Le lenzuola di Angela

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Le lenzuola di Angela
“Le lenzuola di Angela”
(Storia
di un difficile perdono nel quartiere Gravina)
Commedia-dramma in tre atti di Alfonso PICCIRILLO
pos. SIAE 144227
(traduzione in collaborazione con lo scrittore Carmelo Gaudiano dall’opera omonima di
Alfonso Piccirillo dal titolo “A Stradélle”)
Personaggi:
FELICE (vedovo di Angela)
ANGELA (anima, era moglie di Felice)
GELSOMINO (giovane sordomuto)
GIACINTA (comare del vicinato)
COSIMO (marito di Giacinta)
FILOMENA (altra comare del vicinato)
PLACIDO (marito di Filomena)
IL DOTTORE del paese
Premessa dell’autore:
Quando si muore si porta nell’aldilà tutto il peso delle proprie colpe, se non si è fatto in tempo
a ripararle. Che un’anima torni a chiedere perdono ai vivi è un’assurdità. E’ possibile invece,
nonché auspicabile, che i vivi chiedano perdono a Dio per le offese da loro arrecate alle anime
dei trapassati quando erano sulla terra, come è auspicabile che i vivi chiedano perdono a Dio
per le eventuali colpe commesse dalle anime dei trapassati, senza presumerne la natura e
l’origine, conoscendo solo il Signore la verità di ognuno. Un pio esercizio di verità e perdono.
E’ ciò che ritengo, come cristiano, possibile. Per cui davvero questo testo è frutto della mia
fantasia e non ha alcuna pretesa di verità, se non quella di liberare la mia idea, un chiodo
fisso, che le anime dei trapassati vogliano riparare alle loro colpe con i vivi per prima
raggiungere il Paradiso.
Spero di aver rafforzato in me stesso – come nel fortuito e paziente lettore - l’ammonimento
che questa vita è l’unica chance che abbiamo per il Paradiso.
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ATTO I
Casa di Felice. Sala da pranzo semplice e alla buona. Al centro un piccolo tavolo con delle sedie, a
destra un divanetto; per il resto mobilio comune. Inoltre ci sarà una finestra dalla quale si scorge
la nicchia di Sant’Antonio, alla fine del vicolo, assunto a protettore del vecchio quartiere storico e
ora quasi abbandonato del paese.
Entrano le due comari Giacinta e Filomena dalla stanza di destra - cioè dalla camera da letto dove
è stato sistemato il corpo esamine, composto per il funerale, della giovane Angela - seguite dai
rispettivi mariti, Placido e Cosimo che sorreggono Felice, quasi svenuto e affranto dal dolore per
la tragica fine della moglie. I due compari adagiano Felice come un peso morto sul divano.
Scena I
Felice, Giacinta e Filomena, Placido e Cosimo
GIACINTA: (con animosità) Mettetelo sul divano, posatelo piano piano sul divano...
FELICE: (piagnucola e pronuncia sempre flebile) Non c’è più! Non c’è più! Non c’è più!
FILOMENA: (ordinando a Giacinta) Le gocce comare, le gocce per i nervi che gli ha dato il
medico…
GIACINTA: Le ho viste sulla mensola della cucina… Faccio subito! (esce)
PLACIDO: (rincuorando) Compare Felice, un poco di coraggio! Non si fa così!
COSIMO: (a sua moglie in cucina) Giacinta, visto che stai lì, a compare Felice facci pure una bella
camomilla...
FILOMENA: E che ci fa con la camomilla? Per farlo calmare ci vogliono solo le gocce …
GIACINTA: (dall’interno) Comare Filomena, quante gocce ha detto il dottore?
FILOMENA: Quindici… E tante me ne piglio pure io la mattina… (Poi quasi tra sé) Se no chi
resiste fino a sera!
PLACIDO: (a sua moglie ) Tu, veramente, potresti farne a meno!
FILOMENA: Sì? E poi come faccio per sopportarti?
PLACIDO: Mo’ vuoi vedere che la colpa dei tuoi “nervi” sono io?
FILOMENA: Propriamente!
COSIMO: Ue’, e che vi mettete a litigare proprio adesso? Non mi pare proprio il momento.
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Giacinta rientra con il bicchiere dove ha versato le gocce (sedative)
GIACINTA: Tieni compare Felice: bevi!
Felice prende il bicchiere, sempre debolmente, e appena sorseggia ha una repentina reazione di
disgusto (a soggetto).
FELICE: Ma questo è veleno!
FILOMENA: Ma non può essere! Le prendo pure io ‘ste gocce, e non mi sembrano così amare.
FELICE: Mi fanno contorcere lo stomaco come se lo volessero sfondare.
FILOMENA: Possibile? Stanno quelli che arrivano a pigliarsene pure trenta (di gocce), così ha
detto il dottore.
PLACIDO: Si vede che tengono lo stomaco di struzzo.
FELICE: E’ inutile! Mi vengono i torciglioni…
GIACINTA: Allora devi mangiare qualcosa: a stomaco vuoto tutte le medicine fanno male. Ti ho
preparato un poco di latte, ma l’hai neanche assaggiato.
FELICE: Perché ho lo stomaco chiuso!
FILOMENA: (insistendo con il bicchiere) Io le prendo anche a stomaco vuoto e non mi succede
niente. Dai, fai un altro sforzo compare Felice!
FELICE: Ma so’ proprio necessarie ‘ste diavole di gocce?
FILOMENA: E certo! L’ha detto il medico!
Felice è quasi forzato, anche fisicamente, a bere la medicina.
FELICE: (disgusto a soggetto) Quanto so’ amare! Un fiele!
FILOMENA: Ma possibile? A me sembrano così dolci!
GIACINTA: Si vede che tieni la bocca disgustata!
FILOMENA: (notando gli occhi molto arrossati) Ma che hai fatto agli occhi, compare Felice?
Possibile che sono così rossi? Vedete anche voi!
GIACINTA: E’ il pianto! Non smette per niente. E gli occhi non riposano. Il dottore gli ha dato
pure il collirio. Ma per fargli mettere due gocce che c’è voluto.
Felice, a soggetto, ha delle convulsioni improvvise e irrefrenabili… Si porta le mani alla pancia.
Così tutti credono che abbia bisogno urgente di andare al bagno.
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FILOMENA: Al bagno, accompagnatelo al bagno!
PLACIDO: Compare, corri, presto al bagno.
GIACINTA: Cosimo, accompagnalo tu al bagno!
COSIMO: (sottovoce a sua moglie) E mica è un bambino! Io non ho lo stomaco.
FELICE: (calmandosi di nuovo) Mi prendono certe fitte all’improvviso alla pancia, così forti che
non potete immaginare. (Ecco che tornano, le fitte) Li sentite?
FILOMENA: Che cosa?
FELICE: Mo’ tornano di nuovo!
PLACIDO: Ma chi?
FELICE: Le fitte!
FILOMENA: E corri al bagno! Presto!
GIACINTA: Andate pure voi due! Non lasciatelo da solo!
PLACIDO: (sottovoce) Di nuovo? Che dobbiamo fare al bagno insieme a lui?
Felice si precipita al bagno con le mani sulla pancia. Restano soli i compari e le comari.
COSIMO: Per la miseria, è esagerato! Peggio di un bambino!
FILOMENA: Per forza! Al compare gli è morta la moglie giovane.
GIACINTA: E che morte!
PLACIDO: Sì, è una tragedia, d’accordo! Ma piangesse e basta! Ora sviene, ora ha le fitte…
COSIMO: E ogni tanto a me è sembrato anche che facesse aria… Capite? Dico aria!
PLACIDO: Aria infetta…
FILOMENA: Eh, quant’è facile criticare!
PLACIDO: Noi non critichiamo…
COSIMO: Constatiamo.
FILOMENA: Il guaio che ha avuto il compare è stato proprio grosso.
GIACINTA: Vorrei vedere voi al posto suo! Già, a voi non ve ne sarebbe proprio importato. Per
certi mariti la vedovanza è uno stato di grazia, di liberazione.
COSIMO: Mi pare più per le vedove. Sai quante signore ho visto rifiorire dopo la perdita del
marito.
PLACIDO: Ssssh… zitti… che viene
Felice rientra e, seppure con le mani sulla pancia, pare abbastanza rilassato.
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FILOMENA: Come ti senti adesso compare? Va meglio?
FELICE: Macchè! Niente! Solo aria… Saranno le gocce che mi ha dato il dottore.
FILOMENA: Ma no, a me non fanno questo effetto! E’ solo un problema di “nervatura nervosa”.
FELICE: Faccio brutta figura, lo so, ma quando mi vengono questi dolori di pancia
all’improvviso… proprio non riesco a controllarmi.
GIACINTA: Non ti fare scrupoli, compare. I guai prendono sempre allo stomaco.
FELICE: Sì, può essere!
FILOMENA: Magari a me i problemi si togliessero dalla testa e finissero nello stomaco. Ma a me
restano in testa.
COSIMO: Dove vai adesso compare?
FELICE: Da Angela! Solo questa notte starà ancora in casa con me, da domani non la vedrò più.
La voglio guardare tutta la notte. Quant’è bella! Da morta è ancora più bella! Ma se non moriva era
meglio (e piange). Non c’è più! Non c’è più!
GIACINTA: Ma stai un poco qua sul divano. Riposati! La notte è lunga e sarà dura da passarla
sulla sedia… Ormai se ne sono andati tutti!
COSIMO: Come tutti? Sta ancora dentro Gelsomino “il muto” .
PLACIDO: Sì, è vero! Da quando l’hanno portata (la morta), non si è più mosso da lì dentro!
FELICE: Ma mandatelo via, ditegli di andarsi a coricare.
COSIMO: Ce l’ho detto più di una volta, ma non ne vuole sapere! Non si smuove da quella sedia.
GIACINTA: Ogni volta che muore qualcuno del vicolo fa sempre così! Si fa tutta la veglia e tutto
il funerale dall’inizio fino al camposanto.
FILOMENA: Povero figlio! Si vede proprio che ne ha dispiacere.
PLACIDO: Forse tiene paura a coricarsi a casa sua, solo solo come un cane, dopo tutto quello che
è successo.
COSIMO: Forse!
FILOMENA: Ma ci è abituato! Non è la prima volta che muore qualcuno nel vicinato. Ne ha visti
anche lui di funerale.
CONCETTA: Già, solo funerali in questo quartiere.
FELICE: E comunque andatevi a coricare pure voi. Che state a fare ormai qui?
FILOMENA: No, non se ne parla neanche.
CONCETTA: Noi restiamo a vegliare per Angela. Siamo rimasti solo noi in questo quartiere e se
non siamo più uniti in questi momenti…
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FILOMENA: (ai due uomini) Però Gelsomino, dentro, è meglio che lo mandate a dormire comodo
a casa sua, poverino! Ditegli di ritirarsi!
PLACIDO: A te pare facile?
Felice entra seguito dai due compari.
Scena II
Filomena e Giacinta
FILOMENA: (accomodandosi sul divano) Mamma mia! Sopra la sedia di tavola dentro mi si è
appiattito il sedere! Comare Giacinta, siediti qua pure tu, riposati. Sai che stanchezza tutta stanotte e
domani pure.
GIACINTA: Prima che faceva notte ho ritirato le lenzuola asciutte che aveva ancora sulle corde
della “Gravina” (un precipizio roccioso con giù un torrente che scorre in una specie di canyon che
divide la Murgia dai Sassi di Matera). Ma l’ultimo lenzuolo se l’è portato appresso a lei nel fiume,
povera figlia. Aiutami a piegare, comare Filomena.
FILOMENA: (sorpresa) Ma il maresciallo ha detto di lasciare tutto come stava alla Gravina… di
non toccare niente, perché deve fare le fotografie.
GIACINTA: Io non l’ho sentito! Ma a che gli servono le fotografie?
FILOMENA: E’ per l’indagine di com’è caduta.
GIACINTA: Sì, ma che c’entrano le lenzuola?
FILOMENA: Hanno detto che qualcosa c’entrano, perché Angela, quando è caduta di sotto, stava
stendendo le lenzuola…
GIACINTA: Oh mamma mia! E adesso? Mica posso ritornare a stenderli come prima. E’ tutto
buio!
FILOMENA: Ormai! Facciamo finta che non abbiamo sentito! Che ci può succedere? Ci vuole
portare carcerate? Tanto più della vita che facciamo! Già carcerate in questo budello di case
vecchie! Eremiti forzate!
GIACINTA: Anche Angela, però! Sempre a lavare e sciorinare lenzuola. Ogni santo giorno! Che
pazienza! La corda sua, sulla Gravina, sembrava quella di una "fittacamere".
Iniziano a piegare le lenzuola, osservandone i fini ricami.
FILOMENA: Sono belli! Che bei ricami! Chissà chi li ha fatti questi disegni? Colombe… fiori...
Quant’era delicata Angela.
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GIACINTA: Li ha ricamati lei stessa quando stava dalle suore. Ti sei scordata che è cresciuta da
piccola nel Convento dalle suore di Sant’Antonio?
FILOMENA: Già, povera figlia, orfana di padre e di madre fin da bambina! Eh, si faceva suora era
meglio; almeno si risparmiava questa brutta fine. E’ venuta a consolarsi dentro questo vicolo cieco
della Gravina. Un tempo era diverso, tutta un’altra cosa, c’era vita…
GIACINTA: Compare Felice qua stava tranquillo e senza pensieri; ormai lo davamo sicuro per
"zitello"… poi lo chiamarono le suore per curare il giardino del Convento e si portò a casa un fiore
di ragazza: bella, intelligente, buona e tanto più giovane di lui.
FILOMENA: Si vede che Angela se ne voleva proprio uscire dal Convento, altrimenti non sposava
compare Felice. Poverina, appena diventata maggiorenne, pure di scappare dalle suore, s’è sposata
col primo che l’è capitato davanti.
GIACINTA: (zittisce) Ssss… Basta con questi ragionamenti, ancora di là ci sente compare Felice.
FILOMENA: Hai ragione Giacinta!
GIACINTA: (cambiando discorso) Tu dici che lo convincono Gelsomino a ritirarsi a casa sua?
FILOMENA: Penso proprio di no.
GIACINTA: Povero figlio! Pure lui orfano da bambino. Ora che è morta Angela è rimasto solo
solo veramente! Insieme parevano fratello e sorella.
FILOMENA: Gelsomino è stato sempre come uno di famiglia dentro il vicolo. Non gli abbiamo
fatto mancare mai niente. E lui s’è comportato sempre bene.
GIACINTA: Servizievole con tutti.
FILOMENA: Ma per Angela di più, si faceva in quattro. L’aiutava pure nelle faccende di casa.
GIACINTA: Sì, è vero.
FILOMENA: (sospira) Ah, povera Angela! Che vita con compare Felice? Non l’ho vista mai a
braccetto col marito, mai una volta a passeggio o un’uscita al paese, magari di domenica o alla
Festa Patronale.
GIACINTA: (sottovoce) Compare Felice era geloso assai, che non lo sai?
FILOMENA: I mariti nostri non sono gelosi, ma neanche usciamo le domeniche e i giorni di Festa!
Ormai il mondo nostro è tutto in questo vicolo, chiuse a fare sempre le stesse cose ogni giorno:
cucina, lava, stendi e stira… Ma la croce mia, tu lo sai, è quella di preparare da mangiare. Che devi
cucinare a mezzogiorno e che ci mangeremo la sera! Specialmente che mio marito è stato sempre
difettoso sul mangiare! Io penso sempre a questo; pure quando diciamo il Santo Rosario, la testa
mia pensa alla faccia di Placido quando gli presento il piatto. Per non farla lunga ti dico che sono
arrivata a prendermi le gocce per la “nervatura”, come quelle che ha dato il dottore stamattina a
compare Felice. Mi devi credere, comare mia, non vedo l’ora che arriva la notte per chiudere gli
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occhi. Ma per dormire se non prendo le gocce non se ne parla proprio. E quando mi sono
addormentata è presto che arrivata la mattina. E per alzarmi… non ti dico… proprio non ho la
forza! Ah, come me ne andrei per sempre… dove penso io.
GIACINTA: E dove te ne vuoi andare comare mia?
FILOMENA: Lontano, lontanissimo: un posto dove non si cucina mai e non si mangia!
Luci solo su Giacinta e soliloquio dei suoi pensieri.
(Quando ci saranno questi soliloqui, la luce si concentrerà solo sul soggetto attivo, mentre gli altri
rimarranno fermi in penombra).
GIACINTA: Comare Filomena ha ragione: la vita in casa è sempre uguale. Cucina, lava, sciorina e
stira… e nessuno che ti dice “grazie”. Certe volte, quando vado a stendere le lenzuola e i panni alla
Gravina, alle corde delle ringhiere, sento quell’acqua del fiume che scorre di sotto… come se mi
chiamasse. E penso che deve essere bello starsene nell’acqua fresca del fiume… Da piccola, quando
mamma andava a lavare i panni, io mi ci facevo sempre il bagno… ma solo i piedi… (Come a
rispondere al pubblico) No, che mare! Chi l’ha mai visto il mare.
FILOMENA: (rompendo il soliloquio di Giacinta) Commà, questo non l’ho mai detto a nessuno,
ma con te voglio essere sincera: più di una volta, mentre stendo i panni alla ringhiera della Gravina,
mi passano per la testa “certi pensieri”… Ecco perché sono arrivata a prendermi le gocce…
GIACINTA: Che pensieri?
FILOMENA: Brutti pensieri, comare.
GIACINTA: (si lascia scappare) Pure tu?
FILOMENA: Come?
GIACINTA: Niente… Commà, mi sa che tu i panni non lì non devi più stendere alla Gravina,
meglio nello slargo sopra il vicolo.
FILOMENA: Hai ragione commà. Evito la tentazione.
GIACINTA: Ma che vuoi fare la fine che ha fatto Angela? Comare Filomena dobbiamo tirare
avanti, non solo per noi, ma anche per quel povero Gelsomino, che non ha più nessuno nel vicolo.
FILOMENA: Allora speriamo che Sant’Antonio ci protegge e ci dà la forza di tirare avanti…
Soliloquio di Giacinta.
GIACINTA: (fissando la statuina di Sant’Antonio nella nicchia) Solo che sta sempre là, fermo,
fisso, col lumino acceso. Non si scompone mai! La gente se n’è andata tutta, prima dal quartiere e
poi da questo vicolo, i giovani in città e i vecchi all’altro mondo. Ci si ammala di solitudine tra
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queste pietre. Pietre, solo pietre! E le pietre non parlano, sono mute, come Sant’Antonio che guarda
il Cielo. E meno male che ogni giorno Gelsomino il muto gli pulisce la nicchia, gli accende il lume
e gli mette i fiori freschi. Lo tratta coi guanti!
FILOMENA: (interrompendo lo scorrere dei pensieri di Giacinta) Ma che stanno facendo ancora
lì dentro? Non erano entrati per convincere Gelsomino il muto ad andarsene a casa sua?
GIACINTA: Gelsomino non lo convinceranno mai! Se lo devono trascinare con la forza o sulle
spalle…
FILOMENA: Ah, povera mamma sua! Prima di morire ce lo raccomandò a tutti quanti nel vicolo:
“Ancora lo fate portare e via rinchiudere in istituto! Fatelo per questa mamma: crescetelo voi; non
credo che nel vicinato non avanzerà un piatto di minestra calda per Gelsomino mio. Voi lo potrete
comandare a piacere vostro per i servizi da fare in paese e inoltre vi cura tutti i giorni la nicchia di
Sant’Antonio”.
GIACINTA: Che vita quella povera mamma! Vedova e con sette figli maschi ! Chi in America, chi
in Australia, chi in Germania… Tutti sparsi sulla faccia della terra; come si facevano grandi
partivano.
FILOMENA: Solo Gelsomino è rimasto con lei! E dove se ne poteva andare quel poveretto. E’
nato com’è nato.
GIACINTA: Comunque commà, tutti quanti abbiamo esaurito il desiderio della mamma:
.
l’abbiamo aiutato come meglio abbiamo potuto… tutte le famiglie
FILOMENA: Ma ora siamo rimasti solo noi. Eppure quante famiglie eravamo! Ogni porta una
famiglia. E quanti bambini che nascevano… e ragazzi che giocavano scalzi sulle pietre. Le porte
delle case poi sempre aperte: non c’era la privatezza. Non avevamo niente da nascondere. Eravamo
davvero della stessa famiglia… i servizi si facevano insieme, ci si aiutava.
GIACINTA: Ma noi due siamo rimaste come una volta, commà. Sempre unite.
FILOMENA: Sì, e perciò resisto ancora e rimango qua, altrimenti me ne sarei già andata, ma da
tanto tempo…
GIACINTA: E dove?
FILOMENA: Nel fiume, nell’acqua che va a mare, lontano lontano…
GIACINTA: (richiamandola) Commà, ancora con questa brutta fissazione?
FILOMENA: Scusa commà, ma certi pensieri proprio non li comando, escono soli.
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Si sente un brusio di voci e rumori di sedie mosse provenire dalla stanza da letto. Placido e Cosimo
stanno quasi trascinando Gelsomino il muto. Gelsomino, come detto, sordomuto dalla nascita,
veste povero, è molto esile e dal viso emaciato. Dimostra dai venti ai trent’anni.
Scena III
Detti più Cosimo, Gelsomino e Gelsomino
PLACIDO: Gelsomino fai il bravo, vatti a coricare a casa tua e domattina ritorni… (lo sospinge)
COSIMO: Andiamo bello mio che è tardi… (lo tira per un braccio mentre Gelsomino fa
resistenza)
FILOMENA: Non se ne vuole andare?
PLACIDO: Che si vede?
FILOMENA: Ora ce lo dico io: (sillabando e gesticolando come si fa coi sordomuti) Gelsomino,
adesso vai a riposare a casa tua e domani mattina, come ti svegli, ritorni. Va bene?
Gelsomino fa cenno di no con la testa.
FILOMENA: (insistendo) Sì, fallo per zia Filomena! E da domani mattina passa da casa mia, così
oltre a farmi la spesa al paese mi aiuti a fare due servizi in casa come facevi da Angela. Sei
contento?
PLACIDO: Sì, assai! Figurati quant’è contento di aiutarti a fare i servizi in casa!
FILOMENA: (irata) Tu stai zitto! E da domani mangi tutto quello che ti cucino, senza fare fiatare.
PLACIDO: Che c’entra la cucina adesso!
FILOMENA: C’entra, eccome che c’entra!
GIACINTA: (ai due uomini) Accompagnatelo a casa sua, fuori è buio; sono due giorni che nel
vicolo stiamo senza illuminazione pubblica.
COSIMO: Giacì, l’accompagniamo altrimenti non se ne va: è sordomuto, mica è “cecato”! Vede
meglio di noi!
PLACIDO: Sono due giorni che vado sul Comune per far sostituire quelle due lampadine nel
vicolo... Niente da fare! Per cambiare due lampadine deve venire una ditta da Foggia.
COSIMO: Ci sono andato pure io. Ci ho detto: portateci solo una scala lunga che le lampadine le
compriamo e ce le mettiamo noi… Macchè!
FILOMENA: Domandate a compare Felice se vi presta una lampadina tascabile, non sia mai che
inciampate.
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COSIMO: Ci sta il lume di Sant’Antonio che fa un po’ di luce, basta; almeno quello non si fulmina
mai, acqua vento o bufera, si mantiene sempre acceso. E’ un miracolo!
PLACIDO: (spingendo Gelsomino) Su Gelsomino, cerca di capire: Felice è il marito di Angela,
mentre tu sei solo un vicino di casa. Perché fai così? (Ed escono trascinandoselo)
Scena IV
Giacinta e Filomena
FILOMENA: (accomodandosi sul divano) Eh, la voleva bene assai! Chissà come si sentirà da
domani, povero Gelsomino, ancora più solo e senza nemmeno poterlo raccontare.
GIACINTA: Non lo dobbiamo abbandonare comare Filomena.
FILOMENA: Non l’abbandoniamo, ma noi chi ci aiuta?
GIACINTA: Sant’Antonio… Sant’Antonio….
FILOMENA: No, comare mia, sennò non mi prendevo le gocce per la nervatura e Angela non
cadeva nella Gravina.
Soliloquio di Giacinta che lascia scorrere i suoi pensieri… segreti.
GIACINTA: Secondo me Angela non è caduta per un malore o un incidente… Angela ha sentito
il fiume sotto che la chiamava, quel fiume è stregato: “Vieni, vieni con me, ti porto lontano lontano,
ti porto al mare dove ti puoi lavare col sale e dal mare ti faccio salire in cielo...”
FILOMENA: (chiamandola sottovoce) Commà, ma tu pensi veramente che Angela è caduta per un
giramento di testa? Insomma che è stato un incidente?
GIACINTA: Perché tu che pensi?
FILOMENA: Io ci ho un presentimento…
GIACINTA: (richiamandola) Comare Filomena, teniamocelo per noi questo presentimento e
ricordati che di là sta il marito. E’ stata una disgrazia! ‘Ché non lo sai che Angela soffriva di bassa
pressione e certe volte sveniva per terra come un sacco vuoto...
FILOMENA: Sì, mi ricordo… Ma sul margine della Gravina ci sta pure la ringhiera di
protezione…
GIACINTA: E che ringhiera di protezione è quella? E’ troppo bassa!
FILOMENA: Sì, è vero, il comune poteva farla più alta. Se uno poco si sporge rischia di cadere nel
burrone. Allora Angela si è sporta in avanti col busto per stendere le lenzuola… ha avuto una bassa
pressione o uno dei suoi soliti capogiri da svenimento e…
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GIACINTA: Esatto, proprio così.
FILOMENA: Anche il maresciallo è convinto, perché non ha lasciato niente di scritto. Quando uno
decide di farla finita – dice il maresciallo – lascia sempre due righe.
GIACINTA: Sssss…. Zitta!
FILOMENA: Scusa, ogni tanto mi dimentico. Ma a te il maresciallo non ti ha interrogata?
GIACINTA: Sì, mi ha chiesto solo se andavano d’accordo, se litigavano, se c’erano dissapori.
FILOMENA: Ma il maresciallo lo conosce bene a compare Felice, da una vita gli fa la potatura
degli alberi davanti alla caserma e gli cura il verde.
GIACINTA: Sì, ma quando uno si sposa cambia o viene fuori il vero carattere.
FILOMENA: Detto tra noi: compare Felice pecora era prima e pecora è rimasto. Né ti riscalda e né
ti raffredda. Ma meglio di mio marito è sicuramente, difficile di carattere, pignolo su tutte le cose,
soprattutto sul mangiare. E più va avanti con gli anni e più si incaponisce, un mulo, anzi una pietra.
Non mi ci sono adattato: è inutile! E sopravvivo con le gocce. (Pausa) Be’, commà, riposiamoci un
poco! Questo divano è così comodo, bello morbido! Invece nella stanza di Angela quelle sedie di
legno sono una tortura per il nostro “sedere”. Ma a te non ti viene sonno? (sbadiglia)
GIACINTA: (accomodandosi anche lei sul divano) Sì, mi sento stanca pure io.
FILOMENA: Chissà se Gelsomino l’hanno “consegnato a domicilio”?
GIACINTA: Tanto, quando lo lasceranno, quello tornerà di nuovo, ne sono convinta.
FILOMENA: Sì, può essere. (Sbadiglia) Quasi quasi me lo faccio un sonnellino! Forse ho preso
troppe gocce oggi e ora mi è calato un sonno, comare mia, che non ti dico…
GIACINTA: Vacci piano con quelle gocce. Sono sempre medicine e col tempo possono farti più
male che bene; se ti ci abitui, poi, possono non avere più effetto e che farai?
FILOMENA: Cambio tipo di gocce e se non bastano ci sta sempre la Gravina…
GIACINTA: Comare, questa cosa non la voglio più sentire.
FILOMENA: Scusami…
GIACINTA: Non è meglio, quando stai nervosa o hai brutti pensieri, che dici delle litanie a
Sant’Antonio? Sennò reciti un bel Rosario! Sapessi a me come mi fa addormentare il Rosario,
comare mia: è una ninna nanna.
FILOMENA: Ci devo provare! E’ vero… con queste gocce, fino alla fine, divento una rimbambita.
Soliloquio mentale di Filomena.
FILOMENA: (lasciandosi andare al torpore mentale del sonno) Ave o Angela piena di grazia…
il Signore è con te… domani mio marito non va in campagna e resta a casa… che gli cucino a
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mezzogiorno? Ave Angela piena di grazia… ci cuocio due spaghetti… Intanto nel primo mistero
luminoso… si contempla… e chi si ricorda a quest’ora… è tutto buio... Aglio e olio è veloce…
Sant’Antonio che si cucina a pranzo?... (Si desta, mentalmente, come spaventata) Mamma mia,
che sto dicendo? Che confusione! Cominciamo da capo… Intanto nel primo ministero doloroso sto
sempre io in cucina… ma non avevo iniziato il mistero luminoso?… Quello luminoso non va bene
se non mettono le lampadine… Sant’Antonio vieni a salvarmi… vieni presto in mio aiuto… Ho
sbagliata di nuovo… A quest’ora ci vuole solo un “Eterno riposo” che è bello corto corto e va bene
per povera Angela. “Eterno riposo donale, o Signore, e splenda a lei la luce perpetua, riposi in pace
amen…” Ce l’ho fatta... Eterno risposo… eterno riposo… è proprio quello che ci vuole… (e si
addormenta… russando ogni tanto).
Soliloquio di Giacinta e suo torpore mentale.
GIACINTA: Com’è bello il rumore dell’acqua quando scorre. Chissà com’è fresca stanotte e come
sono belle le pietre del fiume. Certe volte penso che vorrei essere una di quelle pietre: liscia liscia,
lavata, pulita, consumata dall’acqua che ti passa sopra e ti accarezza per tutta la vita… (sbadiglia)
Ave o Angela piena di grazia il Signore è sempre con te… e ogni tanto venitevi a stare un poco con
noi nel vicolo… oh Mamma mia! Ma che sto dicendo? Sarà che sto morendo di sonno!
Sant’Antonio che confusione che ho in testa… Forse è meglio un Eterno Riposo per comare
Angela, bello corto corto. “Eterno riposo donale, o Signore, e splenda a lei la luce… e pure a noi
che siamo rimaste al buio... al Comune lo sanno… o Sant’Antonio che confusione…Sant’Antonio
vieni a salvarci… non startene sempre là… Eterno riposo… è quello che ci vuole… (e non finisce
che si addormenta).
Felice ed attraversa la scena di corsa con le mani sulla pancia e va dritto al bagno senza badare
alle comari. Dal lato opposto entra Gelsomino, non visto, attraversa la scena come un ladro ed
entra nella camera di Angela. Le due comari, appisolate sul divano, ronfano…
Mentre cala la tela e si fa buio in scena… in lontananza solo il flebile lumicino di Sant’Antonio.
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ATTO II
E’ trascorso un giorno dal primo atto; nel pomeriggio si è svolto il funerale di Angela. Stesso
ambiente in casa di Felice, il quale, dopo aver congedato i vicini, è rimasto solo in casa. E’ quasi
mezzanotte…
Scena I
Felice e poi il fantasma di Angela
FELICE: Fuori è sempre più buio. Le lampadine si fulminano sempre: sarà il vento forte che tira
dalla Murgia. (Fissando la nicchia con la statuina del santo) Solo il lume di Sant’Antonio non si
spegne mai, neanche con la bufera. (Sospira) Come si fa a ricominciare un’altra vita? Di nuovo
solo come un cane... Neanche il tempo di abituarmi all’idea di marito. Almeno il Signore ci
mandava qualche figlio… (ci ripensa) meglio di no!… sennò a quest’ora era già orfano di madre e
io, poi, sono anziano… Era bella Angela e mi accontentavo anche di non farci l’amore per quanto
era bella… Anche perché non voleva… non voleva quasi mai… era bloccata… chissà!...
l’educazione dalle suore… la religione… il peccato… Ma mi accontentavo, avevo un angelo in
casa: attenta, premurosa per la cucina, per la pulizia…. sì, per la pulizia era fissata, sempre a lavare
panni e lenzuola… Faceva tutto per compiacermi… (Riflette sui ricordi che affiorano) Meno che a
letto… a letto era fredda… un frigorifero… no, che dico!... un "frizer"… Mi chiedeva scusa… Ma
mi sono accontentato… alla mia età… già era tanto aver sposato un fiore di ragazza… (Riflette)
Non è vero! Spesso mi arrabbiavo: eravamo pure sempre marito e moglie! La rimproveravo! Che
peccato e peccato! Quando si è sposati si deve fare l’amore. Lo dice anche la Chiesa! Io aspettavo
che col tempo si sbloccasse… che fosse un disturbo passeggero… ma passeggero non è stato… è
durato sino alla morte… e io che ho aspettato… Forse era un fiore che non dovevo godere perché
non la meritavo… Povera Angela, quanto è stata sfortunata!… Orfana… in convento… poi sposata
a me… che l’ho chiusa in questo vicolo del borgo vecchio del paese… senza più un anima.
(Sospirando) Ah, Angela Angela…
Si sente un rumore sordo provenire dall’ingresso, Felice è colto di sorpresa.
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FELICE: Uè! Che è stato? (Verso l’ingresso) Chi è?
Si affaccia titubante fuori poi subito rientra.
FELICE: Sarà stato il vento. Sto troppo nervoso. Devo prendere le gocce che mi ha dato il medico
per curare lo spavento… e per dormire soprattutto. Quindici gocce, ha detto. E dopo metto pure il
collirio negli occhi, due gocce per ognuno… Due notti senza dormire e pure con dei tremendi dolori
di pancia… Mai sofferto di questi disturbi allo stomaco e alle viscere… Sarà stata una reazione
nervosa… l’emozione… il dolore…
Versa le gocce nel bicchiere con dell’acqua. Beve un poco, ma si contrae subito in uno spasimo di
dolore.
FELICE: Mamma mia, quanto sono amare! Ma queste sono veleno! Mi bruciano lo stomaco!
Basta, non me ne piglio più! Mi metto solo il collirio negli occhi e vado a dormire…
Si stilla le gocce di collirio in un occhio e, come prima, frigge per il dolore.
FELICE: Ah, pure questo brucia! Ma che cavolo mi ha dato questo dottore? Vediamo che succede
in quest’altro occhio (lascia cadere altre due gocce nell’altro occhio) Mamma mia, come mi brucia
quest’altro! Pare che mi stanno friggendo sul fuoco! Ah, Angela Angela…
Stesso rumore di prima all’ingresso. Felice è sorpreso; tiene il fazzoletto agli occhi che gli
lacrimano per via del collirio… Fa la prova ad aprire gli occhi e va via la luce.
FELICE: Eh! E’ andata via la corrente o sono rimasto "cecato"? (Si avvicina all’interruttore alla
parete e preme) E’ andata via la luce! Accendo una candela!
Entra nel cucinino…
FELICE: (solo la voce dal cucinino) Meno male che abbiamo sempre avuto la scorta delle candele,
da quando il Comune ha deciso di lasciarci al buio. Ci vorrebbe una nuova linea elettrica, ma a che
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serve se il quartiere vecchio è rimasto disabitato e in questo vicolo siamo rimaste poche famiglie, se
si possono dire famiglie ora, contando un vedovo, un invalido sordomuto… e i miei compari…
Entra con la candela accesa, sistemata in un moggio, la posa sulla tavola. Avverte lo stesso rumore
all’ingresso, scricchiolio dei cardini della porta e lo sbattere della porta per il vento.
FELICE: Che è stato? Chi è? Sarà la comare che ha bisogno di qualche candela!
Si affaccia fuori lasciando la candela accesa sul tavolo… Si sente un’espressione di spavento (Eh!)
e Felice rientrare subito, trafelato e trasecolato, con gli occhi strabuzzati. Si sostiene alla parete
opposta all’ingresso, dietro il divano, tremante, senza riuscire a distogliere lo sguardo allucinato
dall’ingresso… Entra Angela, meglio: la sua anima.
FELICE: (nel panico) An...ge...la!
ANGELA: Sono io.
Angela avanza lentamente: una esile e bella giovane, dai capelli lunghi e neri, ma bagnati, che
cadono graziosi sulle spalle. Anche la veste bianca che indossa è bagnata. In mano stringe dei
fiori tenui, anch’essi flosci, senza vigore, pure bagnati.
(Angela parla in modo calmo e quasi monotono, come può parlare un’anima priva ormai di
passioni e sentimenti umani, ma lascerà
intendere, a momenti, una tensione drammatica e
un’inquietudine repressa).
ANGELA: Hai paura Felice?
FELICE: (tremando) E come se ho paura! Sto morendo!
ANGELA: Stai calmo, che ti devo parlare…
FELICE: No no, che parlare! (Tra sé) Devo chiamare aiuto ! (Ci prova, ma esce una voce
strozzata, appena udibile) Venite, aiutatemi… c’è un fantasma…
ANGELA: Ma perché hai paura?
FELICE: Ma come faccio a non avere paura? Quando mai i morti tornano a casa loro?
ANGELA: I morti non sono morti, sono vivi.
FELICE: (Tra sé) Risponde pure! Mamma mia! Sto uscendo pazzo! Ma Angela è morta e non può
stare qua! I morti stanno al camposanto!
ANGELA: Angela è qui e non al camposanto.
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FELICE: (urla e questa volta la voce esce) Aiuto! Correte! Aiuto!
ANGELA: Cerca di stare calmo. Non sono qui per farti del male.
Felice batte i denti per la paura fissando altrove e, dopo pochi secondi, i due vicini dirimpettai, i
compari Cosimo e Giacinta, entrano… ignorando la presenza di Angela (per loro non visibile).
Scena II
Felice, Angela, Cosimo e Giacinta
COSIMO: Che c’è, compare Felice’?
GIACINTA: Che è successo?
FELICE: (tremando e indicando Angela) Là, là, guardate là!
COSIMO: Dove?
FELICE: (a gesti verso Angela) Lì, la vedete?
GIACINTA e COSIMO: Ma chi?
FELICE: Ma come? Voi non la vedete?
COSIMO: Ma chi dobbiamo vedere?
GIACINTA: Compare Felice, stai calmo. Ma perché hai la luce spenta e la candela accesa?
FELICE: Non l’ho spenta io… la corrente è andata via…
COSIMO: E quando? Come? Ma se in casa nostra la corrente c’è! (Va all’interruttore, preme e
torna la luce) Hai spento dall’interruttore.
FELICE: (sempre spaventato) Come? Ma io non ho spento niente…
Con la luce del neon o di una lampada Angela, sebbene resti ancora in scena, sparisce, cioè non è
più visibile anche alla vista di Felice. La candela intanto resta ancora accesa sul tavolo.
FELICE: Sì, avete ragione, non c’è nessuno! Ora non la vedo più nemmeno io… (stropicciandosi
gli occhi).
GIACINTA: Ma chi?
FELICE: (debolmente e imbarazzato) Angela…
GIACINTA: (a suo marito in disparte) Questo sta uscendo pazzo!
COSIMO: (a sua moglie, sottovoce) Me ne sono accorto!
FELICE: (ricredendosi) E’ che… io proprio non mi sento più tanto bene…
GIACINTA: Compare Felice, voglio telefonare il dottore? Lo faccio venire qui!
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FELICE: Eh, magari! Se mi cambiasse quelle medicine che prendo; le medicine a gocce a me
fanno male. Mi bruciano da tutte le parti…
GIACINTA: E va bene, dopo telefono al dottore.
FELICE: Telefonate da qui… col telefono mio.
GIACINTA: Non ricordo il numero, senza che adesso lo cerchiamo dall’elenco, che sono senza
occhiali; a casa l’ho segnato su un foglio, faccio subito.
FELICE: Allora grazie e scusate per tutto il fastidio che vi sto dando
GIACINTA: Siamo rimasti tutti quanti troppo impressionati da quello che è successo
COSIMO: Sei troppo spaventato, compare mio.
FELICE: E come si fa a non rimanere spaventati!
GIACINTA: Pazienza e rassegnazione.
COSIMO: Compare, se il medico dice che viene stasera stesso, ci vediamo dopo…
FELICE: Grazie compare.
COSIMO e GIACINTA: Allora buonanotte!
FELICE: Buonanotte.
Scena III
Felice e Angela (rimasta in scena)
FELICE: Mamma, che impressione! Che impressione! Vestita di bianco, solo con la sottoveste e
tutta bagnata… come se si fosse fatta la doccia vestita… Già, povera Angela, è caduta nel fiume.
Sto uscendo pazzo! Non può essere! Sono solo rimasto impressionato! I morti sono morti!
E nemmeno il tempo di riprendersi dallo spavento che si sente chiamare alle spalle.
ANGELA: Ti è passato lo spavento?
FELICE: (basito) Ancora! Ma perché? Angela, io non sono abituato ai morti; stai in santa pace in
Paradiso.
ANGELA: (solo la voce) Per questo sono venuta, proprio per il Paradiso!
FELICE: Io non ti capisco. Io so che sto morendo di paura!
Felice continua a rimanere di spalle e non osa voltarsi verso la voce.
ANGELA: Non devi avere paura dei morti: possono solo volere il bene.
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FELICE: E’ più forte di me…
ANGELA: Devi farti coraggio…
FELICE: (prova ad avere coraggio voltandosi verso la voce…) Ma dove stai?
Angela lentamente gli si fa davanti, a un palmo dal naso, ma Felice non la vede.
ANGELA: Sto davanti a te!
FELICE: Non è vero… Davanti a me non ci sta nessuno…
ANGELA: Per vedermi ci vuole solo la luce della candela
FELICE: La candela è accesa…
ANGELA: Devi spegnere la luce di questa stanza…
FELICE: No, io non la spengo!
ANGELA: Stai calmo, ora la spengo io.
FELICE: Non può essere… tu non la puoi spegnere… tu non esisti !
Angela cammina sulla scena e sfiora l’interruttore alla parete. La luce va via. Felice la vede e cade
svenuto. Ora rimane solo la luce fioca della candela.
ANGELA: Povero, marito mio.
Angela prende dell’aceto in una credenza e ne bagna un tovagliolo, poi si china su Felice a terra e
glielo mette sotto al naso.
ANGELA: Questo è ancora l’aceto forte dell’anno scorso.
Felice rinviene debolmente, ma quando vede di fronte sua moglie…
FELICE: Angela, tu stai ancora qua? (sviene daccapo)
Angela pare rinunci all’impresa di risuscitare suo marito e con una calma, sempre solo apparente,
va a sedersi alla sedia della tavola. Dondola appena appena e rigidamente il busto, avanti e
indietro, tenendo sempre le mani congiunte al petto che stringono il discinto bouclé di fiori; è
inquieta, nervosa; recita frasi prive di senso, dapprima confuse… poi sempre più chiare…
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ANGELA: (prima in silenzio poi crescendo) Nelle lenzuola volevo sentire l’odore dei fiori,
dell’acqua, del vento. Io li asciugavo all’aria e al sole, ma i sospiri, quelli!, restavano. Allora nel
fiume li ho lavati! Com’è chiara l’acqua del fiume! E’ azzurra come il cielo! E le mie lenzuola, se
vorrai, nuvole bianche saranno… (ripete per due volte la stessa frase… inquieta)
Intanto all’ingresso voci del compare e della comare che precedono il dottore.
Scena IV
Felice, Angela, Giacinta, Cosimo e il dottore
COSIMO: Accomodatevi dotto’. Sì, vi ha telefonato mia moglie.
GIACINTA: Scusate per l’ora, dotto’. Ma siamo molto preoccupati per il nostro vicino che avete
visitato anche l’altro ieri, quando si è sentito male a causa della disgrazia della moglie.
IL DOTTORE: Non vi preoccupate.
Voci fuori scena.
COSIMO: Compare, ci sta il dottore.
GIACINTA: Si sarà addormentato.
DOTTORE: Se si è addormentato allora non ha più bisogno di me.
GIACINTA: La porta è aperta, giacché ci siamo entriamo e ci accertiamo.
Entrano nella semioscurità della cucina con la sola candela accesa; prima Cosimo, poi il dottore e
Giacinta. Nessuno vede Angela, seduta.
COSIMO: Compare? Ma perché stai senza luce e solo con la candela accesa?
Cosimo inciampa nel corpo, a terra, di Felice; si spaventa e si china su di lui.
COSIMO: Dotto’, sta a terra, sarà morto…
GIACINTA: Mamma mia! Un altro funerale!
DOTTORE: Lasciami vedere. E accendete la luce, per favore, se c’è corrente.
Giacinta esegue e accende la luce…
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DOTTORE: No, è solo svenuto! Quella bottiglia sul tavolo è aceto? Ne sento l’odore! Fa proprio
al caso.
E gli mette l’aceto sotto al naso. Felice rinviene.
DOTTORE: Come si sente? Ce la fa?
FELICE: Chi siete?
DOTTORE: Il dottore! Non mi riconosce?
FELICE: Ah, sì, come no!
GIACINTA: Che ti è successo, compare?
COSIMO: Quando sei svenuto?
FELICE: (confuso) Angela! Angela se ne andata?
COSIMO: Fatti capace, compare, Angela non c’è più!
GIACINTA: Ormai sta in cielo! Dotto’, sta ancora sotto sciocco per la moglie.
DOTTORE: Capisco. Su, provi ad alzarsi. (A Cosimo) Aiutatelo voi e mettetelo sul divano.
Felice si alza, aiutato da Cosimo e Giacinta, ma va a sedersi sulla sedia dove c’è Angela di cui ora,
per via della luce, ne ignora la presenza; quindi sta “comodamente” sulle sue gambe. Angela non
si scompone.
IL DOTTORE: (il dottore gli tasta il polso) Come si sente?
FELICE: Male, dotto’, male assai.
IL DOTTORE: Sta prendendo quelle gocce che le ho prescritte ieri?
FELICE: Sì, ma che dolori! Mi fanno rivoltare tutto lo stomaco e gli intestini…
IL DOTTORE: Dolori alla pancia? Strano! Ma come mai ha gli occhi così arrossati?
FELICE: Eh, dotto’, sarà stato per il pianti della disgrazia…
IL DOTTORE: Il collirio lo sta mettendo?
FELICE: (lo prende dal tavolo e glielo porge) Sì, dotto’, eccolo qua!
IL DOTTORE: No, queste sono le gocce per l’ansia.
Felice resta perplesso… osserva il flacone.
IL DOTTORE: Beh?… Non mi dirà che ha messo queste negli occhi!
FELICE: Proprio! Che mi succede, dotto’? Resto cieco?
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IL DOTTORE: No, non credo… ma da quando sta mettendo queste gocce negli occhi?
FELICE: Da ieri, questa è la seconda volta.
IL DOTTORE: E per l’ansia ha preso il collirio, ovviamente.
FELICE: Pure da ieri. Che mi succederà?
IL DOTTORE: Meno male che avete chiamato. Ma come ha fatto a confondere le medicine?
FELICE: Nella confusione per la disgrazia… mi sono sbagliato… le scatole sono quasi uguali….
IL DOTTORE: E non ha letto?
FELICE: Col guaio che m’è successo chi pensava a leggere sulle medicine. Io veramente non
volevo neanche prenderle, l’insistenza di comare Margherita… Però ricordo che avevo poggiate le
due scatole sulla mensola della cucina… le gocce per i nervi da una parte e quella per i nervi da
un’altra… Ma qua, dotto’, è successo un finimondo…
IL DOTTORE: Quali sintomi ha avvertito? Come si è sentito?
FELICE: Dolori di pancia, dotto’, che non vi dico, durante tutto il funerale… avevo sempre
urgenza del bagno… ma una volta al bagno niente…
IL DOTTORE: Una situazione incresciosa.
Fermo scena e luci solo su Cosimo: soliloquio; oscurità sugli altri personaggi.
COSIMO: Povero compare. Ora ho capito perché a un certo punto, durante la messa, s’è buttato
per terra e si torceva come una serpe: tre persone per rialzarlo, da solo non ce l’ho fatta. Non s’è
mai visto un uomo piangere e disperarsi tanto per la moglie. Invece sapeva solo lui il veleno che
teneva in corpo...
Luce solo su Giacinta per un suo pensiero.
GIACINTA: Allora non era stato mio marito! Aveva ragione! E io che non gli avevo creduto!
Luce che ritorna di nuovo su Cosimo per i suoi pensieri.
COSIMO: Io l’avevo detto a mia moglie che non ero stato io… Dietro il carro funebre io tenevo
mia moglie sulla destra e sorreggevo a compare Felice col braccio sinistro… Però, quando è
successo “il fattaccio”, compare Felice, coi dolori o senza dolori, ha fatto il furbacchione… e sì,
perché s’è girato verso di me… con una faccia schifata, come per dirmi: “Compà, ma non sono cose
che si fanno ai funerali!”. Io!
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Luce su Felice per i suoi pensieri.
FELICE: Dentro casa potevo fuggire nel bagno, ma durante la messa e appresso al carro funebre
non sapevo come fare. Meno male che erano parecchio “silenziose”, ma ho dovuto fare uno sforzo
enorme! Stavo crepando, ma non potevo dare nell’occhio! A un certo punto però qualcosa si è
sentito e per sviare i sospetti (su di me), mi sono girato tutto contrariato verso il compare … Mi
dispiace, povero compare, dovevo chiedergli almeno scusa. Ma la brutta figura che avrei fare in
quel momento, era proprio… tragica. Io le sentivo alle mie spalle le donne che parlottavano fra di
loro e che a stento si mantenevano dal ridere. Avevo pure pensato di piangere a dirotto, almeno per
coprire qualcosa… ma era tardi… era già uscito… Che figuraccia!
Luce normale in scena.
IL DOTTORE: (interrompendo) Ha avuto diarrea?
FELICE: No, dotto’, aria! Solo aria!
COSIMO: (gli scappa) Lo so!
FELICE: E adesso che mi succede, dotto’? Sono grave?
IL DOTTORE: Ma no, stia tranquillo.
GIACINTA:
Allora, dotto’, può essere che le visioni che tiene dipendono dalle medicine
sbagliate?
IL DOTTORE: Che tipo di visioni?
COSIMO: Diglielo, compare. Al dottore bisogna dire tutto, senza vergognarsi.
FELICE: Dotto’, io ho visto mia moglie… viva!
DOTTORE: Viva?
GIACINTA: Vuole dire… l’anima, lo spirito.
Pausa.
IL DOTTORE: E’ comprensibile visto lo shock che ha subito. Ma sono solo visioni, frutto di
alterazioni mentali. Per questo deve prendere la medicina giusta, cioè queste gocce per l’ansia, così
come gliele ho prescritte.
FELICE: Allora, dotto’, mia moglie è solo….
IL DOTTORE: Una fantasma che è nella sua mente.
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FELICE: E può essere dipeso dalle gocce sbagliate che ho preso?
IL DOTTORE: Sì, anche. Le medicine, prese male, sono delle droghe micidiali.
FELICE: Però, dotto’, mi sembrava proprio vera. Solo la voce mi pareva strana.
IL DOTTORE: Quello che accade nella nostra mente spesso appare più vero del reale. Ed è qui la
confusione. Ma si convinca appunto che si tratta di immaginazione, di fantasia, e non di realtà. Sua
moglie è morta… mi dispiace… ma lei deve reagire con forza, se ne deve fare una ragione.
FELICE: E se mi dovesse succedere di nuovo, dotto’, che devo fare?
IL DOTTORE: Prenda subito quindici gocce di queste e vedrà che la visione e la voce cesseranno.
Stia tranquillo… Arrivederci!
COSIMO: Vi accompagno, dotto’?
IL DOTTORE: No, penso di farcela da solo. C’è il lumicino della statua che fa un po’ di luce.
GIACINTA: Ah, quello non si spegne mai, pure con la bufera! E’ il lume di Sant’Antonio; invece
le lampadine del Comune si fulminano sempre, basta un po’ di vento… o di pioggia…
IL DOTTORE: Buona notte.
COSIMO E GIACINTA: Buona notte, dotto’.
FELICE: Buona notte e grazie, dotto’…. e scusate il fastidio…
Scena V
Felice, Cosimo e Giacinta
.
GIACINTA: Hai sentito, compare Felice? Pure se vedi Angela, devi pensare che dipende dalla
confusione che tieni in testa e dalle medicine sbagliate. Ricordati.
COSIMO: Fai una cosa: se la vedi non le dare retta… Non rispondere… Tanto è tutta una finzione,
è solo la tua fantasia…
FELICE: A te pare facile, ma per me…
COSIMO: E tieni ragione. Allora vedi di andare a dormire, così chiudi gli occhi e non vedi e non
senti.
FELICE: Ci proverò, anche se sarà difficile, lo sento.
GIACINTA: Ma se hai bisogno non ti fare i problemi, chiamaci, tanto stiamo di fronte…
FELICE: Grazie, ma spero che non ci sarà più bisogno… anche per voi! Sennò non vi faccio
dormire stanotte.
COSIMO: Non ti preoccupare…
FELICE: Buonanotte e grazie ancora.
GIACINTA e COSIMO: Buonanotte.
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Ed escono
Scena VI
Felice e Angela (rimasta seduta al tavolo durante tutta la precedente scena)
FELICE: E quando passa ‘sta nottata? Quando arriva la luce del giorno? Ora mi sto un po’ alla
finestra a guardare il lumicino di Sant’Antonio. Mi faccio compagnia con Sant’Antonio. Se mi vado
a coricare è peggio… Magari inizio qualche preghiera… Ora che Angela non c’è più mi dedicherò
un po’ di più alla religione… L’ho troppo trascurata… Casa e lavoro, sempre casa e lavoro…
Ma ancora il pungolo della voce di Angela che lo coglie di sorpresa e di spalle.
ANGELA: Ti è passato?
FELICE: (spaventato, ma facendosi subito coraggio con la ragione) La senti? La mia “fantasia”
non s’è fatta aspettare! Ora mi chiederà di spegnere la luce...
ANGELA: Spegni la luce...
FELICE: Lo sapevo! No, io non spegno…
ANGELA: Allora la spengo io…
FELICE: Tu non la puoi spegnere perché stai solo nella mia fantasia.
Angela spegne la luce, Felice si volta e la vede, perché la candela era rimasta accesa. Allora,
oltremodo agitato, afferra il flacone della medicina per l’ansia e incita le gocce a uscire in fretta
nel bicchiere.
FELICE: Forza, dai! Veloci, presto! E così non ci sbrighiamo mai! (Finisce di contare) Venti!
(Beve d’un sorso, ma Angela non sparisce) Stai ancora qua! (E si versa altre gocce… direttamente
in bocca) Ma quante gocce ci vogliono per andartene?
ANGELA: Basta, non te ne prendere più, se no ti rimbambisci e non capisci quello che ti devo dire.
FELICE: E che mi devi dire?
ANGELA: Quello che ti devo dire è importante!
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FELICE: E dopo te ne vai?
ANGELA: Dopo che mi avrai perdonato!
FELICE: (precipitoso) Ah! Ti perdono, ti perdono.
ANGELA: Ma se ancora non ti ho detto.
FELICE: Qualsiasi cosa io ti perdono, Angela.
Pausa.
ANGELA: Io mi sono buttata nel burrone della Gravina..
FELICE: (sorpreso) Come? Non sei caduta mentre stendevi le lenzuola per uno svenimento, di
quelli che ti venivano spesso?
ANGELA: Non sono svenuta e non sono caduta… nel fiume mi ci sono buttata.
FELICE: Perché?
ANGELA: Non sopportavo più la vita.
FELICE: Ma io ti volevo bene. E tu?
Angela accenna di no con la testa.
FELICE: Allora perché m’hai sposato?
ANGELA: Credevo che la mia vita fuori dal convento cambiasse. Ma ci vuole un amore speciale
per colmare l’amore dei genitori… quello che mi è sempre mancato… Sai che ero orfana… Ti
vedevo come un padre e volevo che ti comportassi come un padre… per questo ho sbagliato a
sposarti. Tu volevi che io fossi invece tua moglie, come era giusto. Perdonami!
FELICE: Ma perdono di che? Sei tu che devi perdonare me… che non ho capito… Io, a modo mio,
ti volevo bene… Dovevo fare il padre, anche se ti avevo preso come moglie. Per questo a letto ti
dava fastidio…
ANGELA: Sei disposto a perdonarmi?
FELICE: Ma di cosa? Che ti sei buttata nel fiume? Ma se è colpa mia che non ti ho voluto bene
come tu volevi… Però hai esagerato, Angela, potevi dirmelo, io non ci sono arrivato… Comunque,
ti perdono.
ANGELA: C’è un’altra colpa che mi devi perdonare.
FELICE: Che colpa?
Pausa.
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ANGELA: Ti ho tradito!
Sbigottimento di Felice. Quest’idea cancella definitivamente ogni timore: alla faccia dello
“spettro” o “fantasma” che sia.
FELICE: (basito) Davvero?
ANGELA: Davvero!
FELICE: (rabbia repressa e sconforto) E con chi?
ANGELA: Non ha importanza.
FELICE: No, è importante, me lo devi dire!
ANGELA: Perdonami.
FELICE: (nervoso) Ma quale perdono e perdono!.
ANGELA: Se mi perdoni ti salverai anche tu quando arriverà la tua ora. La vita, la vera vita
comincia qui.
FELICE: E quante volte?
ANGELA: Quando andavi in campagna a lavorare.
FELICE: Ma io ci andavo tutti i giorni, meno che la domenica.
ANGELA: La domenica no!
FELICE: Tutti i giorni! Non ci credo ! Che nervi ! Che nervi ! Le gocce, le gocce! Con me non ci
riuscivi…. Non potevi…. E brava, la santerella!
E Felice prende altre gocce direttamente in bocca…
FELICE: Oh, che mal di testa tremendo… Oh, che debolezza…
ANGELA: Sono le gocce, ne hai prese troppe! Ti fanno venire la sonnolenza…
FELICE: (delirando) E chi è? Chi è ‘sto mascalzone che s’è permesso di approfittare di una donna
sola in casa, quando il marito era al lavoro? Come s’è permesso di prenderti con la forza…
ANGELA: Non m’ha preso con la forza, sono stata io.
FELICE: (ironicamente soddisfatto) Ah, grazie che me l’hai precisato... Ohio, come mi sento
debole, mi viene da svenire un’altra volta… No, ora non mi devo addormentare… prima deve
uscire il nome. Chi è stato?
ANGELA: Perdona anche lui…
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FELICE: Pure! Ma tu sei pazza! Hai perso la il lume della ragione! E scommetto che tutti lo
sapevano nel quartiere e magari anche giù in paese….
ANGELA: Nessuno, non lo sapeva nessuno, se non il rimorso delle nostre coscienze al cospetto di
Chi è sopra di noi, Che tutto vede. Tutto! Le nostre azioni e i più segreti sospiri del cuore. A te
potevo nascondermi, ma a Lui no.
FELICE: Io però non ti perdono… no! Non ti perdono… né a te e né a quel cornuto… no… quello
sono io…
ANGELA: Se non perdoni la tua vita sarà triste: ora e dopo! Cerca di capire.
FELICE: Ma che stai dicendo Angela? Ma che giustizia esiste da voi? Io voglio sapere chi è! Chi
è stato? Quando mai si è visto un cornuto che perdona l’amante di sua moglie…
ANGELA: Noi te lo chiediamo.
FELICE: Tu me lo chiedi! Ma lui dov’è? Chi è? Fammelo venire!(Ha un cedimento) Oh mamma
mia… mi fa male la testa, mi gira tutta la stanza attorno attorno…Chi è? Fai presto!!!
Angela riferisce il nome, ma solo con il labiale, non decifrabile; Felice è troppo confuso ed è come
se non sentisse per un ottundimento mentale a causa del torpore e del sonno che avanza…(anche
per il pubblico il labiale sarà poco chiaro).
FELICE: (quasi per svenire, barcolla) Chi è? Grida che non sento!
Angela ripete, ma è ancora più difficile..
FELICE: (quasi al collasso) Sei una bugiarda… Tu non esisti… Sei solo nella mia fantasia…. Io
non ci parlo più con te. Vuoi vedere che non esisti? Ora vengo lì…
Felice si dirige barcollando verso Angela, le si ferma davanti e dimena le braccia senza mai
colpirla, Angela non si scompone.
FELICE: Hai visto che non esisti? Sei una bugiarda. (Ritorna indietro e sul divanetto crolla) Devo
avere la febbre, sì, questo è un incubo causato dal febbrone e dalle gocce sbagliate… Devo dormire,
così quando mi sveglio passa tutto… (e sviene).
Angela si avvicina al tavolo, siede come prima, e ripete le stesse frasi.
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ANGELA: Nelle lenzuola volevo sentire l’odore dei fiori, dell’acqua, del vento. Io li asciugavo
all’aria e al sole, ma i sospiri, quelli!, restavano. Allora nel fiume li ho lavati! Com’è chiara l’acqua
del fiume! E’ azzurra come il cielo! E le mie lenzuola, se vorrai, nuvole bianche saranno… (ripete
per due volte la stessa frase… inquieta)
Cala la tela
ATTO III
La mattina seguente, la scena è la stessa. La candela si è consumata: ne resta il moccolo nel
moggio. Filtra la luce del mattino dall’imposta. Felice si sveglia dopo la notte tormentata. E’ un
risveglio confuso, affannoso, turbato…
Scena I
Felice
FELICE: Ohio, come mi pesa la testa! Come mi fa male! Che brutta nottata! Che sogni! Più che
sogni… incubi. (Cerca di riordinare le idee) Ho sognato Angela che veniva a chiedermi perdono…
perdono perché mi aveva tradito! Aspetta… calma… mi sono addormentato e l’ho sognata, così
pure il dottore, il compare e la comare o l’ho vista e poi mi sono addormentata? Mamma mia!
Insomma: l’incubo era da sveglio o quando dormivo. Non ci capisco più niente! (E nota il moccolo
della candela sul tavolo) La candela! S’è consumata ed è rimasta solo un po’ di cera. Angela mi
diceva che solo con la candela potevo vederla… Le gocce! Quelle sono state! Prima le ho prese
sbagliate e dopo ne ho prese troppe… Perciò mi sembrava di vedere Angela! Pure il dottore mi ha
detto così… Allora i compari e il dottore erano veri, mentre Angela era solo una mia fissazione…
una deviazione mentale…
Bussano e Felice scatta per lo spavento.
SCENA II
Felice e subito Giacinta
FELICE: Chi è? Non c’è nessuno in casa!
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GIACINTA: (solo la voce) Compare Felice’! Sono comare Giacinta; se non stai a comodo me ne
vado…
FELICE: (sospiro di sollievo) Ah, sei tu? Entra, entra comare.
GIACINTA: (entrando) Ti ho portato un po’ di latte caldo.
FELICE: Grazie, comare mia! Ma perché tutto ‘sto fastidio?
GIACINTA: Nessun fastidio.
FELICE: A proposito, comare, scusate per tutto il fastidio di questa notte…
GIACINTA: Ma non ti preoccupare…
FELICE: Avete chiamato persino il medico…
GIACINTA: Non ci pensare più! Ieri è stata una brutta giornata per tutti quanti, figuriamoci per te.
Ma oggi è un altro giorno… ora come ti senti?
FELICE: Tengo ancora una confusione e una pesantezza alla testa che non ti dico, proprio sulla
fronte. Eh, stanotte mi ero fissato che vedevo davvero Angela in casa…
GIACINTA: Lo so, lo so, ma il dottore ha detto che è stato l’effetto delle medicine sbagliate…
FELICE: Sì… ma stanotte mi sembrava tutto vero! E ancora adesso, ce l’ho così presente in
testa… e le cose che mi diceva… quelle mi davano veramente fastidio… più della sua presenza.
GIACINTA: E che ti diceva?
FELICE: Eh, se te lo dico, tu sorridi… Ma quella era la fantasia che tenevo in testa, non ero io!
GIACINTA: Ora sono curiosa, compare, me lo devi dire.
FELICE: Angela mi chiedeva perdono.
GIACINTA: Perdono? E di cosa?
FELICE: Perdono perché… diceva che… sì… insomma… (e fa il gesto delle corna con le dita) mi
aveva tradito.
GIACINTA: (ride) Ah, ah, ah… Angela? Non può essere proprio! Compare, questa cosa non sta né
in cielo e né in terra…
FELICE: Ah, né in cielo e né in terra, è vero? Che fesseria!
GIACINTA: (quasi irridendolo) E tu ci hai creduto pure?
FELICE: No, e chi ci crede! Ma lei insisteva… e non se ne andava… era ostinata.
GIACINTA: Compare, tu sei sempre stato troppo geloso di Angela…
FELICE: Tu dici troppo? Tutti i mariti so’ gelosi: chi di più e chi di meno…
GIACINTA: Tu di più! Troppo di più!
FELICE: Comare, tu lo sai che Angela era troppo bella e qualche volta che siamo andati al paese,
per la strada la guardavano tutti… Si meritava un altro marito, un marito più giovane, che la portava
a passeggio, al cinema, a teatro, che la faceva divertire… Invece io l’ho liberata dal convento e l’ho
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chiusa in questo vicolo vecchio del paese, dove siamo rimasti solo noi… (Pausa) Tu Angela la
conoscevi bene, forse meglio di me, magari con te parlava, si confidava…
GIACINTA: Compare, se tieni qualche dubbio in testa, te lo puoi togliere al mille per mille... E
beviti il latte che è ancora caldo.
FELICE: Grazie di nuovo, comare, mi hai tolto un peso dalla testa ora che mi hai rassicurato.
GIACINTA: Non ti preoccupare. Io vado e se ti serve qualcosa dimmelo che faccio venire
Gelsomino il muto.
FELICE: Ah, Gelsomino il sordomuto.
GIACINTA: Angela lo comandava sempre a fare la spesa giù al paese.
FELICE: Sì, mi ricordo, fui io stesso a raccomandarle di servirsi di Gelsomino, pur di non farla
andare sola in paese… Paese! Una volta paese! Ora ha tutti i vizi e le insidie della città! E Angela
era una creatura troppo innocente…
GIACINTA: A prescindere, Gelsomino i servizi in paese li andava a fare a tutti e ora solo a noi che
siamo rimasti. Comunque tu, prima di andartene a lavorare in campagna, dimmi quello che ti serve
in casa. Gelsomino passa tutte le mattine.
FELICE: Tutte le mattine?
GIACINTA: Meno che la domenica, naturalmente.
FELICE: Meno che la domenica!
GIACINTA: La domenica no!
FELICE: E perché?
GIACINTA: Perché i negozi sono chiusi!
FELICE: (rumina nella mente) Meno che la domenica! La domenica no! Povero ragazzo! E già,
quello da quando era bambino fa i servizi e le commissioni alle famiglie del quartiere vecchio…
Pure lui ha avuto molto dispiacere dalla disgrazia… Tanto dispiacere… tanto… La domenica no! Il
ragazzo riposa! E già, perché io non vado a lavorare…
Ed è folgorato! Prova a ripetere lentamente con il labiale il nome “Gelsomino”, come aveva visto
fare a Angela.
GIACINTA: (spaventata) Compare che ti senti? Perché fai così?
FELICE: (senza più dubbi) No, niente, niente…
GIACINTA: Mamma mia, mi hai fatto spaventare…
FELICE: (serio) Comare, mi chiami un po’ Gelsomino, lo fai venire urgentemente?
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GIACINTA: Va bene! Ma tu non mi fare più quelle smorfie con la bocca, ‘ché mi fai venire
l’agitazione…
FELICE: Scusa comare, ma io devo parlare con Gelsomino.
GIACINTA: E’ un servizio urgente?
FELICE: Urgentissimo!
GIACINTA: E va bene. Ma vedi di stare calmo calmo… (Uscendo, tra sé) Questo peggiora
sempre di più… Io sola non ci entro più…
Scena III
Felice solo
Felice ripete più di una volta, con il labiale, la parola “Gelsomino”.
FELICE: E’ lui! Come ho fatto a non arrivarci subito questa notte? E l’unico che non lavora e sta
sempre nel vicolo. Comunque nel vicinato nessuno sa niente, perché il ragazzo era di casa e non
poteva insospettire nessuno… pure comare Giacinta non si è mai accorta di niente… Perciò
piangeva tanto durante tutto il funerale…
Bussano e Felice si spaventa.
FELICE: Chi è? Non può essere di nuovo Angela! E’ giorno e non ci sta nessuna candela accesa...
Avanti! Avanti! (Pausa) E’ aperto, avanti! Ma che non sentono?
Esce e rientra seguito da Gelsomino.
Scena IV
Felice e Gelsomino
Gelsomino risponderà ad Felice sempre con la mimica e i gesti dei quali è padrone.
FELICE: (sforzandosi di controllarsi) Entra Gelsomino, entra! Siediti, siediti.
Gelsomino fa cenno di no, preferisce restare in piedi.
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FELICE: Gelsomino, tu mi capisci quando parlo?
GELSOMINO: (mimando con la mano) Così e così
FELICE: Gelsomino, tu lo sai che ho passato un guaio grosso
GELSOMINO: (assenso con la testa) A chi lo dici!
FELICE: Angela non c’è più…
GELSOMINO: (accentuando) Lo so, lo so, purtroppo
FELICE: Dispiace assai pure a te, vero?
GELSOMINO: Non ci sono parole.
FELICE: Angela, che fiore di fanciulla! Mia moglie! Mia moglie, Gelsomino! (Sospirando) Ah,
che brutta fine! Non la meritava. (Pausa) Tu lo sai come è morta, Gelsomino?
GELSOMINO: Sì, purtroppo.
FELICE: No, non lo sai com’è morta! (Fa una pausa studiata e poi…) Angela non è caduta!
GELSOMINO: Non capisco.
FELICE: Angela era triste, soffriva, ma non me ne parlava. Che strana cosa! Ha dovuto morire per
sentire il bisogno di parlare con suo marito… Perché non mi ha detto prima? Perché non ci parliamo
quando siamo in vita, Gelsomino?
GELSOMINO: No comment.
FELICE: Si meritava un altro marito, uno giovane, magari un bel ragazzo come te…
GELSOMINO: (si schernisce, imbarazzato) Ma che dici?
FELICE: Sì, e che c’è di male? Siamo tutti uguali sulla faccia della terra, Gelsomino. Siamo tutti
inabili quando ci comportiamo male. Tu non puoi parlare? E che fa? Io sono egoista e geloso, per
esempio. E chi è più inabile di noi due? Conosco il compare che e fissato per il mangiare e non ha
altri interessi… e per questo tortura la povera moglie che è negata per la cucina. Ma questi sono
solo degli esempi… per dire che è la colpa, i vizi, che ci rendono inabili e non che uno zoppica o
non parla. Non so se mi sono spiegato…
GELSOMINO: No.
FELICE: Allora veniamo al sodo, Gelsomino! Stammi a sentire… Scusa, volevo dire, guardami
bene… Gelsomino, che facevi con Angela di giorno?
GELSOMINO: (imbarazzato) Non capisco.
FELICE: (ripete con apparente calma scandendo bene il labiale ) Che facevi con Angela di
giorno?
GELSOMINO: (nervoso scuote la testa) Non capisco.
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FELICE: Come? Fino a poco tempo fa capivi tutto? Cerco di spiegarmi meglio: è vero che tu e
Angela avete dormito insieme? E capiscimi!
GELSOMINO: (imbarazzato) No, niente da fare, proprio non so di cosa parli.
Felice non si trattiene e si avventa su di lui, lo afferra per il bavero e gli urla rabbiosamente.
FELICE: Tu devi dire la verità, Gelsomino, perché io voglio la verità e pure Angela all’altro
mondo che mi chiede di perdonarti per quello che avete fatto insieme…
Gelsomino, intimorito, continua a fare cenno di no, ma ha compreso che Felice è arrivato a capire
o scoprire il tradimento.
FELICE: Ah, è così? Aspetta! Vediamo se funziona….
Felice concitato va a prendere una candela, l’accende nervosamente, la mette al centro del tavolo,
chiude la finestra e la porta di ingresso… si fa quasi buio. Gelsomino è sempre spaventato. Felice
resta in ascolto, come ad aspettare una presenza… che non si farà attendere.
Scena V
Felice, Gelsomino e subito Angela (prima la voce poi l’apparizione)
Si sente lo sciabordio dell’acqua del fiume, il sibilo del vento e il cigolio dei cardini della porta.
FELICE: (ad Gelsomino) Che senti?
Gelsomino… basito. Felice chiama sua moglie.
FELICE: Angela… è lui? Eh? E’ lui, vero?
Pausa
ANGELA: (solo la voce) Te l’ho detto io prima che cadevi come un sasso sul divano, ma le gocce
che avevi preso ti hanno stordito e poi sei svenuto, per questo non hai sentito. (Pausa) Perdonalo!
FELICE: Ma con quale coraggio mi chiedi una cosa del genere?
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ANGELA: Ha avuto una vita difficile come la mia, ma non è una giustificazione. Abbiamo
sbagliato. Ora perdonaci! Lo chiedo anche per lui, perché tutti e tre possiamo salvarci.
FELICE: Tu mi fai uscire pazzo. E io, secondo te, io non ho avuto una vita difficile? Solo tu e lui
avete avuto una vita sofferta? Anch’io sono stato solo! La solitudine è esistita anche per me! Invece
di consolarci insieme… ti sei consolata con lui…
ANGELA: (solo la voce) Per la Sua infinita Misericordia mi è concesso di riparare a questa colpa
anche adesso… E’ una grazia speciale per me e per te. Quant’è grande quest’occasione che ci è
data! Perdonaci e salviamoci!
FELICE: Oh, che strazio! Ma dove stai? Ma ti vede lui?. Sta sentendo quello che dici?
ANGELA: No, sono qui per te.
FELICE: Sei venuta a consolarmi? E perché ti sei buttata nel fiume, se qui avevi lui… il tuo
amante?
ANGELA: (ripete le solite frasi che Felice non comprende) Nelle lenzuola volevo sentire l’odore
dei fiori, dell’acqua, del vento. Io li asciugavo all’aria e al sole, ma i sospiri, quelli!, restavano.
Allora nel fiume li ho lavati! Com’è chiara l’acqua del fiume! E’ azzurra come il cielo! E le mie
lenzuola, se mi perdoni, nuvole bianche saranno….
FELICE: Non ti capisco! Che vuoi dire?
ANGELA: Non sforzarti più di capire, sforzati di perdonare. Allora?
FELICE: Allora che?
Angela tace.
FELICE: Non ci riesco… è più forte di me… se dico che ti perdono dico una bugia. Anch’io ti
devo dire la verità… Non lo so domani… se un giorno ci riuscirò… la verità detta così a freddo…
cruda… in faccia… di colpo… fa troppo male
ANGELA: Allora stai bene.
FELICE: Che significa?
ANGELA: Significa che me ne vado. Ci separiamo per sempre.
FELICE: Non ci vedremo mai più?
ANGELA: Mai più!
FELICE: E lasci le cose così? Sospese in aria? E’ troppo comodo, Angela! Che significa “ci
separiamo per sempre”? Che significa “mai più!? Rispondi! Ue’, Angela, rispondi!
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Pausa
FELICE: Te ne sei già andata? Non si fa così, non si fa così! Non te ne puoi andare su due piedi!
(Grida e scoppia a piangere) Non te ne andare, Angela. Io ti voglio bene, Angela! Lo capisci che tu
sei troppo bella per me! E se tu mi vuoi bene… se tu mi vuoi… io perdono tutto. E va bene: lo
perdono, lo perdono! Vi perdono!
Giacinta e Filomena entrano richiamate dalle grida. Si fanno presso di Felice che si è abbandonato
sulla sedia ed ha la testa tra le mani… Appoggiato sul tavolo…singhiozza.
Scena VI
Felice, Giacinta, Filomena e poi subito Gelsomino via
GIACINTA: (entrando seguita da Filomena) Adesso comincia di nuovo. Questo è proprio
“partito”! E non ci stanno nemmeno Cosimo e tuo marito!
FILOMENA: Compare Felice, che c’è? Le gocce… le gocce!
Gelsomino, interrogato mimicamente dalle comari, accenna spaventato di non sapere… Filomena
si appresta a contare le solite gocce in un bicchiere. Ma ecco che Felice percepisce di nuovo la
presenza di Angela che, dall’ingresso, viene avanti, fermandosi dietro Filomena e davanti ad
Gelsomino. Solo Felice la vede e si rivolge ora a lei con dolcezza.
FELICE: Ah, sei tornata? Grazie! Quanto sei bella!
Filomena resta interdetta, pensando che Felice si rivolga a lei e, a soggetto, esprimerà un crescente
stupore.
FELICE: Come si fa a non volerti bene. Come si fa a non perdonarti! Io ti perdono tutto. Ma non
andartene più e, se te ne vai, portami con te. Come mi sento leggero ora che ho perdonato. Quanto
deve essere bello stare sempre con te…
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Filomena, rimasta di stucco e con il braccio alzato, lascia cadere il bicchiere e il flacone delle
gocce a terra. Giacinta, sconvolta e immobile, non ha parole al pensiero che Felice sia innamorato
di Filomena.
ANGELA: Mi fai venire da piangere!
FILOMENA: (equivocando) Compare Felice, mi fai venire da piangere!
FELICE: Perché ti viene da piangere?
ANGELA: Nessuno, prima, mi aveva detto queste cose!
FILOMENA: Nessuno, prima, mi aveva detto queste cose!
FELICE: Ma lì, allora, si sa pure piangere?
ANGELA: Sì.
FILOMENA: (perplessa alla domanda e guardando la sua posizione) Sì.
ANGELA: Ora ti devo salutare Felice
FELICE: Perché te ne vuoi già andare?
FILOMENA: Ma io sono appena venuta
FELICE: E quando ci vediamo?
ANGELA: Quando finisce pure la tua vita sulla terra…
FILOMENA: Quando vuoi tu? Ce ne fuggiamo e non ci facciamo più trovare da mio marito.
FELICE: E dopo non ci lasceremo più?
ANGELA: Non ci lasceremo più!
FILOMENA: Non ci lasceremo più!
FELICE: Aspetta!
FILOMENA: E chi s’è mossa!
FELICE: Ti posso dare un bacio?
FILOMENA: Sì!
GIACINTA: (esterrefatta) Comare mia, ma siete impazzite entrambi, davanti a me. Tuo marito vi
ammazza… Da quando dura questa storia?
FILOMENA: E’ incominciata adesso… ha fatto tutto lui….
E Filomena si pone con gli occhi chiusi e con il viso pronunciato verso Felice per il bacio.
Giacinta, di scatto, si gira per non assistere alla scena, facendo cadere la candela dal tavolo e si fa
buio.
GIACINTA: Siete dei pazzi! Le gocce vi hanno drogato!
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Al buio Angela esce. Felice supera Filomena, ignorandola del tutto, e abbraccia Gelsomino, che
era dietro Angela. Filomena ha ancora gli occhi chiusi e sta aspettando. Giacinta va ad accendere
la luce. Filomena apre gli occhi, si gira e scorge Felice che sta stringendo Gelsomino in una morsa
di affetto. Scoppia a piangere e cade in ginocchio.
GIACINTA: (calandosi su Filomena) Non piangere. Presto, alzati! Andiamo via. Compare Felice è
uscito pazzo. Io pensavo che ce l’avesse con te, mentre è un pervertito, per questo comare Angela
s’è buttata nella Gravina.
Le due comari escono e restano sulla scena in un abbraccio solo Felice e Gelsomino.
FELICE: (stringendolo forte) Ti perdono, ti perdono…
Buio e sipario
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