UN POLITRAUMA GESTITO IN ANESTESIA

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UN POLITRAUMA GESTITO IN ANESTESIA
UN POLITRAUMA GESTITO IN ANESTESIA LOCOREGIONALE
CASO
Una donna di 37 anni, BMI 20, viene trasferita presso il reparto della Clinica Ortopedica dalla Clinica
Chirurgica III dell’Azienda Ospedaliera – Università di Padova, per la gestione delle lesioni scheletriche
conseguenti ad un politrauma della strada.
La paziente era stata ricoverata dopo un incidente moto-auto; all’arrivo dei soccorsi era vigile (GCS 15), ma
non ricordava l’accaduto, era emodinamicamente stabile con un acuto dolore interscapolare.
Gli accertamenti eseguiti in Pronto Soccorso dimostravano valori emocoagulativi nella norma, l’ecografia
FAST escludeva la presenza di versamenti liberi in cavità peritoneale e la TAC cerebri era nei limiti di norma.
La TAC della colonna segnalava frattura dei corpi vertebrali di D4 e D5 con minima frattura delle faccette
articolari corrispondenti a sinistra, frattura della porzione anteriore del piatto superiore di D8 e D10, senza
riduzione in altezza dei metameri interessati e con conservazione del muro posteriore.
La TAC Torace-Addome con mdc evidenziava fratture composte degli archi costali II-IV VI-VII a destra,
fratture scomposte degli archi posteriori della I e II costa di sinistra, focolai contusivi polmonari e
pneumotorace, prevalentemente a destra. Presenza di segni di contusione splenica. Viene posizionato un
drenaggio toracico a destra.
Le radiografie scheletriche mostravano una frattura del grande trocantere femorale destro, frattura
scomposta diafisaria del terzo medio di radio ed ulna sinistre e frattura del capitello radiale sinistro.
La consulenza neurochirurgica non poneva indicazioni chirurgiche per le fratture vertebrali, ma prescriveva
l’uso di un busto tipo Camp dorso - lombare con spallacci, il mantenimento del clinostatismo, la riduzione
degli spostamenti e una rivalutazione a distanza di tempo.
La paziente giunge presso la Sala Operatoria Ortopedica in IV giornata, in buone condizioni generali,
apiretica, con il drenaggio toracico dx a caduta con valvola di Heimlich.
In presala si procede alla monitorizzazione standard con ECG, pressione arteriosa non invasiva e
saturazione d’ossigeno.
La strategia anestesiologica prevede due tempi: prima un blocco del plesso brachiale a sinistra per la
riduzione e osteosintesi delle fratture di ulna
e radio e in seguito, per poter mantenere la
paziente in posizione supina, per via
anteriore i quattro blocchi singoli dei nervi
del plesso lombare e sacrale che innervano
l’arto inferiore destro. Per diminuire lo
stress perioperatorio si prevede inoltre
l’analgosedazione della paziente.
Dopo il monitoraggio standard non invasivo
si somministrano 2mg di Midazolam, 100μg
di Fentanile e la profilassi antibiotica con
400mg di Ciprofloxacina
e si inizia
l’esplorazione ecografica della sede
anatomica del plesso brachiale con una
sonda lineare(Sonosite S-Nerve, 38mm, 6 12 MHz).
Con la dual-guidance, la sonda in sagittale
ed un approccio in plane da craniale a
Figura 1a - plesso brachiale in sede infraclaveare: muscolo gran caudale, si procede ad un blocco
pettorale (GP), piccolo pettorale (PP), arteria ascellare (AA), vena infraclaveare single shot con ago stimolabile
succlavia (VS), corda laterale (CL), corda posteriore (CP) e corda mediale
(Pajunk Nanoline 22Gx 50mm) ottenendo
(CM) del plesso brachiale, il cerchiaggio segna la distribuzione ideale
una risposta del nervo radiale a 0,6mA, e si
dell’anestetico locale.
iniettano 20ml di Ropivacaina 0,5% nella
sede della corda posteriore (h 7 rispetto all’arteria ascellare) con distribuzione dell’anestetico locale a ferro
di cavallo attorno all’arteria ascellare (Fig. 1a,b).
Figura 1b Blocco infraclaveare con sonda in sagittale
e funzione MB-enhanced, ago in plane (frecce
arancioni) con la punta in sede della corda posteriore,
posizione h7 rispetto all’arteria ascellare (AA) con
iniziale distribuzione dell’anestetico locale (LA) sotto
l’arteria.
Per un maggior comfort intraoperatorio e su richiesta della paziente, si procede a sedazione con Propofol a
2 mg/kg/h, mantenendo il respiro spontaneo in aria arricchito con O2 (2l/min) attraverso cannule nasali.
Terminato il primo intervento, ca. 130 min dopo il blocco infraclaveare, si procede all’anestesia locoregionale dell’arto inferiore destro per permettere il trattamento chirurgico della frattura del gran
trocantere .
Figura 2 Sonda trasversale all’altezza della spina
iliaca antero superiore, ago in plane da laterale
verso mediale (freccia arancione), diretto verso
la sede del nervo femorocutaneo laterale
(cerchiaggio giallo), superficiale rispetto il
muscolo sartorio (MS), delimitato dalla fascia
iliaca (FI), tessuto connettivo (TC) tra la fascia
iliaca e la fascia lata (FL).
Si eseguono blocchi single-shot del nervo femorocutaneo laterale (fig 2 ), nervo femorale (fig.3 a,b) e nervo
otturatorio (fig. 4a,b) con approccio per via anteriore usando la sonda lineare (38mm, 6-12mHz) e tecnica in
plane con un ago stimolabile (22G x 50mm) . Per il blocco del nervo sciatico viene usata la sonda convessa
(2-6mHz) con approccio out of plane (fig.5) e ago stimolabile (Pajunk Nanoline, 21Gx 100mm). La tecnica
out of plane in questa sede richiede che si entri con l’ago molto vicino alla sonda per poter seguire sin
dall’inizio la traiettoria della punta dell’ago fino al suo arrivo in vicinanza del nervo sciatico. Viene
considerata la risposta neuromuscolare adeguata per i nervi motori (nervo femorale, otturatorio e sciatico)
e si utilizza un totale di 40ml di Ropivacaina 0,5% + Mepivacaina 1%.
La procedura chirurgica di riduzione con tirante viene portata a termine continuando l’analgosedazione con
Propofol e boli di Fentanile (complessivamente 150μg).
Figura 3a Nervo femorale (NF), lateralmente
all’arteria femorale (AF), superficiale rispetto il
muscolo iliaco (MI), delimitato dalla fascia
iliaca (FI), più superficiale si evidenzia la fascia
lata (FL).
Figura 3b Ago in plane da laterale verso
mediale con la punta sotto il nervo femorale
(NF) , si segnala l’involucro che forma la fascia
iliaca (FI) intorno al nervo.
Figura 4a Localizzazione intrafasciale del nervo
otturatorio (cerchi gialli) con il ramo anteriore
tra il muscolo adduttore lungo (AL) e adduttore
breve (AB) e il ramo posteriore tra l’adduttore
breve (AB) ed il gran adduttore (GA), più
lateralmente si trova il muscolo pettineo (PN).
Figura 4b Ago in plane (frecce arancioni), già
posizionato l’anestetico locale (LA) in sede del
ramo anteriore del nervo otturatorio, la punta
dell’ago si trova in sede del ramo posteriore,
muscolo pettineo (PN), adduttore lungo (AL),
adduttore breve (AB).
Figura 5 Nervo sciatico (NS) per via
anteriore con ago out of plane che
entra molto vicino alla sonda
convessa, anestetico locale (LA)
depositato intorno al nervo, ombra
acustica del femore (F) e pulsazione
dell’arteria femorale (AF).
Prima della sospensione del Propofol si somministrano Paracetamolo 1g e Ketoprofene 100mg.
Il trattamento antalgico post-operatorio prevede l’infusione continua tramite elastomero endovenoso a
2ml/h per 48h di Tramadolo 400mg, Ketoprofene 400mg e Droperidolo 2,5mg, in associazione a
Paracetamolo 1g x 3/die per os.
DISCUSSIONE
Di fronte a questo caso, la scelta della strategia anestesiologica ha richiesto attenzione verso due
condizioni: la presenza di fratture vertebrali, che imponevano di ridurre al minimo gli spostamenti della
paziente, e la coesistenza di un trauma toracico con pneumotorace con drenato, che dissuadeva dal
ricorrere a ventilazione a pressione positiva.
Per quanto riguarda la prima istanza, le lesioni traumatiche della colonna vertebrale hanno indotto ad
evitare un’anestesia neurassiale o un blocco dello psoas compartment, poiché, pur garantendo una
completa anestesia dell’arto inferiore, avrebbero richiesto il posizionamento sul fianco della paziente. E’
stato preferito un approccio per via anteriore, con le medesime caratteristiche in termini di estensione ed
efficacia anestesiologica.
L’associazione fra blocco del nervo femorale e nervo femorocutaneo laterale con quello del nervo sciatico e
del nervo otturatorio garantisce infatti l’anestesia completa del territorio della coscia, compresa la
superficie laterale più prossimale, della gamba e del piede; il coinvolgimento di tutto l’arto inferiore riduce
il discomfort intraoperatorio della paziente, favorisce il rilassamento muscolare e riduce la necessità di
analgosedazione.
La guida ecografica costituisce un eccellente aiuto nella localizzazione delle strutture nervose, riducendo il
rischio di lesioni alle strutture vicine, vascolari e ai nervi stessi. Consente inoltre il blocco di nervi
difficilmente individuabili con le tecniche topografiche o con l’elettrostimolazione. In particolare il nervo
femorocutaneo laterale ha una variabilità anatomica importante ed è difficilmente localizzabile con l’ENS in
quanto nervo sensitivo. La possibilità di localizzare i nervi senza l’aiuto della elettroneurostimolazione o di
poter tenere la stimolazione a livelli bassi (0,6mA) solo per confermare la corretta sede dell’ago,
rappresenta un grande vantaggio nel paziente fratturato o traumatizzato con una notevole riduzione del
dolore procedurale.
Il blocco del plesso brachiale a livello infraclaveare garantisce un’ottima anestesia ed analgesia per la
chirurgia della porzione distale del braccio, dell’avambraccio e della mano e presenta rare complicanze. Il
rischio di una paresi emidiaframmatica omolaterale per blocco del nervo frenico e lo pneumotorace
costituirebbero teoricamente dei deterrenti nel nostro caso, ma rispetto ai blocchi sovraclaveari presenta
una minore incidenza di coinvolgimento del nervo frenico, a meno che non vengano utilizzati grandi volumi
di anestetico locale e si abbia una diffusione craniale del farmaco. Inoltre la scelta di un approccio molto
laterale al plesso brachiale riduce nettamente il rischio di puntura pleurica e pneumotorace.
Un’alternativa valida in termini di efficacia sarebbe stato un blocco per via ascellare, che è stato scartato in
quanto richiede una mobilizzazione del braccio con maggior dolore e fastidio correlato alla procedura.
Il blocco infraclaveare del plesso brachiale non costituisce uno degli approcci più diffusi per l’anestesia
dell’arto superiore, nonostante il miglior profilo di sicurezza garantito dalla dual guidance, ma è
preferito nel nostro caso proprio per il minor rischio di coinvolgimento del nervo frenico rispetto all’
approccio sovraclaveare: uno degli obiettivi era non alterare la funzione respiratoria, in modo da non dover
ricorrere ad alcun presidio di ventilazione a pressione positiva.
La tecnica ecoguidata consente di seguire in ogni fase la procedura, in modo da individuare con precisione
le strutture del plesso brachiale, l’arteria ascellare e la pleura e l’avanzamento dell’ago. In sede
infraclaveare il target si trova a ca. 3-4 cm di profondità e per la vicinanza della clavicola non è possibile
allontarnarsi con il punto di entrata dell’ago 1-2 cm dal bordo laterale dalla sonda in direzione craniale.
Questo determina spesso una angolazione dell’ago che lo rende difficilmente visibile. La funzione MultiBeam enhancement, presente sui modelli Sonosite, permette di vedere ugualmente bene l’ago con
angolazioni altrimenti sfavorevoli per la visibilità, ossia minore di 60° (angolo tra ago e fascio di ultrasuoni).
L’ orientamento prevalente del fascio ultrasonoro nella direzione ortogonale dell’ago permette di captare
meglio le onda riflesse dell’ago mantenendo inalterata l’elevata qualità dell’immagine anatomica.
L’esecuzione di un tale numero di blocchi loco-regionali su di uno stesso paziente potrebbe far sorgere dei
timori riguardo la tossicità da anestetici locali. La possibilità di studiare la distribuzione del farmaco
(spread), garantita dall’ecoguida, ha portato negli anni ad una progressiva riduzione delle dosi e dei volumi
di anestetico locale, con una riduzione delle complicanze sia locali che sistemiche rispetto al passato,
garantendo un maggior margine di sicurezza nell’uso dell’anestesia regionale.
Abbiamo deciso di eseguire a distanza di tempo il blocco per l’arto inferiore rispetto al blocco
infraclaveare per evitare un accumulo e per ottenere una riduzione della dose di farmaco a livello
sistemico, mediata sia dalla redistribuzione che dal metabolismo della molecola. L’aggiunta di mepivacaina
1% alla ropivacaina aveva semplicemente la funzione di accelerare l’onset dell’anestesia a livello dell’arto
inferiore, visto che la paziente era già in sala operatoria.
La scelta della terapia antalgica postoperatoria per via endovenosa, rispetto al posizionamento di cateteri
perinervosi attraverso i quali infondere anestetico locale in continuo, si è basata su due considerazioni: la
paziente presentava più aree sede di trauma, quindi un approccio sistemico avrebbe certamente giovato
alla qualità del periodo postoperatorio; inoltre, il posizionamento di più cateteri perinervosi nelle sedi
operate avrebbe nuovamente posto il problema della tossicità da accumulo di anestetico locale.
In conclusione, la strategia anestesiologica scelta ha consentito di condurre l’intero intervento con ottimo
controllo antalgico, senza interferenza con le vie aeree o ventilazione a pressione positiva e senza dover
cambiare la posizione della paziente. Questo, a sua volta, ha consentito di evitare il ricovero in terapia
intensiva post-operatoria, con un migliore comfort per
la paziente ed una riduzione dei costi di gestione.
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