Angela Mazzetti - Associazione Maria Bianchi
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Angela Mazzetti - Associazione Maria Bianchi
L’importanza della scrittura autobiografica nelle situazioni di crisi esistenziale. Premetto che l’esperienza nei metodi auto-biografici è sempre per me ricerca dell’ingegno e della creatività umani e naturali, nell’affrontare la propria esistenza e in particolare i momenti critici. C’è sempre tanto da imparare. Leggendo i racconti in Prima Persona, di Parole Discrete, percepisco il sapere molto profondo esperito durante l’elaborazione del lutto dei propri cari, che si trasforma in maggiore conoscenza di sé e di chi non c’è più. Ma c’è un cammino, ci sono strumenti da cercare. La PAROLA è il primo elemento indispensabile per raccontarsi. La parola è il simbolo per eccellenza che attraverso il vocabolo, il suono e la scrittura mette in comunicazione la realtà spirituale e quella materiale. In greco symbollein, SIMBOLO, significa combaciare, incontrarsi. Ed è un incontro rilevante visto che, nei testi, risulta evidente come le parole usate per narrare di sé sembrano soccorrere e sostenere chi vi si affida. Scrivere per riemergere dal buio luttuoso e per continuare ad amare il nostro caro defunto, pare un istinto biologico e psicologico naturale. I pensieri si fissano sulla pagina con stupore e pure con gratitudine per un lessico, forse innovativo, meno quotidiano, che si fa parola più profonda e più potente per dare forma al nostro sentire, alle emozioni, all’amore provato, autenticamente. Scrivere non è facile, però, come avviene che cuore e intelligenza - anima e mente - d’un tratto sembrano organizzarsi, prendere la via del braccio, poi della mano che cerca la penna e lo spazio bianco della pagina, per creare segni o pennellate, immagini di sofferenza o di rinascita? Esse sembrano riempire lo spazio vuoto dell’assenza, pesante da guardare, ma che d’un tratto si fa ‘amichevole’ mezzo - sotto forma di pagina - per far emergere le parole, quelle che si sono sapute trovare, perché tutto non si può dire, ma tanto sì. Ne emerge che le parole vanno attentamente ascoltate, rispettate. Come? La malattia progressiva e la perdita marchiano a fuoco, rendono monche e nude. Eppure è questo DOLORE che si fa sollecitazione alla scrittura; un gesto quasi sacro e rituale portato avanti per giorni, mesi, pure anni. I sogni spezzati, i gesti mancati e i conflitti o le parole non dette sembrano trovare RIPARAZIONE, quando prendono la via lenta della mano. Le voci che parevano spente nel vuoto dell’assenza, sono ri-accese dalla penna per ricostruire la relazione più intimamente. Rosa, la prima voce del libro, osserva che il lutto è da TRAVERSARE. E si chiede: “Sì, ma come? Chi mi farà da guida? Dove sono le orme? Quali i sentieri falsi, le strade sbagliate?” Poi nota che “Dopo una morte non c’è una sola cosa insignificante, neutra, indolore. Nessuna, nemmeno l’ultimo mozzicone lasciato nel portacenere...” Silvia scrive della morte del suo amato in un diario di otto mesi e dice: “Mi chiedo che senso ha tutto questo dolore. L’ho chiesto a Dio. A cosa è servito incontrarti? Perché debbo stare così male? Sono così cattiva da meritare tutto questo?” Ma Rosa non la pensa così e scrive: “Implori di soffrire perché ti pare quella l’ultima forma di fedeltà concessa. Non importa il costo, non importa…”. Ecco che la TRAVERSATA del lutto è iniziata e l’oceano burrascoso disorienta e fa vacillare. Si scrive di ciò che non potrà più essere, qualcosa per cui non c’è consolazione, perché il tempo è irreversibile. Il dolore è reso acuto dalla SOLITUDINE, parola ricorrente e ineliminabile. Ma spesso sono due le solitudini; una deriva dall’ASSENZA dell’amato e l’altra è desiderata nella ricerca di un SILENZIO quasi estremo: il bisogno di staccarsi dalla vita esterna, per ascoltare se stessi senza interferenze e gli oggetti carichi di ricordi (le sue cose, i suoi appunti, le fotografie dove siamo insieme; odoriamo il suo maglione, indossiamo i suoi vestiti, torniamo nei luoghi che ci hanno visti vicini.) Aggiunge Silvia dopo aver lasciato le amiche che volevano esserle accanto affettuose: “Mi sono fatta venire una crisi di ansia per buttarle fuori. Voglio stare male da sola.” La persona in lutto ci insegna, è sola e vuole esserlo, ma è alla ricerca dei rimedi utili alla propria unica umanità. Maria Grazia si sofferma sulle parole pronunciate per ricordare il marito durante le esequie: “E’ stata una cerimonia che ha aiutato tutti noi a lasciarlo andare, forti del suo ricordo che le parole di quel giorno ci aiutano a trattenere. Volevo dire delle parole per salutarlo e le scrissi faticosamente su un foglio…. Quante volte sono tornata a leggere quelle parole, talvolta come leggendole a lui, talvolta come unguento per la ferita, talvolta come compagnia nella solitudine del grande letto mezzo vuoto.” Le parole ascoltate dentro di noi e trascritte diventano ‘unguento’, ‘compagnia’, quindi CURA, oltre che una traccia di chi non c’è più. Il TRAVAGLIO della traversata, il caos doloroso interno pare dipanarsi e placarsi. E ci sono pure le scoperte. Anche le voci che scrivono all’unisono sono due: la nostra voce, che diventa penna, è accompagnata da quella del proprio caro. L’assente è diventato interlocutore e co-autore. Chi scrive si confronta con se stesso e con l’amato, ri-crea, ri-vive, ri-pensa e riporta la comune relazione. Parte da una dimensione privata intima e procede verso una dimensione più aperta. Esce da sé e porta il suo/il loro mondo agli altri. Un incontro vero con la madre avviene per Antonella adesso: “Non so cosa mi abbia trattenuto dall’incontrarti prima; se un percepito senso di imbarazzo o la paura di non essere compresa. Ma so che la tua morte mi ha dato il coraggio di farlo ora.” Poi sottolinea che non c’è solo il lato oscuro del dolore “ne ho sperimentato l’effetto terapeutico… ho imparato a non contrastarlo e a lasciarlo scorrere lentamente e lui, lentamente se n’è andato.” E infine in forma poetica e diaristica, Elena si rivolge alla mamma: “La mia voce sei tu Mi raggiunge da distanze eteree Parla lingue conosciute Intessute nelle spirali che Mi donasti Fiera Ancella di Vita.” L’andamento di tutte le scritture è stato piramidale, dal basso verso l’alto, nel senso che dalla prostrazione iniziale del decesso, piano piano le autrici si sono rialzate. Tutte, dopo tante TRAVERSIE (traversata, travaglio… stessa radice!) raggiungono un nuovo APPRODO, sotto forma di azioni o nuove consapevolezze, saperi per il presente e per il futuro. Ecco la RINASCITA quindi in alcuni pensieri delle scrittrici. Scrive Rosa: “Ci sono giorni in cui vorrei che queste pagine non avessero più fine. Altri che metterei il punto ad ogni riga. Ma so che scrivere mi ha salvato la vita. Dare un nome alle cose – semplicemente.” E Silvia: “Più cerco la sofferenza, più ogni mia fibra si ribella. C’è qualcosa dentro di me che mi sta impedendo di affondare. Mi auto conservo. Canto. Lavoro.” Maria Grazia riflette: “La solitudine, dopo la vita in coppia, è la fatica di riallenarsi ad una quotidianità scandita da un ordine e da una forma diversi, di cui bisogna scoprire le positività e persino i vantaggi per poter godere di quello che c’è, piuttosto che inseguire ciò che manca.” Antonella rivolta alla sua mamma scrive: “Il diventare orfana ha rappresentato un modo nuovo di pensare a me stessa, mi ha permesso di ricominciare a sorridere, a dare un senso e un nome alle cose, anche al dolore.” E poco dopo “… so che la morte è venuta a prenderti discreta, come eri tu, e in punta di piedi ma con potenza ha fatto rinascere entrambe.” Infine Elena: “Di Te Mi mancano le urla La presenza ingombrante E gli sprazzi di dolcezza … Di Te Madre, Mi manca il profumo E la voce E la tua assenza diventa Paradossale dono.” Quindi, il DOLORE devastante, che è il sentimento dominante del lutto, è un compagno gravosissimo nella sua elaborazione, ma è solo ascoltandolo e contrastandolo con l’amore, come ha sottolineato bene Maurizio, che si può lasciare andare. Il corpo soffre, ma il corpo sa trovare il proprio auto lenimento, nell’ascolto profondo delle parole per raccontarsi e nella scrittura. I fili della memoria si ricongiungono e possono svelare perfino un senso di compimento, pienezza e ben-essere. Le ferite forse persisteranno, ma saranno portate con maggiore leggerezza. La CURA nelle Auto-Biografie, come nelle Corrispondenze, non è intesa come ‘terapia’ in senso medico, ma come osservazione, attenzione, prendersi cura di sé e dell’altro, un circolo virtuoso, un fai-da-te che si sprigiona dalla nostra umanità, se riusciamo ad ascoltarla. In questo dovremmo aver fiducia e restare con pazienza e con coraggio “Ad occhi aperti”, secondo l’invito del libro di Nicola Ferrari sul quale ci siamo preparati per il sostegno al lutto. Così continuare a ‘prendersi cura di sé e del proprio caro’ durante il lutto attraverso la scrittura diventa un vero DONO per tutti. Grazie alle autrici per le loro testimonianze, grazie a tutti per l’ascolto. Angela Mazzetti Associazione Maria Bianchi Firmato digitalmente da Associazione Maria Bianchi ND: CN = Associazione Maria Bianchi, C = IT Luogo: Suzzara (MN) Data: 2009.11.11 16:30:06 +01'00'