Introduzione - Casalecchio delle Culture
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Introduzione - Casalecchio delle Culture
CAPITOLO PRIMO LA DEMOCRAZIA E LE NUOVE TECNOLOGIE DELLA COMUNICAZIONE E DELL’INFORMAZIONE 1. LA DEMOCRAZIA NELLE SOCIETÀ CONTEMPORANEE Nelle società contemporanee le nuove tecnologie della comunicazione e dell’informazione sono state salutate come messianiche di nuove possibilità in campo comunicativo e politico per un ritorno all’”Età dell’Oro” della democrazia, ovvero di un’applicazione in campo pratico di istituti e modalità di democrazia diretta (in riferimento al concetto di strong democracy o “autogoverno dei cittadini” – Barber 1984), avendo a modello la polis della Grecia classica, dunque a favore di una politica diffusa che ha come protagonista la società civile e dove i beni comuni e l’interesse generale divengono il principale obiettivo. Innanzitutto, come primo imprescindibile passo, è opportuno fare un piccolo excursus sui punti teorici fondamentali del concetto di democrazia e menzionare la pur nota definizione oggigiorno condivisa: «Democrazia» vuol dire governo del popolo; secondo le tipologie tradizionali è la forma di governo in cui la sovranità appartiene al popolo, che la esercita direttamente o mediante rappresentanti liberamente eletti. Quindi ha valenza democratica una forma di governo fondata su una visione ugualitaria dei rapporti sociali e dei diritti civili e politici la cui “sovranità risiede nella volontà popolare” (Rousseau 1980, v.o. 1762). 1 Dal greco demokratía (composizione di dêmos “popolo” e -kratía “-crazia, governo, autorità” 1 ), il termine “democrazia” possiede una forte connotazione in senso positivo ed è quindi carico di valore, ma allora è opportuna una distinzione tra il punto di vista descrittivo che analizza il problema del ciò che è, e il punto di vista prescrittivo che si occupa di ciò che deve essere. La nozione di democrazia non può essere privata di nessuno dei due aspetti, riconducibili rispettivamente alle nozioni di democrazia formale, ovvero eguaglianza giuridica e politica, e democrazia sostanziale, cioè eguaglianza sul piano economico e sociale. L’importante è non confonderli, essendo la prima la nozione di una formula politica, l’altra la nozione di un contenuto sociale. Spesso invece si è trascurato il modo in cui le decisioni vengono prese, sostenendo che la ‘vera’ democrazia non può consistere in un insieme di procedure formali. In realtà “non vi è mezzo più adatto di impedire il moto verso la democrazia […] che quello di screditare la definizione della democrazia come procedura, usando l’argomento che essa è formalistica e di far credere al popolo che il suo desiderio è esaudito se il governo agisce nel suo interesse e che esso ha raggiunto la desiderata democrazia se ha un governo per il popolo” (Kelsen 1986, pp. 190-191). 1 Sebbene il significato della parola sia abbastanza semplice, le due parti del termine danno luogo ad ambiguità e quesiti pressanti: - la prima ambiguità sta nella nozione di “popolo”: che cosa costituisce il popolo ai fini del governo democratico? È usuale che i sostenitori della democrazia presuppongano che un “popolo” esista già: la sua esistenza è assunta come un dato, una creazione storica. Ma la concretezza di tale dato è discutibile e spesso, infatti, viene messa in discussione. - la seconda ambiguità è compresa nella precedente: all’interno di un “popolo”, soltanto un sottoinsieme ha diritto a partecipare al governo. Costoro costituiscono il cosiddetto demo. Ma chi dovrebbe far parte del demo? Così mentre le esclusioni vengono giustificate con il fatto che il demo comprende tutti coloro che possiedono i requisiti necessari per partecipare al governo, l’assunto nascosto è che soltanto alcuni cittadini hanno la competenza necessaria per governare. - un altro assunto fondamentale è il problema delle ‘dimensioni’ (es. il sistema politico della polis greca o lo Stato-nazione dell’era moderna). - infine considerata come un’entità realmente esistente, ossia appartenente al mondo reale, la democrazia è stata concepita in vari modi: particolare complesso di istituzioni e pratiche politiche, un determinato insieme di diritti, un ordine economico e sociale, un sistema che assicura certi risultati desiderabili, o come un processo per prendere decisioni collettive e vincolanti. Quest’ultima concezione, quella del processo democratico, non esclude gli altri punti di vista e di fatto ha forti implicazioni per ciascuno di essi. Tuttavia qualsiasi concezione della democrazia susciterà critiche e preoccupazioni riguardo al tema della contrapposizione tra processo e sostanza nel contesto delle idee e delle pratiche democratiche. 2 Difatti secondo l’ottica del modello giuridico la democrazia è un’insieme di procedure che consentono la partecipazione dei cittadini alle decisioni politiche. Questa idea può non risultare esaltante, ma è il rispetto di certe procedure che consente l’espressione della sovranità popolare e la verifica delle volontà. La democrazia, “ridotta all’osso” e descritta in termini generalissimi, si risolve in queste «regole del gioco»: 1) “il massimo organo politico, cui è assegnata la funzione legislativa, deve essere composto di membri eletti direttamente o indirettamente, con elezioni di primo o secondo grado, dal popolo”; 2) “accanto al supremo organo legislativo debbono esservi altre istituzioni con dirigenti eletti, come enti dell’amministrazione locale o il capo dello Stato (come avviene nelle repubbliche)”; 3) “elettori debbono essere tutti i cittadini che abbiano raggiunto la maggiore età senza distinzione di razza, di religione, di censo, di sesso”; 4) “tutti gli elettori debbono avere voto eguale” (cioè deve contare per uno); 5) “tutti gli elettori debbono essere liberi di votare secondo la propria opinione formatasi quanto più è possibile liberamente”; 6) “debbono essere liberi anche nel senso […] di avere reali alternative”; 7) “vale il principio della maggioranza numerica”; 8) “nessuna decisione presa a maggioranza deve limitare i diritti della minoranza, in modo particolare il diritto di diventare, a parità di condizioni, maggioranza”; 9) “l’organo di governo deve godere della fiducia del parlamento oppure del capo del potere esecutivo a sua volta eletto dal popolo”. (Bobbio – Matteucci – Pasquino 2004, p. 241). Dunque se è l’insieme di procedure a consentire l’espressione della volontà popolare, e se ciò consiste in un potere ascendente, dal basso verso l’alto, quello che si deve controllare continuamente è a) se le forme di governo che si 3 definiscono democratiche seguono effettivamente questo flusso, e b) “se sia possibile piegare la pratica politica, cioè l’esercizio del potere, al rispetto del principio democratico” (Burdeau 1977). Sin dall’antichità alcuni hanno concepito l’idea di un sistema politico i cui membri si considerino come eguali, esercitino la sovranità collettivamente e possiedano tutte le capacità e risorse, istituzioni di cui si necessita per governarsi da sé. Ma come sottolinea lo studioso R. A. Dahl le idee e le istituzioni contemporanee vanno ben oltre la visione propria delle città-stato greche, sebbene questa continui a rimanere al centro delle discussioni sulla democrazia moderna e continui a caratterizzarne istituti e pratiche 2 . Di conseguenza la teoria e la prassi democratica contemporanea sono lungi dall’essere un modello di coerenza e concordanza filosofica. Il concetto di democrazia dunque trae origine e giustificazione da una totalità di diversi istituti e concezioni di carattere storico, filosofico, sociale, politico. “Nella teoria contemporanea della democrazia confluiscono tre grandi tradizioni del pensiero politico: a) la teoria classica, tramandata come teoria aristotelica delle tre forme di governo, secondo cui la democrazia, come governo di popolo, di tutti i cittadini, ovvero di tutti coloro che godono dei diritti di cittadinanza, viene distinta dalla monarchia, come governo di uno solo, e dall’aristocrazia, come governo di pochi; b) la teoria medievale, di derivazione romana, della sovranità popolare, in base alla quale si contrappone una concezione ascendente a una condizione discendente della sovranità secondo che il potere derivi dal popolo e sia rappresentativo o derivi dal principe e venga trasmesso per delega dal superiore all’inferiore; c) la teoria moderna, nota come teoria machiavellica, nata col sorgere dello Stato moderno nella forma delle grandi monarchie, 2 Secondo Dahl le caratteristiche della nozione contemporanea di democrazia derivano dalle cosiddette “quattro fonti: la Grecia classica [e in particolare l’esperienza ateniese], una tradizione repubblicana derivata in misura maggiore da Roma e dalle città-stato italiane del Medioevo e del Rinascimento, piuttosto che dalle città-stato democratiche della Grecia; l’idea e le istituzioni del governo rappresentativo; e il criterio dell’uguaglianza politica” (Dahl 1997, p. 26) 4 secondo cui le forme storiche di governo sono essenzialmente due: la monarchia e la repubblica” (Bobbio – Matteucci – Pasquino 2004, p. 235). Le diverse istituzioni e pratiche democratiche riprendono le proprie caratteristiche e valori fondanti in diversa maniera dalle fonti e dalle influenze del contesto esistente determinando così difformità e incoerenze tra loro e tra i meccanismi propri del processo democratico. Un esempio ne è la formula politica riassunta dalla parola «liberldemocrazia» definita da Sartori “come una matassa a due capi. Finché in un gomitolo non si tocca tutto va bene; ma se cominciamo a disfarlo e a tirarne i capi si avverte subito che è fatto con due fili”. Mostrando così come concettualmente il liberalismo si distingua dalla democrazia perché il primo è una teoria negativa dei limiti del potere, mentre la seconda consiste in una forma positiva di governo. Il liberalismo pone l’accento sulle libertà, la democrazia sull’eguaglianza. “L’eguaglianza ha un andamento orizzontale, la libertà uno slancio verticale” (Zanone 1972), nel senso che la democrazia è distributiva, mentre il liberalismo seleziona 3 . Le forme di governo e istituzioni che storicamente si sono consolidate in particolare nell’Europa e nel cosiddetto mondo occidentale, sono definite «democrazie rappresentative», dove il titolare della sovranità, cioè i cittadini o demo, elegge un certo numero di rappresentanti, con delega a esprimere la propria volontà, istituendo un rapporto – la rappresentanza – che può configurarsi come mandato imperativo (quando il mandante è vincolato alle istruzioni del rappresentato) oppure come rapporto fiduciario (quando il rappresentante ha autonomia nelle sue scelte). 3 Per cui “la differenza fondamentale resta quella che la democrazia si impernia sulla comunità sociale e il liberalismo si impernia sull’individuo”. 5 In contrapposizione la democrazia si definisce “diretta” o “assembleare” se è lo stesso titolare che esercita il potere: questa è in teoria la formula autentica della democrazia, poiché realizza pienamente l’identificazione tra governanti e governati, secondo il precetto per cui se il dominio è inevitabile, sia il popolo a esercitarlo su se stesso. La sua forza è nel rifiuto della delega, nella convinzione che la delega dell’esercizio significa, di fatto, una rinuncia alla stessa titolarità 4 . Di particolare valore teorico ed evocativo è il modello della strong democracy, idel-tipo concepito da Barber valutato in base alla partecipazione attiva dei cittadini al processo democratico. “[…] La strong democracy è definita dalla politica in riferimento alla dimensione partecipativa: letteralmente è l’autogoverno dei cittadini, piuttosto che il governo rappresentativo che opera in nome dei cittadini. I cittadini attivi governano se stessi direttamente, anche se non necessariamente a ogni livello e a ogni occasione, ma abbastanza di frequente e in modo particolare quando si stanno decidendo le politiche di governo di base e quando sono in gioco gli equilibri di potere” (Barber 1984, p. 151). Ma tra i meccanismi delle attuali forme di rappresentanza democratica e l’ideale di autogoverno dei cittadini si collocano diverse interpretazioni di forme e pratiche di democrazia «partecipante» o partecipativa, dove le istituzioni rappresentative sono integrate da organismi collegiali di consultazione e di governo nella società civile, secondo “un principio di pari dignità (nella diversità) delle variegate forme della politica. Questa pari dignità per essere tale deve essere declinata in due direzioni: lo smantellamento del primato monarchico dei partiti (che devono continuare ad avere un ruolo fondamentale 4 “Nella democrazia rappresentativa la delega è […] generalizzata; nella democrazia diretta invece la delega è ad hoc, su singole decisioni: alla cittadinanza riunita in assemblea, spetta, di volta, in volta, la definizione degli obiettivi”. (Della Porta 2001) 6 in un moderno e plurale sistema della politica) e la costruzione di strumenti, procedure e sedi per dare più forza e impatto alle forme della politica diffusa” (Marcon 2005, p. 12). Viene quindi enfatizzata la “partecipazione” e l’associazionismo col fine di dar vita a una cittadinanza attiva “prima e dopo il voto”: una relazione ‘continua’ nella formulazione di pratiche per la costituzione di un processo democratico di una vera e propria “democrazia di massa”. Varianti di forme di democrazia «partecipante», o partecipativa, a indicare la contiguità, o meglio la tensione verso l’ideale concezione di democrazia diretta, sono costituite da molteplici istituzioni volte a semplificare la partecipazione nella costruzione dell’agenda politica: ad esempio una forma di partecipazione, comune alle esperienze in America Latina, è quella della Democrazia Rappresentativa Comunitaria (Cabannes 2003, p. 9) dove la partecipazione alle discussioni è data attraverso l’azione delle organizzazioni sociali, di quartiere, sindacali e corporative. Ma nonostante la prossimità con i propri rappresentanti il cittadino non attua direttamente e neppure direttamente controlla il processo di policy-making. In tal modo la peculiarità comunitaria, o locale, è essenziale e fondante, sebbene in realtà si evinca che un tale modello contiene in sé gli stessi rischi e limiti della democrazia rappresentativa. La democrazia diretta è partecipativa “nella misura in cui riconosce il diritto a decidere solo a chi mostra dedizione alla causa pubblica”, inoltre al contrario della democrazia rappresentativa, spesso burocratizzata, con un accentramento delle decisioni al vertice, “la democrazia diretta è decentrata, sottolineando la necessità di portare le decisioni il più vicino possibile alla gente” (Della Porta 2001, p. 178). Centrale è quindi la dimensione “locale”: ottimale per l’implementazione di tecniche assembleari data la prossimità tra rappresentanti e rappresentati e 7 considerata in relazione a una maggiore vicinanza con le strutture dell’amministrazione pubblica tipicamente a maggior contatto con i cittadini, e cioè con le sedi periferiche ovvero coi municipi, i quartieri, ecc… In questa ottica di «autogoverno locale» occorre puntualizzare una nuova distinzione tra il livello “comunitario”, a prevalente carattere di quartiere o distretto, e il livello “cittadino”, dove le definizioni e l’implementazione di policies, si eleva al grado di municipio o di città nel suo insieme: è chiaro che i due livelli mirano alla costruzione di cittadinanze differenti. Nel passaggio dalla democrazia di tipo rappresentativo a forme di strong democracy cambiano due condizioni fondamentali della politica: informazione e partecipazione. Tali condizioni possono essere influenzate in modo determinante dalle nuove tecnologie della comunicazione e dell’informazione, che come vedremo si presentano come elementi che accelerano certi processi in atto, senza però esserne il principale motivo di mutamento. 2. ICT – LE NUOVE TECNOLOGIE DELLA COMUNICAZIONE E DELL’INFORMAZIONE Con l’avvento e l’affermarsi delle ICTs (Information and Communication Technology), e in particolare con la diffusione di Internet, si è prodotto un mutamento nel sistema mediale che ha naturalmente coinvolto gli altri ambiti, tutt’altro che secondari, della nostra realtà contemporanea. Le innovazioni tecnologiche si organizzano sempre più in ‘sistema’, intervenendo su processi in fieri, così da rafforzare o indebolire i soggetti o le modalità degli stessi. Ma la “vera novità di oggi sta nella percezione collettiva di questo processo, nella sua ampiezza, nella molteplicità di strumenti tecnici adoperati e nella loro 8 progressiva integrazione, che crea un universo sempre più dominato dalla logica digitale” (Rodotà 2004, p. 9). In particolare i media tradizionali sono dei “broadcast media”, cioè presentano un modello di comunicazione del genere “mittente Æ messaggio Æ ricevente”, mentre in alternativa possiamo avere il modello narrowcasting, un’offerta specifica riferita a un determinato segmento di pubblico (televisione tematica, ecc…). Invece nel caso delle nuove tecnologie della comunicazione e dell’informazione e in particolare di Internet siamo dinanzi a una logica “many to many” (“netcast media”) che permette una comunicazione da molti (emittenti) a molti (destinatari), estremamente diversificata in grado, potenzialmente, di poter soddisfare tutti. Inoltre nell’elevata “frammentazione”, consentita dal modello netcast e che si realizza in “rete”, la comunicazione di massa può sfumare in comunicazione interpersonale. Un’ulteriore trasformazione riguarda il rapporto col “destinatario” della comunicazione, che ora grazie a diversi e variegati strumenti può divenire: - comunicazione asincrona – “one to one”, come nel caso delle emails; - comunicazione asincrona – “many to many”, con il newsgroup; - comunicazione sincrona – “one to one”/ “one to many”, nelle chat; - comunicazione asincrona – “many to one” / “one to many” / “one to one”, siti-web. Altro elemento che caratterizza la cultura di Intenet è il nuovo rapporto con l’offerta mediale: assistiamo alla scomparsa dello story-teller, tipico dei media tradizionali. Si va oltre la scelta libera da vincoli di programmazione. Si possono combinare assieme suoni, immagini, e documenti provenienti dalle fonti più diverse, e tutto 9 ciò genera un flusso unico, creazione del suo autore. È il soggetto che elabora un proprio personale percorso: quindi lo story-teller diviene il soggetto stesso. Ma questo già ci introduce nell’ambito delle capacità e competenze individuali e a parlare di knowledge gaps, alle nuove abilità a ‘muoversi’ all’interno di uno spazio illimitato, non privo di false informazioni, e a utilizzare nel pieno delle sue potenzialità qualità come la multimedialità. Diversi soggetti politici, dai tradizionali partiti sino ai nuovi movimenti della società civile sono ricorsi a Internet come nuovo media e come potente ‘cassa di risonanza’ per avere quella visibilità negata dall’apparato tradizionale o per creare nuovi tempi e spazi di aggregazione attorno a un tema o programmi. Vi è un sostanziale accordo nell’individuazione di alcune funzioni che è possibile attribuire alla rete: • la funzione di “networking”: la possibilità di organizzare l’attività di tutti gli organismi e soggetti che fanno riferimento al soggetto politico e il cui lavoro è fondamentale per la sopravvivenza stessa dell’organizzazione. Legata a indubbi vantaggi in relazione a elementi quali l’economicità, la velocità e l’assenza di confini. Le nuove tecnologie permettono la creazione di gruppi, consentono coordinamento e cooperazione nella pianificazione di forme di pressione, facilitano l’attivazione di rapporti tra i membri 5 . 5 Il riferimento all’utilità dei “links” è d’obbligo, essenziale per la costituzione di network o reti, come ad esempio in Italia la Rete Lilliput (www.retelilliput.org) 10 Internet, in quanto “network di networks”, comprende realtà apparentemente inconciliabili come networks che rimandano a organizzazioni decentralizzate e non gerarchiche, ma anche a quelle centralizzate e gerarchiche. • la funzione informativa: possibilità di produrre e distribuire autonomamente materiale informativo escludendo i mediatori tradizionali, acquisendo una visibilità maggiore e diretta e continua nel tempo con i destinatari diretti della comunicazione. In taluni casi può attivare anche un effetto di spillover tale da garantire un copertura mediatica totale. L’informazione si può definire “interna” quando si rivolge ai militanti, ai propri ‘sostenitori’, “esterna” quando è rivolta ai cittadini nel loro insieme. L’informazione diviene la “colla che tiene uniti i membri” (Mayer-Schönberger, Brodnig 2001), essenziale per garantire l’efficacia dell’organizzazione. Il controllo della produzione e distribuzione dell’informazione può arrivare a modificare l’agenda setting pubblica. Questo grazie anche alla capacità di far diventare da ‘strategica’ a ‘libera’ 6 una determinata informazione: negli ultimi anni sempre più spesso sentiamo parlare di “guerriglia informativa”. • la funzione di “mobilitazione e reclutamento” : opportunità di creare occasioni di pressione e di ampliare il numero degli aderenti. Le forme di mobilitazione variano dalle tradizionali manifestazioni nelle piazze all’invio di e-mail ai rappresentanti parlamentari, dalla raccolta firme alla 6 Keohane, Nye (1998, p. 77) distinguono 3 tipi di informazione: libera, commerciale e strategica. L’informazione “libera” è a disposizione di tutti; l’informazione “commerciale” è resa disponibile in cambio di un compenso economico; l’informazione “strategica” non ha valore nel senso che l’eventuale accesso da parte di altri ne fa scomparire ogni valore attribuito ai dati. Nel corso del tempo gli stessi dati possono essere “strategiche”, “commerciale” o “libere”. 11 segnalazione di una particolare iniziativa, dall’”attivismo computerizzato” alla “disobbedienza civile elettronica” secondo Wray 7 . • la funzione di “partecipazione”: possibilità di attivare flussi diretti di comunicazione con i cittadini, opportunità di creare grazie alle ICTs forme alternative di partecipazione dei cittadini alla vita politica con occasioni di interattività. A seguito del declino del partito politico quale gatekeeper, ruolo assunto dai professionisti della politica, vi è stato un aumento della ‘distanza’ tra la dimensione della politica e quella della società civile. Le nuove tecnologie, con la loro possibilità di interazione, sono state viste come la soluzione al crescente distacco. Nonostante ciò i partiti (Bentivegna 2002, pp. 66-131 e Della Porta 2001 pp. 111-125, 175-192) sembrano non averne colto l’occasione, forse per il persistere di un modello di organizzazione gerarchico “top-down”, che è stato riportato pedissequamente all’interno della rete, così sfruttando poco le caratteristiche di un “network di networks”, e in parte, forse, a causa della scarsa “alfabetizzazione informatica” ancora presente. Invece il modello “netcast” risponde pienamente alle aspettative dei movimenti che si alimentano dai diversi ‘nodi’ sparsi sul territorio. Grazie a strumenti alternativi (forum, chat-room, e-mail e newsletter) i nuovi media permettono ai militanti di superare il senso di isolamento, dovuto all’assenza di contatti face-to-face, permettendo la condivisione di ideali e di strategie d’azione: si può favorire la “conversione di comunità disperse di simpatizzanti in comunità virtuali con un grado di interazione leggermente più elevato” (Diani 2001). 7 Secondo S. Wray, (Fonte: www.nyu.edu/projects - New York University, 1998) l’«attivismo computerizzato» si può definire come “l’uso delle infrastrutture di Internet da parte degli attivisti per comunicare tra loro”. Il passo successivo consiste nella «guerra di base dell’informazione», una ‘guerra’ con materiale informativo condotta da militanti a livello globale. E infine la «disobbedienza civile elettronica»: organizzazione di simultanee azioni di disturbo realizzate tramite la rete. 12 In particolar modo la rete offre la capacità di costruire un terreno di incontro con i cittadini, per creare uno spazio costantemente aperto e pronto a ridisegnarsi a seguito degli input che vengono dalla realtà 8 . Tab. 1 numero utenti internet (in milioni) Africa 6,31 Asia e Pacifico 187,24 Europa 190,91 Medio Oriente Stati Uniti e Canada 5,12 182,67 America Latina 33,35 Totale 605,6 Fonte: How Many On Line, www.nua.ie, settembre 2002 In realtà le nuove tecnologie riprendono i media tradizionali integrandoli e integrandosi e quindi rinnovandoli. Esemplare è la storia di Internet ‘derivato’ dal progetto Arpanet, realizzato nel 1969 negli Stati Uniti per dar vita a un sistema di comunicazione funzionante e sicuro anche in caso di un conflitto termonucleare. Questa creazione dell’era della Guerra Fredda si trasformò, divenendo occasione di scambio di messaggi grazie a collegamenti tra università americane. Nel 1989 presso il Cern di Ginevra Tim-Berners Lee mise a punto un sistema di distribuzione di informazioni in rete: il World Wide Web; così nel 1991 viene creato il primo sito-web presso lo Stanford Linear Accelerator (USA). In seguito Intenet diventò un mass-media con la distribuzione gratuita del programma Netscape (1994), un browser: cioè un software per la ‘navigazione’ in rete. Dopo pochi mesi la Microsoft, in coincidenza con l’uscita della versione 8 Il presente paragrafo trae spunto da I soggetti politici nel cyberspace (Bentivegna 2002, pp. 72-96) 13 del sistema operativo di Windows95, fece uscire sul mercato un altro browser: Internet Explorer. Nei primi anni Novanta gli utenti di Internet erano circa tre milioni, collocati quasi esclusivamente negli Stati Uniti, ma nel 1995 si raggiunge già il numero di 16 milioni. Secondo How Many On Line (www.nua.ie) nel settembre del 2002 il totale dei ‘connessi’ era di più di 605 milioni di persone, intorno al 10% della popolazione mondiale: quindi un dato che conferma tassi di incremento costante. Però non bisogna dimenticare, né sottovalutare, lo squilibrio esistente tra i ‘Paesi ricchi’ e i ‘Paesi del Sud del mondo’ 9 . Internet è nato come luogo di libertà, libero da ogni vincolo di qualsiasi natura, ma è pur vero che è stato ed è costantemente ‘terreno di conquista’ per aziende e imprese e quindi legato a logiche di mercato. Difatti il suo carattere di massmedia si è andato sviluppando in coincidenza con l’interesse sempre maggiore per le opportunità commerciali che rappresentava: non a caso gli ‘infomation haves’ delle società contemporanee sono anche gli individui con maggiori risorse, in particolare economico-finanziarie. I nuovi ‘divari digitali’ e tecnologie quali i cookies si configurano funzionali alla segmentazione del mercato per target. Lo stesso sviluppo del «design» della rete finora è stato incentivato verso tipologie ‘friendly’ soprattutto per venire incontro all’utenteconsumatore. Quindi ci troviamo di fronte a un’«architettura» del Web che risponde più che a esigenze proprie dell’individuo-cittadino a quelle della neteconomy: tanto da incidere profondamente il carattere anarchico della rete. Emblematico è il caso dell’equazione liberale proprietà/libertà messa a dura prova nello spazio virtuale, poiché “non si ricorre alla tecnica proprietaria per 9 Vedi Tabella 1 “numero di utenti internet”. Lo squilibrio viene confermato anche dal calcolo del numero di nodi (host) in rete: con gli Stati Uniti, Giappone e Canada e i cosiddetti ‘Paesi ricchi’ in posizioni di preminenza (Network Wizards), e ancora il rapporto host/abitanti con Stati Uniti, Finlandia, Olanda, ecc in prima fila (www.gandalf.it, settembre 2001). 14 ripartire risorse scarse, ma [si] ricreano artificialmente condizioni di scarsità riducendo la disponibilità di risorse comuni, si utilizza la tecnica del brevetto anche in situazioni in cui ciò produce una riduzione dell’efficienza, impedendo il miglioramento del prodotto attraverso la partecipazione libera di una molteplicità di progetti 10 . Così non solo la proprietà non può essere considerata una condizione delle libertà, ma, al contrario, ne costituisce un limite, escludendo le generalità delle persone dall’accesso determinati beni o dal loro perfezionamento” (Rodotà 2004, p.XXXII). Liberi di muoversi, di osservare, di ‘appropriarsi’, sembrano rimanere soltanto i ‘sorveglianti’ dotati di maggior potere; in particolare dopo gli avvenimenti dell’11 settembre 2001 è divenuta una questione fondamentale sapere chi è che controlla il ‘data-base’, poiché le nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione si sono rivelate degli ottimi strumenti al servizio di tendenze per un controllo generale e diffuso secondo il postulato sorveglianza uguale sicurezza. Ma la nuova sicurezza lede diritti fondamentali della persona e garanzie costituzionali che è plausibile, per motivi endemici alla loro stesura, che non siano del tutto attuabili o non comprendono in toto la dimensione contemporanea propria del modello netcast e delle ICTs. La partecipazione a un processo deliberativo democratico ed efficiente può essere realizzata soltanto attraverso la sicurezza che le proprie opinioni, idee o scelte non possano essere motivo di discriminazione. Perciò la politica deve assumere un ruolo attivo e proposito nei confronti delle nuove tecnologie, se non vuol essere ridotta a puro marketing politico o a dispositivo di sorveglianza, deve affrontare i nuovi problemi ed elaborare dei percorsi autonomi nei confronti dei nuovi temi. 10 La filosofia e i miglioramenti del Software Open Source sono stati resi possibili dal contributo di tutti quelli che hanno potuto avere libero accesso al “codice sorgente”, smentendo la tesi secondo la quale solo l’incentivo economico, garantito dal brevetto attraverso l’esclusività dello sfruttamento, consente il miglioramento dei prodotti. Tra i grandi paesi l’India ha deciso di adottare per la sua Pubblica Amministrazione esclusivamente prodotti Open Source. Tra i software e i sistemi operativi: www.mozilla.org; www.linux.it; www.openoffice.org; www.7zip.com; ecc. 15