Ma - Editoriale Domus
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ATTUALITÀ • RICORDANDO IL PATRON DELLA FIAT Di Gianni Agnelli non vi raccontiamo la vita, ma la passione per le macchine, quelle che fece fare per sé e quelle che fece, per gli italiani, come «Signor Fiat». N Le auto ON ERA UN UOMO DI MACCHINE, come suo nonno o come un Henry Ford. Appassionato sì, tanto che si fece costruire molte serie speciali, Fiat esclusive carrozzate soltanto per lui, e Ferrari naturalmente, diverse Ferrari. Ma Gianni Agnelli, come ammise egli stesso candidamente, non aveva grandi cognizioni di come si muove un’industria automobilistica. Eppure, che lui lo volesse o no, un fatto è certo: Agnelli con l’auto è stato identificato e la sua vita è stata anche la vita – uno scorcio di vita – dell’industria italiana dell’automobile. Della Fiat e poi dell’industria motoristica nazionale toutcourt. Di conseguenza è stata anche un pezzo dell’esistenza di «Quattroruote», la rivista che dal 1956, cioè da dieci anni prima che Gianni Agnelli assumesse la presidenza della Fiat, 1966 GUIDAVA DI TUTTO PURCHÉ ORIGINALE La «600 Multipla Eden Roc» (sopra il titolo), che, per Agnelli, Pininfarina ricavò nel 1956 dalla piccola monovolume Fiat di serie, tagliando la carrozzeria e mettendo, al posto dei sedili posteriori, una panchetta da motoscafo. Con la stessa estrosità, Agnelli si fece fare molte altre fuoriserie. Vi presentiamo le più singolari nelle pagine seguenti. Arriva al vertice con la «124» M a che ne sa quest’uomo brizzolato, abituato a frequentare il jet set internazionale, di linee di montaggio, di stampi, di motori? Per sua stessa ammissione, ben poco, tanto che «Time» riportò una sua dichiarazione secondo la quale egli non aveva «la più pallida idea di come si fabbrichi un’automobile». Eppure, a chi lo riteneva inadeguato diede una risposta operativa: mise mano alla struttura verticistica e paternalistica che gli aveva lasciato Valletta e cercò di farne un’impresa moderna. Vittorio Valletta, uomo di fiducia del nonno, era diventato presidente della Fiat alla morte del 62 accompagna gli automobilisti italiani, come testimone e interprete di straordinarie trasformazioni sociali. A un mese o poco più dalla scomparsa del presidente onorario della Fiat, non vi racconteremo la sua vita. Ma le auto sue e quelle che ha dato agli italiani. Vorremmo ripercorrere assieme la sua avventura come capitano d’industria, e quindi trentasette anni di storia dell’auto nostrana, che sono poi anni della nostra stessa storia di italiani. I meno giovani se li ricorderanno tutti, gli altri magari potranno trovare anche qualche chiave per capire le vicende di oggi. Li ripercorreremo per tappe fondamentali, cominciando proprio da quel fatidico 1966 in cui l’ex viveur Giovanni Agnelli, ormai quarantacinquenne, prende il timone della corazzata Fiat da un manager di ferro, Vittorio Valletta. dell’Avvocato Marzo 2003 • ATTUALITÀ fondatore. Piccolo di statura, caparbio e determinato, resse la Fiat con il pugno di ferro, come un padrone assoluto, portandola da circa 50 mila a quasi un milione e mezzo di automobili l’anno. Fu sua anche l’intui- «124»: un passo oltre la «1100» zione dell’accordo con l’Unione Sovietica per la costruzione della fabbrica di Togliattigrad. Aveva servito la Fiat per 45 anni mettendola sopra ogni cosa. L’azienda era florida, ma la sua struttura interna non poteva reggere il cambiamento dei tempi. Agnelli questo lo capì subito. Allo stesso modo capì che il futuro si giocava su una dimensione europea, se non globale. Perciò, un paio d’anni più tardi, lavorerà per costruire uno dei primi tentativi di concentrazione dell’industria dell’auto in Europa, lanciando la Fiat verso un ambizioso quanto improbabile matrimonio con la Citroën. Improbabile, perché Agnelli con De Gaulle, Parigi 1968 voleva mettere assieme il proverbiale sciovinismo dei francesi con la volontà egemonica dei piemontesi. L’accordo si fece, ma durò pochi anni. Mentre sul piano internazionale anticipava l’abbattimento delle frontiere in Europa, Agnelli faceva un tenace lavoro di lobbying sui politici nostrani perché bocciassero il piano dell’IRI per la costruzione nel Mezzogiorno dello stabilimento Alfasud, grazie al quale l’Alfa Romeo si sarebbe lanciata nelle vetture di cilindrata medio-piccola, cioè nel reame della Fiat. Del resto, come dichiarò lo stesso Agnelli al settimanale «Newsweek» nel 1968, il segreto delle fortune della Fiat stava «nel quasi totale monopolio sul mercato italiano». Nel 1969 verrà assorbita la Lancia. Secondo Agnelli, un gesto generoso per salvare il marchio dall’estinzione. Gianni Agnelli 12 marzo 1921 - 24 gennaio 2003 ATTUALITÀ • Marzo 2003 63 Le auto dell’Avvocato Bulli, pupe e velocità iporta Enzo Biagi, in una biografia dell’Avvocato, una frase dello stesso Agnelli negli anni 50: «A me quel che piace sono le macchine veloci, il tappeto verde e le belle ragazze». Non serve molto di più in effetti per fotografare gli anni giovanili di Gianni Agnelli. Alan Friedman, nel suo «Tutto in famiglia», raccoglie la testimonianza della principessa Irene Galitzine: «Sulla riviera francese a quel tempo non c’erano che feste. Con Gianni e gli altri non facevamo che correre, da una villa all’altra». E quel correre - sottolinea Friedman - non era certo a piedi, ma in auto, in yacht, in elicottero... Le macchine veloci erano un denominatore comune, almeno quanto le donne, per l’allegra compagnia che imperversava in Costa azzurra nel secondo dopoguerra e di cui Agnelli era uno dei protagonisti. Molti di quegli amici persero la vita schiantandosi in auto. E Agnelli? Il turno di Gianni venne una notte del ’52, quando la sua Ferrari finì una folle corsa contro un autocarro e lui fu estratto dalle lamiere con la gamba destra fratturata in sei punti. A bordo, una ragazza che non era la sua fidanzata di allora, Pamela Churchill, ex nuora di Sir Winston. Agnelli non recuperò mai per intero la funzionalità dell’arto e dovrà guidare macchine automatiche o con frizione modificata. Ma le fuoriserie che si fece fare non nascevano da necessità, bensì da passione: auto corsaiole, come le Ferrari, o ludiche, come la «600 Multipla» qui a fianco. R UNA DI DODICI Di Ferrari «375 America» ne furono prodotte una dozzina: troppe per Agnelli, che volle distinguere la sua, del ’55: calandra verticale, parabrezza all’americana e tetto trasparente. 1974 La «lettera ai giornalisti» di Agnelli. Sotto, la «131» del ’74. È finita la benzina P uò essere incidentale, per la nostra storia, il fatto che nel 1974 Gianni Agnelli divenne presidente della Confindustria. E che nel 1975 arrivò alla firma del famoso accordo sul punto unico di contingenza con Luciano Lama: in parole semplici, a ogni scatto dell’inflazione le buste paga dovevano essere arricchite in misura uguale per tutti, indipendentemente dal salario (accordo giudicato in seguito un grosso errore). Certo non fu incidentale per Agnelli, che attraverso quella carica e quell’accordo cercò di dispiegare la sua visione politico-industriale, che prevedeva l’apertura di una linea di dia- 64 Marzo 2003 • ATTUALITÀ logo coi sindacati e una guerra sotterranea al governo, e al partito di maggioranza relativa, la Dc, per assicurare all’industria privata spazio e privilegi pari a quelli garantiti all’allora potentissima industria statale. Ma a noi interessa di più la storia parallela della Fiat, poiché il presidente della Confindustria continuava a essere anche il presidente della Fiat, e alla Fiat di cose ne stavano per capitare molte. Prima di tutto, si erano fatti sentire gli effetti della prima crisi petrolifera. In tanti cominciavano a pensare che l’auto fosse finita, che non avesse futuro. «Quattroruote» pubblicò nel dicembre 1974 la lettera di Agnelli ai giornalisti italiani, un’appassionata difesa dell’auto. «In questi ultimi mesi molto di quel che abbiamo letto e sentito è contro l’automobile» scrive il presidente della Fiat «e si è dimenticato che (...) il mezzo privato di trasporto – che deve integrarsi con un sistema efficiente di trasporti collettivi – è prima di tutto strumento di libertà». E ancora: «Molti ci accusano di aver troppo creduto nell’automobile: non è stato un errore. Continuiamo a crederci». Eppure le suggestioni del partito anti-auto, trasversale alla società, e le preoccupazioni per il futuro devono aver esercitato la loro influenza anche sull’autore di quella lettera, se negli anni seguenti Agnelli premerà l’acceleratore sulla diversificazione delle attività della Fiat e ridurrà l’investimento sul core business dell’azienda. Un errore strategico, questo, che renderà più difficile per la Fiat uscire dalla crisi, complici anche le tensioni sociopolitiche degli anni di piombo. 1978 Ghidella, un’idea personale L a Fiat non si è ancora sollevata dalla crisi, ma in quell’anno accade una cosa importante, l’arrivo di un uomo smilzo e poco appariscente, ma che avrebbe cambiato le sorti della Casa torinese: Vittorio Ghidella. La cosa più interessante è che egli fu assunto «personalmente» da Gianni Agnelli. Insomma, l’Avvocato s’era ravveduto sulle precedenti scelte industriali e – con un colpo di reni tipico della sua personalità, brillante e incostante – decise che ci voleva uno che sapesse fare automobili, quello che gli americani con termine sintetico dicono «a car guy», un uomo dell’auto. Addirittura l’Avvocato aveva pen- MOTOSCAFO DA STRADA Agnelli, alla Pininfarina, visiona il modellino della «600 Multipla Eden Roc», fantasiosa lettura in versione aperta della piccola monovolume Fiat, del 1956. I sedili posteriori sono sostituiti da una panchetta di legno, come in barca. Le portiere, eliminate. 1980 A La «Ritmo», plastica e fari buffi sato proprio a un americano, Bob Lutz, oggi guru del prodotto per la GM e a quel tempo alla Ford Europe. Ma poi, temendo lo scontro di mentalità coi quadri piemontesi, «ripiegò» sull’italiano. Ma che ripiego! Ghidella è stato la carta vincente della rinascita Fiat negli anni 80. Lui per il prodotto, Cesare Romiti per la finanza. La «Panda» e i 40 mila Giugiaro fu chiesto di studiare una macchina per i giovani. Lui tirò fuori una rivoluzione, una compatta con l’aria da «jeep», sedili sottili, tanto spazio e un marsupio portaoggetti lungo la plancia: nasceva la «Panda». Umberto, intanto, diventava presidente dell’Ifi e lasciava la Fiat a Cesare Romiti. Dopo la ricerca del dialogo con i sindacati portata avanti da Agnelli per un decennio, la politica Fiat cambiò. Già nel ’79, dopo l’omicidio del dirigente Carlo Ghiglieno, Torino decise di licenziare 61 operai accusati di fomentare la violenza. Nel 1980 annunciò altri licenziamenti. S’innescò un conflitto coi sindacati, al quale pose fine la famosa «marcia dei quarantamila», la manifestazione dei quadri intermedi. Sopra, la Lancia «Delta», «auto dell’anno». A fianco, la «Panda». ATTUALITÀ • Marzo 2003 65 Le auto dell’Avvocato Quella volta in cima al Lingotto... a oggi il dottor Agnelli non è più soltanto il nipote di suo nonno» disse Valletta nel 1966, presentandolo agli azionisti. Eh sì, ad Agnelli sono successe, fra la metà degli anni 50 e la metà dei 60, due cose significative: si è sposato, con Marella Caracciolo di Castagneto («una donna che gli darà la stabilità cui ambiva», ricorda un amico), ed è diventato presidente della Fiat. Le sue auto, d’ora in poi, tradiscono questo cambiamento, l’assunzione di maggiori responsabilità: sono più «posate». L’Avvocato si fa ancora fare qualche Ferrari, come la «365/P berlinetta speciale» (1967), una curiosa tre posti con il sedile di guida centrale, di cui però si libererà presto perché «troppo vistosa». Lo ricorda lui stesso: «Non facevi in tempo a fermarti che avevi subito la gente addosso. Però era divertente. Aveva un’accelerazione mostruosa. Solo che dovevi abituarti al posto di guida in mezzo, perché mancava il riferimento al limite da una parte, destra o sinistra». Poi, negli anni 70 e 80, arrivano i tempi delle familiari, come la famosa «130» station wagon con il portapacchi di vimini e gli inserti di legno sulla carrozzeria, che i coniugi Agnelli utilizzavano sovente per andare a St Moritz. «D Tuttavia, Gianni Agnelli non si è mai del tutto acquietato. Qualcuno che ha lavorato con lui ricorda la visita di una troupe della BBC per un servizio giornalistico dal titolo «Una giornata con il presidente della Fiat». «Era il 1984» racconta il nostro testimone, che preferisce l’anonimato, «Agnelli guidava una Fiat “131” automatica e, se ricordo bene, con motore elaborato». A un certo punto si decise di fare qualche ripresa in movimento sulla pista di collaudo del Lingotto, sul tetto dell’edificio, che a quel tempo non era più in uso, né ancora del tutto ristrutturato. «Il fondo della pista, quindi, era in pessime condizioni. Il problema è che Agnelli lo percorse a tutta velocità per quattro o cinque giri e a ogni giro andava più forte, e vedendo che io - che gli sedevo a fianco - ero diventato bianco come un cencio, si divertiva come un matto. E siccome l’operatore, sul sedile posteriore, riusciva a malapena a tenere la telecamera ferma, lui ripeteva “I’m sorry, it’s slightly bumpy” (sono desolato, il fondo è leggermente ondulato). Ma “bumpy” era proprio un eufemismo». E così, gli inglesi poterono vedere come guidava il presidente della Fiat. MACCHINE PER GIANNI... Per l’Agnelli maturo, auto un po’ meno meno vistose. Come la Ferrari «410 SA» grigia metallizzata del 1960 (a sinistra), derivata da una show car del 1959. Fa eccezione la Ferrari «365 P» del 1967 (nella pagina di destra): tre posti, quello di guida al centro, e meccanica da corsa, col V12 4.4 da 320 CV. 1983 La rivoluzione della «Uno» S e qualcuno aveva dubbi sul fatto che la stella della Fiat stesse tornando a splendere, questi svanirono a metà gennaio 1983, quando due jumbo noleggiati dalla Fiat scaricavano circa 700 giornalisti europei a Orlando, in Florida, per la più grandiosa presentazione stampa che la Casa torinese avesse mai organizzato. Nella cornice scenografica di Cape Canaveral si toglievano i veli alla «Uno»: un’utilitaria che fece invecchiare d’un colpo tutta la concorrenza. La «Uno» non fu soltanto una macchina innovativa, ma rappresentò anche un nuovo modo di 66 Marzo 2003 • ATTUALITÀ produrre. L’automazione spinta era entrata in fabbrica. Comau, la divisione macchine industriali della Fiat, incominciò a fare affari d’oro vendendo i propri impianti robotizzati un po’ a tutti i costruttori. 1986 La Fiat soffia l’Alfa alla Ford È curioso come, subito dopo aver flirtato per mesi nel tentativo, vano, di costruire un’alleanza a livello europeo, Fiat e Ford si fossero trovate a ingaggiare un duello senza esclusione di colpi per acquistare dall’IRI l’Alfa Romeo. L’alleanza con un grande costruttore americano era uno dei sogni di Agnelli, faceva parte di quella sua visione internazionale – forse l’aspetto migliore dell’Agnelli imprenditore - che ha portato la Fiat a diventare un giocatore di livello mondiale. Tuttavia, le due Case non trovarono un accordo. Secondo l’opinione di alcuni banchieri e operatori di borsa ben infor- Nell’1985 esce la «Croma» mati, riportata da Alan Friedman nel suo libro «Tutto in famiglia», a Torino c’era Romiti a remare contro. Per quanto riguarda l’Alfa, alla Fiat e all’Avvocato in particolare, non importava nulla del marchio milane- ...E PER MARELLA Il portapacchi di vimini della Fiat «130» familiare, sopra, derivava anche dalla passione per l’arte del giardinaggio che anima la moglie, Marella. e diventa il primo gruppo in Europa se. La casa automobilistica statale, infatti, andava così male che non costituiva una minaccia. A renderla improvvisamente appetibile fu il fatto che la volesse comprare la Ford. Naturalmente la spuntò Torino, che nella seconda metà degli anni 80 era all’apice del suo potere. All’indomani dell’acquisizione, «Quattroruote» titolava un corsivo nel mese di dicembre «Non c’è rovescio in quelle medaglie», alludendo anche a quella della Lancia (e degli altri marchi acquisiti). «Che l’Italia si avvii ad avere un unico grande produttore automobilistico non ci preoccupa affatto» scrivevamo, argomentando Dopo l’acquisizione dell’Alfa Romeo, la Fiat è il primo costruttore europeo. Agnelli è all’apice del suo prestigio. che la concorrenza atomistica - con un gran numero di piccoli produttori - come quella americana agli inizi del secolo, provocava diseconomie di scala e prezzi elevati. «Un mercato internazionale oligopolistico, con un piccolo numero di grossi produttori contrapposti, assicura agli automobilisti i vantaggi della concorrenza». Tutto ciò è vero. Certo, oggi, con il senno di poi, si potrebbe dire che fummo un po’ troppo indulgenti: la Lancia è stata assai trascurata e l’Alfa è tornata soltanto negli ultimi anni a far parlare di sé, soprattutto grazie a due modelli indovinati: la «156» e la «147». L’acquisizione dell’Alfa portò la Fiat a un monopolio assoluto in Italia e le consentì di tenere a bada, ancora per un po’, la concorrenza straniera, impedendo che la Ford potesse contare su una testa di ponte produttiva nel nostro Paese. E non è detto che ciò sia stato un bene per la competitività della Fiat. Comunque, grazie a quell’acquisizione la Fiat scalzava la Volkswagen dal podio di primo produttore europeo. Gianni Agnelli raggiunse il massimo del suo fulgore. ATTUALITÀ • Marzo 2003 67 Le auto dell’Avvocato Fu sempre fedele alle Fiat a passione per le auto scoperte non ha mai abbandonato l’Avvocato, nemmeno negli ultimi anni. Nel 2000 commissionò a Pininfarina una «Multipla» con tetto di tela asportabile e interni ispirati a quelli della famosa «600 Multipla Eden Roc» degli anni 50 (vedi pag. 65), con una panchetta posteriore tipo motoscafo. Pare che, poi, non l’abbia mai ritirata ed è una vettura su cui la carrozzeria torinese mantiene il più stretto riserbo. Noi abbiamo provato a ricostruirla in un disegno. «Queste macchine un po’ diverse dalle altre» confidò una volta Agnelli «non nascono da mie particolari esigenze, no. A me diverte lavorarci, con Ferrari, con Pininfarina. È divertente vedere costruire qualcosa». Anche se per qualcun altro, come la Ferrari «360 barchetta», che regalò a Montezemolo per le sue nozze con Ludovica Andreoni. Nella vita di automobilista di Agnelli ci furono, invece, poche Alfa e poche Lancia. È vero che si fece carrozzare da Zagato una «Thema S.W.» e che utilizzò una «k» limousine, ma «le auto del suo cuore» ricorda un suo collaboratore «furono sempre Fiat. Aveva l’orgoglio di guidare una Fiat». È anche per questo, forse, che - dell’impero che comandava - è stato identificato con l’auto. E quando si diceva il «Signor ECCO, È NOSTRA Fiat» tutti pensavano non ai Sembra dire Montezemolo alla trattori, ai treni moglie Ludovica, indicando il o alle assicurazioni, regalo di nozze di Gianni: una «360 barchetta» unica al mondo. bensì alle automobili. L «TESTAROSSA» SÌ MA APERTA Questa del 1986 è l’unico esemplare di «Testarossa» spider. Grigia metallizzata, aveva interni blu e capote elettrica bianca. 1989 E ra uscita da un anno la «Tipo» e nell’89 usciva la Lancia «Dedra», sulla medesima piattaforma, che darà origine anche a Fiat «Tempra» e Alfa «155»: tempo di sinergie. Ma intanto, nelle pieghe del successo, s’annidava il germe del futuro declino. La visione strategica di Ghidella e quella di Romiti s’erano fatte sempre Agnelli con la «Tipo» del 1988 68 1998 Romiti pigliatutto. E la Fiat? Marzo 2003 • ATTUALITÀ più divergenti, fino allo scontro aperto. Sarà l’Avvocato a dirimere la controversia a fine ’88: e sceglierà Romiti, perdendo il suo guru del prodotto, il papà della «Uno» e della «Croma». Nell’editoriale di gennaio di «Quattroruote», un’analisi di Sergio Ricossa sottolineava come «per Romiti l’auto è un prodotto come un altro, sia pure quello che nella Fiat ha più spazio (...), per Ghidella l’auto era la Fiat. Romiti era per la diversificazione, Ghidella per massicci investimenti nel solo settore che per lui li meritasse». E concludeva: «Il tempo sarà il supremo giudice e dirà quanto la mossa (di Agnelli, n.d.r.) che gli chiedeva quando si sarebbe fatto da parte, Agnelli una volta rispose: «Quando non sarò più in grado di andare a sciare». Come dire: finché le forze fisiche me lo consentono... Il momento venne a 76 anni: l’Avvocato lasciò la presidenza operativa del gruppo a Paolo Fresco, l’«Americano», come è chiamato per la sua militanza come numero due alla General Electric. Subito si disse: è arrivato a negoziare la vendita. Agnelli rimase, però, presidente onorario. Amministratore delegato era in quegli anni Paolo Cantarella, successo a Romiti, mentre alla guida di Fiat Auto c’era Roberto Testore. Il A Da sinistra, Romiti, Ghidella, Agnelli sia stata azzeccata». Oggi possiamo dire, a costo di semplificare, che Agnelli – forse abbagliato dalle ormai tentacolari attività della Fiat fece di nuovo l’errore in cui era incorso negli anni 70, quello di voltare un po’ le spalle all’auto, che pure così profondamente amava. Arriva il «Negoziatore» gruppo Fiat era reduce da anni di forte sviluppo in Sud America, ma in Italia era passato dal 60% circa di mercato del 1986 a meno del 40%, mentre in Europa, con una penetrazione del 10,9%, era ormai soltanto quarto, dietro a Volkswagen, a GM (Opel più Saab) e a Peugeot-Citroën. Cantarella e, a destra, Testore 2000 Sarebbe diventata la nuova «Eden Roc», questa «Multipla» con tetto asportabile, citazione nostalgica dei formidabili anni 50 di Agnelli. Di certo si sa che l’Avvocato l’ha commissionata a Pininfarina, un paio d’anni fa, ma non fece in tempo a usarla. Fiat-GM, un accordo che protegge la «famiglia» i narra che già prima d’assumere la carica di presidente nel 1966, Gianni Agnelli vagheggiasse un accordo con la General Motors. Dovrà arrivare all’età di 78 anni per vederlo davvero nascere. Certo, il giovane Agnelli non se lo immaginava così, con la Fiat che ci arriva in condizioni di debolezza, più a cercare un salvatore che un partner. Questo non è nel DNA degli Agnelli. Ma è la realtà: tanto vale prenderne atto, con disincanto, e cercare di vendere cara la pelle. Per esempio, inserendo nell’accordo l’obbligo per gli americani d’acquistare l’intero pacchetto azionario della Fiat dal 2004 qualora To- S L’ULTIMA COMMESSA rino decidesse di vendere. È il famoso «put»: un capolavoro negoziale, un «cappio» dal quale la GM sta cercando in ogni modo di sfilare la testa, e che dà quindi alla Fiat un discreto potere contrattuale. Alcuni operai, preoccupati, dichiareranno all’annuncio della morte di Agnelli: «Lui era l’unica garanzia che la Fiat resti italiana». Ma la clausola del «put» pare fatta più per non farsi comprare che per indurre gli altri a comprare. Gianni Agnelli, prima d’andarsene, farà in tempo a vedere la «sua» Fiat dibattersi nella più grave crisi della sua storia, ma farà in tempo anche a lasciare una struttura societaria piutto- sto blindata, attraverso l’accomandita di famiglia, e a investire il suo erede designato, il nipote John Elkan. Secondo alcuni osservatori, con la scomparsa di Agnelli si chiude l’era del capitalismo delle grandi dinastie. E probabilmente è vero. Ma Torino è sempre capace di sorprese... Roberto Lo Vecchio 2003 Si chiude un’era