Pdf Opera - Penne Matte

Transcript

Pdf Opera - Penne Matte
Le luci led del cubo bara illuminano a malapena l’angusto ambiente in cui sono solito rinchiudermi per
evitare noie quando lavoro su “roba complicata”.
Al centro del materasso in poly-foam, ingombro di incarti di cibo precotto e bevande stimolanti, ho ricreato
il mio tempio Zen personale.
Il cyberPC, protetto da firewall mutante, è la mia spada, la mia arma migliore. Gli spinotti di interfaccia per
la connessione ultrarapida con commutatori al titanio orbitale sono, invece, una difesa impenetrabile
contro i cyberKiller. Non voglio passare il resto della mia vita in stato vegetativo in una “Casa del Tempo
Nullo”, intento a fissare il vuoto di una parte bianca e a sbavarmi addosso.
Sto lavorando a questa maledetta chiave cifrata da oltre due giorni, riuscendo a dormire solo cinque ore o
poco più.
Non pensavo fosse un lavoro così complesso! La matrice mutante riesce a ricrearsi in un tempo troppo
breve, rendendomi impossibile il creare una breccia tale da poter bloccare la creazione ripetuta dei processi
iterativi di rigenerazione.
Ho bisogno di una pausa.
Devo riflettere su come fare a scardinare questa logica di programmazione così ostica, ma non riuscirò a
farlo restando chiudo qui dentro. Una birra mi schiarirà le idee.
Stacco il chip di memoria su cui sto lavorando e lo infilo nella tasca dei pantaloni.
Prendo il soprabito ed esco, con l’intenzione di dirigermi al pub all’angolo della strada.
Apro la porta del cubo bara e scopro che è notte fonda. In strada c’è ancora la presenza tenace delle luci led
delle insegne degli strip club. Il corridoio del terzo piano su cui si affacciano i cubo bara e la reception sono
deserte e immerse in un silenzio irreale, rotto solo dal rumore del condizionamento.
Le luci a Led dei lampioni della strada gettano strane ombre sulle vetrate dell’ingresso.
Fuori il freddo è pungente. Schivo un paio di puttane accompagnate dal pappone dicendo loro di essere in
compagnia della notte, anche se il mio sguardo continua a fissare il didietro di una delle ragazze.
Sgattaiolo dentro il pub dopo aver subito lo sguardo indagatore del buttafuori che mi avvisa di non creare
problemi. Aprendo la porta del locale vengo investito dalla musica ad alto volume e dall’acre odore di erba.
Il locale è ancora pieno nonostante siano le quattro e un quarto di notte.
Arrivato al bancone, chiedo al barista una birra media che mi viene lanciata da un lucente cyber braccio
come in un moderno saloon.
<< Sono cinque crediti amico, però se prendi tre medie in totale ti costano dodici crediti. – sgranando un
sorriso sfavillante dal essere naturale il barista aggiunge – Serata di sconti! >>
Avvicino il credi-chip alla cassa e digito la cifra sul tastierino touch-screen. Dodici crediti è un buon prezzo
per un po’ di tempo da dedicare a se stessi e non ai problemi che mi assillano.
“Maledetta Matrice” penso tra me e poi, rivolgendomi al barista gli chiedo: << Conosci Nasty Roger? Se non
sbaglio si fa vedere ogni tanto da queste parti. Palestrato… Con delle fauci di drago tatuate sul
volto…sempre incazzato e voglioso di sfogarsi in una rissa. Sono due giorni che cerco di contattarlo ma
senza successo! >>
<< Certo che lo conosco. – mi risponde senza esitazione – Quel ragazzo è una vera mina vagante, una testa
pazza. E’ venuto qui due sere fa. Ha discusso con Nicholas, il buttafuori, e dopo essersi calmato, ha risposto
al cellulare e si è allontanato dal locale subito dopo. >>
Svuoto con un sorso il boccale di birra e il barista, come per un riflesso condizionato, toglie il bicchiere
sporco e si allontana per ricaricare la mia dose di luppolo. Ne approfitto per provare a contattare Nasty al
cellulare e, una voce femminile cordiale, mi annuncia che: << L’utenza da lei contattata è disattivata.
Controllare la numerazione digitata e riprovare più tardi. Beep! >>
“Disattivata?!?! – penso tra me – Nasty ci campa con il cellulare e l’utenza è disattivata. Ma cosa cazz… Gli
deve essere successo sicuramente qualcosa.”
Mentre appoggio il cellulare sul bancone e allungo la mano destra per impugnare il boccale di birra
traboccante schiuma, appena poggiato di fronte a me, una mano guantata mi blocca il polso e, con estrema
delicatezza, mi carezza il dorso della mano sinistra.
Il volto giovane e dai lineamenti sfuggenti di Liv, incorniciato da capelli cotonati verde fluo, si para di fronte
a me, iniziando a recitare la solita tiritera in tono lagnoso:
<< Lathan bello ho voglia di divertirmi ma sono rimasta a secco. Mica puoi allungarmi un centone? >>
“Come volevasi dimostrare! – penso tra me – Ogni volta è sempre lo stesso discorso. L’unica variabile resta
la cifra.”
<< Un centone Liv?!?! – le rispondo con un sorriso sornione stampato sul volto – Se mi dai una mano a
trovare quel perditempo di Nasty guadagni la mia riconoscenza e il centone che mi chiedi. >>
<< Ehi! Lo sai che con la riconoscenza ci fodero le pareti del cesso e che, per le informazioni, la tariffa è
centocinquanta crediti – replica stizzita. Ma, dopo avermi fissato negli occhi, addolcisce i toni e prosegue: –
Però tu sei sempre stato molto buono con me. Vada per un centone. >>
<< Quindi? – le chiedo, passandogli il credichip da cento – Nasty dove si è rintanato? >>
Mi metto in attesa dell’arrivo della massa di parole che sicuramente mi scaricherà addosso in pochissimi
secondi, cercando di non perdere il filo logico dalla sua risposta.
<< Si è messo sicuro in qualche casino, perché non sei il primo che mi chiede di Nasty stasera. Comunque
l’ho visto nel pomeriggio. Era solo e andava di fretta. – inizia a blaterare ininterrottamente come un’oca
giuliva – Mi ha lasciato un pacchetto da consegnarti e mi ha parlato di un affare da sistemare con il
“Cinese”. Stava sudando molto, nonostante in casa ci fosse l’aria condizionata a cannone. Ha preso il
borsone da palestra e l’ha riempito velocemente con un paio di magliette e qualche mutanda. Aveva una
fretta fottuta! Ha lasciato il cellulare sul letto senza… >>
La interrompo bruscamente, mettendole una mano sulla bocca, a rischio di strapparle il piercing sul labbro.
<< Un pacco per me? – le domando sorpreso, cercando di ricapitolare l’enorme mole di info – Il “Cinese”
che c’entra? Nasty in giro senza cellulare? Ferma! Ricomincia da capo e dimezza la velocità della lingua. >>
Lei sospira rassegnata, scuotendo la testa e, mentre con una mano fruga nella borsetta, riprende dall’inizio
a rispondere alla mia domanda.
<< Nasty è passato da casa oggi, per prendere alcune cose perché doveva sparire dalla città per un paio di
giorni. L’affare con il “Cinese” non è andato come sperava. >>
Fa una pausa, così da darmi il tempo di stare dietro a quello che mi aveva appena detto e, piazzandomi di
fronte una scatolina tirata fuori dalla borsetta, riprende a parlare: << Mi ha lasciato questo pacco per te,
dicendo che sicuramente ti avrei trovato qui. Si è raccomandato di darlo solo a te e a nessun’altro. >>
Tamburella con le dita sul bancone, attirando la mia attenzione sulla scatola e la spinge verso di me.
Mentre mi infilo la scatola nella tasca interna del soprabito, lei si appropria del boccale di birra. Ne tracanna
una copiosa sorsata e, conclude il discorso, informandomi che: << Ha gettato la vecchia SIM e ha lasciato il
cellulare spento sul letto. Forse per non farsi rintracciare tramite la rete cellulare. Questa volta Nasty si è
infilato in una cosa più grande di lui. >>
Liv mi fa un occhiolino e vuota il boccale con un’altra sorsata.
<<Grazie per la birra e per il centone. Sei sempre stato un “signore”! >> e, dandomi le spalle, si allontana
dal bancone, perdendosi nella giungla del locale.
<< Liv! Liv! Ehi… Liv! >> La chiamo invano ma la musica del locale fagocita le mie parole rendendole parte di
una grande cacofonia.
Giocherellando con la scatolina tra le dita nella tasca, aspetto che il barista mi serva l’ultima birra che ho
pagato.
Bevo ed esco. Sono troppo impaziente di capire cosa c’è nel contenitore di plasti-metallo.
“Aspetterò di arrivare al cubo bara e poi la aprirò.” – mi dico, quasi per convincermi a non aprirla in quel
momento.
Faccio il tragitto di ritorno in trance completa. Attraverso velocemente la reception e mi infilo
nell’ascensore, senza accorgermi che tutto l’atrio è illuminato dai led di emergenza.
Me ne rendo conto solo quando, insistendo a premere il pulsante di chiamata dell’ascensore, non succede
nulla.
“Ma cosa succede? Manca la corrente? E, a quanto pare, non solo nella reception? Ascensore maledetto.”
Imbocco la scala e, arrivato sul pianerottolo del terzo piano, apro la porta marca piano. Mi blocco sotto lo
stipite a causa di un’irrefrenabile impulso di grattarmi sui connettori. “Maledetto formicolio!” – penso
avviandomi verso il cubo bara.
A pochi passi dalla porta di ingresso del mio rifugio, mi rendo conto che c’è qualcosa che non va: la porta è
semi-aperta.
Rimango fermo e in silenzio davanti all’ingresso, immobile per la tensione.
Dall’interno non proviene nessun rumore e non sembra ci sia movimento.
Entro nel cubo bara scoprendo che è stato oggetto dell’ispezione di qualche male intenzionato. È tutto nel
caos. Prendo il mio deck e faccio un passo nel corridoio.
Una voce metallica mi inchioda sul posto: << Lathan Penbrok, il “Cinese” vuole il codice decrittato e quello
che Nasty gli ha rubato. Consegnali entro venti secondi. >>
Il suono metallico del caricamento di un fucile semi automatico d’assalto rende la richiesta più minacciosa,
più reale e più “mortale”.
Giro la testa in direzione della voce. Un robokiller fermo al buio con il fucile spianato occupa il corridoio a
una ventina di metri da me.
“Ho spazio per scappare?!?!” – penso tra me mentre cerco di trovare una possibile via di fuga.
<< Non so di cosa parli “Testa di latta”. – gli rispondo, cercando di prendere tempo – Conosco Nasty, ma
non sono al corrente dei suoi affari. >>
<< Quindici secondi! >>
Il mio sguardo febbrile individua tre vie di fuga: la finestra del cubo bara di fronte a me, l’ascensore e la
porta delle scale alle mie spalle.
L’ascensore non è al piano. La finestra si affaccia sul vicolo alle spalle dell’hotel ed è un salto di sette, otto
metri. La porta delle scale si è appena richiusa e dista solo quattro, cinque passi.
<< Dieci secondi! >>
<< Nove secondi! >>
<< Otto secondi! >>
<< Sette secondi! >>
<< Sei secondi! >>
Devo fare qualcosa e in fretta. I secondi si trasformano in squarci di eternità.
<< Cinque secondi! >>
“La finestra o le scale? Cosa faccio?”
<< Quattro! >>
“Quattro secondi e non so come cavarmi da questo impiccio, cazzo!”
Mentre il robokiller conta il Tre, si sente il rumore di una porta che si apre alle spalle del mio aguzzino. Un
uomo assonnato spunta dal suo cubo bara con una pistola in mano e apre il fuoco sul robot al grido di: <<
Voglio dormire cazzo! Andate a crepare da un’altra parte. >>
Non spreco l’occasione e in una frazione di secondo mi fiondo a capofitto nella tromba delle scale.
Accompagnato dal rumore delle raffiche di risposta del robokiller e delle grida di dolore del mio “salvatore”,
mi dileguo nella notte, facendo perdere le mie tracce.