MONTECASTELLO: SAN ZENO DELLA VALLE E LA “STRADA

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MONTECASTELLO: SAN ZENO DELLA VALLE E LA “STRADA
MONTECASTELLO:
San Zeno della valle e la “Strada della Serra”
M
ontecastello (10 km da Alessandria) costituisce una delle ultime balze del
corrugamento collinare del Basso Monferrato di fronte alla confluenza tra
Tanaro e Bormida.
Il promontorio che domina l’ansa del Tanaro offre un’ampia veduta della
pianura di Marengo tra Bormida e Scrivia sullo scenario del pre-appennino tortonese
che sfuma nell’Oltre-Po pavese.
L’abitato, insediamento antichissimo, era situato, già durante il paleolitico
superiore, nella piana ad est della collina e di tale età sono certa testimonianza
numerosi reperti litici, ritrovati in zona e studiati dal Prof. Peola, montecastellese.
Sulla collina si ergeva un antica torre saracena adibita a colombaia,
precorritrice del telegrafo ottico dell’ottocento che al castello ebbe tra il 1849 e il
1852 una stazione funzionante per il collegamento di Torino con Genova e Piacenza.
Fu in epoca romana che l’antico generico “Villara“ assunse il nome di
Pantianum dal patronimica Pantius di una famiglia latina insediatasi in loco, mentre
l’attuale toponimo fa capolino nei documenti verso la fine del 1100, ed ebbe grande
notorietà, oltre che per l’ottima posizione strategica, per la frequentazione della
“Strada della Serra” che aveva il suo capo-linea alla Madonna di San Zeno e
rappresentava un percorso preferenziale in zone maggiormente abitate e coltivate, più
sicuro che le strade delle foreste planiziali: paludose, insicure, poco abitate (Silva
Danea, Fraschetta; Palus astensis).
La Strada della Serra era una delle vie romee dell’epoca frequentata da
pellegrini, romei e commercianti di piccolo cabotaggio, quale cerniera tra i “Cammini
di cresta” e le “Vie del sale” della Liguria e la “Serra” delle colline Monferrine verso
il Delfinato attraverso la Valle di Susa.
Il fiume Tanaro veniva superato con un efficientissimo servizio di traghetto che funzionò fino al 1970 - chiamato “Chietamai” dalla fervida fantasia popolare ed
era ormai entrato, con pieno diritto, nella leggenda popolare.
Alla Madonna di San Zeno - frazione due chilometri a nord di Montecastello esiste tuttora una chiesetta dedicata a Santa Maria Assunta e che, per l’amenità del
luogo, si fregia del titolo di Santa Maria della Valle.
Nel medioevo era gestita dai Padri Zoccolanti ed aveva annesso un piccolo
Ospizio chiamato “L’Infermeria di San Lazzaro” a cui provvedevano, dopo la
soppressione dell’Ordine degli Zoccolanti (1652), alcuni romiti incaricati dal
comune. L’ultima romita decedette nel 1878 e da allora il servizio di ospitalità e di
assistenza non venne più attuato. Ma erano anche mutati i tempi e la Strada della
Serra ormai surclassata dalle migliori comunicazioni della pianura.
Ma per la “Strada della Serra” era stato memorabile il passaggio di armati della
Prima Crociata (1097-1099) che nel nostro territorio (gli Allini di Valmadonna e
Pozza Marmore di Montecastello) avevano fatto tappa per attendere i rinforzi raccolti
nel Basso Piemonte del Capitano alessandrino Scipione Guasco (1095); e
successivamente l’ancora più nutrito passaggio dalle schiere della Quarta Crociata
(1202-1204) che coglievano il destro del transito sulla Serra per rendere omaggio a
Bonifacio I° duca del Monferrato nelle Corti di Casale e di Occimiano (castello di
Cavallo).
L’ambizioso duce monferrino, designato duce della Quarta Crociata, godeva di
vasta fama sia come valido condottiero che quale grande protettore di artisti presso le
Corti del Monferrato, della Savoia, della Lunigiana e della Provenza; prodigo
mecenate di indimenticabili Trovatori come Peire Vidal, Guglielmo Faidit, ma
soprattutto di Rambaldo di Vaqueiras antesignano della moderna poesia e musica.
Rambaldo alla corte di Bonifacio si innamorò di Beatrice (sorella di
Bonifacio ?), ma qualcosa dovette offuscare la serenità dei due giovani e la dama si
rifugiò a Tortona presso la Corte dei Malaspina, mentre il Trovatore soggiornò per
qualche tempo nel fortilizio di Ponziano - Montecastello (appartenente al marchesato
monferrino) pronto al richiamo dell’innamorata. Passerà la bufera e Rambaldo,
riappacificatosi con la dama, ritroverà il sorriso e, pieno di gioia, farà nuovamente
vibrare le corde della sua mandola sciogliendo una lieta canzone alla donna che lui
chiama: “Il suo Bel Cavaliere”.
Sono 51 poesie provenzali con dediche e riferimenti ai Marchesi di Monferrato,
e di queste il nucleo più consistente appartiene al regno di Bonifacio I° con 31
componimenti databili tra il 1193 ed il 1206, dei quali 15 attribuiti a Rambaldo che
del Bonifacio fu solo il cantatore ma anche l’amico confidente.
Il leale Rambaldo seguirà Bonifacio nell’avventura della Crociata e combatterà
al suo fianco da valoroso cavaliere ed amico, fedele fino all’ultimo al suo Signore. Lo
accompagnerà anche nella sciagurata spedizione del 1207 contro i Bulgari e con lui
avrà comune la gloriosa morte sul campo.
Ma ritorniamo a Montecastello che nel 967 viene infeudata da Ottone I° ad
Aleramo dei Marchesi del Bosco, quindi ne vengono investiti i Bellingeri di Pavia
con facoltà di fortificarlo.
All’antica torre saracena, per dare maggiore peso difensivo vengono aggiunte,
in tempi diversi, mura e barbacane, due torri bertesche e quattro torrioni angolari con
merlatura ghibellina, mentre una prima linea difensiva di sbarramento viene
predisposta a metà colle con l’erezione di un robusto torrione con doppio ponte
levatoio (per pedoni e carri) per il controllo dell’accesso al ricetto. Il torrione poteva
contare sull’apporto difensivo naturale del rio Sgorgione a sud ove sorgeva la
casamatta denominata Forte Fuenles rovinata nel sottostante Carneta in seguito alla
piena del Tanaro del 1666, mentre ad est sorgeva la casamatta dello Spalto detto di
Macallè dominante la strada di Santa Caterina e demolita, per pericolosità, nel 1965.
I Bellingeri, Signori pure di Bassignana e Rivarone, nel 1180 cedono
Montecastello al comune di Alessandria.
Seguono periodi di lunghe controversie tra i Marchesi di Monferrato, il comune
di Alessandria, quello di Pavia ed i Visconti di Milano, i quali, di volta in volta,
quando non lo assalgono e distruggono, si scambiano la Rocca a garanzia
dell’osservanza dei patti.
Infine Montecastello viene infeudata (1535) con il titolo comitale agli Stampa
di Milano, per passare nel 1707 sotto il governo Subalpino.
Tre re Sabaudi furono a Montecastello: Carlo Emanuele III° con il figlio
Vittorio Amedeo alla cosiddetta Battaglia di Bassignana: 1745 quando fissò il
Quartier Generale al Castello; Vittorio Amedeo, succedette al padre nel 1773, vi
ritornò nel 1786-1787 e Carlo Alberto nel 1842-1843.
Proprietari del Maniero, ricostruito con qualche ammodernamento dopo la
distruzione del 1648 da parte delle truppe franco-savoiarde, e del 1745 dei francospagnoli, erano gli Stampa a cui seguirono: i Garrone-Arnaboldi nel 1877; i Bolgeo
di Bassignana (1936) ed i Ghiaini Jonne (1993) di antica ascendenza lombarda.
L’attuale Chiesa Parrocchiale è un rafforzamento settecentesco di una più
antica (1398) dal titolo di Santa Maria Nova di Ponziano che nel 1460 assunse le
funzioni parrocchiali subentrando alla chiesa di San Giorgio situata al piano e
rovinata dalle esondazioni del Tanaro.
Nell’ampliare la parte più antica, alla navata centrale, stile gotico, furono
aggiunte navate laterali di stile barocco e gli altari: del Suffragio, della Madonna del
Rosario e dei santi compatroni Giorgio e Rocco (a destra) e di San Carlo Borromeo,
dell’Assunta (statua di Antonio Brilla di Savoia, 1870), e del Battistero con il
bell’affresco del Battesimo di Gesù nel Giordano (a sinistra). Pregevoli sono gli altari
e le balaustre in bello stile barocco con intarsi e ben lavorati: predomina la pietra
rossa di Francia e il nero di Varenna senza macchia; i gradini dell’altare maggiore
sono di fine marmo di Seravezza. Alta sul coro l’icona della Vergine che offre il
Santo Rosario a San Domenico e a San Siro, risale al 17° secolo, è di ottima
esecuzione di scuola pavese.
Il trittico della natività (destra), restaurata di recente, raffigura la Madonna del
Bambino, Sant’Antonio abate (a sinistra) e San Sebastiano (a destra); è del 1567
opera di Jovannes Baptista Puteus Ardicii de Vigevano.
L’organo proviene da una chiesa di Pavia.
La Confraternita degli Oblati al Sant’Antonio abate detta anche Oratorio della
SS.Trinità per l’aggregazione ottenuta sin dal 1684 alla omonima Arciconfraternita di
Roma. Non si conosce l’epoca della erezione della Chiesa, più piccola dell’attuale,
ma già esistente nel 1577 e con la facciata rivolta a nord. La Chiesa fu ampliata
(lascito Anton Franco Favetta) nel 1787 ed i lavori proseguirono fino al 1792: la
facciata fu rivolta a sud e collegata con un’ardita scalinata alla via Sant’Antonio ed
alla celebre spianata del famoso “Olmo di Sant’Antonio” alle cui ombrose fronde era
solito riunirsi il piccolo senato del borgo ed i confratelli della Confraternita per la
gestione della Comunità.
Occupata dalle truppe tedesche nel 1943, la Chiesa subì gravi danni: i banchi e
gli stalli del bel coro bruciati, l’organo asportato. Solo si salvò un pregevole trittico
datato 1567, di cui già dicemmo, ora sistemato nella Parrocchiale per maggiore
fruibilità.
Terminata la guerra nell’ex coro venne ospitato il salone la filodrammatica, e la
Chiesa riordinata fu riconsacrata dal Vescovo Gagnor nel 1952. Ultimi lavori di
restauro nel 1982 e 1986 col consolidamento del campanile ma con la perdita di un
caratteristico antico arco in cotto proteso al vecchio campanile alle case del borgo in
un’ideale abbraccio.