Ma - Editoriale Domus

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Ma - Editoriale Domus
ATTUALITÀ • RICORDANDO IL PATRON DELLA FIAT
Di Gianni Agnelli non
vi raccontiamo la vita,
ma la passione per le
macchine, quelle che
fece fare per sé e quelle
che fece, per gli italiani,
come «Signor Fiat».
N
Le auto
ON ERA UN UOMO DI MACCHINE, come
suo nonno o come un Henry Ford.
Appassionato sì, tanto che si fece costruire molte serie
speciali, Fiat esclusive carrozzate soltanto per lui, e Ferrari
naturalmente, diverse Ferrari. Ma Gianni Agnelli, come
ammise egli stesso candidamente, non aveva grandi
cognizioni di come si muove un’industria automobilistica.
Eppure, che lui lo volesse o no, un fatto è certo: Agnelli con
l’auto è stato identificato e la sua vita è stata anche la vita –
uno scorcio di vita – dell’industria italiana dell’automobile.
Della Fiat e poi dell’industria motoristica nazionale toutcourt. Di conseguenza è stata anche un pezzo dell’esistenza
di «Quattroruote», la rivista che dal 1956, cioè da dieci anni
prima che Gianni Agnelli assumesse la presidenza della Fiat,
1966
GUIDAVA DI TUTTO
PURCHÉ ORIGINALE
La «600 Multipla Eden Roc» (sopra il
titolo), che, per Agnelli, Pininfarina
ricavò nel 1956 dalla piccola
monovolume Fiat di serie, tagliando
la carrozzeria e mettendo, al posto
dei sedili posteriori, una panchetta
da motoscafo. Con la stessa
estrosità, Agnelli si fece fare molte
altre fuoriserie. Vi presentiamo le più
singolari nelle pagine seguenti.
Arriva al vertice con la «124»
M
a che ne sa quest’uomo brizzolato, abituato a frequentare il
jet set internazionale, di linee di
montaggio, di stampi, di motori? Per
sua stessa ammissione, ben poco,
tanto che «Time» riportò una sua dichiarazione secondo la quale egli
non aveva «la più pallida idea di
come si fabbrichi un’automobile».
Eppure, a chi lo riteneva inadeguato diede una risposta operativa:
mise mano alla struttura verticistica
e paternalistica che gli aveva lasciato Valletta e cercò di farne un’impresa moderna. Vittorio Valletta, uomo
di fiducia del nonno, era diventato
presidente della Fiat alla morte del
62
accompagna gli automobilisti italiani, come testimone e
interprete di straordinarie trasformazioni sociali.
A un mese o poco più dalla scomparsa del presidente
onorario della Fiat, non vi racconteremo la sua vita. Ma le
auto sue e quelle che ha dato agli italiani. Vorremmo
ripercorrere assieme la sua avventura come capitano
d’industria, e quindi trentasette anni di storia dell’auto
nostrana, che sono poi anni della nostra stessa storia di
italiani. I meno giovani se li ricorderanno tutti, gli altri magari
potranno trovare anche qualche chiave per capire le vicende
di oggi. Li ripercorreremo per tappe fondamentali,
cominciando proprio da quel fatidico 1966 in cui l’ex viveur
Giovanni Agnelli, ormai quarantacinquenne, prende il timone
della corazzata Fiat da un manager di ferro, Vittorio Valletta.
dell’Avvocato
Marzo 2003 • ATTUALITÀ
fondatore. Piccolo di statura, caparbio e determinato, resse la Fiat con il
pugno di ferro, come un padrone
assoluto, portandola da circa 50 mila
a quasi un milione e mezzo di automobili l’anno. Fu sua anche l’intui-
«124»: un passo oltre la «1100»
zione dell’accordo con l’Unione Sovietica per la costruzione della
fabbrica di Togliattigrad. Aveva servito la Fiat per 45 anni mettendola
sopra ogni cosa. L’azienda era florida, ma la sua struttura interna non
poteva reggere il cambiamento dei
tempi. Agnelli questo lo capì subito.
Allo stesso modo capì che il futuro si
giocava su una dimensione europea,
se non globale. Perciò, un paio d’anni più tardi, lavorerà per costruire
uno dei primi tentativi di concentrazione dell’industria dell’auto in Europa, lanciando la Fiat verso un ambizioso quanto improbabile matrimonio
con la Citroën. Improbabile, perché
Agnelli con De Gaulle, Parigi 1968
voleva mettere assieme il proverbiale sciovinismo dei francesi con la
volontà egemonica dei piemontesi.
L’accordo si fece, ma durò pochi
anni. Mentre sul piano internazionale
anticipava l’abbattimento delle frontiere in Europa, Agnelli faceva un tenace lavoro di lobbying sui politici
nostrani perché bocciassero il piano
dell’IRI per la costruzione nel Mezzogiorno dello stabilimento Alfasud,
grazie al quale l’Alfa Romeo si sarebbe lanciata nelle vetture di cilindrata
medio-piccola, cioè nel reame della
Fiat. Del resto, come dichiarò lo stesso Agnelli al settimanale «Newsweek»
nel 1968, il segreto delle fortune
della Fiat stava «nel quasi totale monopolio sul mercato italiano». Nel
1969 verrà assorbita la Lancia. Secondo Agnelli, un gesto generoso per
salvare il marchio dall’estinzione.
Gianni Agnelli
12 marzo 1921 - 24 gennaio 2003
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Le auto
dell’Avvocato
Bulli, pupe
e velocità
iporta Enzo Biagi, in una biografia dell’Avvocato, una frase
dello stesso Agnelli negli anni 50: «A me quel che piace
sono le macchine veloci, il tappeto verde e le belle ragazze».
Non serve molto di più in effetti per fotografare gli anni giovanili
di Gianni Agnelli. Alan Friedman, nel suo «Tutto in famiglia»,
raccoglie la testimonianza della principessa Irene Galitzine:
«Sulla riviera francese a quel tempo non c’erano che feste.
Con Gianni e gli altri non facevamo che correre, da una villa
all’altra». E quel correre - sottolinea Friedman - non era certo a
piedi, ma in auto, in yacht, in elicottero... Le macchine veloci
erano un denominatore comune, almeno quanto le donne, per
l’allegra compagnia che imperversava in Costa azzurra nel
secondo dopoguerra e di cui Agnelli era uno dei protagonisti.
Molti di quegli amici persero
la vita schiantandosi in auto.
E Agnelli? Il turno di Gianni
venne una notte del ’52,
quando la sua Ferrari finì
una folle corsa contro un
autocarro e lui fu estratto
dalle lamiere con la gamba
destra fratturata in sei punti.
A bordo, una ragazza che
non era la sua fidanzata di
allora, Pamela Churchill, ex
nuora di Sir Winston. Agnelli
non recuperò mai per intero
la funzionalità dell’arto e
dovrà guidare macchine
automatiche o con frizione
modificata. Ma le fuoriserie
che si fece fare non
nascevano da necessità,
bensì da passione: auto
corsaiole, come le Ferrari, o
ludiche, come la «600
Multipla» qui a fianco.
R
UNA DI DODICI
Di Ferrari «375 America» ne
furono prodotte una dozzina:
troppe per Agnelli, che volle
distinguere la sua, del ’55:
calandra verticale, parabrezza
all’americana e tetto trasparente.
1974
La «lettera ai
giornalisti» di Agnelli.
Sotto, la «131» del ’74.
È finita la benzina
P
uò essere incidentale, per la nostra storia, il fatto che nel 1974
Gianni Agnelli divenne presidente
della Confindustria. E che nel 1975
arrivò alla firma del famoso accordo
sul punto unico di contingenza con
Luciano Lama: in parole semplici, a
ogni scatto dell’inflazione le buste
paga dovevano essere arricchite in
misura uguale per tutti, indipendentemente dal salario (accordo giudicato in seguito un grosso errore).
Certo non fu incidentale per Agnelli,
che attraverso quella carica e quell’accordo cercò di dispiegare la sua
visione politico-industriale, che prevedeva l’apertura di una linea di dia-
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logo coi sindacati e una guerra sotterranea al governo, e al partito di
maggioranza relativa, la Dc, per assicurare all’industria privata spazio e
privilegi pari a quelli garantiti all’allora potentissima industria statale.
Ma a noi interessa di più la storia
parallela della Fiat, poiché il presidente della Confindustria continuava
a essere anche il presidente della
Fiat, e alla Fiat di cose ne stavano per
capitare molte. Prima di tutto, si erano fatti sentire gli effetti della prima
crisi petrolifera. In tanti cominciavano
a pensare che l’auto fosse finita, che
non avesse futuro. «Quattroruote»
pubblicò nel dicembre 1974 la lettera
di Agnelli ai giornalisti italiani, un’appassionata difesa dell’auto. «In questi
ultimi mesi molto di quel che abbiamo letto e sentito è contro l’automobile» scrive il presidente della Fiat «e
si è dimenticato che (...) il mezzo
privato di trasporto – che deve integrarsi con un sistema efficiente di
trasporti collettivi – è prima di tutto
strumento di libertà». E ancora:
«Molti ci accusano di aver troppo
creduto nell’automobile: non è
stato un errore. Continuiamo a crederci».
Eppure le suggestioni del
partito anti-auto, trasversale alla
società, e le preoccupazioni per il
futuro devono aver esercitato la loro
influenza anche sull’autore di quella
lettera, se negli anni seguenti Agnelli premerà l’acceleratore sulla diversificazione delle attività della Fiat e
ridurrà l’investimento sul core business dell’azienda. Un errore strategico, questo, che renderà più difficile per la Fiat uscire dalla crisi,
complici anche le tensioni sociopolitiche degli anni di piombo.
1978
Ghidella, un’idea personale
L
a Fiat non si è ancora sollevata
dalla crisi, ma in quell’anno accade una cosa importante, l’arrivo di un
uomo smilzo e poco appariscente,
ma che avrebbe cambiato le sorti
della Casa torinese: Vittorio Ghidella.
La cosa più interessante è che egli fu
assunto «personalmente» da Gianni
Agnelli. Insomma, l’Avvocato s’era
ravveduto sulle precedenti scelte industriali e – con un colpo di reni tipico
della sua personalità, brillante e incostante – decise che ci voleva uno che
sapesse fare automobili, quello che
gli americani con termine sintetico
dicono «a car guy», un uomo dell’auto. Addirittura l’Avvocato aveva pen-
MOTOSCAFO
DA STRADA
Agnelli, alla Pininfarina,
visiona il modellino della
«600 Multipla Eden Roc»,
fantasiosa lettura in
versione aperta della
piccola monovolume
Fiat, del 1956. I sedili
posteriori sono sostituiti
da una panchetta di
legno, come in barca.
Le portiere, eliminate.
1980
A
La «Ritmo», plastica e fari buffi
sato proprio a un americano, Bob
Lutz, oggi guru del prodotto per la GM
e a quel tempo alla Ford Europe. Ma
poi, temendo lo scontro di mentalità
coi quadri piemontesi, «ripiegò» sull’italiano. Ma che ripiego! Ghidella è
stato la carta vincente della rinascita
Fiat negli anni 80. Lui per il prodotto,
Cesare Romiti per la finanza.
La «Panda» e i 40 mila
Giugiaro fu chiesto di studiare
una macchina per i giovani. Lui
tirò fuori una rivoluzione, una compatta con l’aria da «jeep», sedili sottili,
tanto spazio e un marsupio portaoggetti lungo la plancia: nasceva la
«Panda». Umberto, intanto, diventava
presidente dell’Ifi e lasciava la Fiat a
Cesare Romiti. Dopo la ricerca del
dialogo con i sindacati portata avanti
da Agnelli per un decennio, la politica
Fiat cambiò. Già nel ’79, dopo l’omicidio del dirigente Carlo Ghiglieno,
Torino decise di licenziare 61
operai accusati di fomentare la violenza.
Nel 1980 annunciò altri
licenziamenti. S’innescò un conflitto
coi sindacati, al quale pose fine la famosa «marcia dei quarantamila», la
manifestazione dei quadri intermedi.
Sopra, la Lancia
«Delta»,
«auto dell’anno».
A fianco,
la «Panda».
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Le auto
dell’Avvocato
Quella volta
in cima al Lingotto...
a oggi il dottor Agnelli non è più soltanto il nipote di
suo nonno» disse Valletta nel 1966, presentandolo
agli azionisti. Eh sì, ad Agnelli sono successe, fra la metà
degli anni 50 e la metà dei 60, due cose significative: si è
sposato, con Marella Caracciolo di Castagneto («una
donna che gli darà la stabilità cui ambiva», ricorda un
amico), ed è diventato presidente della Fiat. Le sue auto,
d’ora in poi, tradiscono questo cambiamento, l’assunzione
di maggiori responsabilità: sono più «posate». L’Avvocato
si fa ancora fare qualche Ferrari, come la «365/P berlinetta
speciale» (1967), una curiosa tre posti con il sedile di guida
centrale, di cui però si libererà presto perché «troppo
vistosa». Lo ricorda lui stesso: «Non facevi in tempo a
fermarti che avevi subito la gente addosso. Però era
divertente. Aveva un’accelerazione mostruosa. Solo che
dovevi abituarti al posto di guida in mezzo, perché mancava
il riferimento al limite da una parte, destra o sinistra».
Poi, negli anni 70 e 80, arrivano i tempi delle familiari,
come la famosa «130» station wagon con il portapacchi
di vimini e gli inserti di legno sulla carrozzeria, che
i coniugi Agnelli utilizzavano sovente per andare a St Moritz.
«D
Tuttavia, Gianni Agnelli non si è mai del tutto acquietato.
Qualcuno che ha lavorato con lui ricorda la visita di una
troupe della BBC per un servizio giornalistico dal titolo
«Una giornata con il presidente della Fiat». «Era il 1984»
racconta il nostro testimone, che preferisce l’anonimato,
«Agnelli guidava una Fiat “131” automatica e, se ricordo
bene, con motore elaborato». A un certo punto si decise di
fare qualche ripresa in movimento sulla pista di collaudo
del Lingotto, sul tetto dell’edificio, che a quel tempo non
era più in uso, né ancora del tutto ristrutturato. «Il fondo
della pista, quindi, era in pessime condizioni. Il problema è
che Agnelli lo percorse a tutta velocità per quattro o cinque
giri e a ogni giro andava più forte, e vedendo che io - che
gli sedevo a fianco - ero diventato bianco come un cencio,
si divertiva come un matto. E siccome l’operatore, sul
sedile posteriore, riusciva a malapena a tenere la
telecamera ferma, lui ripeteva “I’m sorry, it’s slightly
bumpy” (sono desolato, il fondo è leggermente ondulato).
Ma “bumpy” era proprio un eufemismo». E così, gli inglesi
poterono vedere come guidava il presidente della Fiat.
MACCHINE PER GIANNI...
Per l’Agnelli maturo, auto un po’ meno meno vistose. Come
la Ferrari «410 SA» grigia metallizzata del 1960 (a sinistra),
derivata da una show car del 1959. Fa eccezione la Ferrari
«365 P» del 1967 (nella pagina di destra): tre posti, quello di
guida al centro, e meccanica da corsa, col V12 4.4 da 320 CV.
1983
La rivoluzione della «Uno»
S
e qualcuno aveva dubbi sul fatto
che la stella della Fiat stesse
tornando a splendere, questi svanirono a metà gennaio 1983, quando
due jumbo noleggiati dalla Fiat scaricavano circa 700 giornalisti europei a Orlando, in Florida, per la più
grandiosa presentazione stampa
che la Casa torinese avesse mai organizzato. Nella cornice scenografica di Cape Canaveral si toglievano i
veli alla «Uno»: un’utilitaria che fece
invecchiare d’un colpo tutta la concorrenza. La «Uno» non fu soltanto una macchina innovativa, ma rappresentò
anche un nuovo modo di
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produrre. L’automazione spinta era
entrata in fabbrica. Comau, la divisione macchine industriali della
Fiat, incominciò a fare affari d’oro
vendendo i propri impianti robotizzati un po’ a tutti i costruttori.
1986
La Fiat soffia l’Alfa alla Ford
È
curioso come, subito dopo aver
flirtato per mesi nel tentativo,
vano, di costruire un’alleanza a livello europeo, Fiat e Ford si fossero
trovate a ingaggiare un duello senza
esclusione di colpi per acquistare
dall’IRI l’Alfa Romeo. L’alleanza con
un grande costruttore americano
era uno dei sogni di Agnelli, faceva
parte di quella sua visione internazionale – forse l’aspetto migliore
dell’Agnelli imprenditore - che ha
portato la Fiat a diventare un giocatore di livello mondiale. Tuttavia, le
due Case non trovarono un accordo.
Secondo l’opinione di alcuni banchieri e operatori di borsa ben infor-
Nell’1985 esce la «Croma»
mati, riportata da Alan Friedman nel
suo libro «Tutto in famiglia», a Torino c’era Romiti a remare contro.
Per quanto riguarda l’Alfa, alla Fiat
e all’Avvocato in particolare, non
importava nulla del marchio milane-
...E PER MARELLA
Il portapacchi di vimini della
Fiat «130» familiare, sopra,
derivava anche dalla passione
per l’arte del giardinaggio
che anima la moglie, Marella.
e diventa il primo gruppo in Europa
se. La casa automobilistica statale,
infatti, andava così male che non
costituiva una minaccia. A renderla
improvvisamente appetibile fu il fatto
che la volesse comprare la Ford.
Naturalmente la spuntò Torino,
che nella seconda metà degli anni
80 era all’apice del suo potere. All’indomani dell’acquisizione, «Quattroruote» titolava un corsivo nel
mese di dicembre «Non c’è rovescio
in quelle medaglie», alludendo anche
a quella della Lancia (e degli altri
marchi acquisiti). «Che l’Italia si avvii
ad avere un unico grande produttore
automobilistico non ci preoccupa affatto» scrivevamo, argomentando
Dopo l’acquisizione
dell’Alfa Romeo,
la Fiat è il primo
costruttore europeo.
Agnelli è all’apice
del suo prestigio.
che la concorrenza atomistica - con
un gran numero di piccoli produttori
- come quella americana agli inizi
del secolo, provocava diseconomie
di scala e prezzi elevati. «Un mercato
internazionale oligopolistico, con un
piccolo numero di grossi produttori
contrapposti, assicura agli automobilisti i vantaggi della concorrenza».
Tutto ciò è vero. Certo, oggi, con il
senno di poi, si potrebbe dire che
fummo un po’ troppo indulgenti: la
Lancia è stata assai trascurata e
l’Alfa è tornata soltanto negli ultimi
anni a far parlare di sé, soprattutto grazie a due modelli indovinati: la «156» e la «147».
L’acquisizione dell’Alfa portò la
Fiat a un monopolio assoluto in
Italia e le consentì di tenere a
bada, ancora per un po’, la concorrenza straniera, impedendo
che la Ford potesse contare su una
testa di ponte produttiva nel nostro
Paese. E non è detto che ciò sia stato
un bene per la competitività della
Fiat. Comunque, grazie a quell’acquisizione la Fiat scalzava la
Volkswagen dal podio di primo produttore europeo. Gianni Agnelli raggiunse il massimo del suo fulgore.
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Le auto
dell’Avvocato
Fu sempre
fedele alle Fiat
a passione per le auto scoperte non ha mai abbandonato
l’Avvocato, nemmeno negli ultimi anni. Nel 2000
commissionò a Pininfarina una «Multipla» con tetto di tela
asportabile e interni ispirati a quelli della famosa «600
Multipla Eden Roc» degli anni 50 (vedi pag. 65), con
una panchetta posteriore tipo motoscafo. Pare che,
poi, non l’abbia mai ritirata ed è una vettura su
cui la carrozzeria torinese mantiene il più
stretto riserbo. Noi abbiamo provato a
ricostruirla in un disegno. «Queste macchine
un po’ diverse dalle altre» confidò una volta
Agnelli «non nascono da mie particolari
esigenze, no. A me diverte lavorarci, con
Ferrari, con Pininfarina. È divertente vedere
costruire qualcosa». Anche se per qualcun
altro, come la Ferrari «360 barchetta», che
regalò a Montezemolo per le sue nozze con
Ludovica Andreoni. Nella vita di automobilista di
Agnelli ci furono, invece,
poche Alfa e poche Lancia. È
vero che si fece carrozzare
da Zagato una «Thema
S.W.» e che utilizzò una «k»
limousine, ma «le auto del
suo cuore» ricorda un suo
collaboratore «furono
sempre Fiat. Aveva
l’orgoglio di guidare una
Fiat». È anche per questo,
forse, che - dell’impero che
comandava - è stato
identificato con l’auto. E
quando si diceva il «Signor
ECCO, È NOSTRA
Fiat» tutti pensavano non ai
Sembra dire Montezemolo alla
trattori, ai treni
moglie Ludovica, indicando il
o alle assicurazioni,
regalo di nozze di Gianni: una
«360 barchetta» unica al mondo.
bensì alle automobili.
L
«TESTAROSSA» SÌ
MA APERTA
Questa del 1986 è l’unico esemplare
di «Testarossa» spider. Grigia
metallizzata, aveva interni blu e
capote elettrica bianca.
1989
E
ra uscita da un anno la «Tipo» e
nell’89 usciva la Lancia «Dedra»,
sulla medesima piattaforma, che
darà origine anche a Fiat «Tempra» e
Alfa «155»: tempo di sinergie. Ma intanto, nelle pieghe del successo,
s’annidava il germe del futuro declino. La visione strategica di Ghidella e
quella di Romiti s’erano fatte sempre
Agnelli con la «Tipo» del 1988
68
1998
Romiti pigliatutto. E la Fiat?
Marzo 2003 • ATTUALITÀ
più divergenti, fino allo scontro aperto. Sarà l’Avvocato a dirimere la controversia a fine ’88: e sceglierà Romiti, perdendo il suo guru del prodotto,
il papà della «Uno» e della «Croma».
Nell’editoriale di gennaio di
«Quattroruote», un’analisi di Sergio
Ricossa sottolineava come «per Romiti l’auto è un prodotto come un
altro, sia pure quello che nella Fiat
ha più spazio (...), per Ghidella l’auto
era la Fiat. Romiti era per la diversificazione, Ghidella per massicci investimenti nel solo settore che per
lui li meritasse». E concludeva: «Il
tempo sarà il supremo giudice e dirà
quanto la mossa (di Agnelli, n.d.r.)
che gli chiedeva quando si sarebbe fatto da parte, Agnelli una
volta rispose: «Quando non sarò più
in grado di andare a sciare». Come
dire: finché le forze fisiche me lo
consentono... Il momento venne a 76
anni: l’Avvocato lasciò la presidenza
operativa del gruppo a Paolo Fresco,
l’«Americano», come è chiamato per
la sua militanza come numero due
alla General Electric. Subito si disse:
è arrivato a negoziare la vendita.
Agnelli rimase, però, presidente
onorario. Amministratore delegato
era in quegli anni Paolo Cantarella,
successo a Romiti, mentre alla guida
di Fiat Auto c’era Roberto Testore. Il
A
Da sinistra, Romiti, Ghidella, Agnelli
sia stata azzeccata». Oggi possiamo
dire, a costo di semplificare, che
Agnelli – forse abbagliato dalle ormai tentacolari attività della Fiat fece di nuovo l’errore in cui era incorso negli anni 70, quello di voltare
un po’ le spalle all’auto, che pure
così profondamente amava.
Arriva
il «Negoziatore»
gruppo Fiat era reduce da anni di
forte sviluppo in Sud America, ma in
Italia era passato dal 60% circa di
mercato del 1986 a meno del 40%,
mentre in Europa, con una penetrazione del 10,9%, era ormai soltanto
quarto, dietro a Volkswagen, a GM
(Opel più Saab) e a Peugeot-Citroën.
Cantarella e, a destra, Testore
2000
Sarebbe diventata la nuova «Eden Roc»,
questa «Multipla» con tetto asportabile,
citazione nostalgica dei formidabili anni 50
di Agnelli. Di certo si sa che l’Avvocato l’ha
commissionata a Pininfarina, un paio d’anni
fa, ma non fece in tempo a usarla.
Fiat-GM, un accordo che protegge la «famiglia»
i narra che già prima d’assumere
la carica di presidente nel 1966,
Gianni Agnelli vagheggiasse un accordo con la General Motors. Dovrà
arrivare all’età di 78 anni per vederlo
davvero nascere. Certo, il giovane
Agnelli non se lo immaginava così,
con la Fiat che ci arriva in condizioni
di debolezza, più a cercare un salvatore che un partner. Questo non è nel
DNA degli Agnelli. Ma è la realtà:
tanto vale prenderne atto, con disincanto, e cercare di vendere cara la
pelle. Per esempio, inserendo nell’accordo l’obbligo per gli americani
d’acquistare l’intero pacchetto azionario della Fiat dal 2004 qualora To-
S
L’ULTIMA
COMMESSA
rino decidesse di vendere. È il famoso
«put»: un capolavoro negoziale, un
«cappio» dal quale la GM sta cercando in ogni modo di sfilare la testa, e
che dà quindi alla Fiat un discreto
potere contrattuale. Alcuni operai,
preoccupati, dichiareranno all’annuncio della morte di Agnelli: «Lui era
l’unica garanzia che la Fiat resti italiana». Ma la clausola del «put» pare
fatta più per non farsi comprare che
per indurre gli altri a comprare. Gianni Agnelli, prima d’andarsene, farà in
tempo a vedere la «sua» Fiat dibattersi nella più grave crisi della sua
storia, ma farà in tempo anche a lasciare una struttura societaria piutto-
sto blindata, attraverso l’accomandita
di famiglia, e a investire il suo erede
designato, il nipote John Elkan. Secondo alcuni osservatori, con la
scomparsa di Agnelli si chiude l’era
del capitalismo delle grandi dinastie.
E probabilmente è vero. Ma Torino è
sempre capace di sorprese...
Roberto Lo Vecchio
2003 Si chiude un’era