Alitosi: eziopatogenesi, diagnosi e trattamento

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Alitosi: eziopatogenesi, diagnosi e trattamento
Alitosi: eziopatogenesi, diagnosi e trattamento
(Prof. Silvio Abati)
Introduzione
Con i termini alitosi o foetor ex ore o bromopnea o, più comunemente, alito cattivo si indica
generalmente l’odore sgradevole o spiacevole dell’aria emessa dal cavo orale (1).
L’alitosi è una condizione che può interessare gli individui di ogni sesso ed età: femmine e
maschi, bambini, adulti e anziani. Essa può manifestarsi transitoriamente come caratteristica
parafisiologica correlata a taluni momenti o situazioni della vita quotidiana oppure essere
persistente e/o patologica, provocata da affezioni orali o sistemiche.
L’alitosi è un problema umano di cui si ha nozione fino dai tempi più antichi: è possibile trovare
scritti sulle cause e sui rimedi al cattivo odore orale risalenti ai tempi dei Greci e dei Romani ed
esistono riferimenti storicoreligiosi, morali e terapeutici all’alito cattivo, nell’Antico Testamento e
in altri testi sacri ebraici, islamici e orientali (2).
La prima monografia dell’era moderna sul tema è stata pubblicata da Howe nel 1898 con l’intento
di riportare i contributi più aggiornati di diversi esperti dell’epoca (8). La ricerca scientifica
sperimentale sull’alitosi inizia con alcuni contributi intorno al 1930 (4, 5), per trovare
principalmente dagli anni settanta in poi definitiva organizzazione con approfondimento dei
differenti aspetti eziopatologici, clinici e terapeutici del problema, con il lavoro dei gruppi
coordinati da Joe Tonzetich alla University of British Columbia di Vancouver (Canada) (6) e da
Mel Rosenberg alla University of Tel Aviv (Israele) (7).
Diversi aspetti scientifici relativi all’alitosi sono ancora poco conosciuti, ma l’attuale rilevanza
sociale ed economica del problema è sicuramente notevole. Ciò non solo per quanto concerne la
richiesta di esami e cure mediche e odontoiatriche finalizzate alla diagnosi e al trattamento
dell’alitosi, ma anche per quanto riguarda l’enorme consumo di prodotti generici o specifici, quali
collutori, dentifrici, spazzolini, gomme da masticare e caramelle, con l’obiettivo di correggere il
cattivo odore dell’alito.
L’odore sgradevole proveniente dalla bocca ha inoltre importanti implicazioni psicologiche
personali e collettive: per molti individui è causa di notevole preoccupazione nei momenti della vita
di relazione in cui si intrattengono rapporti sociali o affettivi (8).
L’alitosi è infatti notoriamente un disturbo molto fastidioso, non solo per coloro che
percepiscono quella dei propri simili ma soprattutto per coloro che vengono informati, sempre dai
propri simili, di soffrirne.
In relazione ai progressi delle conoscenze scientifiche e all’aumentata considerazione individuale
per la cura della propria immagine, si è osservato negli ultimi anni l’aumento dell’interesse degli
odontoiatri e dei pazienti riguardo a questo problema. In particolare nei paesi anglosassoni si sono
diffusi centri specializzati nella diagnosi e trattamento dell’alitosi e nel world wide web è
attualmente presente una grande quantità di siti informativi e pubblicitari sull’alitosi e sulle
tecniche e prodotti per trattaria.
Questa monografia ha come obiettivo la trattazione delle cause prevalenti dell’alitosi e
l’impostazione di un corretto iter diagnostico e terapeutico dei pazienti affetti che si rivolgono
all’attenzione dell’odontoiatra.
Epidemiologia
Non sono ad oggi disponibili dati definitivi di prevalenza dell’alitosi, soprattutto in relazione alla
difficoltà della valutazione obiettiva della presenza del disturbo. Se l’esperienza quotidiana
personale tuttavia consentisse di esprimere un giudizio, potremmo affermare che l’alito cattivo,
come manifestazione transitoria o permanente, è una condizione molto, molto frequente tra gli
umani e anche in alcune specie animali domestiche.
Alcuni studi tuttavia hanno valutato la prevalenza di alito cattivo in gruppi più o meno
rappresentativi della popolazione generale: una ricerca realizzata in Giappone ha evidenziato che
fino al 23% della popolazione esaminata presentava odore sgradevole dell’alito che superava la
soglia socialmente accettabile (9).
In uno studio del 1049 è stato osservato che il 50% circa dei soggetti era affetto da alitosi al
risveglio mattutino (10). Negli Stati Uniti il 24% dei soggetti al di sopra dei 60 anni di età dichiarò
di avere subito osservazioni spiacevoli sul proprio alito (11). Un rilevamento professionale
effettuato nel 1995 tra gli odontoiatri americani ha evidenziato che il 50% di essi riceve richieste
riguardanti l’alitosi da 67 pazienti per settimana (12).
Segno, sintomo o malattia?
Le origini del cattivo odore dell’alito possono essere molteplici e correlabili a diverse condizioni
fisiologiche e patologiche, orali e non orali. Il cavo orale è una entità anatomofunzionale con
diverse funzioni e caratteristiche ecologiche, fisiopatologiche e cliniche, e prende parte strutturale e
funzionale agli apparati respiratorio e digerente, di cui costituisce il tratto iniziale. L’aria emessa
dal cavo orale è quindi costituita dall’atmosfera propria degli spazi orale, oro e nasofaringeo,
tracheale e polmonare, talvolta con contributo del contenuto aereo esofageo e gastrico in caso di
beanza o incontinenza dello sfintere cardiale. Teoricamente quindi, le possibili cause di alitosi sono
tutte le condizioni e malattie orali, otorinolaringoiatriche, polmonari, gastroesofagee o sistemiche
in cui vengono prodotti localmente o sistemicamente e immessi nell’aria espirata composti volatili
con odore percepibile più o meno sgradevole (Tab. 1) (1, 7, 18).
Sarà quindi opportuno considerare l’alitosi:
•
•
una entità parafisiologica o patologica a sé stante quando provocata da eventi fisiologici o
patologici locali di origine strettamente orale, che conferiscono cattivo odore all’aria espirata
in transito dalla bocca, oppure
un sintomo o segno espressione di eventi o patologie extraorali o sistemici quando le
sostanze con odore sgradevole non vengono prodotte a livello orale.
Cause di alitosi
Cause orali
Patina batterica linguale
Igiene orale scadente
Gengivite, parodontiti
A.n.u.g.
Cavità carnose non trattate
Protesi totali
Xerostomia
Infezioni orali
Stomatiti ulcerative
Cancro orale
Cause non orali
Cibi alitogeni: aglio, cipolla
Fumo di tabacco
Bevande alcoliche
Farmaci
Malattie o.r.l.
Malattie gastroenteriche
Epatopatie
Nefropatie con uremia
Trimetilaminuria
Alitofobia
Come ovvio è quantitativamente differente il contributo delle diverse possibili sedi di produzione
di composti maleodoranti e delle diverse condizioni patologiche alla genesi dell’alitosi
comunemente evidenziabile nella popolazione.
Contrariamente a quanto si ritiene in genere, la ricerca scientifica dei recenti decenni ha
dimostrato che le cause dell’alitosi sono prevalentemente orali: il disturbo è infatti provocato nella
maggior parte dei casi dalla presenza nell’aria espirata di composti volatili con cattivo odore,
principalmente composti volatili solforati (VSC), prodotti nel cavo orale da microrganismi in grado
di metabolizzare residui alimentari e cellulari (6, 14, 15).
Il contributo epidemiologico delle malattie e condizioni patologiche sistemiche o comunque non
orali è estremamente basso e non considerabile in caso di alitosi senza altri sintomi o segni
specifici extraorali o sistemici.
Una esaustiva revisione di Delanghe e coli. sull’attività svolta presso un centro multidisciplinare
universitario per il trattamento dell’alitosi ha evidenziato che in 406 pazienti trattati l’alitosi era
nell’87% dei casi di origine strettamente orale. Tra le cause non orali documentate nello studio vi
erano al primo posto le affezioni di origine otorinolaringoiatrica (8%) e nell’1% solamente i
disturbi gastroenterici (16).
Alitosi da alimenti, abitudini voluttuarie e farmaci
Alcune abitudini voluttuarie e l’assunzione di alcuni cibi, bevande e farmaci possono conferire
particolari odori all’aria espirata, in modo transitorio o continuo.
È universalmente noto che il consumo di alcuni alimenti come aglio, cipolle, porri e di alcune
spezie può causare la presenza di odori sgradevoli dell’alito per periodi fino a 72 ore dopo
l’assunzione. Questo fenomeno è in gran parte dovuto alla volatilizzazione nell’aria alveolare,
attraverso il circolo polmonare, di metaboliti maleodoranti circolanti nel torrente ematico in seguito
all’assorbimento e metabolismo di tali cibi; l’escrezione di tali composti può verificarsi anche
attraverso la saliva (1, 17).
L’assunzione di alcol etilico, sia contenuto in bevande per uso voluttuario sia in alcune
preparazioni farmacologiche, è una comune causa di alitosi tipicamente riconoscibile.
Anche l’abitudine al fumo di tabacco, sia esso di sigaretta, di pipa o di sigaro, conferisce all’alito
dei soggetti che ne fanno uso un odore caratteristico e persistente, parzialmente dovuto a composti
volatili solforati; anche il fumo passivo è in grado di alterare l’alito di soggetti non fumatori (1,
10).
Alcuni farmaci possono provocare, come effetto secondario indesiderato, situazioni transitorie di
alitosi dovute a cataboliti terminali rilasciati nella circolazione sistemica ed eliminati attraverso
diverse vie, tra cui quella polmonare. I farmaci di cui è noto l’effetto alitogeno sono il
dimetilsulfossido, che può conferire all’alito un odore simile a quello dell’aglio, il disulfiram, i
nitrati come l’isosorbide dinitrato e alcuni farmaci citostatici (18, 18). La riduzione del flusso
salivare provocata da alcune terapie farmacologiche (farmaci psicoattivi, antiipertensivi) influisce
negativamente sull’alitosi diminuendo le capacità autodetersive orali e favorendo la proliferazione
dei biofilm orali.
Alitosi da cause orali
Eziopatogenesi dell’alitosi e alitosi fisiologica
Come già affermato, le cause più frequenti di alitosi risiedono in condizioni ed eventi fisiologici,
parafisiologici o patologici con sede orale (15, 16). L’alitosi da cause orali è caratterizzata dalla
presenza nell’alito di composti prodotti a livello della superficie delle strutture orali e nella saliva,
che per le condizioni fisicochimiche locali volatilizzano nell’atmosfera orale e vengono raccolti e
trasportati all’esterno della bocca durante gli atti espiratori e la fonazione. Essi comprendono i
composti solforati volatili (VSC = volatile sulphur compounds), in particolare il solfuro di
idrogeno o idrogeno solforato (H,S), il metilmercaptano o metantiolo (CH,SH), gli acidi grassi a
catena alifatica corta come l’acido butirrico, l’acido valerico, l’acido isovalerico e l’acido
propionico ed anche composti diaminici, poliaminici e indolici come lo scatolo, la metilamina, la
putrescina e la cadaverina (6, 14).
I composti non solforati hanno verosimilmente un ruolo secondario nella genesi dell’alitosi,
comportandosi come agenti modificatorimodulatori.
I composti volatili solforati vengono prodotti nel cavo orale ad opera dell’azione metabolica dei
microrganismi che provocano la putrefazione delle sostanze organiche, principalmente proteiche,
contenute nella saliva, nei residui alimentari, nelle cellule di sfaldamento della mucosa orale, nel
fluido crevicolare, nel sangue libero eventualmente presente in caso di gengivite, parodontite o
soluzioni di continuo delle mucose (14). I livelli di tali composti presenti nell’atmosfera orale sono
correlati con l’intensità dell’alitosi valutabile organoletticamente, ossia quantificabile direttamente
fiutando l’aria emessa dal cavo orale del paziente (14, 19).
I composti volatili dello zolfo erano stati già individuati come causa di cattivo odore dell’alito in
sperimentazioni eseguite in vitro su campioni di saliva incubata a temperatura fisiologica (87 ºC),
nei quali si osservava l’attività metabolica putrefattiva su substrati proteici di diversa origine,
attribuibile ad alcune specie batteriche normalmente presenti come comuni commensali del cavo
orale (6). Negli anni settanta il gruppo di Tonzetich ottenne valutazioni qualitative e quantitative
mediante l’utilizzo della gascromatografia con spettrometria a fiamma su campioni di aria espirata
dai soggetti in esame e su campioni della loro saliva opportunamente incubati; dai dati ricavati è
emerso che l’odore generato dall’attività proteolitica batterica era dovuto in massima parte alla
produzione di composti solforati che, in quanto volatili, abbandonano il substrato acquoso e si
accumulano nell’aria dello spazio aereo orale. Il 90% circa di essi era costituito da
metilmercaptano e solfuro di idrogeno (6).
Con studi biochimici e microbiologici è stato confermato che i microrganismi orali in grado di
produrre composti volatili solforati sono soprattutto le specie batteriche gram negative facoltative o
anaerobe obbligate (20).
Esistono diverse vie metaboliche batteriche in grado di dare origine ai composti volatili solforati
a livello orale: sono principalmente le reazioni riduttive dei solfati e il catabolismo degli aminoacidi
contenenti zolfo metionina, cisteina e cistina, che derivano dall’attività proteolitica della flora orale
(21); dalla degradazione di questi aminoacidi risulta la produzione di solfuro di idrogeno e
metilmercaptano (Fig. 1). Le diverse specie di Peptostreptococcus, Euba,cterium, Selenomonas,
Centipeda, Bacteroides e Fusobacterium sono risultate particolarmente attive nella capacità di
produrre solfuro di idrogeno dalla Lcisteina, mentre alcune specie di Fusobacterium, Bccteroides,
Porpkyromonas e Eubacterium sono in grado di produrre metilmercaptano dalla Lmetionina (22).
Le caratteristiche fisicochimiche, biochimiche ed ecologiche locali influiscono sulla qualità, la
quantità e la volatilizzazione dei composti alitogeni prodotti dal metabolismo putrefattivo che
avviene nei biofilm orali, rendendo ragione delle variazioni osservabili nella qualità e nell’entità
dell’alitosi nei diversi soggetti e nelle diverse situazioni fisiologiche e patologiche individuali. In
particolare è stato dimostrato che la produzione e la volatilizzazione dei composti solforati
diminuiscono in caso di variazione in senso acido del pH orale, di aumento del tenore di ossigeno
locale e in presenza di glucidi fermentabili (6, 14, 21).
Tra le diverse nicchie ecologiche abitate dai biofilm orali, i siti di colonizzazione batterica che
maggiormente contribuiscono alla produzione dei composti volatili alitogeni sono principalmente la
superficie dorsale della lingua e, in minor misura, i solchi gengivali.
La superficie dorsale della lingua è rivestita dalla cosiddetta “mucosa specializzata”, differenziata
nelle estroflessioni epitelioconnettivali costituenti le papille gustative filiformi e fungiformi, le quali
hanno la funzione principale di aumentare enormemente la superficie disponibile per favorire la
sensibilità gustativa e propriocettiva di ausilio alle attività fisiologiche alimentari. La presenza di
queste irregolarità superficiali rende il dorso della lingua un habitat ideale per una ricca e complessa
flora batterica, che, insieme alle cellule superficiali in sfaldamento e ai detriti alimentari, forma una
patina il cui spessore risulta variabile nelle diverse aree del dorso della lingua e in relazione ai
periodi della giornata, alle maggiori o minori attività funzionali, al livello di igiene orale individuale
(Fig. 2).
Secondo diversi autori, la superficie dorsale della lingua, in particolare il suo terzo posteriore, è la
sede principale dei processi orali di putrefazione batterica, sia negli individui con buona salute orale
sia in quelli affetti da gengiviti e parodontiti (6, 15, 18, 23, 24).
I risultati preliminari di uno studio in corso presso la nostra Clinica hanno evidenziato con la
microscopia elettronica a scansione gli aspetti morfologici dei biofilm che rivestono la mucosa della
lingua, che nei pazienti affetti da alitosi risultano anche morfologicamente simili a quelli delle
superfici radicolari dentali in corso di parodontite attiva (Fig. 8) (25).
Un fattore importante che contribuisce al mantenimento della salute dei tessuti e garantisce le
attività fisiologiche dell’ambiente orale è la saliva, prodotta dalle ghiandole salivari maggiori e
minori. La saliva ha differenti ruoli nei meccanismi di sviluppo dell’alitosi: essa apporta ossigeno ai
biofilm orali inibendo la crescita dei microrganismi anaerobi, i maggiori responsabili della
produzione dei composti volatili solforati; neì contempo la saliva trasporta all’interno dei biofilm i
substrati ossidabili che sono causa del maggiore consumo di ossigeno e della sua conseguente
deplezione, con facilitazione delle attività metaboliche batteriche alitogene. Quando il flusso
salivare è abbondante l’apporto di ossigeno ai tessuti orali è maggiore e viene facilitato
l’allontanamento meccanico dei residui alimentari e dei detriti cellulari; quando invece la quantità
di saliva risulta essere relativamente scarsa, prevalgono le condizioni favorenti lo sviluppo del
cattivo odore (21).
Le considerazioni eziopatogenetiche espresse spiegano i livelli variabili di alitosi di origine orale,
considerabile fisiologica o parafisiologicc, che si possono manifestare anche nei soggetti in buone
condizioni di salute orale, in particolare al risveglio mattutino, dopo periodi di fonazione
prolungata, al termine dei periodi di digiuno tra un pasto e il successivo (Fig. 4) (6, 26).
Al risveglio mattutino infatti la concentrazione orale di volatili solforati risulta maggiore a causa
della diminuzione dei movimenti attivi orali e del flusso salivare durante il sonno, con conseguente
compromissione dell’equilibrio biochimico, dell’attività autodetersiva orale e dell’attività
putrefattiva batterica. Fattori aggravanti queste condizioni sono la respirazione orale o
prevalentemente orale notturna e la riduzione dell’umidità atmosferica negli ambienti domestici, ad
esempio nei mesi invernali quando sono attivi gli impianti di riscaldamento.
Dopo i pasti, in particolare se non vengono applicate opportunamente le manovre igieniche orali,
aumenta il metabolismo batterico dei nutrienti proteici contenenti aminoacidi solforati: nel periodo
di digiuno successivo, a distanza di tempo variabile dall’ultimo pasto, è quindi accentuata la
volatilizzazione dei composti alitogeni.
Le abitudini alimentari influiscono sullo sviluppo dell’alitosi del digiuno postprandiale: oltre agli
alimenti che provocano alitosi con meccanismi nonorali (aglio, cipolle e simili), può essere causa di
alitosi l’elevata assunzione di cibi proteici contenenti aminoacidi solforati, come carni e prodotti
caseari, che forniscono in misura maggiore le fonti ed i substrati principali per il metabolismo
batterico putrefattivo. La frequenza dei pasti è importante perché i movimenti masticatori e la
frizione del bolo alimentare consentono l’allontanamento autodetersivo di substrati e cellule
batteriche. Inoltre, prima e durante il pasto viene stimolato l’aumento del flusso salivare.
L’immissione di carboidrati fermentabili nel cavo orale induce invece il viraggio del pH verso
valori più bassi, mediante produzione di acidi organici da parte dei batteri aerobici che colonizzano
le superfici dentali. Questa condizione di relativa acidità risulta essere inibitoria nei confronti della
sintesi di VSC (21), pur ovviamente favorendo lo sviluppo della carie dentale.
Alitosi e condizioni patologiche orali
Tutte le condizioni orali in cui aumentano l’entità della colonizzazione batterica e/o la quantità di
materiali proteici come residui alimentari, essudato, pus, tessuti necrotici, sono una comune causa
di alitosi accentuata (1, 6, 15). I soggetti in condizioni di scarsa igiene orale (Fig. 5), i pazienti con
ampie lesioni cariose aperte non trattate, i pazienti affetti da gengivite, da gengivite acuta
ulcerativanecrotizzante (ANUG), da parodontiti, da infezioni odontogene e non odontogene dei
tessuti molli, acute e croniche, da stomatiti acute o croniche ulcerative non trattate come le malattie
bollose, l’eritema multiforme orale, le gengivastomatiti erpetiche, le candidasi acute presentano
solitamente alitosi persistente di variabile intensità. Nei pazienti portatori di neoplasie maligne
vegetanti e/o ulcerate l’alitosi è principalmente dovuta al ristagno di residui alimentari e alla
presenza di tessuto necrotico, con conseguente accentuazione della putrefazione proteica batterica. I
pazienti nel periodo postoperatorio conseguente a interventi chirurgici endorali possono presentare
accentuata alitosi se non vengono messe in atto misure per la detersione delle ferite e per il
controllo della loro superinfezione da parte dei microrganismi dei biofilm orali.
Le irregolarità strutturali della superficie dorsale della lingua, quali le fissurazioni più o meno
profonde e più o meno numerose, esemplificate nella figura 6, costituiscono un fattore favorente il
ristagno di residui proteici e microrganismi con produzione di composti alitogeni (28).
Similarmente, tutte le situazioni iatrogene che favoriscono l’intasamento e la ritenzione di placca
batterica, di detriti organici e alimentari e che rendono inefficaci le manovre di igiene orale
personale sono favorenti l’insorgenza di alitosi più o meno accentuata: ad esempio la presenza di
restauri incongrui senza rispetto del punto di contatto o del profilo anatomico degli elementi dentali
(Fig. 7) e le superfici dei materiali da restauro non adeguatamente levigate.
Un discorso a parte merita la considerazione del ruolo delle protesi parziali o totali rimovibili; in
uno studio condotto da Goldberg e coli. su un campione di soggetti portatori di protesi totale
rimovibile si individuò la presenza di microrganismi appartenenti alla famiglia delle
Enterobacteriaceae nell’ecosistema orale; queste forme microbiche non fanno parte della comune
flora del cavo orale ma presentano una grande affinità di legame con il materiale acrilico dei
manufatti protesici. Questi batteri sono in grado di provocare la produzione di composti
maleodoranti nella coltivazione in vitro, da qui l’ipotesi che essi potessero essere corresponsabili
della genesi dell’“alitosi da protesi” (2g(.
Alitosi, gengivite e parodontiti
Il riscontro di microrganismi gram negativi e anaerobi nei biofilm linguali di soggetti affetti da
alitosi, ad esempio Treponema Denticola, Porpkiromoncs Gin,giva,lis e Bacteroides Forsytkus, noti
parodontopatogeni, e la dimostrazione della loro attività come produttori di VSC rende ragione del
fatto che l’alitosi sia uno dei sintomi principali associati alle gengiviti e alle parodontiti: le
medesime specie batteriche colonizzano infatti i solchi gengivali patologici (Fig. 8). Yaegaki e coli.
hanno evidenziato una correlazione statisticamente significativa tra le condizioni patologiche
parodontali e il sintomo alitosi: in soggetti affetti da parodontite sono stati riscontrati
strumentalmente nell’atmosfera orale livelli di composti volatili sulforati otto volte superiori a
quelli del gruppo di controllo con condizioni di buona salute dei tessuti parodontali; la produzione
di VSC tendeva ad aumentare secondo un rapporto di proporzionalità diretta con la misura della
profondità delle tasche parodontali presenti; il medesimo studio inoltre stabilì che oltre il 60% dei
VSC aveva origine dalla superficie dorsale della lingua e che la quantità di placca linguale era circa
quattro volte maggiore di quella presente nei soggetti del gruppo di controllo (24).
L’analisi dei composti volatili solforati orali nei soggetti con patologia parodontale evidenzia una
frazione maggiore costituita da metilmercaptano derivante dalla metionina presente nel fluido
crevicolare, la cui essudazione è aumentata in caso di malattia attiva (14, 24). Anche il
sanguinamento gengivale contribuisce a fornire in questi pazienti ulteriori fonti di substrati proteici
per i microrganismi produttori di VSC (20).
Secondo alcuni recenti studi, i composti volatili solforati avrebbero un ruolo patogeno favorente
l’insorgenza di patologia parodontale. È stato infatti evidenziato che elevati livelli orali di H,S e
CH,SH aumentano la permeabilità della mucosa, stimolano la produzione di citochine
proinfiammatorie e modulano le funzioni dei fibroblasti parodontali (Fig. 9) (28)
Alitosi da cause extraorali e sistemiche
Tra le cause non orali di alitosi devono essere riportate alcune serie patologie che in fase di
scompenso sono associate a disturbi metabolici sistemici: esse possono conferire caratteristici odori
all’alito dei pazienti affetti. Le principali di esse sono il diabete mellito, l’insufficienza renale
cronica e le epatopatie gravi (18). Il diabete mellito può essere caratterizzato da un tipico odore
chetonico dell’alito (respiro chetonico) dovuto al passaggio nell’aria alveolare polmonare di
acetone ed altri corpi chetonici prodotti in eccesso in conseguenza del metabolismo glucidico
anomalo (20). Nell’insufficienza renale cronica con uremia l’alito del paziente può avere un
caratteristico odore di pesce avariato (alito uremico) causato dall’emissione di composti chimici
quali la dimetilamina [(CH,) 2NH] e la trimetilamina [(CH,) 8NH]. (80) Il paziente affetto da
cirrosi epatica può avere il cosiddetto foetor hepaticus risultante dall’eliminazione respiratoria di
acidi alifatici a catena corta, e di composti solforati quali metilmercaptano, etantiolo e
dimetilsolfuro (81).
Come accade per le affezioni orali, l’alitosi può essere più o meno marcata nelle malattie delle
strutture in comunicazione con il cavo orale appartenenti agli apparati respiratorio e gastroenterico,
dove fenomeni infiammatori, infettivi o neoplastici causano lo sviluppo di microrganismi
putrefattivi in presenza di substrati proteici, quali essudati, secrezioni patologiche, pus o tessuti
necrotici.
Le più frequenti tra le cause non orali di alitosi sono le affezioni infettivoinfiammatorie di
interesse otorinolaringoiatrico, principalmente le sinusiti acute e croniche, le tonsilliti acute e
croniche con essudato purulento nelle cripte tonsillari (Fig. 10) o tonsilloliti, la presenza di cripte
tonsillari anormalmente profonde e l’ostruzione respiratoria nasale da alterata dinamica dei flussi
aerei. A questo proposito, è stato proposto e dimostrato da Rosenberg che uno dei contributi
principali alla alitogenicità dei biofilm e della patina linguali consiste nel cosiddetto “postnasal
drip” cioè nello scolo dalle coane di secrezioni mucose ricche di proteine e microrganismi che si
depositano sulla superficie del terzo posteriore della lingua (7, 16).
Tra le malattie broncopolmonari e gastroenteriche, in modo più rilevante sono in grado di
contribuire allo sviluppo di alitosi le bronchiectasie, gli ascessi polmonari, le malattie esofagee con
incontinenza sfinterica gastroesofagea, le malattie neoplastiche maligne esofagee, gastriche e
polmonari (15). In pazienti affetti da carcinoma broncogeno sono stati eseguiti studi accurati
mediante utilizzo di tecniche di misurazione gascromatografica volti a valutare la composizione
dell’aria espirata, con rilevamento di composti volatili che non erano rilevabili nei gruppi di
controllo. Sono stati specificamente individuati composti quali acetone, metiletilchetone,
npropanolo ed elevate e caratteristiche concentrazioni di otoluidina (32).
Contrariamente a quanto si ritiene comunemente, l’alitosi da cause gastriche risulta estremamente
rara; nei soggetti sani, infatti, l’esofago è normalmente collassato e lo sfintere cardiale chiuso.
Mentre gli episodi di eruttazione possono provocare l’occasionale presenza di cattivo odore nel
cavo orale, la possibilità di un continuo passaggio di aria proveniente dall’apparato gastroenterico
non è realistica (17, 21).
Nei recenti anni l’infezione gastrica da Helicoba,cter pylori (HP) è stata ritenuta responsabile di
alitosi nei pazienti affetti (33). Un recente studio ha confermato l’associazione dimostrando la
correzione dell’alitosi dopo trattamento dell’infezione da HP (88). I pareri in letteratura non sono
tuttavia concordi, soprattutto in relazione alla prospettata difficoltà di evitare bias rilevanti in
considerazione dell’effetto sulla flora orale della terapia antibiotica per l’eradicazione dell’HP (1).
La trimetilaminuria o fish odor syndrome è una malattia metabolica di origine genetica in cui
nell’urina, nel sangue, nell’aria espirata dei soggetti affetti sono presenti quantità patologiche di
trimetilamina, composto volatile che conferisce alle secrezioni corporee odore di pesce avariato
molto sgradevole (35). La trimetilamina deriva dalla degradazione di colina e carnitina, presenti nei
cibi ingeriti, ad opera della flora batterica intestinale: in condizioni normali questa amina terziaria,
assorbita dalla mucosa intestinale, va incontro ad un processo di nossidazione e viene escreta come
composto ossidato inodore; nei pazienti affetti dalla malattia questa reazione non avviene a causa
di un difetto enzimatico e il composto viene eliminato come tale. Il difetto enzimatico ha
trasmissione genetica autosomica recessiva e ha espressione completa nei soggetti portatori
dell’anomalia omozigote, situazione peraltro molto rara. Un recente studio ha però evidenziato che
i soggetti eterozigoti, molto più frequenti e normalmente non sintomatici, se sottoposti ad un carico
anomalo di precursori per eccessiva introduzione alimentare, possono manifestare odore anomalo
dell’alito e delle secrezioni corporee (36).
Alitofobia
L’alitosi immaginaria o alitofobia è una condizione su base psicopatologica in cui il paziente
lamenta la presenza persistente di cattivo odore dell’alito, che non è invece oggettivamente rilevata
né riferita da altri (8, 15).
Tipicamente, i pazienti affetti considerano inutili ed infruttuosi i trattamenti rivolti alla
correzione dell’alitosi tramite l’adozione delle opportune misure di igiene orale e spesso si
rivolgono a diversi specialisti sottoponendosi a numerose indagini cliniche. Essi percepiscono
spesso erroneamente i significati dei comportamenti altrui, come se fossero causati dal proprio
sgradevole odore: ad esempio l’allontanamento relativo dell’interlocutore durante una
conversazione, il gesto di coprirsi il volto da parte dello stesso, o particolari atteggiamenti della
mimica facciale. I soggetti alitofobici possono essere distinti in due principali sottogruppi: i
pazienti affetti da “alitosi immaginaria”, in cui non esiste un rilievo oggettivo del cattivo odore del
loro alito; essi non accettano come plausibile la spiegazione che la loro convinzione sia priva di
fondamento. Del secondo gruppo fanno parte invece individui che sono realmente affetti da alitosi
ma che presentano forti tendenze alla psicosomatizzazione sistemica della condizione; questi ultimi
non credono che il loro problema possa essere ridotto o addirittura eliminato dopo i trattamenti
locali prescritti e persistono nel lamentare la continua presenza del loro sintomo (87).
Uno studio di Rosenberg e coli. ha delineato le caratteristiche psichiche principali dei pazienti
alitofobici: si tratta di soggetti con accentuati complessi di inferiorità, estremamente emotivi e con
scarse propensioni alle relazioni sociali; alcuni manifestano caratteristiche ansioso/depressive e, nei
casi più seri, atteggiamenti ossessivocompulsivi. Lo stile di vita di questi individui è fortemente
condizionato dal disturbo, tanto da condurli frequentemente all’isolamento sociale e, nei casi più
gravi, a propositi suicidi (8).
Il trattamento di questi pazienti è complesso e necessita di valutazione e intervento dello
psicologo o dello specialista psichiatra.
Diagnosi
Nell’ambito di un corretto svolgimento dell’iter diagnostico e terapeutico del paziente, la
valutazione della presenza e delle caratteristiche dell’alitosi dovrebbe essere parte integrante della
valutazione comprensiva del paziente odontoiatrico.
L’alitosi riferita dal paziente o riscontrata dall’odontoiatra rappresenta un segno e un sintomo
diretto della presenza di anomalie o condizioni patologiche orali talora misconosciute o
sottovalutate o, più raramente, di malattie generali; l’alitosi inoltre evidenzia indirettamente la
qualità e l’efficacia delle pratiche di igiene orale personale.
Per il paziente, l’attenzione del proprio odontoiatra verso l’alitosi, spesso erroneamente
medicalizzata in senso sistemico oppure confinata ad ambiti puramente cosmetici e non scientifici,
può rappresentare un segno di qualificazione del professionista.
L’approccio al soggetto affetto da alitosi implica la discussione e la valutazione di aspetti
corporci e argomentazioni personali e/o intime, quali gli stili di vita e l’immagine pubblica del sé,
quindi necessita da parte dell’odontoiatra una particolare disposizione e attenzione per stabilire con
il paziente una adeguata alleanza terapeutica, da cui sicuramente può trarre giovamento la qualità
del rapporto odontoiatrapaziente.
La sequenza clinica qui proposta, utile per la valutazione diagnostica dei pazienti che si
rivolgono all’odontoiatra per un problema di alitosi, è basata sulle informazioni affrontate e
sistematizzate in una serie di pubblicazioni (7, 19, 88) e viene adottata nell’Unità clinica per la
Diagnosi e la Terapia dell’Alitosi attiva presso la Clinica Odontostomatologica del Dipartimento di
Medicina, Chirurgia e Odontoiatria dell’Università degli Studi di Milano.
Esame clinico del paziente affetto da alitosi
La valutazione clinica odontostomatologica del paziente che riferisce problemi di alitosi inizia
con un approfondito colloquio anamnestico finalizzato a chiarire le caratteristiche dell’alitosi nel
caso specifico e le eventuali correlazioni con stili o abitudini di vita e con anomalie o malattie
orali, extraorali o sistemiche pregresse o in corso.
In particolare è opportuno indagare:
•
•
•
•
•
•
se la nozione di presenza di alitosi che il paziente riferisce deriva da una sensazione
individuale o dalle valutazioni di un familiare o di una persona comunque “confidente” di cui
il paziente abbia fiducia, anche per la verifica degli eventuali risultati terapeutici conseguiti;
l’eventuale comparsa del sintomo alitosi dopo delusioni sociali o affettive è indicativa di una
probabile componente alitofobica della condizione;
la persistenza nel tempo o la transitorietà dell’alitosi e la relazione tra presenza della
condizione e momenti e attività quotidiani, quali il risveglio mattutino, il digiuno tra un pasto
e il successivo, i pasti stessi, la fonazione prolungata se il paziente opera in alcuni settori
professionali, ad esempio l’insegnamento o le professioni legali;
l’assunzione abitudinaria di alimenti alitogeni e le caratteristiche della dieta, in termini di
relativa prevalenza di alimenti proteici favorenti l’alitosi orale postprandiale;
le abitudini voluttuarie quali assunzioni di tabacco e/o alcolici;
l’assunzione abituale di farmaci che possono direttamente provocare alitosi o influire
negativamente su di essa riducendo la secrczione: salivare, quali ad esempio gli
antiipertensii. gli ansiolitici e i neurolettici;
le caratteristiche delle manovre igieniche orali che il paziente effettua abitualmente, l’uso di
filo interdentale, l’utilizzo di collutori e di presidi vari (caramelle, chewinggum) a scopo
correttivo dell’alito ed i risultati ottenuti.
L’anamnesi patologica remota e prossima dovrà tenere in considerazione tutte le condizioni di
alterazione della salute orale di specifica pertinenza odontoiatrica, quali la presenza di sintomi
indicativi di patologia dentale, parodontale, stomatologica e l’adeguatezza o inadeguatezza dei
manufatti presenti. Per quanto riguarda i quadri clinici extraorali e sistemici, particolare attenzione
deve essere rivolta all’indagine su disturbi, malattie, interventi terapeutici delle vie aeree superiori
(rinofaringe, cavità nasali e paranasali), pregressi traumi facciali, chirurgia estetica (rinoplastica) o
patologie tumorali otorinolaringoiatriche. Deve inoltre essere specificamente indagata la presenza
di malattie respiratorie, gastroenteriche e metaboliche che possono avere influenza sulle
caratteristiche dell’alito.
È stato dimostrato che in oltre l’85% dei casi l’alitosi è di origine orale (16): pertanto, senza
dilungarci nella descrizione delle modalità e delle tecniche note di esecuzione dell’esame obiettivo
odontostomatologico, si puntualizza l’attenzione che dovrà essere dedicata alla valutazione
obiettiva del livello di igiene orale, delle condizioni cliniche dei tessuti parodontali con
rilevamento dei relativi indici, e delle possibili cause orali dirette di ristagno di detriti, di accumulo
di placca e di conseguente aumentata putrefazione batterica intraorale, quali la presenza di cavità
cariose occulte interprossimali, di restauri incongrui, di protesi a margini inadeguati.
L’esame clinico orale dovrà necessariamente comprendere l’esame clinico dei tessuti molli e
delle mucose orali, da compiersi tramite l’ispezione e la palpazione di tutte le sedi mucose.
Molto importante per la rilevanza eziopatogenetica è la valutazione della presenza e della
quantità di patina che riveste la superficie dorsale della lingua. Sono stati proposti diversi indici di
patina linguale visibile, per la registrazione clinica delle caratteristiche di estensione e spessore
della patina stessa (89). Riteniamo proponibile nell’attività clinica una versione semplificata in
quattro unità, come illustrato nella tabella.
Valore
Descrizione
0
Assenza di patina visibile sul dorso della lingua
1
Patina presente solo al III posteriore del dorso della lingua
2
Patina presente su tutta la superficie dorsale della lingua, che non maschera
completamente il colore della mucosa sottostante
3
Patina presente su tutta la superficie dorsale della lingua, di elevato spessore
Valutazione obiettiva dell’alitosi
La valutazione clinica del cattivo odore dell’alito è una componente fondamentale nella diagnosi
del paziente che lamenta alitosi. Nell’attività clinica routinaria non risultano facilmente utilizzabili
le metodiche di analisi strumentale qualitativa e quantitativa impiegate nella ricerca scientifica,
quali la gascromatografia, la spettrometria a fiamma, la cromatografia liquida ad alta pressione
(HPLC), molto costose e di lunga esecuzione (19). Nei recenti anni sono stati tuttavia studiati e
proposti strumenti analitici relativamente economici che consentono la misurazione quantitativa
dei composti volatili solforati contenuti nell’aria orale, basati sulla tecnologia dei sensori
elettrochimici industriali. Un monitor elettrochimico portatile è stato prodotto e commercializzato
per uso specifico clinico nella valutazione dell’alitosi, l’Halimeter (Interscan Co. Chatworth, Ca.
USA).
Anche se apparentemente complesso e poco obiettivo, come tutte le tecniche di misurazione di
entità psicosensoriali (dolore, gusto, olfatto), il metodo di valutazione considerato più utile
nell’attività clinica risulta quello organolettico, definito anche “edonico” (19). Esso consiste
essenzialmente nell’apprezzamento olfattivo da parte del clinico dell’odore dell’aria espirata dal
paziente (sniff test). Per la sua corretta esecuzione è necessario un certo addestramento e
preferibilmente dovrebbe essere condotto da più di un operatore, per esempio dall’odontoiatra e
dall’assistente, mediando i risultati, per la minimizzazione delle differenzè percettive individuali ed
una migliore riproducibilità.
È necessario che il paziente venga esaminato in condizioni standard, cioè preferibilmente al
mattino, dopo essersi astenuto dall’assunzione di cibi e bevande e senza aver effettuato manovre di
igiene orale o utilizzato chewinggum o caramelle o fumato nelle tre ore precedenti.
È anche in questo caso utile l’adozione di una scala semidiscreta di quattro valori, che si propone
nella tabella, semplificata rispetto a quella più accurata in sei valori riportata in letteratura (19, 88).
Valore
Descrizione
0
Non evidenza di odore sgradevole
1
Odore lieve evidente all’olfatto
2
Odore sgradevole
3
Odore estremamente sgradevole
Il test organolettico può essere più adeguatamente effettuato valutando olfattivamente una serie di
parametri, utili per indirizzare il clinico nella diagnosi causale dell’alitosi dello specifico paziente.
Rosenberg (19) ha proposto la valutazione di quattro diversi parametri edonici specifici, cioè
l’aria emessa dalla bocca durante la fonazione (count-to-twenty test), l’odore prodotto dai biofilm
della parte anteriore (wristlick test) e della parte posteriore del dorso della lingua, dopo collezione
della patina con un cucchiaino monouso (spoon test), l’odore generato dai microrganismi nelle aree
dentali interprossimali, mediante passaggio del filo interdentale (floss test).
La combinazione dei risultati dei diversi test organolettici consente di esprimere un giudizio
clinico sia sull’entità dell’alitosi sia sulle condizioni di salute delle diverse aree orali e sul loro
contributo relativo alla condizione di alito cattivo nel caso considerato.
Test
Wrist-lick test
Descrizione
Valuta l’odore generato dai biofilm del terzo anteriore della lingua. Il
paziente lecca il proprio polso e dopo 5 secondi si procede a
valutazione organolettica a 5 cm di distanza.
Count-to-twenty test
Valuta l’odore prodotto dall’aria espirata durante l’eloquio. Il paziente
conta ad alta voce fino a venti. Il clinico rileva l’odore a 10 cm dalla
bocca del paziente e annota il numero in corrispondenza di cui l’odore
viene percepito.
Spoon test
Valuta l’odore prodotto dai biofilm del terzo posteriore del dorso della
lingua. Viene strofinato un cucchiaino monouso sul dorso della lingua
davanti al V linguale e dopo 5 secondi di incubazione viene valutato
l’odore a 5 cm di distanza.
Floss test
Valuta l’odore prodotto dai microrganismi della placca dentogengivale.
Viene utilizzato il filo interdentale negli spazi interprossimali posteriori
e valutato l’odore dopo 5 secondi a 5 cm di distanza dal naso
dell’esaminatore.
Valutazione strumentale dell’alitosi
L’utilizzo di un sensore commerciale di composti volatili solforati consente di misurare
strumentalmente il contenuto di VSC nell’atmosfera emessa dalla bocca con metodo obiettivo e
riproducibile alla poltrona durante la visita ambulatoriale (40). Lo strumento, collegato ad
un’apposita stampante, consente di produrre un grafico che riporta la concentrazione di VSC in
funzione del tempo di misurazione.
Lo strumento è costituito da una pompa aspirante a pressione negativa costante che convoglia
l’aria aspirata al sensore allo zinco in cui viene catalizzata una reazione elettrochimica, con
produzione di una corrente direttamente proporzionale alla concentrazione dei composti volatili
solforati, che viene successivamente amplificata e rivelata su display. Lo strumento esprime la
concentrazione aerea dei VSC in ppb, ovvero parti per miliardo, con risoluzione di 1 ppb e 9999
ppb a fondo scala.
Il prelievo dell’aria viene effettuato tramite una cannula monouso collegata al tubo aspirante
dell’apparecchio, inserita nella bocca del paziente, dopo un tempo standard di incubazione dei VSC
a bocca chiusa compreso tra 8 e 5 minuti. La tecnica di misurazione più utile a fini diagnostici
prevede quattro tipi di misurazione e consente di valutare la sede di origine principale dell’alitosi:
•
•
•
VSC intraorali generati sulla superficie dorsale della lingua, tramite inserzione della
cannuccia aspirante per 4 cm circa nel cavo orale mantenuto semichiuso;
VSC prodotti nell’orofaringe, indicativi di colonizzazione da parte di batteri alitogeni in
corrispondenza delle logge tonsillari e/o della tonsilla linguaìe, inserendo la cannuccia
nell’orofaringe oltre i pilastri palatini anteriori;
VSC prodotti nelle cavità nasali, inserendo la cannuccia negli orifizi nasali, bilateralmente,
mentre il paziente respira dalla bocca;
•
VSC di origine polmonare presenti nell’aria espirata dopo inspirazione piena e successiva
espirazione forzata e prolungata dalla bocca (41).
Una serie di studi ha dimostrato la concordanza e la correlazione significativa tra le valutazioni
organolettiche, anche effettuate da pannelli di valutatori esperti, e i rilevamenti effettuati con il
sensore commerciale (40).
I valori di VSC evidenziabili nei pazienti affetti da alitosi clinicamente significativa risultano
superiori a 75100 ppb (24).
Come per i test edonici, la valutazione alitometrica strumentale deve essere effettuata in
condizioni basali per assicurare la riproducibilità dei risultati. In particolare, nelle ore precedenti al
test alitometrico il paziente non deve avere introdotto nel cavo orale bevande o collutori alcolici o
contenenti oli essenziali, che altererebbero la risposta del sensore (19, 88).
È necessario sottolineare che l’impiego dello strumento non è da solo sufficiente per la corretta
valutazione del paziente affetto da alitosi: esso consente di misurare unicamente il contributo al
cattivo odore orale fornito dai VSC, che, pur essendo i maggiori contributori, non sono gli unici
composti volatili coinvolti nell’eziopatogenesi dell’alitosi. Lo strumento fornisce tuttavia un
importante supporto per la diagnosi e la motivazione del paziente, rendendo possibile il confronto
tra misurazioni effettuate in siti e momenti diversi, quindi la valutazione, ad esempio, degli effetti
della terapia.
Trattamento
Il trattamento dei casi in cui viene ritenuta rilevante l’origine extraorale o sistemica dell’alitosi
necessita dell’intervento dell’opportuno specialista.
Le strategie terapeutiche disponibili per affrontare il problema dell’alitosi di origine orale sono
fondate sui seguenti aspetti principali:
•
•
modifica degli stili di vita per l’eliminazione del contributo alitogeno delle sostanze
voluttuarie;
correzione della dieta, se ricca di alimenti alitogeni; risulta utile anche evitare lunghi periodi
di digiuno interprandiale;
•
adeguamento del regime di igiene orale, con l’adozione di schemi e manovre
opportunamente mirate alla prevenzione dell’alitosi e appuntamenti periodici per il controllo
dell’igiene e l’esecuzione dell’igiene orale professionale;
• trattamento delle condizioni patologiche orali e dentoparodontali eventualmente presenti;
• controllo chimico della placca batterica, con l’obiettivo di diminuire la presenza relativa delle
specie alitogene, in particolare a livello delle aree rilevanti per la produzione di composti
volatili solforati (1, 7, 15, 88).
Durante i periodi di digiuno nell’arco della giornata può essere indicato il consumo di gomme da
masticare o caramelle senza zuccheri fermentabili, per favorire la secrezione salivare e
l’autodetersione orale. A questo proposito è stato scientificamente dimostrato che gli ioni zinco,
contenuti in forma variamente salificata (citrato, cloruro, acetato) in alcuni chewinggum,
caramelle, collutori e paste dentifricie, sono in grado di neutralizzare i composti volatili solforati
diminuendone la volatilizzazione (42, 48). Il controllo della proliferazione e della composizione
dei biofilm orali riveste il ruolo preminente nella correzione dell’alitosi di origine orale (38).
Dal momento che i composti maleodoranti alitogeni vengono prodotti da numerose specie
batteriche (in particolare le anaerobie gram negative) che colonizzano le superfici dentali e
mucose, è necessario il raggiungimento della massima razionalità ed efficienza con le tecniche
igieniche personali. Questo obiettivo può essere raggiunto dal paziente con un adeguato intervento
di formazione, counselling e verifica dei risultati raggiunti da parte dell’odontoiatra e/o
dell’igienista dentale.
È opportuno ricordare come gli strumenti per l’igiene orale oltre alla loro specifica funzione
possano avere un importante ruolo nella soluzione del problema dei pazienti con scarsa compliance.
La compliance è estremamente determinante per il successo degli interventi che agiscono su
comportamenti attivi individuali e buona parte della ricerca nel campo dell’igiene orale è da sempre
rivolta a migliorare la compliance. Nel campo dell’alitosi, dove il coinvolgimento e la motivazione
del paziente sono così determinanti al risultato, può essere utile considerare tali strumenti nel loro
duplice aspetto funzionale e motivazionale.
Lo spazzolino è sicuramente uno dei presidi di profilassi più validi per la sua azione meccanica di
rimozione dei residui alimentari e dei biofilm orali dalle superfici. Gli studi e gli sviluppi più recenti
dell’ergonomia degli spazzolini da denti rendono non solo più efficace la loro azione, ma
soprattutto più utile e attuabile il loro uso. L’utilizzo di dentifrici con adeguate caratteristiche
organolettiche contribuisce inoltre al miglioramento dei risultati igienici individuali: la presenza di
aromi adeguati determina sensazioni di freschezza e pulizia che persistono variabilmente dopo
l’uso. L’evoluzione dei dentifrici ha comportato che essi siano oggi un veicolo di componenti attive,
con azioni specifiche di aiuto a contrastare lo sviluppo batterico e quindi della carie, della placca,
dell’infiammazione gengivale o della ipersensibilità dentale.
È di foncìamentale importanza che il paziente inserisca tra le manovre quotidiane di igiene orale
la pratica della pulizia della superficie dorsale della lingua. Questa è una misura igienica
storicamente nota e normalmente praticata in realtà culturali rurali o esotiche, ma poco considerata
nella cultura igienica occidentale convenzionale.
Il trattamento meccanico mediante spazzolamento o sfregamento della superficie dorsale della
lingua rimuove i detriti cellulari e alimentari e una elevata quantità di microrganismi orali; la pratica
determina una drastica riduzione della carica batterica locale e orale totale, come già dimostrato
(Fig. 15) (7, 44). È stato evidenziato scientificamente che la concentrazione orale di composti
volatili solforati orali viene abbattuta di oltre la metà con la semplice rimozione meccanica della
placca presente sulla superficie della lingua (9). La pulizia della lingua risulta quindi di estrema
utilità al fine di ridurre il problema dell’alitosi; essa può essere effettuata mediante l’utilizzo di
strumenti appositamente ideati allo scopo (tongue scraper, o “grattalingua”) oppure con un comune
spazzolino da denti con testa piccola e setole artificiali morbide. È necessario agire con delicatezza
per evitare traumi alla mucosa e minimizzare il riflesso del vomito che spesso si produce con la
stimolazione della parte più posteriore del dorso della lingua, spazzolando una decina di volte da
dietro in avanti.
Un efficace mezzo rivolto al controllo e alla riduzione della formazione del cattivo odore nel
cavo orale, in particolare nella fase iniziale del trattamento del paziente con valori organolettici e
strumentali di alitosi molto elevati, risiede nell’utilizzo di collutori contenenti antisettici efficaci
(45). L’uso dei collutori antisettici è utile per il controllo della proliferazione batterica orale,
quando è necessario convertire la microflora a composizioni relative meno patogene e il paziente è
nella fase di apprendimento delle manovre igieniche meccaniche (45, 46). Per essere utilmente
impiegato nei pazienti affetti da alitosi, il prodotto antisettico ideale dovrebbe avere una serie di
caratteristiche favorevoli:
•
•
essere efficace sui microrganismi della placca orale produttori di composti volatili solforati;
poter essere utilizzato con modalità adeguate al raggiungimento dei siti in cui i
microrganismi alitogeni sono attivi, cioè la superficie dorsoposteriore della lingua;
• essere privo di effetti collaterali in modo da consentire al paziente un utilizzo a medio
termine o per fasi ripetute di assunzione (88).
L’effetto del principio attivo antisettico sui biofilm del terzo posteriore del dorso della lingua e
delle logge tonsillari viene ottenuto in modo più efficace se il paziente associa al collutorio orale il
gargarismo con il prodotto prescritto per circa 20-30 secondi, anche per l’effetto meccanico di
asportazione e allontanamento dei microrganismi. Non tutti i prodotti in commercio sono idonei
per l’effettuazione di gargarismi: utilizzando collutori fortemente aromatizzati con oli essenziali o
ad elevato contenuto alcolico il gargarismo può risultare fastidioso (47). Da un punto di vista
pratico, regimi terapeutici per il controllo chimico della placca finalizzati al trattamento dell’alitosi
possono essere suddivisi in differenti livelli:
•
•
controllo a breve termine, con collutori contenenti clorexidina gluconato;
controllo a medio termine, con utilizzo di spray alla clorexidina localmente sul dorso della
lingua, in modo da ridurre la dose totale e quindi gli effetti collaterali;
• controllo chimico a lungo termine, adiuvante, nel caso non risulti sufficiente il controllo
meccanico della placca batterica, mediante prodotti contenenti antisettici meno efficaci ma
senza effetti collaterali importanti, come il triclosan, il cloruro di cetilpiridinio, la listerina o
molecole contrastanti i composti alitogeni come i sali di zinco (45).
In uno studio di Rosenberg e col. è stata comparata l’efficacia di riduzione dell’alitosi di due
collutori contenenti principi attivi differenti versus un prodotto placebo. Uno dei due presidi
utilizzati era una soluzione contenente clorexidina gluconato allo 0,2%, l’altro era costituito da un
collutorio bifasico di nuova formulazione, costituito cioè da una fase acquosa ed una oleosa da
miscelare, mediante agitazione manuale, prima dell’uso in modo tale da ottenere un’emulsione,
contenente cetilpiridinio come principio attivo. Entrambi i collutori testati si mostrarono efficaci
nella riduzione dell’emissione di cattivo odore specialmente se confrontati con i livelli ottenuti dal
gruppo di controllo che utilizzava il placebo; i migliori risultati sono stati forniti dalla clorexidina,
sia in termini di riduzione della carica batterica orale sia nei valori di alitosi misurati (48).
Nonostante l’elevata efficacia dimostrata, la frequenza di effetti collaterali quali pigmentazioni
dentali e mucose, disgeusia e desquamazione mucosa dopo somministrazione prolungata non
rendono indicata la clorexidina gluconato ad elevata concentrazione per il controllo dell’alitosi a
lungo termine o per tempi indefiniti (18, 88).
A causa delle diverse possibilità di eziologia sistemica o extraorale e della difficoltà diagnostica,
la definitiva diagnosi di alitosi di origine orale può venire effettuata con sicurezza solo
exadiuvantibus, dopo la correzione professionale dei fattori patologici orali, la somministrazione di
adeguate istruzioni igieniche ed un ciclo di due settimane con collutori e gargarismi utilizzando un
prodotto di provata efficacia antiplacca (88).
Conclusioni
Il problema dell’alitosi solo apparentemente ha rilevanza in esclusivo ambito cosmetico.
La diagnosi e il trattamento dell’alitosi possono avere una notevole importanza in termini di
promozione della salute orale in senso lato, poiché il regime di trattamento è essenzialmente
fondato sul miglioramento delle condizioni igieniche generali del cavo orale; il trattamento
adeguato dei problemi di alitosi può inoltre incidere notevolmente sul benessere psicologico del
paziente e risolvere disagi di natura emotiva incontrati nel rapporto del paziente con i propri simili.
L’approccio terapeutico utile per la maggior parte dei pazienti che lamentano il problema
dell’alitosi consiste essenzialmente nell’implementazione di un programma di miglioramento delle
pratiche di igiene orale personale, particolarmente finalizzato al trattamento della patologia
parodontale se presente e alla limitazione della proliferazione dei microrganismi alitogeni della
superficie dorsale della lingua con pratiche igieniche specifiche e di semplice esecuzione.
Il ruolo motivazionale del sanitario, insieme alla somministrazione di opportune istruzioni e alla
prescrizione di adeguati presidi, riveste ovviamente una importanza primaria per ottenere la
necessaria compliance da parte del paziente.
A questo proposito si segnala l’utilità della indagine quantitativa alitometrica: l’uso di uno
strumento oggettivo come il monitor elettrochimico di VSC consente di fornire adeguate
informazioni al paziente per quanto riguarda i quesiti eziopatogenetici sull’alitosi.
La misurazione obiettiva consente inoltre di informare il paziente sui progressi ottenuti con le fasi
terapeutiche igieniche, rinforzando obiettivamente la motivazione al mantenimento di adeguati
livelli di igiene orale (88).
Uno dei principali problemi nella gestione clinica del paziente affetto da alitosi rimane infatti la
difficoltà di autostima delle condizioni del proprio alito da parte del paziente non adeguatamente
istruito. Un utile metodo individuale rimane quello proposto da un grande maestro dell’odontoiatria
italiana. In un editoriale di alcuni anni fa, Carlo Guastamacchia consigliava, per autovalutare il
proprio alito, di effettuare uno sciacquo e un gargarismo orale con 50 ml di acqua tiepida, per un
minuto, eliminare l’acqua in un bicchiere, coprire per qualche minuto per consentire l’incubazione,
e quindi odorare (49).
È semplice, ma funziona.
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