger, invece, ricostruisce con l’aiuto di 4 Freud l’identità del paziente protagonista. La ricostruizione è frammentaria per la struttura del romanzo e allo stesso tempo si fa a partire da caratteristiche dei personaggi secondari che emergono durante le sedute. L’atto memoriale si basa non sulla memoria individuale ma su quella collettiva. Il romanzo che ne risulta dialoga con un immaginario collettivo e allo stesso tempo spuntano riferimenti indiretti all’autore in carne ed ossa, alla sua opera ma non alle voci narranti, cioè non a Freud né al suo paziente. Di particolare interesse in questo contesto è la presenza del topos dei gemelli inseparabili, riconducibili ai mitologici Castore e Polluce. Nella nota 9 si legge tra l’altro che: […] sul significato delle figure gemellari esistono miti antichi e moderni, da Castore e Polluce degli antichi Greci, agli studi della psicologia e della biologia moderne. Una vasta letteratura descrive questa forma di duplice vita, duplice gioia e duplice pena. (Pressburger 2008, 250). Il topos si concretizza tramite da una parte l’incontro con altri gemelli o i loro parenti (come nel caso dell’incontro di Ulrike Meinhof che ebbe due figlie gemelle) e dall’altra al ricordo della perdita del fratello gemello del paziente. Proprio in questo notiamo una corrispondenza molto puntuale tra la narrativa e la vita autoriale, Pressburger stesso essendo la metà sopravvissuta di due gemelli. A questo punto va osservato che le prime prove letterarie di Giorgio Pressburger furono scritte proprio insieme al fratello gemello Nicola, scomparso nel 1986, e che il lutto era già stato elaborato in molti altri suoi scritti, quali La legge degli spazi bianchi e L’orologio di Monaco a cui Pressburger riferisce esplicitamente nelle note 528 e 801 (Pressburger 2008, 293 e 314). Nel Regno oscuro è in un certo qual senso un atto di riscrittura della propria produzione. D’altronde, la tematica dei gemelli si riallaccia alla figura del sosia che in questo caso viene coinvolto nell’atto scrittorio. L’identità del personaggio e quella dell’istanza narrativa diventano una entità composita ma allo stesso tempo indistrincabile. 5. Il vapore Vedo, intravvedo delle immagini bizzarre che non possono avere nessuna relazione col mio passato: una locomotiva che sbuffa su una salita trascinando delle innumerevoli vetture; chissà donde venga e dove vada e perché sia ora capitata qui! (Svevo 2004, 626-627) Sia Svevo che Pressburger ricorrono alle stesse immagini per visualizzare l’atto memoriale. La vita dei protagonisti viene paragonata ad un treno molto lungo che stenta a salire e la cui traiettoria è molto problematica, come lo illustra il brano riportato in esergo a questo punto. Per Zeno il treno rappresenta innanzitutto il dinamismo e la velocità con cui passa la vita, che corre il pericolo di deragliare. Scrivendo, anzi incidendo sulla carta tali dolorosi ricordi, scopro che l’immagine che m’ossessionò al primo mio tentativo di vedere nel mio passato, quella locomotiva che trascina una sequela di vagoni su per un’erta, io l’ebbi per la prima volta ascoltando da quel sofà il respiro di mio padre. Vanno così le locomotive che trascinano dei pesi enormi: emettono degli sbuffi regolari che poi s’accelerano e finiscono in una sosta, anche quella una sosta minacciosa perché chi ascolta può temere di veder finire la macchina e il suo traino a precipizio a valle. Davvero! Il mio primo sforzo di ricordare, m’avevano riportato a quella notte, alle ore più importanti della mia vita. (Svevo 2004, 669). 5 La vita, secondo Zeno, è innanzitutto originale perché è un concatenarsi di eventi inaspettati la cui caratteristica principale è appunto la fluidità. Afferma il protagonista di La coscienza di Zeno: "Bisogna moversi. La vita ha dei veleni, ma anche degli altri veleni che servono di contravveleni. Solo correndo si può sottrarsi ai primi e giovarsi degli altri." (Svevo 2004, 958). Per Pressburger, invece, il treno diventa un mostro che rischia di schiacciarlo. "Il treno mi viene addosso (…) Il terrore mi paralizzava, stavo su un binario. Era sera. Tanto fumo. Una vecchia locomotiva s’avvicinava e non avevo la forza di scansarmi. (…) da quei binari mortali." (Pressburger 2008, 66). L’immagine del treno viene collegata in modo sistematico a quella del fumo che a sua volta viene anche descritto come nebbia, bruma… Il fumo è indizio della confusione, della cecità e della paralisi del paziente-protagonista e si dissolve, del resto, in quello dei sigari che circonda sempre il professor Freud nel suo studio. Il fumo assume quindi altre dimensioni che nella Coscienza di Zeno, ma rimane anche nel romanzo di Pressburger un filo conduttore. Tornando all’immagine del treno bisogna osservare che all’aspetto del mostro si aggiungono altri valori simbolico-storici. Il treno non solo rappresenta la storia privata in crisi ma anche quella dell’intera umanità, quindi la Storia. Il treno rievoca i convogli che portavano ai Lager (Pressburger 2008, 183), il che è sperimentato come l’immagine più tragica evocata dal treno. Si informa allora il professor Freud: "Un altro treno? Non le basta quello legato a quel ricordo così tragico? Che cosa, quale treno della memoria attraversa correndo la sua mente?" Risponde poi il paziente: "La Storia, professore, corre anche quella e urla e romba come una valanga. […]" (Pressburger 2008, 136). Va detto, per inciso, che il dialogo fra il paziente e Freud si sviluppa ulteriormente prendendo la forma di una poesia che viene continuata alle pagine 149-151 su musica di Webern (Lanslots, Van den Bogaert 2012; Salerno 2011). In Nel regno oscuro la Storia corre ma la si può ripercorrere in due direzioni, dal primo vagone all’ultimo o vice versa, per cui sarebbe secondo Pressburger "metamerica", un termine imprestato alla biologia: indica quegli animali (vermi e altri) il cui corpo è diviso in segmenti. Mentre si forma il corpo, in alcuni di questi animali, l’ultimo è quello più giovane. In altri, quello più vicino al capo è quello nato per ultimo. I treni sono metamerici. (Pressburger 2008, nota 533, 293). Sempre nell’ambito dell’immagine del treno si scopre un’altra pista chiave, quella della salita faticosa (Svevo 2004, 626-627) perché nella vita detta originale si presentano ostacoli che bloccano lo sguardo, come lo sostiene Zeno all’inizio della sua autobiografia: "Più di dieci lustri me ne separano i miei occhi presbiti forse potrebbero arrivarci se la luce che ancora ne riverbera non fosse tagliata da ostacoli d’ogni genere, vere alte montagne: i miei anni e qualche mia ora." (Svevo 2004, 626) Rispetto a quella di La coscienza di Zeno la simbologia della montagna viene quindi ingrandita in Nel Regno oscuro e subito associata ad altre fonti letterarie e enciclopediche, quali Dante e la sua concezione geografica della Commedia (Fortuna, Gragnolati, Trabant 2010), il Vecchio Testamento e i monti Sinai e Ararat, Thomas Mann e la montagna incombente (Pressburger 2008, 250), ma evidentemente anche Goethe e il suo Faust di cui il testo riporta una citazione che poi ha generato il titolo del romanzo di Pressburger: si tratta proprio dell’evocazione del "regno oscuro", un regno intangibile ma vero, generato dalla sofferenza. Ciò si evidenzia nel brano seguente: Ebbe così inizio quel cammino che doveva portarmi nel regno oscuro, "im düstern Reich",24 da cui nel "Faust" di Goethe25 giunge dall’abisso dell’al di là la voce implorante del piccolo Euphorion, 26 precipitato dalla cima 6 d’un monte: "Non lasciarmi nel regno oscuro, mamma, non lasciarmi solo." Quell’implorazione, quando la lessi, mi strinse il cuore. Ora la stavo facendo io con terrore impossibile a dirsi. Io mi trovavo in quel regno oscuro,27 e non sapevo che potenze invocare per aiuto. Quel regno non aveva forma, né dimensione, non stava in un posto. La sua unica misura era il tempo.28 […] Compresi di essere precipitato da una montagna […]. (Pressburger 2008, 18). Tuttavia il percorso del paziente, imposto dalla montagna, non è né discensionale né ascensionale, ma concentrico. La montagna, che sorge in un setting letterariosimbolico-onirico e quindi per forza in un mondo interiore o interiorizzato, si infila nella realtà del paziente-protoganista personificandosi in una creatura gigantesca e minacciosa, come viene chiarito nel commento metatestuale che costituisce la nota 899. La montagna che si mette in moto qui non è un’immagine astratta e miracolosa. È lo spaventoso cumulo di morti che pare avvicinarsi all’autore minacciando di inghiottirlo. Ciò può intendersi nel senso letterale, ma l’allusione può essere riferita anche al movimento causato dall’attenzione crescente di chi osserva. Anche questo può generare un pericolo di inabissamento. (Pressburger 2008, 322) 6. Il nuovo patto La montagna, infatti, inghiottirà il paziente-protagonista che ne esce poi dall’altra parte dove si trova davanti al padre e il fratello-gemello morti. La narrazione finisce proprio nel momento in cui si salutano con affetto. Infranto il muro fra i morti e i vivi (Pressburger 2008, 247), si interrompe l’atto memoriale e si prepara una nuova memoria, quella dell’incontro. La memoria ormai è parte integrante della costruzione letteraria: Elle est questionnée à l’intérieur de l’autobiographie même, elle constitue le noyau de cet autre discours présent dans le récit de vie, la fiction. Ainsi, la mémoire est plutôt considérée comme élément renouvelant du genre que comme moyen de ressusciter le passé. (den Toonder 2000, 331). Ed è proprio per la centralità della memoria che i romanzi dei due scrittori triestini, per estensione anche mitteleuropei, hanno contribuito nell’arco di quasi cento anni al rinnovamento del genere romanzesco proponendo nuovi patti romanzescoautobiografici. La narrazione di Nel regno oscuro, infatti, riecheggia in modo originale la scrittura terapeutica di Zeno/Svevo consolidando o ingrandendo da una parte il dialogo con Freud, che nella narrazione stessa figura in quanto psicoanalista e fumatore incannito, e dall’altra l’immaginario nato nel diario di Zeno perché il romanzo di Pressburger si costruisce allo stesso tempo a partire da un ipotesto letterario-storico. La sofferenza apparentemente incurabile, da cui scaturiscono il testo e l’ipotesto, può essere superata solo a patto che si narrino le storie altrui e quella propria. Così, il paziente-protagonista si vede guarire. La narrazione di questa guarigione non è fluida né completa – anche le lacune generano senso, e deve congedarsi dall’istanza narrativa del terapeuta – ai piedi della montagna l’eroe saluta Freud (Salerno 2011, 675). La (auto)conoscenza progressiva è un crucio e potrebbe diventare salvezza a condizione che la figura dell’eroe e quella dello scrittore coincidano, il che non si realizza nel primo romanzo della trilogia pressburgeriana. Come suggeriscono l’epifania conclusiva del romanzo (Salerno 2011, 675) e il commento autoriale Per i librai, ciò potrebbe avverarsi nella seconda puntata della trilogia, il "Purgatorio" secondo l’eroe/autore. 7 Bibliografia AA.VV. 2004 La lingua del dolore, in Lingue e letterature in contatto: atti del 15 Congresso dell’AIPI, Brunico, 24-27/08/2002, volume secondo, Firenze, Cesati. 2007 Identità e diversità nella lingua e nella letteratura italiana: atti del XVIII Congresso dell’A.I.S.L.L.I., volume terzo: Poesia e narrativa del Novecento, Firenze, Cesati. Bárberi Squarotti G. 1988 Prefazione in Svevo (1988). Bond E., Lepschy L. 2010 (cur.) Dante’s Plurilingualism: Authority, Knowledge, Subjectivity, Oxford, Legenda. den Toonder J. 2000 Le rôle de la mémoire dans l’écriture autobiographique, in Van Gorp, Musarra-Schroeder (2000). Fabris A. 2010 Viaggio negli spazi dell’identità e della memoria. Il destino itinerante di Giorgio Pressburger, in "Metodi & Ricerche", anno XXIX, n°1. 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