Introduzione - Casalecchio delle Culture

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Introduzione - Casalecchio delle Culture
CAPITOLO PRIMO
LA DEMOCRAZIA E LE NUOVE TECNOLOGIE DELLA
COMUNICAZIONE E DELL’INFORMAZIONE
1. LA DEMOCRAZIA NELLE SOCIETÀ CONTEMPORANEE
Nelle società contemporanee le nuove tecnologie della comunicazione e
dell’informazione sono state salutate come messianiche di nuove possibilità in
campo comunicativo e politico per un ritorno all’”Età dell’Oro” della
democrazia, ovvero di un’applicazione in campo pratico di istituti e modalità di
democrazia diretta (in riferimento al concetto di strong democracy o
“autogoverno dei cittadini” – Barber 1984), avendo a modello la polis della
Grecia classica, dunque a favore di una politica diffusa che ha come protagonista
la società civile e dove i beni comuni e l’interesse generale divengono il
principale obiettivo.
Innanzitutto, come primo imprescindibile passo, è opportuno fare un piccolo
excursus sui punti teorici fondamentali del concetto di democrazia e menzionare
la pur nota definizione oggigiorno condivisa:
«Democrazia» vuol dire governo del popolo; secondo le tipologie tradizionali è
la forma di governo in cui la sovranità appartiene al popolo, che la esercita
direttamente o mediante rappresentanti liberamente eletti.
Quindi ha valenza democratica una forma di governo fondata su una visione
ugualitaria dei rapporti sociali e dei diritti civili e politici la cui “sovranità
risiede nella volontà popolare” (Rousseau 1980, v.o. 1762).
1
Dal greco demokratía (composizione di dêmos “popolo” e -kratía “-crazia,
governo, autorità” 1 ), il termine “democrazia” possiede una forte connotazione in
senso positivo ed è quindi carico di valore, ma allora è opportuna una
distinzione tra il punto di vista descrittivo che analizza il problema del ciò che è,
e il punto di vista prescrittivo che si occupa di ciò che deve essere.
La nozione di democrazia non può essere privata di nessuno dei due aspetti,
riconducibili rispettivamente alle nozioni di democrazia formale, ovvero
eguaglianza giuridica e politica, e democrazia sostanziale, cioè eguaglianza sul
piano economico e sociale. L’importante è non confonderli, essendo la prima la
nozione di una formula politica, l’altra la nozione di un contenuto sociale.
Spesso invece si è trascurato il modo in cui le decisioni vengono prese,
sostenendo che la ‘vera’ democrazia non può consistere in un insieme di
procedure formali. In realtà “non vi è mezzo più adatto di impedire il moto verso
la democrazia […] che quello di screditare la definizione della democrazia come
procedura, usando l’argomento che essa è formalistica e di far credere al popolo
che il suo desiderio è esaudito se il governo agisce nel suo interesse e che esso
ha raggiunto la desiderata democrazia se ha un governo per il popolo” (Kelsen
1986, pp. 190-191).
1
Sebbene il significato della parola sia abbastanza semplice, le due parti del termine danno luogo ad ambiguità e
quesiti pressanti:
- la prima ambiguità sta nella nozione di “popolo”: che cosa costituisce il popolo ai fini del governo
democratico? È usuale che i sostenitori della democrazia presuppongano che un “popolo” esista già: la sua
esistenza è assunta come un dato, una creazione storica. Ma la concretezza di tale dato è discutibile e spesso,
infatti, viene messa in discussione.
- la seconda ambiguità è compresa nella precedente: all’interno di un “popolo”, soltanto un sottoinsieme ha
diritto a partecipare al governo. Costoro costituiscono il cosiddetto demo. Ma chi dovrebbe far parte del demo?
Così mentre le esclusioni vengono giustificate con il fatto che il demo comprende tutti coloro che possiedono i
requisiti necessari per partecipare al governo, l’assunto nascosto è che soltanto alcuni cittadini hanno la
competenza necessaria per governare.
- un altro assunto fondamentale è il problema delle ‘dimensioni’ (es. il sistema politico della polis greca o lo
Stato-nazione dell’era moderna).
- infine considerata come un’entità realmente esistente, ossia appartenente al mondo reale, la democrazia è stata
concepita in vari modi: particolare complesso di istituzioni e pratiche politiche, un determinato insieme di diritti,
un ordine economico e sociale, un sistema che assicura certi risultati desiderabili, o come un processo per
prendere decisioni collettive e vincolanti. Quest’ultima concezione, quella del processo democratico, non
esclude gli altri punti di vista e di fatto ha forti implicazioni per ciascuno di essi. Tuttavia qualsiasi concezione
della democrazia susciterà critiche e preoccupazioni riguardo al tema della contrapposizione tra processo e
sostanza nel contesto delle idee e delle pratiche democratiche.
2
Difatti secondo l’ottica del modello giuridico la democrazia è un’insieme di
procedure che consentono la partecipazione dei cittadini alle decisioni politiche.
Questa idea può non risultare esaltante, ma è il rispetto di certe procedure che
consente l’espressione della sovranità popolare e la verifica delle volontà. La
democrazia, “ridotta all’osso” e descritta in termini generalissimi, si risolve in
queste «regole del gioco»:
1) “il massimo organo politico, cui è assegnata la funzione legislativa, deve
essere composto di membri eletti direttamente o indirettamente, con
elezioni di primo o secondo grado, dal popolo”;
2) “accanto al supremo organo legislativo debbono esservi altre istituzioni
con dirigenti eletti, come enti dell’amministrazione locale o il capo dello
Stato (come avviene nelle repubbliche)”;
3) “elettori debbono essere tutti i cittadini che abbiano raggiunto la maggiore
età senza distinzione di razza, di religione, di censo, di sesso”;
4) “tutti gli elettori debbono avere voto eguale” (cioè deve contare per uno);
5) “tutti gli elettori debbono essere liberi di votare secondo la propria
opinione formatasi quanto più è possibile liberamente”;
6) “debbono essere liberi anche nel senso […] di avere reali alternative”;
7) “vale il principio della maggioranza numerica”;
8) “nessuna decisione presa a maggioranza deve limitare i diritti della
minoranza, in modo particolare il diritto di diventare, a parità di
condizioni, maggioranza”;
9) “l’organo di governo deve godere della fiducia del parlamento oppure del
capo del potere esecutivo a sua volta eletto dal popolo”.
(Bobbio – Matteucci – Pasquino 2004, p. 241).
Dunque se è l’insieme di procedure a consentire l’espressione della volontà
popolare, e se ciò consiste in un potere ascendente, dal basso verso l’alto, quello
che si deve controllare continuamente è a) se le forme di governo che si
3
definiscono democratiche seguono effettivamente questo flusso, e b) “se sia
possibile piegare la pratica politica, cioè l’esercizio del potere, al rispetto del
principio democratico” (Burdeau 1977).
Sin dall’antichità alcuni hanno concepito l’idea di un sistema politico i cui
membri si considerino come eguali, esercitino la sovranità collettivamente e
possiedano tutte le capacità e risorse, istituzioni di cui si necessita per governarsi
da sé. Ma come sottolinea lo studioso R. A. Dahl le idee e le istituzioni
contemporanee vanno ben oltre la visione propria delle città-stato greche,
sebbene questa continui a rimanere al centro delle discussioni sulla democrazia
moderna e continui a caratterizzarne istituti e pratiche 2 . Di conseguenza la teoria
e la prassi democratica contemporanea sono lungi dall’essere un modello di
coerenza e concordanza filosofica.
Il concetto di democrazia dunque trae origine e giustificazione da una totalità di
diversi istituti e concezioni di carattere storico, filosofico, sociale, politico.
“Nella teoria contemporanea della democrazia confluiscono tre grandi tradizioni
del pensiero politico: a) la teoria classica, tramandata come teoria aristotelica
delle tre forme di governo, secondo cui la democrazia, come governo di popolo,
di tutti i cittadini, ovvero di tutti coloro che godono dei diritti di cittadinanza,
viene distinta dalla monarchia, come governo di uno solo, e dall’aristocrazia,
come governo di pochi; b) la teoria medievale, di derivazione romana, della
sovranità popolare, in base alla quale si contrappone una concezione ascendente
a una condizione discendente della sovranità secondo che il potere derivi dal
popolo e sia rappresentativo o derivi dal principe e venga trasmesso per delega
dal superiore all’inferiore; c) la teoria moderna, nota come teoria machiavellica,
nata col sorgere dello Stato moderno nella forma delle grandi monarchie,
2
Secondo Dahl le caratteristiche della nozione contemporanea di democrazia derivano dalle cosiddette “quattro
fonti: la Grecia classica [e in particolare l’esperienza ateniese], una tradizione repubblicana derivata in misura
maggiore da Roma e dalle città-stato italiane del Medioevo e del Rinascimento, piuttosto che dalle città-stato
democratiche della Grecia; l’idea e le istituzioni del governo rappresentativo; e il criterio dell’uguaglianza
politica” (Dahl 1997, p. 26)
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secondo cui le forme storiche di governo sono essenzialmente due: la monarchia
e la repubblica” (Bobbio – Matteucci – Pasquino 2004, p. 235).
Le diverse istituzioni e pratiche democratiche riprendono le proprie
caratteristiche e valori fondanti in diversa maniera dalle fonti e dalle influenze
del contesto esistente determinando così difformità e incoerenze tra loro e tra i
meccanismi propri del processo democratico.
Un esempio ne è la formula politica riassunta dalla parola «liberldemocrazia»
definita da Sartori “come una matassa a due capi. Finché in un gomitolo non si
tocca tutto va bene; ma se cominciamo a disfarlo e a tirarne i capi si avverte
subito che è fatto con due fili”. Mostrando così come concettualmente il
liberalismo si distingua dalla democrazia perché il primo è una teoria negativa
dei limiti del potere, mentre la seconda consiste in una forma positiva di
governo.
Il
liberalismo
pone
l’accento
sulle
libertà,
la
democrazia
sull’eguaglianza. “L’eguaglianza ha un andamento orizzontale, la libertà uno
slancio verticale” (Zanone 1972), nel senso che la democrazia è distributiva,
mentre il liberalismo seleziona 3 .
Le forme di governo e istituzioni che storicamente si sono consolidate in
particolare nell’Europa e nel cosiddetto mondo occidentale, sono definite
«democrazie rappresentative», dove il titolare della sovranità, cioè i cittadini o
demo, elegge un certo numero di rappresentanti, con delega a esprimere la
propria volontà, istituendo un rapporto – la rappresentanza – che può
configurarsi come mandato imperativo (quando il mandante è vincolato alle
istruzioni del rappresentato) oppure come rapporto fiduciario (quando il
rappresentante ha autonomia nelle sue scelte).
3
Per cui “la differenza fondamentale resta quella che la democrazia si impernia sulla comunità sociale e il
liberalismo si impernia sull’individuo”.
5
In contrapposizione la democrazia si definisce “diretta” o “assembleare” se è lo
stesso titolare che esercita il potere: questa è in teoria la formula autentica della
democrazia, poiché realizza pienamente l’identificazione tra governanti e
governati, secondo il precetto per cui se il dominio è inevitabile, sia il popolo a
esercitarlo su se stesso.
La sua forza è nel rifiuto della delega, nella convinzione che la delega
dell’esercizio significa, di fatto, una rinuncia alla stessa titolarità 4 .
Di particolare valore teorico ed evocativo è il modello della strong democracy,
idel-tipo concepito da Barber valutato in base alla partecipazione attiva dei
cittadini al processo democratico. “[…] La strong democracy è definita dalla
politica in riferimento alla dimensione partecipativa: letteralmente
è
l’autogoverno dei cittadini, piuttosto che il governo rappresentativo che opera in
nome dei cittadini. I cittadini attivi governano se stessi direttamente, anche se
non necessariamente a ogni livello e a ogni occasione, ma abbastanza di
frequente e in modo particolare quando si stanno decidendo le politiche di
governo di base e quando sono in gioco gli equilibri di potere” (Barber 1984, p.
151).
Ma tra i meccanismi delle attuali forme di rappresentanza democratica e l’ideale
di autogoverno dei cittadini si collocano diverse interpretazioni di forme e
pratiche di democrazia «partecipante» o partecipativa, dove le istituzioni
rappresentative sono integrate da organismi collegiali di consultazione e di
governo nella società civile, secondo “un principio di pari dignità (nella
diversità) delle variegate forme della politica. Questa pari dignità per essere tale
deve essere declinata in due direzioni: lo smantellamento del primato
monarchico dei partiti (che devono continuare ad avere un ruolo fondamentale
4
“Nella democrazia rappresentativa la delega è […] generalizzata; nella democrazia diretta invece la delega è ad
hoc, su singole decisioni: alla cittadinanza riunita in assemblea, spetta, di volta, in volta, la definizione degli
obiettivi”.
(Della Porta 2001)
6
in un moderno e plurale sistema della politica) e la costruzione di strumenti,
procedure e sedi per dare più forza e impatto alle forme della politica diffusa”
(Marcon 2005, p. 12).
Viene quindi enfatizzata la “partecipazione” e l’associazionismo col fine di dar
vita a una cittadinanza attiva “prima e dopo il voto”: una relazione ‘continua’
nella formulazione di pratiche per la costituzione di un processo democratico di
una vera e propria “democrazia di massa”.
Varianti di forme di democrazia «partecipante», o partecipativa, a indicare la
contiguità, o meglio la tensione verso l’ideale concezione di democrazia diretta,
sono costituite da molteplici istituzioni volte a semplificare la partecipazione
nella costruzione dell’agenda politica: ad esempio una forma di partecipazione,
comune alle esperienze in America Latina, è quella della Democrazia
Rappresentativa Comunitaria (Cabannes 2003, p. 9) dove la partecipazione alle
discussioni è data attraverso l’azione delle organizzazioni sociali, di quartiere,
sindacali e corporative. Ma nonostante la prossimità con i propri rappresentanti
il cittadino non attua direttamente e neppure direttamente controlla il processo di
policy-making. In tal modo la peculiarità comunitaria, o locale, è essenziale e
fondante, sebbene in realtà si evinca che un tale modello contiene in sé gli stessi
rischi e limiti della democrazia rappresentativa.
La democrazia diretta è partecipativa “nella misura in cui riconosce il diritto a
decidere solo a chi mostra dedizione alla causa pubblica”, inoltre al contrario
della democrazia rappresentativa, spesso burocratizzata, con un accentramento
delle decisioni al vertice, “la democrazia diretta è decentrata, sottolineando la
necessità di portare le decisioni il più vicino possibile alla gente” (Della Porta
2001, p. 178).
Centrale è quindi la dimensione “locale”: ottimale per l’implementazione di
tecniche assembleari data la prossimità tra rappresentanti e rappresentati e
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considerata in relazione a una maggiore vicinanza con le strutture
dell’amministrazione pubblica tipicamente a maggior contatto con i cittadini, e
cioè con le sedi periferiche ovvero coi municipi, i quartieri, ecc…
In questa ottica di «autogoverno locale» occorre puntualizzare una nuova
distinzione tra il livello “comunitario”, a prevalente carattere di quartiere o
distretto, e il livello “cittadino”, dove le definizioni e l’implementazione di
policies, si eleva al grado di municipio o di città nel suo insieme: è chiaro che i
due livelli mirano alla costruzione di cittadinanze differenti.
Nel passaggio dalla democrazia di tipo rappresentativo a forme di strong
democracy cambiano due condizioni fondamentali della politica: informazione e
partecipazione.
Tali condizioni possono essere influenzate in modo determinante dalle nuove
tecnologie della comunicazione e dell’informazione, che come vedremo si
presentano come elementi che accelerano certi processi in atto, senza però
esserne il principale motivo di mutamento.
2. ICT – LE NUOVE TECNOLOGIE DELLA COMUNICAZIONE E
DELL’INFORMAZIONE
Con l’avvento e l’affermarsi delle ICTs (Information and Communication
Technology), e in particolare con la diffusione di Internet, si è prodotto un
mutamento nel sistema mediale che ha naturalmente coinvolto gli altri ambiti,
tutt’altro che secondari, della nostra realtà contemporanea. Le innovazioni
tecnologiche si organizzano sempre più in ‘sistema’, intervenendo su processi in
fieri, così da rafforzare o indebolire i soggetti o le modalità degli stessi. Ma la
“vera novità di oggi sta nella percezione collettiva di questo processo, nella sua
ampiezza, nella molteplicità di strumenti tecnici adoperati e nella loro
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progressiva integrazione, che crea un universo sempre più dominato dalla logica
digitale” (Rodotà 2004, p. 9).
In particolare i media tradizionali sono dei “broadcast media”, cioè presentano
un modello di comunicazione del genere “mittente Æ messaggio Æ ricevente”,
mentre in alternativa possiamo avere il modello narrowcasting, un’offerta
specifica riferita a un determinato segmento di pubblico (televisione tematica,
ecc…).
Invece nel caso delle nuove tecnologie della comunicazione e dell’informazione
e in particolare di Internet siamo dinanzi a una logica “many to many” (“netcast
media”) che permette una comunicazione da molti (emittenti) a molti
(destinatari), estremamente diversificata in grado, potenzialmente, di poter
soddisfare tutti. Inoltre nell’elevata “frammentazione”, consentita dal modello
netcast e che si realizza in “rete”, la comunicazione di massa può sfumare in
comunicazione interpersonale.
Un’ulteriore trasformazione riguarda il rapporto col “destinatario” della
comunicazione, che ora grazie a diversi e variegati strumenti può divenire:
- comunicazione asincrona – “one to one”, come nel caso delle emails;
- comunicazione asincrona – “many to many”, con il newsgroup;
- comunicazione sincrona – “one to one”/ “one to many”, nelle chat;
- comunicazione asincrona – “many to one” / “one to many” / “one
to one”, siti-web.
Altro elemento che caratterizza la cultura di Intenet è il nuovo rapporto con
l’offerta mediale: assistiamo alla scomparsa dello story-teller, tipico dei media
tradizionali.
Si va oltre la scelta libera da vincoli di programmazione. Si possono combinare
assieme suoni, immagini, e documenti provenienti dalle fonti più diverse, e tutto
9
ciò genera un flusso unico, creazione del suo autore. È il soggetto che elabora un
proprio personale percorso: quindi lo story-teller diviene il soggetto stesso.
Ma questo già ci introduce nell’ambito delle capacità e competenze individuali e
a parlare di knowledge gaps, alle nuove abilità a ‘muoversi’ all’interno di uno
spazio illimitato, non privo di false informazioni, e a utilizzare nel pieno delle
sue potenzialità qualità come la multimedialità.
Diversi soggetti politici, dai tradizionali partiti sino ai nuovi movimenti della
società civile sono ricorsi a Internet come nuovo media e come potente ‘cassa di
risonanza’ per avere quella visibilità negata dall’apparato tradizionale o per
creare nuovi tempi e spazi di aggregazione attorno a un tema o programmi.
Vi è un sostanziale accordo nell’individuazione di alcune funzioni che è
possibile attribuire alla rete:
• la funzione di “networking”: la possibilità di organizzare l’attività di tutti
gli organismi e soggetti che fanno riferimento al soggetto politico e il cui
lavoro è fondamentale per la sopravvivenza stessa dell’organizzazione.
Legata a indubbi vantaggi in relazione a elementi quali l’economicità, la
velocità e l’assenza di confini. Le nuove tecnologie permettono la
creazione di gruppi, consentono coordinamento e cooperazione nella
pianificazione di forme di pressione, facilitano l’attivazione di rapporti tra
i membri 5 .
5
Il riferimento all’utilità dei “links” è d’obbligo, essenziale per la costituzione di network o reti, come ad
esempio in Italia la Rete Lilliput (www.retelilliput.org)
10
Internet, in quanto “network di networks”, comprende realtà apparentemente
inconciliabili come networks che rimandano a organizzazioni decentralizzate e
non gerarchiche, ma anche a quelle centralizzate e gerarchiche.
• la
funzione
informativa:
possibilità
di
produrre
e
distribuire
autonomamente materiale informativo escludendo i mediatori tradizionali,
acquisendo una visibilità maggiore e diretta e continua nel tempo con i
destinatari diretti della comunicazione. In taluni casi può attivare anche un
effetto di spillover tale da garantire un copertura mediatica totale.
L’informazione si può definire “interna” quando si rivolge ai militanti, ai propri
‘sostenitori’, “esterna” quando è rivolta ai cittadini nel loro insieme.
L’informazione diviene la “colla che tiene uniti i membri” (Mayer-Schönberger,
Brodnig 2001), essenziale per garantire l’efficacia dell’organizzazione. Il
controllo della produzione e distribuzione dell’informazione può arrivare a
modificare l’agenda setting pubblica. Questo grazie anche alla capacità di far
diventare da ‘strategica’ a ‘libera’ 6 una determinata informazione: negli ultimi
anni sempre più spesso sentiamo parlare di “guerriglia informativa”.
• la funzione di “mobilitazione e reclutamento” : opportunità di creare
occasioni di pressione e di ampliare il numero degli aderenti.
Le forme di mobilitazione variano dalle tradizionali manifestazioni nelle piazze
all’invio di e-mail ai rappresentanti parlamentari, dalla raccolta firme alla
6
Keohane, Nye (1998, p. 77) distinguono 3 tipi di informazione: libera, commerciale e strategica.
L’informazione “libera” è a disposizione di tutti; l’informazione “commerciale” è resa disponibile in cambio di
un compenso economico; l’informazione “strategica” non ha valore nel senso che l’eventuale accesso da parte di
altri ne fa scomparire ogni valore attribuito ai dati. Nel corso del tempo gli stessi dati possono essere
“strategiche”, “commerciale” o “libere”.
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segnalazione di una particolare iniziativa, dall’”attivismo computerizzato” alla
“disobbedienza civile elettronica” secondo Wray 7 .
• la funzione di “partecipazione”: possibilità di attivare flussi diretti di
comunicazione con i cittadini, opportunità di creare grazie alle ICTs
forme alternative di partecipazione dei cittadini alla vita politica con
occasioni di interattività.
A seguito del declino del partito politico quale gatekeeper, ruolo assunto dai
professionisti della politica, vi è stato un aumento della ‘distanza’ tra la
dimensione della politica e quella della società civile. Le nuove tecnologie, con
la loro possibilità di interazione, sono state viste come la soluzione al crescente
distacco. Nonostante ciò i partiti (Bentivegna 2002, pp. 66-131 e Della Porta
2001 pp. 111-125, 175-192) sembrano non averne colto l’occasione, forse per il
persistere di un modello di organizzazione gerarchico “top-down”, che è stato
riportato pedissequamente all’interno della rete, così sfruttando poco le
caratteristiche di un “network di networks”, e in parte, forse, a causa della scarsa
“alfabetizzazione informatica” ancora presente.
Invece il modello “netcast” risponde pienamente alle aspettative dei movimenti
che si alimentano dai diversi ‘nodi’ sparsi sul territorio.
Grazie a strumenti alternativi (forum, chat-room, e-mail e newsletter) i nuovi
media permettono ai militanti di superare il senso di isolamento, dovuto
all’assenza di contatti face-to-face, permettendo la condivisione di ideali e di
strategie d’azione: si può favorire la “conversione di comunità disperse di
simpatizzanti in comunità virtuali con un grado di interazione leggermente più
elevato” (Diani 2001).
7
Secondo S. Wray, (Fonte: www.nyu.edu/projects - New York University, 1998) l’«attivismo computerizzato»
si può definire come “l’uso delle infrastrutture di Internet da parte degli attivisti per comunicare tra loro”. Il
passo successivo consiste nella «guerra di base dell’informazione», una ‘guerra’ con materiale informativo
condotta da militanti a livello globale. E infine la «disobbedienza civile elettronica»: organizzazione di
simultanee azioni di disturbo realizzate tramite la rete.
12
In particolar modo la rete offre la capacità di costruire un terreno di incontro con
i cittadini, per creare uno spazio costantemente aperto e pronto a ridisegnarsi a
seguito degli input che vengono dalla realtà 8 .
Tab. 1 numero utenti internet (in milioni)
Africa
6,31
Asia e Pacifico
187,24
Europa
190,91
Medio Oriente
Stati Uniti e Canada
5,12
182,67
America Latina
33,35
Totale
605,6
Fonte: How Many On Line, www.nua.ie, settembre 2002
In realtà le nuove tecnologie riprendono i media tradizionali integrandoli e
integrandosi e quindi rinnovandoli. Esemplare è la storia di Internet ‘derivato’
dal progetto Arpanet, realizzato nel 1969 negli Stati Uniti per dar vita a un
sistema di comunicazione funzionante e sicuro anche in caso di un conflitto
termonucleare. Questa creazione dell’era della Guerra Fredda si trasformò,
divenendo occasione di scambio di messaggi grazie a collegamenti tra università
americane. Nel 1989 presso il Cern di Ginevra Tim-Berners Lee mise a punto un
sistema di distribuzione di informazioni in rete: il World Wide Web; così nel
1991 viene creato il primo sito-web presso lo Stanford Linear Accelerator
(USA).
In seguito Intenet diventò un mass-media con la distribuzione gratuita del
programma Netscape (1994), un browser: cioè un software per la ‘navigazione’
in rete. Dopo pochi mesi la Microsoft, in coincidenza con l’uscita della versione
8
Il presente paragrafo trae spunto da I soggetti politici nel cyberspace (Bentivegna 2002, pp. 72-96)
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del sistema operativo di Windows95, fece uscire sul mercato un altro browser:
Internet Explorer.
Nei primi anni Novanta gli utenti di Internet erano circa tre milioni, collocati
quasi esclusivamente negli Stati Uniti, ma nel 1995 si raggiunge già il numero di
16 milioni. Secondo How Many On Line (www.nua.ie) nel settembre del 2002 il
totale dei ‘connessi’ era di più di 605 milioni di persone, intorno al 10% della
popolazione mondiale: quindi un dato che conferma tassi di incremento
costante. Però non bisogna dimenticare, né sottovalutare, lo squilibrio esistente
tra i ‘Paesi ricchi’ e i ‘Paesi del Sud del mondo’ 9 .
Internet è nato come luogo di libertà, libero da ogni vincolo di qualsiasi natura,
ma è pur vero che è stato ed è costantemente ‘terreno di conquista’ per aziende e
imprese e quindi legato a logiche di mercato. Difatti il suo carattere di massmedia si è andato sviluppando in coincidenza con l’interesse sempre maggiore
per le opportunità commerciali che rappresentava: non a caso gli ‘infomation
haves’ delle società contemporanee sono anche gli individui con maggiori
risorse, in particolare economico-finanziarie. I nuovi ‘divari digitali’ e
tecnologie quali i cookies si configurano funzionali alla segmentazione del
mercato per target. Lo stesso sviluppo del «design» della rete finora è stato
incentivato verso tipologie ‘friendly’ soprattutto per venire incontro all’utenteconsumatore. Quindi ci troviamo di fronte a un’«architettura» del Web che
risponde più che a esigenze proprie dell’individuo-cittadino a quelle della neteconomy: tanto da incidere profondamente il carattere anarchico della rete.
Emblematico è il caso dell’equazione liberale proprietà/libertà messa a dura
prova nello spazio virtuale, poiché “non si ricorre alla tecnica proprietaria per
9
Vedi Tabella 1 “numero di utenti internet”. Lo squilibrio viene confermato anche dal calcolo del numero di
nodi (host) in rete: con gli Stati Uniti, Giappone e Canada e i cosiddetti ‘Paesi ricchi’ in posizioni di preminenza
(Network Wizards), e ancora il rapporto host/abitanti con Stati Uniti, Finlandia, Olanda, ecc in prima fila
(www.gandalf.it, settembre 2001).
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ripartire risorse scarse, ma [si] ricreano artificialmente condizioni di scarsità
riducendo la disponibilità di risorse comuni, si utilizza la tecnica del brevetto
anche in situazioni in cui ciò produce una riduzione dell’efficienza, impedendo
il miglioramento del prodotto attraverso la partecipazione libera di una
molteplicità di progetti 10 . Così non solo la proprietà non può essere considerata
una condizione delle libertà, ma, al contrario, ne costituisce un limite,
escludendo le generalità delle persone dall’accesso determinati beni o dal loro
perfezionamento” (Rodotà 2004, p.XXXII).
Liberi di muoversi, di osservare, di ‘appropriarsi’, sembrano rimanere soltanto i
‘sorveglianti’ dotati di maggior potere; in particolare dopo gli avvenimenti
dell’11 settembre 2001 è divenuta una questione fondamentale sapere chi è che
controlla il ‘data-base’, poiché le nuove tecnologie dell’informazione e della
comunicazione si sono rivelate degli ottimi strumenti al servizio di tendenze per
un controllo generale e diffuso secondo il postulato sorveglianza uguale
sicurezza. Ma la nuova sicurezza lede diritti fondamentali della persona e
garanzie costituzionali che è plausibile, per motivi endemici alla loro stesura,
che non siano del tutto attuabili o non comprendono in toto la dimensione
contemporanea propria del modello netcast e delle ICTs. La partecipazione a un
processo deliberativo democratico ed efficiente può essere realizzata soltanto
attraverso la sicurezza che le proprie opinioni, idee o scelte non possano essere
motivo di discriminazione.
Perciò la politica deve assumere un ruolo attivo e proposito nei confronti delle
nuove tecnologie, se non vuol essere ridotta a puro marketing politico o a
dispositivo di sorveglianza, deve affrontare i nuovi problemi ed elaborare dei
percorsi autonomi nei confronti dei nuovi temi.
10
La filosofia e i miglioramenti del Software Open Source sono stati resi possibili dal contributo di tutti quelli
che hanno potuto avere libero accesso al “codice sorgente”, smentendo la tesi secondo la quale solo l’incentivo
economico, garantito dal brevetto attraverso l’esclusività dello sfruttamento, consente il miglioramento dei
prodotti.
Tra i grandi paesi l’India ha deciso di adottare per la sua Pubblica Amministrazione esclusivamente prodotti
Open Source.
Tra i software e i sistemi operativi: www.mozilla.org; www.linux.it; www.openoffice.org; www.7zip.com; ecc.
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