DECIMA EDIZIONE FESTIVAL FILOSOFI LUNGO L`OGLIO: UN

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DECIMA EDIZIONE FESTIVAL FILOSOFI LUNGO L`OGLIO: UN
DECIMA EDIZIONE FESTIVAL FILOSOFI LUNGO L’OGLIO:
UN BILANCIO PROMETTENTE
Con la prestigiosa targa del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, con il Patrocinio del
MIBACT e con l’adesione del Prefetto di Brescia, con il patrocinio della Consigliera di Parità
della Provincia di Brescia, dell’Assessorato alle Culture, Identità e Autonomie della Regione
Lombardia, delle Province di Brescia, Bergamo e Cremona, si è chiusa la decima edizione del
Festival Filosofi lungo l’Oglio.
Dopo Le stagioni della vita, Geografia delle Passioni, Vizi e virtù, Destino, Corpo, Felicità, Dignità, Noi e gli
altri, Fiducia è ruotata intorno alla parola chiave: Pane quotidiano per tutta l’umanità, in linea con il
tema dell’Expo: Nutrire il pianeta, la decima edizione della Kermesse.
Questo Simposio di Pensiero e di Parole – che proprio quest’anno ha festeggiato il suo decennale e
con esso la trasformazione della nostra realtà in Fondazione – è divenuto, ormai, un
appuntamento fisso quasi fosse entrato a far parte – di fatto – delle tradizioni che animano
l’estate rivierasca in riva all’Oglio. Una manifestazione che ha il privilegio di avvalersi di un
Comitato scientifico composto dai Professori: Adriano Fabris, Amos Luzzatto, David Meghnagi,
Bernhard Casper, Aldo Magris, Armando Savignano, Salvatore Natoli, Maria Rita Parsi, Piero
Coda, Ilario Bertoletti e da Francesca Nodari.
Accanto ai Comuni e/o enti già teatro delle precedenti edizioni: Brescia, Barbariga, Corte Franca,
Corzano, Erbusco, Flero, Orzinuovi, Orzivecchi, Palazzolo sull’Oglio, Soncino, Villachiara,
Travagliato spicca l’ingresso significativo dei Comuni di Chiari, Castel Mella, Cologne, Ghedi
(Bcc Agro Bresciano), Lograto, Roccafranca, Sarnico, Paratico. Partendo dalla Bassa bresciana e
toccando le località rivierasche e/o attigue al fiume Oglio, per poi ampliare il proprio orizzonte in
Franciacorta, il Festival ha fatto una doppia tappa nella città di Brescia e nella città di Palazzolo
sull’Oglio estendendosi su ben tre province: Brescia, Bergamo, Cremona.
Fondamentale il sostegno della Bcc di Pompiano e Franciacorta e della Bcc Agro Bresciano, della
Despar e della Fondazione ASM – cui va la nostra più profonda gratitudine per aver scommesso
convintamente – di concerto agli amministratori dei Comuni e degli Enti ospitanti nonché agli
sponsor che hanno assicurato il loro contributo – su questo Simposio di Pensiero e di Parole.
Passando da diciannove a ventidue lezioni magistrali, il Festival ha celebrato il decennale con un
carnet nutrito di ospiti illustri e un calendario dal ritmo incalzante: questo Simposio di Pensiero e di
Parole fedele al proprio spirito itinerante e al binomio luogo-pensiero – un format che si è rivelato
vincente – ha portato il filosofo in mezzo alla gente, nella consapevolezza che la diffusa richiesta
di senso sia un bisogno sociale da soddisfare e che va preso, davvero, sul serio. All’aumento delle
lezioni magistrali (che saranno riproposte integralmente, in autunno, sui canali dell’Emittente
bresciana «Teletutto» e quindi disponibili sul sito: www.filosofilungologlio.it), il pubblico ha
risposto con un’affluenza che ha fatto registrare un ulteriore e rilevante incremento. L’attesa dei
relatori vissuta come evento, l’attenzione nel corso delle lezioni magistrali, gli ampi dibattiti che
ne sono seguiti restituiscono l’immagine di una comunità in cammino che si stringe attorno al
maestro, quasi fosse l’attestazione pratica, colta fenomenologicamente, dell’urgenza che il sistema
planetario, ormai irreversibilmente attraversato dal fenomeno della globalizzazione, ha di
cambiare passo, se è vero che le diseguaglianze aumentano, il simbolico sta scomparendo, le
paure si moltiplicano, le violenze non si arrestano e la natura presenta il suo conto all’uomo che
da custode ne è divenuto padrone. Non è un caso se il filo rosso dei ventidue incontri è da
ricercarsi nella chance dell’educazione. Quell’apparente utopia in cui, da tempo, Marc Augé ha
indicato la via d’uscita dalla crisi planetaria. Una soluzione che, come ha confermato Carlos
Alberto Torres, non ammette alternative. Se non quella della catastrofe.
IL PREMIO INTERNAZIONALE DI FILOSOFIA/FILOSOFI LUNGO L’OGLIO.
UN LIBRO PER IL PRESENTE
Altro evento clou del Festival è stata la cerimonia di proclamazione del vincitore della Quarta
Edizione del Premio internazionale di Filosofia/Filosofi lungo l’Oglio. Un libro per il presente che, come
recita l’articolo 1 dello Statuto, è assegnato «all’opera di uno studioso che abbia elaborato,
attraverso il suo pensiero, idee capaci di fornire agili strumenti per abitare la nostra
contemporaneità». Un’opera, dunque, che sia «in grado di segnare non soltanto la recente storia
della filosofia e, più in generale, del pensiero, ma soprattutto la realtà effettuale in cui ogni uomo
si trova a vivere nel qui e ora dei nostri giorni».
La prestigiosa benemerenza è stata conferita, domenica 5 luglio nella Sala Franciacorta dell’Hotel
Iseolago a Iseo (Bs), al Prof. Marc Augé, antropologo ed etnologo di fama mondiale – con il
volume: Les Nouvelles Peurs, Payot & Rivages 2013; Le nuove paure. Che cosa temiamo oggi?, Bollati
Boringhieri, Torino 2013.
Riportiamo qui di seguito uno stralcio del testo della Laudatio composta e pronunciata dal
direttore scientifico, Francesca Nodari:
Nell’era dell’euro e della privatizzazione dell’Europa, si registra una progressiva accelerazione
delle nostre esistenze determinata dalle nuove tecnologie e dal capitalismo finanziario, mentre la
politica è ridotta a governance, ovvero a semplice gestione di consumi e di servizi. Le nostre vite
sembrano paralizzate dalla paura: i giovani temono di non trovare un lavoro; i loro padri hanno il
timore di perdere la pensione e di finire in miseria. Coscienze imprigionate e senza futuro. Cosa
fare? Augé indica una via d’uscita: darsi il sapere come fine in sé. Una proposta che egli definisce
«utopia dell’educazione» e che potremmo considerare la bussola del suo pensiero. Magistrale in tal
senso è il già citato: Le nuove paure. Che cosa temiamo oggi?, ove, parafrasando Hegel, l’Autore, è
riuscito davvero ad apprendere il proprio tempo con il pensiero. In continuità con Futuro Augé
sosta con grande acume sulla tonalità affettiva della nostra contemporaneità: la paura, di cui il
senso di scoramento, l’ossessione del vuoto, l’incertezza, il timore di non farcela non sono altro
che declinazioni della medesima Stimmung. Si tratta di un testo agile, ma si badi bene, che offre sin
dal primo accostamento alla sua lettura l’impressione immediata che si tratti di un contributo che
segna la storia del pensiero e cattura l’attenzione del lettore poiché ne va del suo stesso stare al
mondo. Un testo, dunque, completo e che raggiunge un doppio obiettivo: per un verso calarsi tra
le pieghe delle paure di oggi, stanarle, auscultarle; per l’altro, cercare di capirne l’eziologia e le
cause e prospettare delle soluzioni. Colpisce il ripetuto richiamo all’appello “profetico” che Papa
Woityla fece nel 1978: «Non abbiate paura!». Un imperativo che torna, in forma modificata, nel
bestseller di Stéphane Hessel, nel 2010, «Indignatevi!» e che si colora di tinte scure nel suo esatto
opposto: quel minaccioso «Abbiate paura!» che Bin Laden non esitò a pronunciare decretando
con il doppio attacco terroristico dell’11 settembre 2001 non solo la globalizzazione del terrore,
ma una forma di schizofrenia collettiva e planetaria. Augé individua forme diverse di violenza: da
quella economica a quella politica, da quella tecnologica a quella naturale. Di qui l’emersione di
paure che si moltiplicano e che condividono una cifra comune: l’ossessione dell’altro. Uno degli
elementi costanti che percorre l’intero saggio è la denuncia delle diseguaglianze tra i più ricchi dei
ricchi e i più poveri dei poveri. Diseguaglianze dove le parole chiave dell’organizzazione del
lavoro quali ristrutturazione, contratto a tempo determinato, flessibilità, mobilità sono ormai
percepite come minacce sia dai giovani che nel presente non mirano che alla sopravvivenza sia
dagli anziani che si chiedono se qualcuno toccherà loro la pensione: «La paura che stringe lo
stomaco, la vergogna di sopportare l’insopportabile, è una presenza fisica, un cancro che rode:
non si può più ignorare e fa di ogni mattino, di ogni uscita per andare al lavoro, l’anticamera
dell’incubo. Pochi hanno coraggio da resistervi; per molti le pause dal lavoro, gli antidepressivi
rappresentano un rimedio effimero e fragile. Le paratie tra vita professionale e vita privata sono
saltate, o meglio hanno perduto la loro tenuta stagna, e agli uomini o alle donne che sono stati
afferrati una volta per tutte da questa irreversibile sensazione di completo spossessamento non
resta più un solo minuto di libertà […] Sperimentano una messa a nudo del loro essere intimo
sotto lo sguardo degli altri e una forma di solitudine imposta che somiglia a un’espulsione da sé».
Per non dire del congedo dal lavoro che non è nient’altro che il riconoscimento del cedimento del
corpo e della persona: al timore di invecchiare si aggiunge lo sconforto di chi è ormai considerato
inutilizzabile e dunque fuori uso: il tempo sociale è più spietato del tempo biologico. E che dire
poi dell’allarme pandemico o alimentare: al ricomparire di malattie debellate come la tubercolosi,
si aggiungono epidemie quali l’aviaria o la mucca pazza fino alle minacce degli ogm? Cosa fare
dinanzi all’emergenza climatica e all’allarme ambientale? Cosa resterà alle nuove generazioni di un
mondo ove si sono abbattute foreste, avvelenata l’aria, inquinato l’acqua, interrato rifiuti tossici,
esaurito giacimenti? Se, come si stima, alla fine del secolo il pianeta sarà popolato da 10 miliardi di
esseri umani, quali rimedi porre alla desertificazione e allo scioglimento dei ghiacciai e
all’innalzamento delle temperature? Paure che si sommano ad altre paure: dalla minaccia
terroristica che trova la sua acme nei “martiri” che si trasformano in bombe umane – la forma più
perversa di ciò che gli etnologi chiamano possessione – al vacillamento del sistema capitalistico
che svela come una seconda natura tutta incentrata sulla legge della domanda e dell’offerta, sul
nervosismo dei mercati, sulla fiducia dei consumatori. Sempre più ridotta fino a spingere chi è
senza lavoro, senza casa, senza domani a scelte estreme: «Non sarà che, oggi, la paura della vita –
si chiede Augé – abbia rimpiazzato la paura della morte?». Di qui il menù quotidiano: «stress con
contorno di angoscia». La paura fa sistema, diventa contagiosa al punto che il live cui ci abituano i
social media rischia di spazzar via in un colpo solo il tempo e lo spazio reale. Il virtuale diventa
vetrina digitale, reiterazione di illusioni, di confessioni, di vita denudata, spiata, offesa per la quale,
spesso, si chiede di potersi avvalere dell’oblio: «la memoria, come l’Inferno di Sartre, sono gli
altri». In una recente intervista concessaci dall’Autore, egli spiega: «Si parla molto dell’individuo
oggi, ma lo si fa generalmente sotto l’aspetto del consumo: il sistema ha bisogno dei consumatori
per funzionare; di qui la creazione di nuovi bisogni, di nuovi desideri. Tra i beni di consumo,
spiccano gli strumenti della comunicazione che tendono a sostituirsi alle forme di relazione
tradizionale, che facevano riferimento allo spazio e al tempo. Tra l’isolamento (la solitudine
obbligata, imposta) e la folla (gli altri senza la relazione) è il simbolico che sparisce: la costruzione
del sé attraverso l’incontro con gli altri, che ha un suo proprio spazio e richiede tempo.
L’istantaneità e l’ubiquità, che sono l’ideale del mondo mediatico elettronico, sono la negazione
del simbolico e servono proprio ad addomesticare le solitudini coatte donando loro l’illusione di
un altro mondo». Giunti a questo punto, cosa si deve fare in un simile scenario? Forse che, come
già emerge in Futuro, la via d’uscita è darsi il sapere come fine in sé, la conoscenza? Sarà questa a
liberarci dalle nostre paure? «L’ideale – tuona Augé – sarebbe rimpiazzare la paura con la
curiosità. Le due non sono così lontane l’una dall’altra. È il desiderio di conoscenza che può
permettere di passare dall’una all’altra. Questo desiderio stesso è il frutto dell’educazione.
L’utopia dell’educazione sarebbe, letteralmente, la vera rivoluzione: consacrare ogni cosa, in
primis, all’educazione di ciascuno condurrebbe alla prosperità economica di tutti. È l’ideale
dell’Illuminismo, il solo che sia in grado di riconciliare gli esseri umani tra loro e con il loro
futuro. L’idea di progresso non si può concretizzare che nel campo della scienza. E ciascuno dal
canto suo può avvertire in ciò la sua solidarietà con gli altri». E in questi tempi dove spesso si parla
di speranza come passione spenta, di frustrazione, di disagio a tutti i livelli, ci pare che Augé
rinvenga nella volontà di potere – di qui la divisione della società planetaria «in tre classi:
l’oligarchia dei possidenti, i consumatori e gli esclusi dai consumi» – il ‘peccato originario’ che sta
alla base della nostra società disorientata. Una colpa che, per quanto si possa presentare in
circostanze diverse e in fasi storiche distinte si potrebbe chiamare, se ci è consentito esprimerci in
tal modo, l’oblio dell’umanità generica che si trova in ciascuno di noi. Scrive Augé: «La
dimensione generica dell’essere umano unisce la sua dimensione individuale (ciascun uomo, tutto
l’uomo», per riprendere e riassumere la formula di Sartre) e trascende o relativizza la sua
dimensione culturale. L’idea che l’avventura umana è in effetti un’avventura, collettiva e comune,
è legata alla concezione dell’uomo generico, ma essa si gioca in ciascuna vita individuale. Si gioca
a livello della storia umana nel suo insieme (che sarà in fin dei conti la storia del dominio
dell’uomo sulla natura), ma ciascun individuo sarà pienamente uomo soltanto se è in grado, al suo
posto e per un momento, di esservi associato coscientemente».Sovviene, in proposito, quanto
scrive Kant nella sua Logica: «il campo della filosofia si può ricondurre alle seguenti domande:
1) Che cosa posso sapere?
2) Che cosa devo fare?
3) Che cosa mi è dato sperare?
4) Che cos’è l’uomo?
Alla prima risponde la metafisica, alla seconda la morale, alla terza la religione e alla quarta
l’antropologia. In fondo, si potrebbe però ricondurre tutto all’antropologia, perché le prime tre
domande fanno riferimento all’ultima».
Non a caso potremmo dire che Augé ha consacrato la sua esistenza, in un’instancabile e diuturno
lavoro di osservazione, ricerca, approfondimento e ascolto, all’obiettivo, che poi si è rivelato
anche una necessità, di rispondere al quarto interrogativo kantiano, il quale racchiude e implica gli
altri tre. Come dire:
non si può meramente sapere, fare e sperare, se non ci si è soffermati pazientemente sul che cos’è
l’uomo. Ma si badi bene, non tanto per trovarne una definizione oggettivante, bensì per
interpretare l’esserci di carne e di sangue della surmodernità. Con tutte le sue complessità, i suoi
talenti, i suoi difetti, le sue frustrazioni, le sue paure, le sue ansie, le sue solitudini, il suo egoismo
e la sua fragilità, i suoi spostamenti, il suo modo di comunicare, di agire e inter-agire, di diventare
davvero soggetto. Si potrebbe concludere, pertanto, che occorre partire, secondo quanto mostra
Augé, da una presa di consapevolezza che alla base di una crisi che non è soltanto economica,
politica, sociale v’è e si annida, come fosse sotterrata dal mondo globale, una crisi dell’universale.
Crisi che è insieme crisi del pianeta, delle relazioni e della finalità. […]
Cosa vuole lasciarci intendere Marc Augè sollevando il grande problema di questa crisi
dell’universale se non il fatto che il circolo vizioso che si è creato tra le tre specie di crisi
evidenziate può essere spezzato soltanto se ci si riappropria, per così dire, della presenza
dell’uomo generico in ciascuno di noi, uomo generico che sta alla base dell’uguaglianza degli
individui e dell’affermazione, non soltanto teorica, ma concreta dei diritti dell’uomo? Si potrebbe
riassumere quanto sopra affermato in una sorta di circolo ermeneutico: senza alterità non si dà
identità, senza il riconoscimento dell’uomo generico non si dà propriamente umanità e senza
«utopia dell’educazione» non si può salvare il pianeta e la società. La posta in gioco è davvero alta.
A noi la scelta: per un verso, rimanere irretiti tra le malie di un presente perpetuo e illusorio, per
l’altro costruire davvero un futuro dove l’educazione non sia praticata tanto in senso utopico, ma
reale mettendo al centro ciò che Augé chiama «l’interesse generico» unendoci in una sorta di
fratellanza universale.
Ecco cosa racchiude, almeno nei suoi tratti essenziali e senza alcuna pretesa di averne esaurito la
disamina l’acuta riflessione di Augé. Riflessione che non si limita ad osservare, appuntare, rendere
noto, esaminare quanto gli sta di fronte, ma che è in grado di offrire delle chances concrete per
abitare questo pianeta globalizzato. Certo servono impegno, fatica, tenacia, ma facendo nostra la
formula di Terenzio richiamata da Augé: «Homo sum, humani nihil a me alienum puto» (sono un
uomo anch’io e nulla di ciò che è umano può sembrarmi estraneo), possiamo senz’altro
concludere che vale la pena scommettere. È questo, ci pare, le pari del XXImo secolo.
I PROTAGONISTI
I relatori, tutti di elevata caratura, hanno saputo unire all’indubbio rigore scientifico, un’acuta
problematizzazione del tema in oggetto, a partire da prospettive distinte e plurali. Una disamina a
più voci che si è rivelata efficace anche grazie alla capacità argomentativa nell’articolazione di ogni
intervento.
Per la scuola francese, il Festival ha ospitato per il quinto anno consecutivo l’antropologo di Marc
Augé – tra i maggiori africanisti ed etnologi del nostro tempo e Jean-Luc Nancy, tra le figure di
maggior spicco nel panorama filosofico internazionale, definito da Jacques Derrida «il più grande
pensatore sul tatto di tutti i tempi». Mentre dagli Usa è giunto Carlos Alberto Torres, docente
all’University of California (Los Angeles) e visiting professor nel Nord e Sud America, in Europa,
Asia e Africa. È intervenuto, inoltre, il meglio del pensiero italiano: da Elena Pulcini –
professoressa di Filosofia morale all’università degli Studi di Firenze a Enzo Bianchi – Fondatore
e Priore della Comunità Monastica di Bose, tra le voci più ascoltate dell’esperienza ascetica
nell’epoca contemporanea. Da Domenico De Masi – professore emerito di Sociologia del lavoro
presso l’Università La Sapienza di Roma – a Leonardo Becchetti – professore di Economia
politica presso l’Università di Roma Tor Vergata. E ancora, da Francesco Miano – ordinario di
Filosofia morale nella medesima università – a Massimo Cacciari, professore di Estetica presso
l’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano e tra i maggiori filosofi contemporanei. Da
Arnoldo Mosca Mondadori– poeta, editore e saggista – a Chiara Saraceno – già ordinario di
Sociologia della famiglia presso la facoltà di Scienze politiche dell’Università di Torino e honorary
fellow al Collegio Carlo Alberto di Torino. Da David Meghnagi – professore di Psicologia
Clinica, Psicologia dinamica e Psicologia presso la Facoltà di Scienze della Formazione
dell’Università Roma Tre, dove è altresì docente di Psicologia della Religione e di Pensiero
Ebraico al Master Internazionale in Scienza della Religione – a Franco Riva – professore di Etica
sociale, Antropologia filosofica e Filosofia del Dialogo all’Università Cattolica di Milano. Da
Michela Marzano – ordinario all’Université Paris Descartes e dal 2013 parlamentare –– a S. E. il
Cardinale Francesco Coccopalmerio – Presidente del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi
nonché membro della Congregazione delle cause dei santi. Da Armando Savignano – tra i
maggiori interpreti contemporanei del pensiero spagnolo e iberoamericano moderno e
contemporaneo, ordinario di Filosofia Morale all’Università degli studi di Trieste – a Francesca
Rigotti – professoressa di Dottrine politiche all’Università di Lugano. Da Massimo Donà –
ordinario di Filosofia teoretica presso la Facoltà di Filosofia dell'Università Vita-Salute San
Raffaele di Milano con la passione per la musica che lo ha portato, negli anni, a suonare con
alcuni protagonisti indiscussi del jazz contemporaneo e a formare il Massimo Donà Quartet – a
Remo Bodei – professore di Filosofia presso la University of California (Los Angeles) e tra i
massimi esperti delle filosofie dell’idealismo classico tedesco e dell’età romantica. Da Salvatore
Natoli – già ordinario di Filosofia teoretica all’Università degli Studi Milano-Bicocca nonché
padrino del Festival – a Francesco Paolo Ciglia – professore ordinario di Filosofia morale e
Filosofia della religione all’Università di Chieti-Pescara fino a Maria Rita Parsi – psicoterapeuta,
scrittrice, Presidente della Fondazione Movimento Bambino, membro del Comitato ONU per i
Diritti del Fanciullo nonché madrina del Festival.
I NUMERI DEL FESTIVAL
Le visite sul sito del Festival: www.filosofilungologlio.it hanno fatto registrare un incremento
pari al 24%, se confrontate con l’edizione 2014.
La media giornaliera, nel corso dei 43 giorni di durata del Festival, è di 4.124. Senza dimenticare
le interazioni attraverso i social media ove si è verificato un incremento ragguardevole degli
utenti: si pensi solo a Facebook con 6.000 impressioni circa al giorno.
Un altro elemento rilevante è la percentuale di visitatori da tutta Italia: Brescia 29,93%, Milano
23,04%, Roma 8,50%, Bergamo 6,22%, Cremona 0,88%, Mantova 2,37%, Torino 1,14%,
Bologna 1,06%, Firenze 0,75%, Napoli 0, 69% e altre 255 località italiane e dall’estero: Brasile
0,31%, Stati Uniti 0,24, Spagna 0,22%, Francia 0,20%, Regno Unito 0,20%, Svizzera 0,18%,
Germania 0,13%, Austria 0,05%. Seguono, tra gli altri, Kenya, Portogallo, Argentina, Australia,
Canada. L’affluenza reale, rispecchiando l’andamento di quella virtuale, conferma il trend positivo
della manifestazione attestandosi attorno alle 23 mila presenze.
Il pubblico trasversale per provenienza geografica, culturale, sociale, anagrafica vanta anche
quest’anno un numero considerevole di giovani.
«Siamo molto soddisfatti – ha dichiarato il direttore scientifico, Francesca Nodari – per il risultato
raggiunto: l’ulteriore crescita del Festival ci conferma il progressivo radicamento nel territorio di
una manifestazione attesa e seguita nonostante le distanze da percorrere e i fitti appuntamenti. Si
conferma, quasi fosse un dato sociologico, il bisogno, diciamo pure la fame di conoscenza, di
approfondimento e di confronto. Di qui la nostra tenacia e insieme la nostra convinzione nel
promuovere questo Simposio di Pensiero e di Parole, proponendo, di anno in anno, questioni cruciali
per l’umano e il suo stare al mondo.
Un ulteriore elemento degno di nota e che ci onora consiste nel fatto che il nostro Festival è stato
selezionato dalla Giuria internazionale dell’ EFFE - Europe for Festivals, Festivals for Europe - Label
come meritevole del riconoscimento di EFFE Label 2015/2016. Il Festival Filosofi lungo l’Oglio
entra così a far parte della piattaforma, che rappresenta 31 paesi europei, dei festival «that stand
for artistic quality and have a significant impact on the local, national and international level». Il
Festival Filosofi lungo l’Oglio sarà, pertanto, inserito in una particolare guida che sarà presentata in
estate nella sua versione interattiva online e proposta in formato cartaceo in occasione dell’EFFE
Award Cerimony, che avrà luogo nel settembre prossimo.
A nome dell’intero Comitato Scientifico del Festival e del Consiglio direttivo della Fondazione
Filosofi lungo l’Oglio – ha concluso Francesca Nodari-desidero esprimere i più vivi ringraziamenti
agli illustri relatori che hanno offerto il loro alto contributo di pensiero prestandosi ad ulteriori
approfondimenti con acume e generosità e a tutti gli enti, le istituzioni, gli sponsor coinvolti in
questa manifestazione. Un grazie alla stampa, alle televisioni e alle radio che hanno seguito questo
Simposio di Pensiero di Parole. Un grazie ai volontari, ai più stretti collaboratori, a tutti coloro che ci
hanno sostenuto e, naturalmente, un grazie di cuore al nostro straordinario pubblico, o meglio,
alla catena umana di amici pensanti».
RIEPILOGO
22 lezioni magistrali.
21 località ospitanti.
23 giorni di attività: lezioni magistrali, cerimonia di proclamazione del vincitore del Premio
Internazionale di Filosofia/Filosofi lungo l’Oglio. Un libro per il presente.
43 giorni: l’arco di durata del Festival.
6.000 impressioni con interazioni al giorno su Facebook
258.000 le impressioni su Facebook nell’arco della manifestazione
4.124 la media giornaliera dei contatti sul sito.
182.560 i contatti sul sito nel corso del Festival.
23.000 ca. le presenze registrate nel corso della manifestazione.
GRATUITÀ
È LA PAROLA CHIAVE DELLA XI EDIZIONE DEL FESTIVAL
Gratuità è la parola chiave scelta per l’undicesima edizione della manifestazione. Lo hanno
comunicato, al termine della serata conclusiva del Festival Maria Rita Parsi e Armando Savignano
– in rappresentanza dell’intero Comitato scientifico – e il direttore scientifico, Francesca Nodari.
In linea di continuità con i temi trattati nelle scorse edizioni, la nozione di gratuità, parola demodé
nell’era del consumismo e dell’iperindividualismo, sembra quasi dimenticata dall’odierna società
globalizzata. È sopravvissuto, se così si può dire, l’aggettivo gratuito che ha una trascrizione
immediatamente economicistica e che sembra attrarre l’interesse dei più per il semplice fatto che
questa o quella cosa non costa. Come dire anche la gratuità è stata risucchiata dalla logica del
denaro, perdendo il suo significato originario. Non a caso si dice: quell’oggetto è gratis, non devo
nulla. Al contrario la gratuità, nelle sue molteplici sfaccettature – sociologica, politica,
fenomenologica, ermeneutica-esistenziale, morale, estetica, antropologica, teologica per citarne
solo alcune – ha a che fare con un’asimmetria e più che a un fruire senza corrispondere alcunché
rinvia a un dare senza alcuna pretesa di contraccambio. Come mostra il filosofo e teologo Maurice
Bellet, che rinviene nella figura del Cristo la cifra antropologica prima ancora che religiosa di tale
nozione, la gratuità non declina la fuga mundi, ma postula una piena intersoggettività. Invoca il
micro dinanzi al macro, all’esorbitante, al troppo, al superfluo. Richiede un transito e un
superamento del modello in cui siamo intrappolati. Essa è lì ad indicarci l’emergenza della crisi
chiedendo di essere assunta come habitus individuale per contrastare il declino del nostro abitare.
La gratuità è prepolitica: non si limita a segnalare un disagio, ma propone un pharmakon: «nel
crescente smarrimento del mondo – osserva Bellet – con quella specie di buco nero che si annida
nei nostri deliri di potenza e di produzione, si avverte con urgenza la necessità di un’iniziativa, di
una rifondazione, di una nuova partenza». Occorre che all’inerzia subentri la responsabilità, alla
lassitudine la speranza, al «cancro dell’ebetudine» un nuovo inizio.
In un mondo che risponde al principio di espansione (che incorpora le sfere del tecnologico e
dell’economico), accanto ai mali dello sfruttamento – l’uomo sotto – e dell’esclusione – l’uomo
fuori – si afferma un’altra modalità disumanizzante: l’uomo da nessuna parte ossia il soggetto
sradicato, disorientato «sottomesso a un nuovo destino dissimulato sotto gli orpelli della
pubblicità, il consumo e la moltiplicazione dei “giocattoli” che la tecnica gli offre». L’uomo è
sotto scacco. E l’umanità pure. Solo chi fa propria l’esperienza dialogica e relazionale può
contribuire a battersi, con umiltà e audacia, per un nuovo inizio. Costoro sono, secondo Bellet, gli
insorti: uomini e donne che tengono desta la coscienza, che non si rassegnano dinanzi ad uno
scenario complesso e intricato.
La gratuità, poi, ha profonde implicazioni con il dono il cui valore – secondo il celebre etnologo e
antropologo francese Marcel Mauss – sta nell’assenza di garanzie per il donatore. Un’assenza che
presuppone una grande fiducia negli altri. D’altro canto il dono è, secondo lo studioso, un fatto
sociale totale, ossia un aspetto specifico di una cultura che è in relazione con tutti gli altri.
Ma la parola gratuità chiama in causa anche il delirio di onnipotenza dei molti – gli riusciti secondo
Bellet –, impone la distinzione tra mero solidarismo da un lato, carità e misericordia dall’altro.
Per chi crede, rinvia alla grazia ed ha molto a che fare con la sofferenza, la passività, l’attenzione,
la pazienza, l’elezione, la croce, la salvezza. La gratuità è saper ringraziare, che è un pensare:
“Denken ist Danken” sosteneva Heidegger. Eppure, oggi, dire grazie sembra un dettaglio di poco
conto. E la gratitudine un che di accessorio. Eppure, come scrive il celebre poeta F. Hörderlin,
citato dallo stesso filosofo tedesco nel saggio: La questione della tecnica, potremmo concludere:
«Dove c'è pericolo cresce anche ciò che salva».