Il cinema e l`immagine dello straniero

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Il cinema e l`immagine dello straniero
Il cinema e l’immagine dello straniero
Martedì 01 Giugno 2010 08:49
Lidia Tarantini Psicoterapeuta - Presidente Associazione ETNA → Presidente Capalbioart →
La parola “straniero” è una di quelle parole che più di altre si presta a coagulare infinite
fantasie, proiezioni, echi, rimandi di segno spesso opposto, e ultimamente, grazie anche ad una
sapiente regia politica, questo termine sta cambiando di segno nell’immaginario collettivo: in
passato avevamo sempre pensato di essere uno dei paesi europei meno razzisti, più
accoglienti, un paese nel quale lo straniero, non ancora migrante, è vero, era però sempre visto
con curiosità, rispetto, e a volte anche con un leggero sentimento di servile inferiorità da parte
nostra.
Ultimamente le cose stanno cambiando e stiamo diventando un paese sempre più xenofobo.
Cosa ha prodotto questa vistosa inversione di tendenza?
Dal mio modesto punto di vista di psicanalista “militante” proverei a dare una parziale
spiegazione psy, che nulla toglie, ovviamente, ad altre pertinenti spiegazione socio-politiche.
Ho pensato a un saggio di Freud del 1919 costruito proprio intorno a un termine di difficile
traduzione : “un-hemlich”, letteralmente “non-familiare”.
Freud stesso ne fornisce una serie di traduzioni possibili in varie lingue : in inglese :
unconfortable ,in francese : inquiétante etrangetè, in arabo e in ebraico: demoniaco, orrendo, in
italiano : perturbante, in greco : xenos, straniero !!!! E’ davvero interessante lo slittamento
semantico di in termine che dal non-familiare diventa un demoniaco straniero perturbante !
Freud dà di questo destino del termine una interpretazione che può aiutarci a capire il
fenomeno a cui stiamo assistendo. Dice Freud : un-hemlich è tutto ciò che doveva restare
nascosto , cioè inconscio, e invece tende ad affiorare. Ecco allora spiegato quello che porta con
sè l’immagine dello straniero per cui è così ambivalente e pericolosa : è il portatore “sano” e
inconsapevole del nostro rimosso, di quello che in qualche modo ci è stato familiare, ci è
appartenuto, ma che ora, riaffiorando, ci fa paura e ci attrae al contempo. Renè Girard ha
utilizzato l’immagine del capro espiatorio per descrivere questo atteggiamento che ci porta
inconsapevolmente a respingere nel mare dell’inconscio barconi carichi delle nostre parti
violente, disperate, torturate, malate, rifiutate, pericolose , parti nostre che non vogliamo vedere
e non possiamo accettare, ma che ci appartengono sia come singoli che come collettivo.
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Il cinema e l’immagine dello straniero
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Gli stranieri-migranti che oggi vengono dal mare o varcano i confini della nostra patria, quelli
che si trovano nei campi nomadi, ai margini delle città, quelli che facciamo finta di accogliere nei
CARA, nei CIE, o quei corpi in vendita ai margini delle strade, questi stranieri, dunque , si
prestano in modo perfetto a fare da schermo su cui proiettare i nostri aspetti inguardabili,
rifiutati, inassimilabili, con l’illusione che liberandoci di loro o ignorando la loro sofferenza ,
ripuliremo anche le nostre anime e saremo finalmente “in sicurezza”.
Come può il cinema aiutarci a non soccombere in modo paranoico ai fantasmi che
sapientemente la politica utilizza per medusizzare la nostra capacità di pensare criticamente ?
Penso che il potere straordinariamente penetrante e immediato dell’immagine, attraverso cui il
cinema ci parla, può avere una funzione enorme in questo tentativo di “fare coscienza” e di farci
continuare a pensare. Sia attraverso film che ci aprono a dimensioni sconosciute e a culture pregiudizialmente catalogate, facendoci “vedere” situazioni e contesti spesso inaspettati ( penso
a film come Teza, Il grande viaggio, Il canto delle spose,Pa-ra-da, Gatti persiani, Donne senza
uomini ecc) , sia permettendoci di empatizzare con situazioni lontane , che però sono spesso
proprio i luoghi di origine e di partenza degli stranieri che ritroviamo nelle nostre città ( Lebanon,
Valzer con Bachir, Persepolis, Mar nero, Il canto di Paloma,Machan,Amores perros ec..) . La
funzione del cinema , in definitiva, può essere quella di permetterci di identificarci in modo
immediato e spesso a-razionale proprio con quegli esseri umani e quelle situazioni che,
percepite in altri modi, attraverso la stampa o i mass media di regime, ci appaiono sotto una
luce completamente diversa, paurosa e pericolosa. Il cinema, insomma,ci aiuta ad attivare una
spontanea “etica dell’ospitalità”, capace di ridurre distanza e violenza di fronte a
quell’un-hemlich ,ci predispone ad accoglierlo come parte di noi condividendo con lui la nostra
debolezza, instabilità, povertà umana. Direi, junghianamente, che il cinema è capace di
trasformare un “aut-aut” che esclude in un “et-et” in grado di allargare il nostro orizzonte di
coscienza e di conoscenza.
Per approfondimenti su "cinema e migrazione" vai alla sezione Immaginario
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