Testimonianza - Fondazione Benetton Studi Ricerche

Transcript

Testimonianza - Fondazione Benetton Studi Ricerche
Testimonianza
di FRANCO POSOCCO
1
Chi è nato negli anni ’30 (o prima), ricorda il Veneto di allora, cioè il Veneto
rurale, dove la città era distinta dalla campagna e questa presentava ancora
l’immagine resa famosa dalla grande pittura della scuola veneziana.
Le riprese fotogrammetriche effettuate dagli aerei inglesi della Royal Air Force
nel 1943-44 ci documentano appunto questa straordinaria figurazione
paesaggistica, perfettamente percepibile nel disegno agrario.
Tuttavia secondo diversi studiosi dei fenomeni urbani e territoriali, proprio la
nostra regione è storicamente connotata da un rapporto complesso tra la città e la
campagna, se è vero che in genere nel nord-est, l’insediamento nasce policentrico
fin dalle sue origini e che nell’epoca moderna, l’organizzazione economica
dell’ambiente rurale ha come fulcro la villa, intesa come il centro di una azienda
decentrata anche nelle sue strutture direzionali e produttive.
La proiezione della città nel suo intorno è quindi da noi questione antica.
I germi poi di una generalizzata estensione urbana nel territorio esistono nel
Veneto almeno dall’epoca della cosiddetta “pax veneta”, quando, concluse le
guerre d’Italia e passato il pericolo di rovina dopo la drammatica vicenda della
Lega di Cambrai, Venezia dedicò ogni sua risorsa alla costruzione dello “Stato da
terra”, un organismo politico ed economico fondato non solo sui commerci, ma
anche sull’agricoltura.
Ma il ritmo della diffusione insediativa, avviato lentamente sotto la Serenissima e
proseguito con i primi fenomeni dell’industrializzazione sotto l’Impero d’Austria
ed il Regno d’Italia, muta completamente nel secondo dopoguerra, quando si
assiste ad una improvvisa e consistente accelerazione degli interventi extraurbani.
Anzi per certi versi l’edificazione esterna alla città in alcuni periodi è così intensa
da essere più consistente di quella che riguarda il tessuto cittadino, talché si può
parlare di un ribaltamento della città nella campagna, di un capovolgimento degli
interessi economici dell’impresa, di una autentica invasione dello spazio aperto,
sia in senso spaziale e strutturale, sia sotto il profilo funzionale e paesaggistico.
2
Due importanti iniziative politiche sembrano aver assunto proprio nel Veneto un
ruolo “scatenante” della trasformazione territoriale.
La prima, nota come “lodo De Gasperi”, modificando nell’immediato dopoguerra
i patti agrari e cioè i rapporti tra proprietario e coltivatore, ha progressivamente
eliminato la mezzadria, l’antico e fondamentale istituto giuridico che connotava le
campagne venete, dando luogo ad una riforma agraria basata sulla piccola
proprietà contadina.
Le grandi aziende aristocratiche si frazionarono, soprattutto nel Veneto centrale e
sorse una nuova classe: i “coldiretti”, dotata di un rilevante potere di
Nella città diffusa. Idee, indagini, proposte per la nebulosa insediativa veneta
Fondazione Benetton Studi Ricerche, materiali dal XIV corso sul governo del paesaggio, 2003
117
rappresentanza e di iniziativa politica.
Il contado e i suoi abitanti: i contadini, diventavano per la prima volta nella storia
protagonisti dello sviluppo.
I lotti agricoli di dimensione medio - piccola dei coltivatori diretti tendevano a
dotarsi di nuove strutture abitative e produttive distribuite nella campagna.
Il secondo fenomeno, altrettanto importante per la diffusione dell’insediamento
nello spazio aperto, è rappresentato dall’industrializzazione extra – urbana
determinata dalla legge sulle “aree depresse”.
Siamo negli anni ’50, la ricostruzione postbellica è pressoché completata ed
esplode il “boom economico”.
Poiché questo tende inizialmente a concentrarsi nelle aree forti e a determinare
rilevanti fenomeni di emigrazione (esterna e interna), la nuova disciplina vuole
favorire le aree più svantaggiate e soprattutto quelle rurali, avviando in queste
ultime la collocazione di attività produttive che possono lucrare sul differenziale
relativo al costo della manodopera (più cara in città, più conveniente in campagna)
e su quello riguardante gli oneri dell’infrastruttura (nelle zone depresse a carico
dello Stato).
Investire nei comuni agricoli marginali, fruenti dei benefici della legislazione
speciale, diventa assai conveniente e comunque più favorevole che in città.
Molti emigranti rientrano dall’estero, dove hanno acquisito il “know-how”
necessario per costruirsi la casa e per impiantare il “capannone”.
Casa e capannone costituiscono l’endiadi urbanistica tipica della “campagna
urbanizzata”, dizione coniata dal prof. Giuseppe Samonà direttore dell’IUAV per
designare il fenomeno in corso nel Veneto negli anni ’60.
Le reti viarie e quelle tecnologiche seguono il progredire dell’occupazione
territoriale, attrezzando la campagna al fine di poter facilitare l’insediamento
produttivo, delocalizzato perché deve inseguire la disponibilità di manodopera a
basso costo.
Un indubbio atteggiamento antiurbano caratterizza questi operatori: emigranti di
ritorno, “metalmezzadri” con doppio lavoro, tecnici formatisi a Marghera e nelle
altre zone industriali storiche della regione, i quali rifuggono dalla città, dato che
questa si caratterizza sempre più come la sede dei servizi e non più della
produzione.
Allo stesso modo la residenza tende a collocarsi nelle zone adiacenti alle
fabbriche, talché si assiste ad una “tracimazione” di popolazione verso i comuni
della prima cerchia extraurbana, successivamente in quelli della seconda cerchia,
come documentano all’epoca le rilevazioni dell’IRSEV.
I fenomeni sopraddetti si consumano entro gli anni ’60 e nei primi anni ’70, cioè
prima della nascita delle regioni ordinarie, come quella veneta, e quindi in assenza
di strumenti di pianificazione, dato che al I° aprile 1972, data di inizio delle
competenze regionali, nel Veneto solo una decina di comuni è dotata di strumento
urbanistico approvato.
L’eccezione al diffondersi di questo fenomeno in tutta la regione è rappresentata
118
Nella città diffusa. Idee, indagini, proposte per la nebulosa insediativa veneta
Fondazione Benetton Studi Ricerche, materiali dal XIV corso sul governo del paesaggio, 2003
dalle zone più esterne (Polesine, Bonifiche, Delta padano, Valli Veronesi, ecc.),
dove permane la grande proprietà agraria, (che non si fraziona) e dalle aree del
Bellunese, dove a seguito della formazione del Piano Comprensoriale per il
Vajont, (seconda metà degli anni ’60), vengono attrezzate aree industriali
incentivate, per dimensione sufficienti a soddisfare la domanda locale di
insediamento produttivo.
3
La Regione, com’è noto produrrà uno sforzo rilevante di accelerazione delle
procedure e di incentivazione alla formazione, a cura dei Comuni, dei Programmi
di Fabbricazione (prima) e dei Piani Regolatori Generali (dopo), talché alla fine
degli anni ’80 il territorio poteva considerarsi soggetto a regolamentazione
urbanistica e territoriale.
Il cosiddetto “sprawl” o dispersione insediativa, a quell’epoca si era già prodotto
e consolidato, dando luogo ad un assetto spaziale e ad una tendenza funzionale che
nel prosieguo si riveleranno irreversibili.
All’inizio degli anni ’90 del secolo scorso veniva anche approvato il PTRC Piano Territoriale Regionale di Coordinamento e quello comprensoriale per la
salvaguardia di Venezia e della sua laguna, (PALAV), mentre fin dal 1980 era in
vigore la legge urbanistica regionale (la L.R. n° 40/1980, poi sostituita dalla L.R.
n° 61/1985).
La Regione disponeva pertanto degli strumenti necessari per un controllo effettivo
dei fenomeni insediativi.
Gli insediamenti urbani erano infatti soggetti agli strumenti urbanistici, mentre un
rilevante sforzo venne fatto per censire i centri storici, le ville venete, i monumenti
sparsi, i biotopi naturalistici ed in genere i cosiddetti valori “invarianti” della città
e del territorio.
La città era quindi sottoposta alla pianificazione, ma si poneva fin da allora in tutta
la sua evidenza il problema del territorio aperto, del suo assetto, del suo uso, della
sua regolamentazione.
Le grandi trasformazioni avvenivano nel territorio aperto e questo appariva fuori
controllo.
La storia di quel periodo è stata recentemente ricordata nel fascicolo:
“Urbanistica – Quaderni, n° 25”, edito dall’INU nell’aprile 2000, anno VI della
collana editoriale.
Ad esso si rimanda per una più analitica descrizione.
Per la loro rilevanza ai fini della comprensione dell’inarrestabile procedere della
diffusione edilizia: residenziale e produttiva, tuttavia si devono ricordare almeno
due provvedimenti normativi, che hanno fortemente incrementato nel Veneto le
proporzioni del fenomeno.
4
A questo riguardo due iniziative legislative settoriali vennero assunte, del tutto
Nella città diffusa. Idee, indagini, proposte per la nebulosa insediativa veneta
Fondazione Benetton Studi Ricerche, materiali dal XIV corso sul governo del paesaggio, 2003
119
antitetiche rispetto alla disciplina che si stava configurando in materia urbanistica.
La prima fu rappresentata dalla L.R. n° 24/1985, (peggiorativa della L.R. n°
58/1978), che stabiliva norme per l’edificazione nel territorio agricolo.
Essa era disancorata, sia dai PRG adottati dai comuni, sia dal PTRC adottato dalla
Regione.
La normativa, assai permissiva anche rispetto a quella stabilita in sede nazionale
con il DM 2 aprile 1968 sugli standard, consentiva infatti di edificare nel territorio
aperto sulla base di parametri metrici indipendenti, sia dal valore paesaggistico e
monumentale del contesto, sia dalla reale richiesta di strutture produttive ai fini
dell’agricoltura.
In altri termini le case costruite in base alla legge per fini agricoli, venivano poi
abitate da famiglie impiegate in settori diversi da quello primario, mentre i
capannoni (gli annessi rustici), venivano utilizzati per funzioni produttive
(artigianali o industriali), diverse anch’esse dalla destinazione per la quale erano
stati costruiti.
Il secondo provvedimento, la L.R. n° 1/1982 (anch’essa peggiorativa rispetto alla
precedente L.R. n° 73/1978), riguardava i cosiddetti fabbricati produttivi edificati
“fuori zona”, cioè di solito siti nel territorio aperto.
Con questo secondo provvedimento si consolidarono innumerevoli capannoni
costruiti nella campagna e nelle zone residenziali della città.
A ciò si aggiungano gli effetti del condono “Nicolazzi” (legge n° 47/1985) e delle
diverse discipline di settore relative agli insediamenti commerciali, turistici, ecc.,
che in genere facilitarono l’insediamento sparso ed il consumo di territorio.
Le dimensioni di quest’ultimo sono state recente stimate ed esposte nel corso di
questo seminario, così come è stata sottoposta a stima la dimensione dello stock
abitativo della regione.
Per grandi numeri, si calcola infatti che si disponga nel Veneto di circa 10 milioni
di vani, cioè di circa 2 vani per abitante, dei quali un terzo esistenti alla fine della
guerra e due terzi edificati successivamente.
A tutta evidenza si tratta di un territorio “superurbanizzato”, che pone con
evidenza il problema del recupero dell’esistente, da privilegiare rispetto alla
nuova edificazione.
Questo sarà il tema ineludibile per la futura legge urbanistica e per la futura
pianificazione urbana e territoriale.
Naturalmente se si vuole salvare il Veneto dal disastro.
120
Nella città diffusa. Idee, indagini, proposte per la nebulosa insediativa veneta
Fondazione Benetton Studi Ricerche, materiali dal XIV corso sul governo del paesaggio, 2003