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ANNO XII NUMERO 57 - PAG 4
IL FOGLIO QUOTIDIANO
GIOVEDÌ 8 MARZO 2007
Maternità come malattia: storia di Britney raccontata da un idiota, il Giornalista Collettivo
Al direttore - Le norme antiviolenza contro
gli ultras negli stadi non hanno incontrato il favore degli interessati: divieto di portare armi pesanti e automatiche sopra i 20 mm. negli spalti, niente lanciafiamme, bombe al napalm
neanche a parlarne, scimitarre e lance solo se
sterilizzate da qualunque veleno. In più obbligatoria la cravatta e il doppio petto scuro. Domani si cerca di trovare un punto di incontro.
Gianni Boncompagni
Al direttore - Afghanistan, Bertolaso, tutto
un discaricabarile.
Maurizio Crippa
Al direttore - Il Corriere della Sera, nel raccontare la caduta della povera e disperata Britney Spears, riporta il parere degli esperti che
spiegano che “l’inizio della fine è stata la maternità”. Già questo dà il voltastomaco. Ma il
Corriere aggiunge sibillino che la maternità per
lei è stata “un incidente, più che una scelta che
lei, protestante di ferro, repubblicana e antiabortista ha pagata amaramente”. Che schifo.
Alessio Gastaldello, via web
Alta Società
Confirmé: Ségolène furieuse. Très en
colère avec la gauche italienne. “Après ma
dégringolade dans les sondages, les Ds et
Margherita m’ont complètement lâchée” –
se plaint-elle avec son entourage. “Les belles dames de la gauche, qui me harcelaient
en novembre toutes les demi heures,
ne m’appellent plus”. Ingrata Italia.
Che schifo è troppo. Perché chi ha scritto
quelle cose non sa quello che dice. In quel
testo parla un ibrido di mostruosità ideologiche di cui è responsabile il Giornalista
Collettivo, psicoanalista dei miei stivali.
Al direttore - Ci spiegano che le “maggioranze variabili” fanno parte di un bipolarismo maturo, in cui maggioranza e opposizione votano in modo “bipartisan” su alcuni temi. Ma le cose stanno davvero così? Nelle democrazie in cui sono frequenti le votazioni bi-
partisan – Stati Uniti e Gran Bretagna – non
esiste commistione tra potere esecutivo e legislativo. Entrambi ricevono il mandato direttamente dagli elettori e rimangono in carica fino alla loro scadenza naturale. Ecco
perché, non essendo in gioco la caduta del
premier o del presidente, se arriva alle Camere una legge gradita nell’opposizione, capita che alcuni suoi deputati la votino; e, viceversa, se arriva una legge sgradita nella
maggioranza, capita che alcuni suoi deputati non la votino. L’essere indotti a valutare
nel merito e non per appartenenza toglie potere di ricatto alle ali estreme. In Italia il governo è legittimato dalla maggioranza che gli
concede la fiducia, cioè da un patto politico
tra partiti che nasce in Parlamento. Le opposizioni possono aggiungere il loro voto, se lo
ritengono, ma la maggioranza dev’essere autosufficiente, altrimenti viene a mancare il
patto e una nuova maggioranza deve dar vita a un nuovo governo. Dicesi parlamentarismo. E’ l’aberrazione della “fiducia”, più che
il sistema elettorale, la fonte dell’instabilità,
perché crea quella commistione tra poteri assente nel presidenzialismo o nel premierato,
che si fondano sull’equilibrio tra poteri separati, entrambi stabili e forti. Governo e Parlamento devono avere la certezza di terminare il mandato, così da sottrarsi dalle mani dei
partiti e potersi concentrare sul loro lavoro
invece che sulle tattiche per rimanere in sella. Le opposizioni, invece di manovrare o illudersi della spallata, avrebbero il tempo di
rielaborare la loro linea politica.
Federico Punzi, via web
Caldarola spiega perché vuole fare il socialista e non l’ex comunista
Al direttore - Seguendo il suo invito di ieri mi sono fatto passare il malumore. Anche
quello verso Polito. Il suo giornale ha ospitato con grande liberalità i miei articoli. Mi
fanno incazzare, però, quegli ex comunisti
che fanno l’analisi del sangue ad altri ex comunisti per verificare se abbiano raggiunto
la purezza, ovviamente definita da quel che
ora loro pensano. Non se ne può più. Io sono
fra quelli che, pur venendo dall’esperienza
socialista della Sgs del Psiup – Segreteria
nazionale con Rostagno, Bobbio e Marcenaro – sono stato felice negli anni in cui successivamente ho militato nel Pci. Dalla Bolognina in poi penso che fuoriuscita dal Pci,
per me, vuol dire lavorare per creare una
forza socialista moderna, laica e liberale. A
Bertinoro ci siamo incontrati con ex dirigenti del Psi ma soprattutto con club socialisti autonomi, con club liberalsocialisti, con
club repubblicani. Il Partito democratico
non sarà il mio partito. E’ una confusa e litigiosa somma di nomenclatura e di partiti
personali. Comunque si farà e sarà un partito del centro-sinistra. Un partito a me estraneo, non un partito nemico. Il grande vantaggio del Pd è che finalmente scioglie il vincolo occulto fra ex comunisti. Non ci tiene
più assieme il passato. Non c’è nessuna ragione perché ci tenga assieme un futuro non
condiviso. Insisto su questo punto. Gli ex comunisti come aggregazione politica non esistono più. Io credo che ci sia spazio e necessità per una forza socialista. Credo che provare a unire sia un dovere. Credo che discutere con chi (Bertinotti compreso) vuole ripensare la sinistra può essere culturalmente e politicamente utile. A Bertinotti chiedo
la stessa cosa che ho chiesto a Fassino, la
scelta di campo nella socialdemocrazia europea. L’attuale bipolarismo mi appare una
camicia di forza. Da tempo sostengo che bi-
sogna civilizzare la politica italiana attraverso il reciproco riconoscimento fra forze
che militano nel centro-destra e forze che
militano nel centro-sinistra. Una fantasiosa
forza socialista può essere utile al centro-sinistra perché può rappresentare la rottura
di schemi fondati su leadership eterne ed
eternamente ondivaghe. Rispetto al centrodestra questa forza afferma la necessità di
una saggia contrapposizione e la possibilità
di virtuose convergenze sulla politica estera
e sulle riforme di sistema. L’idea che a sinistra ci si rincorra, con spogliarelli continui e
pentitismi senza revisionismo, per definirsi
più nuovi di ieri essendo in campo gli stessi
protagonisti, mi pare folle. Il nuovo è una
nuova proposta politica e una nuova classe
dirigente. Non è l’incontro bonsai fra ex Pci
ed ex Dc guidati da vecchi ragazzi che hanno attraversato e negato tutte le stagioni. Io
non sono un leader. Sono fondamentalmen-
te un cronista che ha la possibilità di guardare più da vicino la politica. Non vedo superiorità antropologiche di una parte rispetto a un’altra. Vedo gente brava nell’uno
e nell’altro campo, vedo affaristi nell’uno e
nell’altro campo. Perciò credo che il tema
identitario sia una sfida moderna, perché ci
aiuta a superare la mortale ghigliottina fra
scelte attorno a leadership. Il socialismo ha
avuto mille vite. Spero che ne abbia ancora
una in Italia. Fassino e D’Alema vanno “oltre”. Tanti cari auguri. Polito considera elefanti tutti i non democrats. Faccia pure. Gli
elefanti sono animali pazienti e capaci di
avventurarsi in lunghi e faticosi percorsi, io
ci provo senza l’ansia del predicatore che
vuole convertire altri. Non vedo infedeli di
fronte a me. Vedo gente che la pensa diversamente. Ma in generale per carattere non
porgo l’altra guancia.
Peppino Caldarola
Al direttore - Ho appena letto l’articolo sulle imminenti elezioni in Ulster. Mi capita di
vivere a Belfast, al momento. Sembra un giorno come un altro e non nel senso italo-preelettorale del termine. Sarà che il sole ha troneggiato su un cielo spick-and-span. Ciò che
dice l’articolo è vero, ma non coglie una realtà
ancora più preoccupante. Il vero attentatore
di queste elezioni non è il machiavellico disinteresse di Bruxelles, piuttosto lo stanco e
disincantato atteggiamento della gente. Tutti
coloro che non si ingegnano certosini nelle
università o nei circoli e nelle istituzioni partorite dal Belfast Agreement. Nessuno parla
veramente di ciò che sta succedendo perché
niente sembra succedere. Un’apertura tanto
storica quanto ingessata, come quella dello
Sinn Fein verso la PSNI, si guadagna uno
spazio evidentemente risibile nella stampa, e
forse nelle coscienze di qui. I giovani. Per
molti di loro tutto ciò che è successo nel passato appartiene ai loro genitori, come le loro
prime rughe. Il resto, il presente, è come deve
essere, normale. I riferimenti al passato sono
sminuiti, evitati o proibiti a seconda dell’interlocutore. Si viene da stranieri a Belfast
pensando di capirci qualcosa, pensando di
portare un sostegno. Se ne esce più confusi
che mai. Qui è tutto latente. Ma certo poco ne
uscirà da delle elezioni la cui faccia è quella
dei Verdi – i cui manifesti primeggiano su tutti gli altri. Le vere dinamiche di questa strana democrazia si articolano e forse languiscono altrove, in modo molto più drammatico e vischioso di quanto sia immaginabile o
auspicabile per un paese che continua a rincorrere la propria identità.
Elisabetta Nardi, Belfast
Dadullah, il talebano che ha importato le tecniche del jihad globale per intrappolarci nel “Vietnam afghano”
(segue dalla prima pagina) Nell’emirato talebano si
rischiavano frustate o la prigione se non ci
si faceva crescere la barba, come quella del
profeta Maometto. I talebani ne controllavano la lunghezza stringendola nel pugno chiuso. I peli dovevano misurare almeno un palmo, altrimenti si passavano sedici giorni in
carcere, senza radersi, per raggiungere una
misura appena accettabile. L’apartheid islamico nei confornti delle donne si toccava
con mano sugli scassati pullman che attraversano in lungo e in largo l’Afghanistan. Salendo a bordo gli uomini dovevano prendere posto davanti, perché le ultime file, riservate alle signore, erano separate da un lurido telone che non permetteva di vedere oltre. Alla fermata di arrivo, senza voltarsi per
sbirciare, bisognava aspettare che le donne
uscissero da dietro il separè e scendessero
per prime. Oggi a Herat, quartier generale
di mezzo contingente italiano in Afghanistan, le donne, spesso col burqa, hanno cominciato timidamente a guidare da sole e a
prendere lezioni per la patente.
Nell’anarchia degli anni Novanta, la stra-
tegia dei talebani, grazie al Corano e al moschetto, era servita a portare ordine e disciplina. Per le gole dal Pakistan a Kabul o lungo la strada verso Kandahar, tutta cunette e
salti, si viaggiava anche di notte. Oggi no.
Muzamel, un ragazzino di 14 anni, qualche
anno fa diceva: “Da quando sono nato ho conosciuto soltanto la guerra, che non è ancora finita. L’unico pregio dei talebani è di avere riportato un minimo di legge e ordine”.
Poi si dilungava nel descrivere l’ultima esecuzione cui aveva assistito.
A Kandahar, la capitale spirituale dei talebani, dove il mullah Omar risiedeva lavorando nel maestoso palazzo del re di architettura ottocentesca, trasformato in caravanserraglio, aveva la sua “reggia” anche
Osama bin Laden. Un compound di 16 palazzine circondato da un alto muro di cinta
e filo spinato. Il massiccio cancello d’entrata aveva ai lati due alti pinnacoli lavorati a
mano e dei giochi di mosaico verde, che si
alternavano alle eloquenti scritte nere, in
arabo, inneggianti all’islam. La traduzione
era semplice anche per i neofiti: “Allah Ak-
bar”, Dio è grande. L’ospitalità concessa ad
al Qaida, che si era trasformata in uno stato
nello stato, segnò anche la rovina dei talebani. Dopo la disfatta del 2001, però, gli studenti guerrieri sembravano scomparsi, ma
invece meditavano vendetta nel vicino PakiINNAMORATO FISSO
DI MAURIZIO MILANI
Sto raccogliendo le firme
per abolire il famigerato
Quagliodromo che c’è vicino a casa mia. Poi però mi
dispiace per il titolare che
perde il lavoro. Allora ho
proposto ad Antenne 2
(Francia) di assumere
questo uomo alle loro dipendenze. Chiaramente
tenendo uguale il reddito che aveva prima,
quando gestiva il tiro a segno delle quaglie. Sono circa 9.000 euro nette al mese.
stan. Grazie ad alcuni ex generali dell’Isi, il
servizio segreto dei militari pachistani, come Hameed Gul, ideologo dell’islam estremo, i talebani sono risorti nelle inaccessibili aree tribali al confine con il Pakistan. Non
si sa se sono sopravvissuti alcuni mitici coAntenne 2 non mi ha ancora risposto. Sono passati 21 mesi. Adesso mi rivolgo alla
Corte di giustizia europea.
II parte dell’articolone
Bello è il cartello che ho visto fuori da
un negozio a Ginevra: “In questo locale
non sono ammessi reclami”. Allora entro
e chiedo al commesso: “Non sono ammessi reclami per la merce acquistata?”. Lui:
“Anche! Ma non solo”. Bon! Per me siamo
a posto così.
III parte della rubrica
Ormai l’atletica leggera e anche il nuoto
hanno raggiunto dei record che non si possono più battere. L’unica è introdurre i milionesimi di secondo per cronometrare.
mandanti della prima ora, come mullah Abdul Ahmadi, che usava la sua gamba artificiale come un calzino, la staccava e la riattaccava al moncherino con facilità e velocità
impressionanti. Quella vera l’aveva persa
combattendo i sovietici: “Metà della mia vita l’ho spesa in guerra e per questo sono convinto che chiunque tenti di invadere questo
paese farà la fine dei soldati dell’Armata
rossa, intrappolato nel Vietnam afghano”,
sentenziava sulla prima linea a nord di Kabul. Oppure il mullah Rahman, il governatore di Kandahar, rimasto famoso per aver
lanciato una sedia in testa a un inviato dell’Onu che gli chiedeva di rispettare la parità
dei sessi. Dei vecchi leoni è sicuramente rimasto alla guida della shura militare, il consiglio di guerra dei talebani, il mullah Dadullah, anche lui reduce del jihad contro i
sovietici. La fierezza e la mistica guerriera
afghana, unita all’islam, ha portato ora ad alcune divisioni. Una fazione “nazionalista”
non vede di buon occhio gli “stranieri” di al
Qaida e delle organizzazioni terroristiche
pachistane, che tanti guai hanno causato al
vecchio emirato. L’ala maggioritaria ha stretto un patto con i fondamentalisti del vicino
Pakistan, che li proteggono nelle aree tribali. In più sono di nuovo in ascesa gli esaltati
di al Qaida e nelle ultime settimane la Nato
ha segnalato l’arrivo nel sud del paese di
centinaia di “volontari” del terrorismo globale provenienti da Asia centrale, medio
oriente e nord Africa.
Dadullah ha aperto le porte alle tecniche
stragiste importate dall’Iraq puntando sull’arma dei terroristi suicidi. Una pratica
sconosciuta nella lunga crisi afghana, che
si è aggiunta all’utilizzo dei civili come scudi umani contro gli attacchi della Nato e alla decapitazione dei maestri delle scuole
costruite dagli odiati occidentali e aperte
alle bambine. Non a caso un sito Internet
dei talebani, prima di essere oscurato, chiamava alle armi della guerra santa mostrando in copertina una grande croce cristiana
che simboleggiava la presenza delle truppe
internazionali, infilzava l’Afghanistan e lo
faceva sanguinare.
Fausto Biloslavo