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5. CONSIDERAZIONI DI SINTESI In relazione ai dati raccolti nel corso dello studio, appaiono evidenti talune considerazioni che contraddistinguono il sistema produttivo dell’albicocco e lo differenziano da altri comparti frutticoli. In primo luogo, le minori dimensioni del mercato ed il più limitato periodo di commercializzazione, determinano una situazione competitiva più attenuata, nonostante preoccupi l’aumento dell’offerta disponibile, anche per effetto del progressivo spostamento delle produzioni dall’industria al consumo fresco in atto in diverse zone. Sul versante dei consumatori la specie è certamente apprezzata in diverso modo rispetto ad altri prodotti frutticoli, con una percezione di un prodotto differenziato, distinto e non di tipo commodities, che si traduce in una più alta disponibilità a pagare, e con una certa attenzione rivolta anche alla percezione delle differenze varietali, superiore rispetto alla tendenza delle specie frutticole estive. Va chiaramente posta grande attenzione negli anni a venire, poiché tale situazione potrebbe certamente modificarsi in conseguenza della naturale propensione imprenditoriale a cercare spazi nei mercati più interessanti: è per questo motivo importante che il prevedibile sviluppo di questa specie avvenga in maniera organica ed il più possibile programmata, per non incorrere nelle pericolose crisi di mercato che altre specie frutticole si trovano ad affrontare da tempo. Il potenziale competitivo dei vicini paesi mediterranei è ben noto ed è confermato anche per l’albicocco, con la Spagna e la Grecia capaci di un’offerta altamente concorrenziale e la Francia che, invece, sopperisce alla minor competitività in termini di costi con la consueta attenzione alla qualità e alle iniziative di marketing. Ulteriori aspetti peculiari di questa specie sono l’elevato grado di differenziazione varietale, che determina specializzazioni di mercato e situazioni non facilmente comparabili, nonché una certa stabilità dei prezzi del prodotto fresco, tendenzialmente meno oscillanti di altre specie. Rilevante è, invece, l’influenza dell’industria di trasformazione, tradizionalmente sbocco alternativo delle produzioni in eccesso, i cui prezzi sono decisamente più variabili, ma difficilmente sostenibili nei paesi dove i fattori della produzione sono più costosi. Passando ad un rapido riepilogo delle osservazioni svolte, si rileva innanzitutto una gestione degli impianti orientata alla semplificazione ed al risparmio dei costi di impianto: il vasetto, pur in diverse varianti e a differenti densità di impianto, è così la forma di allevamento prevalente nella maggior parte delle aree. Fanno eccezione le aree del Nord Italia, soprattutto il Piemonte, dove si è puntato decisamente su strutture in parete, più dense e capaci di rese piuttosto alte, nonché di una buona efficienza di gestione delle operazioni colturali. In termini di costi sostenuti nella fase di campagna, lo studio ha evidenziato livelli ben differenziati, anche se non sempre opportunamente comparabili per la peculiari diversità nelle caratteristiche delle varie cultivar: l’area a maggior competitività in termini di costo è certamente la Grecia, che riesce a produrre la sua cultivar più diffusa, Bebeco a costi di circa 0,30 Euro/Kg, ma evidenzia vantaggi anche nelle varietà di più recente introduzione, come Aurora o PinkCot, sebbene limitate da rese migliorabili. Eccellente è anche il livello competitivo della regione spagnola di Murcia, ormai fortemente orientata verso un’offerta da consumo fresco, e dotata di favorevoli condizioni climatiche che permettono l’ottenimento di elevate rese e, conseguentemente, di costi contenuti, inferiori a 0,50 Euro/Kg. In Italia, l’area più competitiva fra quelle indagate si rivela la Campania, con costi di poco superiori a 0,50 Euro/Kg, mentre l’altra regione meridionale osservata, la Basilicata, soffre delle rese piuttosto limitate dei suoi impianti e presenta costi tendenzialmente elevati, compresi fra 0,75 e poco meno di 0,90 Euro/Kg. Nel Nord Italia la scelta degli imprenditori è orientata verso impianti a maggior densità, soprattutto in Piemonte, dove tende a prevalere la forma di allevamento in parete, più costosa per unità di superficie, ma competitiva in termini di resa: ciò si traduce in costi compresi nella maggior parte dei casi fra 0,60 e 0,75 Euro/Kg, ad eccezione delle varietà più precoci, il cui costo è logicamente più elevato. Per contro, le recenti cultivar tardive agostane presentano rilevanti performances produttive e limitano i costi a poco più di 0,55 Euro/Kg, un valore decisamente interessante in relazione alle quotazioni offerte dal periodo conclusivo della campagna produttiva. In Francia, invece, sono rilevabili i livelli di costo più elevati, da 0,75 fino a 1 Euro/Kg circa, per effetto di costi ettariali piuttosto sostenuti e di limitate rese produttive dovute, soprattutto, a problemi climatici. Le rilevazioni svolte e le conseguenti elaborazioni dei dati raccolti hanno messo in evidenza situazioni economiche piuttosto eterogenee che tuttavia, almeno nella maggior parte dei casi, appaiono soddisfacenti, come peraltro rilevabile dalle tabelle 5.1 ~ 5.7, che riassumono i principali aggregati tecnico – economici e finanziari dei casi esaminati. In considerazione delle elevate fluttuazioni di prezzo evidenziate in precedenza, nonché dei range osservati nelle rese produttive, il calcolo dei parametri economico – finanziari è stato svolto considerando i valori estremi delle due variabili1 e dare così un quadro maggiormente rappresentativo circa la sostenibilità economica in ciascuna area. Nell’Italia settentrionale l’albicocco offre interessanti margini di profitto per tutte le cultivar indagate, anche nelle condizioni minime di resa e di prezzo, con le sole eccezioni di Aurora, Portici e della Tonda di Costigliole, che registrano risultati negativi, ma solo nelle ipotesi peggiori, peraltro compensate da validi risultati già in condizioni medie. Per talune varietà, come ad esempio, MagicCot, Zebra o le tardive Faralia/Farbaly i profitti conseguibili possono superare i 10.000 Euro/ha. Nelle aree meridionali del paese la redditività si conferma su livelli accettabili, sebbene nella quasi totalità dei casi indagati non sia assicurata nelle ipotesi minime di resa e di prezzo. In particolare, è nel Metapontino che si registra la situazione apparentemente più instabile, poiché prezzi troppo bassi non consentono neppure la copertura dei costi d’impresa, in considerazione delle non elevate rese registrate. Piccoli incrementi nei volumi raccolti, al contrario, unitamente al contenuto costo dei fattori produttivi elevano prontamente le performances economiche degli impianti, fino a margini di 3.000 Euro/ha di profitto. Per quanto riguarda le aree produttive estere, in Spagna, i livelli medi di prezzo limitano i risultati economici delle imprese produttrici, consentendo buoni margini di profitto, fino a 4.000 Euro/ha circa, solo mantenendo elevate le rese. La Francia alterna, invece, risultati brillanti ad altri decisamente scarsi e quasi insostenibili: in particolare, il Dipartimento del Drôme è l’area con i migliori risultati, con le cultivar Bergarouge, OrangeRed e Bergeron, che presentano margini di profitto positivi anche nelle ipotesi peggiori e che possono raggiungere anche 10.000 Euro/ha nelle migliori condizioni. Nello stesso Dipartimento, sono invece molto negativi i risultati di TomCot, mentre sono altalenanti quelli di Kyoto. Inferiori i risultati medi evidenziati nel Dipartimento del Gard, con punte molto negative per le varietà meno produttive. Per quanto concerne il biologico, infine, i risultati migliori sono ancora per Bergeron, mentre le cultivar dei Pyrénées Orientales entrano in chiara situazione di crisi in caso di prezzi troppo bassi. Relativamente alla Grecia, i risultati non possono che definirsi validi, con la sola eccezione dell’Aurora che, con rese troppo basse, non raggiunge livelli positivi di profitto. Grazie alle buone quotazioni del prodotto destinato all’industria, la tradizionale Bebeco offre ancora un ritorno economico che può agevolmente raggiungere i 10.000 Euro/ha, ma anche PinkCot, nonostante basse rese produttive, raggiunge rilevanti margini di profitto. Un ulteriore parametro per misurare le performances economiche dei casi indagati è fornito dal ROI (return on investment), uno dei più utilizzati indici di bilancio, che restituisce il tasso di redditività dei capitali investiti nel processo produttivo2. Tale indicatore, in particolare, permette di inserire nella valutazione anche il valore del terreno agricolo che, nelle diverse aree indagate, risulta notevolmente variabile: nello specifico, infatti, si passa da un minimo di 12.000 Euro/ha in 1 In particolare, le rese produttive medie sono state ipotizzate con riferimento agli areali a maggiore o minore vocazione di ciascun territorio esaminato, mentre i prezzi alla produzione sono stati ipotizzati sulla base dei valori medi osservati nelle ultime tre campagne. 2 Il ROI, indice di redditività del capitale investito, indica la redditività e l'efficienza economica della gestione caratteristica a prescindere dalle fonti utilizzate: esprime, cioè, quanto rende il capitale investito in quell'azienda. Si ottiene rapportando il risultato operativo al capitale complessivamente investito. Macedonia, per arrivare fino a 100.000 Euro/ha delle aree più pregiate del Cuneese. Valori medio – bassi si registrano in Francia ed in Spagna, circa 20.000 Euro/ha, mentre nel Peloponneso, in Emilia-Romagna e nelle regioni del Sud Italia le quotazioni si attestano attorno a 40.000 Euro/ha, con punte di 60.000 Euro/ha per i terreni più fertili in Campania. L’altro parametro determinante per questo indicatore è l’onere da sostenere per l’impianto, fortemente variabile in funzione della forma di allevamento, della densità e della presenza di reti anti-grandine: nel dettaglio, i costi di impianto partono da meno di 10.000 Euro/ha per il vasetto in Grecia e salgono fino ad oltre 40.000 Euro/ha per gli impianti in parete e protetti da rete anti-grandine del Piemonte. Per quanto concerne i risultati, per effetto di quanto considerato, non stupiscono gli elevati valori del ROI nei casi indagati in Grecia, pari a circa il 25% considerando una media delle cultivar indagate e delle ipotesi minime e massime. Di poco inferiore è il ROI medio calcolato per le cultivar piemontesi e, in questo caso, è soprattutto il mercato a determinare questo risultato, poiché l’investimento finanziario ed il valore del terreno non favoriscono certamente l’innalzamento di questo indicatore. In Emilia-Romagna e nel Drôme si raggiungono valori medi del 15% circa, pur con estremi più ampi in Francia, mentre nel Sud Italia si scende sotto al 10% in Campania e al 3% in Basilicata. Poco meno del 15%, seppur con consistenti oscillazioni, è il risultato medio delle altre aree francesi, mentre in Spagna il ROI si ferma a poco meno del 10%. Di notevole interesse per gli operatori del settore è anche la valutazione finanziaria dell’investimento, sulla quale è possibile esprimere un giudizio attraverso vari indicatori, tra i quali è stato scelto il Valore Attuale Netto (VAN) e il Saggio di Rendimento Interno (SRI)3. Il calcolo di questi indicatori è avvenuto sulla base del costo pieno di imprese condotte in economia e, pertanto, il valore elaborato è al netto degli oneri per la manodopera e rappresenta la remuneratività dei capitali investiti. Va, inoltre, evidenziato come il calcolo di questi indicatori di valutazione finanziaria degli investimenti sia avvenuto sulla base del prezzo medio osservato delle cultivar indagate e, per questa ragione, gli stessi siano da considerarsi validi solo nell’ipotesi che tali livelli perdurino come media per tutta la durata dell’impianto. Sulla base del primo indicatore, in Piemonte si raggiungono valori fino ad oltre 160.000 Euro/ha, anche se per contro, si può scendere a meno di 10.000 Euro/ha nelle ipotesi più negative: tali valori sono decisamente positivi, poiché permettono comunque il recupero completo dei capitali investiti, anche con una durata piuttosto breve dell’investimento. In Emilia-Romagna si possono sfiorare i 200.000 Euro/ha per le cultivar tardive Faralia/Farbaly che, tuttavia, rappresentando di fatto un’innovazione piuttosto recente, sono tra le più a rischio di una contrazione dei prezzi. Anche con l’ipotesi di prezzo più bassa, il VAN si mantiene comunque su un considerevole livello, di poco inferiore a 100.000 Euro/ha. In Campania si può ottenere un ritorno che parte da circa 10.000 Euro/ha, fino ad oltre 70.000 Euro/ha, mentre in Basilicata, nonostante una durata dell’investimento di 18 anni, le peggiori ipotesi di resa e prezzo non permettono il recupero dei capitali investiti, mentre all’opposto, si possono raggiungere valori anche superiori di 45.000 Euro/ha. Relativamente all’estero, in Spagna gli estremi vanno da un VAN praticamente nullo, fino a circa 50.000 Euro/ha, mentre in Francia con Bergarouge si superano i 100.000 Euro/ha e con le altre cultivar i risultati sono decisamente altalenanti. In Grecia, infine, ad eccezione di Aurora, il VAN parte da 40.000 Euro/ha, per arrivare fino a più di 160.000 Euro/ha, grazie anche alla lunga durata degli impianti. Per quanto concerne il SRI, i livelli raggiungibili rispecchiano di fatto l’andamento del VAN, così si raggiungono valori di tutto rispetto, ma ciò che più conta è che, anche nelle ipotesi peggiori, la maggior parte dei casi indagati si mantiene positiva e, talvolta, decisamente interessante. In conclusione, le analisi economiche sviluppate a livello agricolo dimostrano come il settore dell’albicocco in Europa stia attraversando una fase positiva, certamente confermata, oltre che dagli interessanti risultati emersi dalle elaborazioni, anche dall’entusiasmo che accompagna questa specie 3 Il VAN è una metodologia tramite cui si definisce il valore attuale di una serie attesa di flussi di cassa non solo sommandoli contabilmente ma attualizzandoli sulla base di un predefinito tasso di rendimento, ipotizzato in questa analisi al 3%. Il SRI è invece definito come quel saggio di interesse che azzera il VAN e rappresenta un indicatore del rendimento finanziario di un investimento facilmente confrontabile con ipotesi alternative di investimento. fra gli operatori del comparto frutticolo nazionale ed estero. La conseguenza di tale entusiasmo è, anche alla luce della crisi che coinvolge le altre principali specie frutticole europee, l’espansione della coltura, peraltro agevolata dal calendario di raccolta non particolarmente esteso e, quindi, suscettibile di ampliamento. Proprio i consumi rappresentano una delle principali leve su cui agire, al fine di consentire al mercato di recepire l’atteso aumento di offerta senza incorrere in pericolose crisi ed inevitabili conseguenti cali dei prezzi: i dati dell’ultimo decennio relativi agli acquisti domestici di albicocche da parte delle famiglie italiane (fonte Gfk Italia) evidenziano una modesta tendenza alla crescita, non superiore all’1,5% su base media annua e, inoltre, con frequenti oscillazioni. Positivo è invece l’aumento che si riscontra nei consumi dei mesi di fine estate, prerogativa all’espansione delle cultivar a maturazione tardiva. Un altro canale di sbocco è naturalmente rappresentato dall’esportazione verso mercati esteri, anche se occorre confrontarsi con un’accesa concorrenza proveniente dai vicini paesi competitori. I dati del biennio 2010/2011 (fonte Eurostat) sono certamente incoraggianti in questo senso, poiché l’export italiano è quasi raddoppiato rispetto ai volumi commercializzati nel periodo che va dall’inizio del millennio al 2009, senza contemporanee flessioni in termini di prezzo. Resta tuttavia forte la pressione competitiva di Francia, Spagna e Grecia: in particolare, la Francia detiene ancora una quota superiore ad 1/3 dei volumi complessivamente esportati dall’Ue, per un valore superiore al 40%. Al contempo, l’export complessivo dei paesi comunitari evidenzia una crescita piuttosto limitata in volume (+3,5% su base media annua nel decennio 2002/2011) ed ancora minore in valore (+0,8% nel medesimo periodo), segno di una tendenza all’impoverimento dei mercati di destinazione. Qualunque canale si scelga di privilegiare per trovare spazi all’offerta di albicocche è necessario che gli operatori si muovano con grande cautela, per evitare errori commessi in passato con altre specie frutticole. In particolare, l’aumento dell’offerta non deve tradursi in una “banalizzazione” o “massificazione” della stessa, ma in un’attenta qualificazione e segmentazione dei canali di vendita, poiché è naturale che, accanto a produzioni di elevati standard qualitativi, possano trovare spazi anche produzioni di qualità corrente e di minor prezzo, ma comunque rispettosa di standard minimi. È importante considerare che l’aspetto qualitativo dell’albicocca presenta vari attributi, ciascuno con proprie peculiarità e tendenze di mercato: ad esempio, in termini organolettici, particolare attenzione va posta al rapporto dolcezza/acidità, più apprezzata la prima in Italia e la seconda nel Nord Europa, mentre in termini estetico/visivi, più di altri frutti, nell’albicocca è apprezzata la colorazione più del calibro e della forma. A tale proposito, i gusti dei consumatori hanno evidenziato un’evidente tendenza a privilegiare cultivar a sfondo aranciato con sfaccettature di colore rosso vivo. Infine, un aspetto qualitativo determinante per l’albicocco è quello tecnologico, connesso alla lavorabilità delle cultivar, al fine di garantire che sulla tavola dei consumatori arrivi un prodotto integro e non danneggiato. Come già ricordato, è fondamentale evitare errori commessi per altre specie frutticole e, tra questi, il primo da annoverare è indubbiamente la mancata programmazione, non solo per le produzioni di una singola area, ma per la maggior parte delle aree produttive, al fine di evitare eccessive concentrazioni di offerta in determinati periodi del calendario. Al momento attuale, la strada da percorrere sembra quella di puntare sugli estremi del periodo di commercializzazione, quindi con varietà precoci, che puntino ad arrivare sul mercato come vere e proprie primizie frutticole, insieme a ciliegie e fragole, o tardive, nei mesi di luglio, agosto e settembre. Tali periodi, fra l’altro, sono oggi riempiti prevalentemente dalle produzioni spagnole o nordafricane nel primo caso e francesi nel secondo. Modesti spazi di mercato possono ancora sussistere anche per produzioni locali di alto livello qualitativo, come nel caso della Tonda di Costigliole o della Reale di Imola, i cui risultati economici, chiaramente legati a piccole realtà di mercato locale sono, come si è visto lusinghieri. A margine delle considerazioni di mercato, non si può tuttavia dimenticare come, dal punto di vista agronomico, la resa produttiva sia certamente un aspetto determinante per la sostenibilità economica, poiché rese troppo basse non permettono adeguati livelli di redditività, soprattutto per le varietà che spuntano i prezzi più bassi, ma anche per le produzioni di più elevata qualità e quotazione nelle campagne negative. L’albicocco è, difatti, una specie dai costi di produzione decisamente alti, soprattutto se comparati con altre specie frutticole: in presenza di bassi quantitativi raccolti, che peraltro hanno anche l’effetto di rallentare la già contenuta resa dei cantieri di raccolta, l’onere da sostenere cresce rapidamente a livelli superiori a 0,80 Euro/Kg, ad eccezione di quelle aree dove si registrano i minori costi per i fattori della produzione. In conclusione, come sintesi di quanto esposto, per il futuro dell’albicocco appare determinante la creazione di un sistema Paese coordinato, con la definizione di un’articolata logistica, dal confezionamento, al trasporto e fino alla distribuzione, che permetta di offrire una gamma produttiva rispondente alle esigenze dei moderni consumatori. Per l’albicocco, come per altre specie frutticole del nostro paese, il tessuto produttivo estremamente frammentato impone uno stabile coordinamento tra i diversi attori della filiera, privati e pubblici (istituzioni preposte alla ricerca e all’assistenza tecnica). Senza coordinamento e cooperazione è arduo realizzare quelle economie di scala e quelle azioni di valorizzazione che rappresentano la forza di una moderna e competitiva frutticoltura.