Resilienza e famiglia: la forza delle relazioni
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Resilienza e famiglia: la forza delle relazioni
Resilienza e famiglia: la forza delle relazioni Gli studi sulla resilienza Parlando di resilienza, gli ultimi studi concordano nel parlare di un processo che mette insieme meccanismi di difesa e processi di superamento di traumi e di trasformazione interiore. Attraverso questo processo infatti, la persona non elimina il trauma, la sofferenza o il deficit che l'ha colpita, ma è in grado di sublimarlo, di trasformarlo in modo del tutto personale e soggettivo, in base alla propria personalità e ad alcune condizioni di vita che analizzeremo più avanti. Tutto ciò è legato anche all'intensità e alla durata dell'evento traumatico, al momento della vita in cui avviene, alle circostanze e ai contesti in cui esso è vissuto, Se diamo uno sguardo alla storia degli esseri umani, vediamo che essa è costellata di esempi continui in cui l'uomo ha dimostrato un'innata capacità di superamento di difficoltà di varia natura e di stress : nel tempo egli si è sempre più rafforzato e modellato per fronteggiare ogni tipo di ostacolo e di problema, fossero guerre, calamità naturali, malattie, o quant'altro. Verrebbe quindi da sostenere che, grazie al continuo sottostare ad eventi stressogeni, l'uomo ha saputo trovare dentro di sé risorse, talvolta inaspettate, che lo hanno rafforzato : queste risorse stanno alla base del processo di resilienza. Resilienza è un termine che esisteva nel campo della fisica, indicando la capacità di un metallo di riprendere la propria forma dopo aver ricevuto un colpo non abbastanza forte da provocarne la rottura. La resilienza per un metallo è il contrario della fragilità. Così è anche in campo psicologico : la persona resiliente parlando di resilienza, gli ultimi studi concordino nel parlare di un processo, che mette insieme meccanismi di difesa e processi di superamento di traumi e di trasformazione interiore. Attraverso questo processo infatti, la persone non elimina il trauma, la sofferenza o il deficit che l'ha colpita, ma è in grado di sublimarlo, di trasformarlo in modo del tutto personale e soggettivo, in base alla propria personalità e ad alcune condizioni di vita che analizzeremo più avanti. Tutto ciò è legato anche all'intensità e alla durata dell'evento traumatico, al momento della vita in cui avviene, alle circostanze e ai contesti in cui esso è vissuto. Etimologicamente la parola resilienza, viene fatta risalire dal latino resalio, iterativo di salio, che indicava il gesto di risalire sull'imbarcazione capovolta dalla forza del mare. Secondo Boris Cyrulnik1 infatti, la resilienza è “ l'arte di navigare sui torrenti” : un trauma può sconvolgere l'individuo e portarlo in una direzione che egli non avrebbe voluto seguire. Ma una volta risucchiato dai gorghi del torrente che lo portano verso la cascata, il soggetto resiliente deve 1 Cyrulnik B., Costruire la resilienza, Erickson, Trento, 2005, p.120. ricorrere alle forze interne impresse nella sua memoria, deve lottare contro le rapide che lo percuotono incessantemente. Ad un certo punto troverà una mano tesa, un aiuto che gli arriverà dall'esterno, una relazione affettiva, un'istituzione sociale, culturale o religiosa che gli permetteranno di salvarsi. La metafora dell'arte di navigare che ci offre Cyrulnik, ci fa comprendere come, una volta risaliti sulla barca, una volta cioè curata la ferita, riparata la barca della vita”, si può riprendere la navigazione : per far questo, occorre il distacco dato dal tempo. Quando la ferita è aperta infatti, si tende ad essere orientati al rifiuto , si vede solo la ferita senza altra possibilità: per tornare a vivere è necessario che il dolore si sia affievolito, e l'emozione del trauma si sia spenta, lasciando solo la rappresentazione di esso. Processi familiari fondamentali per la resilienza In una famiglia, la scoperta che il bambino nato non corrisponde a quello che ci si aspettava rappresenta una grave ferita narcisistica per la coppia: ancora diverso è il discorso se parliamo della disabilità acquisita in seguito ad un evento traumatico ( incidente o malattia): c'è una lacerazione difficilmente accettata sia dalla persona che dal suo sistema di relazione affettivo, la famiglia in primis. L'accettazione del deficit, non solo da parte della persona disabile, ma anche dei familiari e di chi lo circonda, è associata alla consapevolezza che bisogna fare ed esistere con il proprio deficit2. Diventare libero con la disabilità e la sofferenza passa attraverso la riconciliazione con sé stesso e il proprio desiderio di imparare ad accettare quello che ci è dato, cioè il deficit. Per far sì che il ferito cessi di soffrire, per far sì che l'amputato si rimetta a camminare e che il suo ambiente non provi più l'angoscia venuta dall'aldilà, è sulla cultura che bisogna agire3. Come hanno rilevato molti ricercatori, la resilienza si plasma attraverso le difficoltà, non malgrado la loro evenienza: agire sulla cultura significa dunque agire sui costrutti sociali e sui significati che diamo ad esperienze comuni e alle implicazioni che tali esperienze hanno in modi simili. La studiosa Froma Walsh, parlando di resilienza familiare, individua nei sistemi di credenze il cuore e l'anima della resilienza: essi rappresentano il nucleo funzionale essenziale in tutte le famiglie e sono, secondo la stessa, potenti poiché tutti affrontiamo i momenti critici e le avversità attribuendo loro un significato connesso al sistema sociale in cui viviamo, e ai nostri valori culturali e spirituali. Il modo stesso con cui ogni famiglia valuta un problema, determina la differenza tra la capacità di affrontare e padroneggiare le difficoltà e il precipitare nella disorganizzazione funzionale e nello sconforto. I processi chiave relativi alla resilienza familiare, secondo la Walsh, sono organizzati in tre aree, 2 3 Goussot A., op. cit., p.32. Cyrulnik B., Il dolore meraviglioso, Frassinelli, Milano, 2000, p.22. come dimostra lo schema seguente: PROCESSI CHIAVE PER LA RESILIENZA FAMILIARE Sistemi di credenze della famiglia • • • Capacità di dare un significato all’avversità Sguardo positivo Dimensione trascendentale e spirituale (rituali, routines, riti, tradizioni) Modelli organizzativi • • • Flessibili (bilanciamento stabilità-cambiamento) Coerenti (rispetto dei generi e delle generazioni) Disponibilità di risorse sociali (rete informale interna ed esterna) ed economiche Processi di comunicazione • • • Chiarezza di espressione (pensieri e sentimenti) e assunzione di responsabilità personali Espressione emozionale aperta (tono emotivo positivo e ottimistico) Collaborazione-negoziazione tra i membri nella risoluzione dei problemi Riflettere sulla costruzione della resilienza familiare, significa considerare la famiglia risorsa prima ancora che utente verso la quale si tende la provvidenza istituzionale o l'aiuto clinico. Significa ancora pensare che chi ha il problema, possa anche essere il miglior regista della sua risoluzione4; la famiglia che, attraverso gli aiuti formali e informali, va aiutata e sollecitata a sviluppare tutte le possibili strategie per far sì che quegli aiuti non la sovrastino, ma si armonizzino e si integrino alle normali routines di vita; si fa strada il concetto di welfare society, volto ad accompagnare quelli che vengono chiamati i movimenti naturali verso la cura che ogni famiglia mette in atto e che vanno facilitati attraverso la cura delle reti di fronteggiamento in cui la famiglia è inserita. Famiglia considerata come entità5 mediatrice tra individuo e società, pubblico e privato, protagonista essa stessa del welfare municipale. Centri per le famiglie, nuove tipologie di nido, mediazione familiare, gruppi di auto-mutuo aiuto, associazionismo familiare, dimostrano che il lavoro con le famiglie dà luogo a iniziative sperimentali che, pur non costituendo un insieme ordinato di esperienze conchiuse, si pongono come potenziali modelli per nuove linee di intervento volte alla promozione del benessere individuale tramite quello delle famiglie, e alla costruzione quindi di reti naturali per affrontare e fronteggiare le difficoltà. 4 5 F. Folgheraiter, La cura delle reti, Erickson, p.80 P. Di Nicola, Prendersi cura delle famiglie,Carrocci Editore, 2002 Attivare le risorse della rete parentale, amicale e della comunità locale Nelle società contemporanee e in molti Paesi cresce l'interesse verso il valore del "capitale sociale", inteso come patrimonio e risorsa culturale che sostiene le relazioni fiduciarie, di cooperazione e reciprocità fra le persone. Per quanto il concetto di capitale sociale sia ancora in via di definizione, esso allude a qualcosa che è essenziale per evitare la disumanizzazione della vita sociale. Ciò che pochi hanno messo in rilievo è il fatto che, nel dibattito nazionale e internazionale, esiste una profonda ambivalenza nei confronti della famiglia, la quale raramente e con fatica compare come un soggetto generatore di capitale sociale. La famiglia è vista come fonte di relazioni fiduciarie e cooperative sempre con molte riserve e sospetti. Questo è l’argomento dell’Ottavo Rapporto Cisf6 sulla famiglia, curato da Pierpaolo Donati, e dal quale emerge che la famiglia continua ad essere la primaria fonte di cura, nonché risorsa sorgente dell'iniziativa sociale e dell'imprenditorialità diffusa, sia per i singoli sia per le formazioni sociali, nella vita quotidiana. Le reti spontanee: familiari, parentali, del dono, dei servizi privati di supporto7 Reti familiari % di anziani non autosufficienti assistiti interamente dalle famiglie 76,0 % di invalidi disabili assistiti interamente dalle famiglie 74,3 % di anziani non autosufficienti assistiti dalle famiglie con la collaborazione di operatori sociosanitari o non professionali 17,4 % di invalidi disabili assistiti dalle famiglie con la collaborazione di operatori socio-sanitari o non professionali 2,4 Reti parentali o amicali % di bambini fino a 14 anni affidati ai nonni quando non sono a scuola o con i genitori 39,6 % di bambini con età fino a 2 anni affidati ai nonni quando non sono a scuola o con i genitori 49,6 % di famiglie con bambini che ottengono supporto o aiuto nelle incombenze quotidiane solo da parenti e amici 61,4 % famiglie con anziani e disabili che ottengono supporto e aiuto nelle incombenze quotidiane solo da parenti e amici 47,2 Reti del dono % di italiani con almeno 14 anni che ha dato aiuto gratuito 6 7 23,0 P. Donati, Ottavo Rapporto Cisf : famiglia e capitale sociale nella società italiana, S. Paolo, 2003 Donati P., 2003 (cap.6) % delle famiglie italiane che ha dato aiuto gratuito 33,7 % di italiani che ha fatto almeno una donazione 46,2 % di italiani che ha fatto almeno una donazione per un importo di almeno 100 euro 32,9 Ore di aiuto erogate dai caregiver ogni anno per aiuti a persone non 31.000.000 conviventi Reti di servizio privato di supporto Numero di famiglie che ricorre ai servizi privati di supporto come colf, badanti per anziani e invalidi 2.000.000 Risulta chiaro che le politiche sociali rivolte alla famiglia non possono più basarsi solo su aiuti in forma di benefici, sconti, agevolazioni, assegni di vario genere: sussidi e riconoscimenti alle famiglie in difficoltà vanno certamente dati, ma servono interventi che promuovano una mutualità attiva tra le stesse famiglie, che si fondi sulla promozione di empowerment attraverso la collaborazione e la reciprocità nel sostegno alla genitorialità. E' infatti dalla famiglia, capitale sociale primario, che nascono il senso di fiducia, lo spirito di collaborazione e la reciprocità verso gli altri; uscire definitivamente dall'assistenzialismo per entrare in un sistema sussidiario, dove la sussidiarietà non è intesa come “un lasciar fare alle famiglie”, ma come misura di supporto e sostegno fatta per potenziarne le capacità di generare relazioni di fiducia e di aumentare risorse di fronteggiamento delle difficoltà. Per far questo occorre una maggiore consapevolezza e una maggiore pratica dell'agire sociale della famiglia, che deve in primis assumersi le sue responsabilità, condizione essenziale per parlare di sussidiarietà reale, che esige una società civile forte, capace di esprimersi, di auto-organizzarsi, di produrre fatti sociali, servizi, azioni, presenze8. Secondo Francesco Belletti, direttore del Centro Internazionale Studi Famiglia di Milano 9, una relazione positiva, di tipo sussidiario, tra famiglie e politiche sociali, si vedrà realizzata solo quando si incontreranno due fondamentali orientamenti: dalla parte della famiglia con l'esplicarsi di un agire sociale caratterizzato dalla responsabilità e da un orientamento pro-sociale, dalla parte delle politiche, attraverso un approccio promozionale, che favorisca la “ messa in movimento” dalla famiglia stessa. Da qui l'importanza di sviluppare esperienze di prossimità tra famiglie, che possano esprimersi 8 9 F. Belletti in Progetti di prossimità tra le famiglie, Fondazione Zancan,2006 F. Belletti, Famiglia e servizi sociali. Risorse e sfide di oggi, 2001, in “Famiglia oggi”, n.3 attraverso lo scambio di esperienze, di amicizia, di sostegno concreto, anche attraverso il coinvolgimento in modo diverso di tutti i membri della famiglia. Questa sarebbe anche la strada concreta per superare da un lato l'eccessiva dipendenza dagli interventi dell'ente pubblico, nonché dalla concezione di welfare in cui lo Stato deve provvedere a tutto; dall'altra l'individualismo come sistema in cui ciascuno deve arrangiarsi secondo le proprie forze e le logiche di mercato. Parlare di prossimità tra famiglie, significa agganciarsi al concetto di “sussidiarietà promozionale” definito da Donati, in cui “ la comunità più potente e di ordine funzionale più complesso deve non solo salvaguardare le comunità con minori poteri e funzionalmente meno complesse, ma deve promuoverne attivamente e positivamente l'autonomia, aiutandole ad ottenere o recuperare, laddove perduta, la propria capacità di auto-regolazione. Non si tratta di difendere i più deboli contro le prevaricazioni dei più forti, ma di dar loro strumenti per emanciparsi senza diventare dipendenti da chi aiuta...E' sollecitare alla condivisione, intesa come non solo dividere assieme ciò che è comune, ma anche valorizzare le differenze entro un'unità sostanziale”10. Le esperienze di prossimità tra famiglie spesso nascono in modo autonomo, da famiglie che decidono liberamente di aggregarsi e/o associarsi per rispondere a bisogni specifici, come nel caso di famiglie di bambini disabili o con particolari patologie. Altre volte sono l'esito di percorsi di promozione, di sviluppo di comunità, al cui interno si può rilevare la presenza di diversi soggetti: l'ente locale, il volontariato, la cooperazione sociale,altri soggetti non profit. Sempre comunque, la famiglia è intesa come soggetto reticolare, capace di innescare relazioni al proprio interno e al proprio esterno: queste relazioni a loro volta generano azioni di solidarietà, reciprocità e cittadinanza attiva. Per la famiglia che ha subito un trauma, o che vive in momentanea difficoltà, queste reti relazionali possono essere la rete di protezione che la aiuterà ad integrare in modo efficace l'esperienza negativa o traumatica, e le permetterà di continuare a vivere e ad amare. Secondo la Walsh, quando costruiscono una resilienza relazionale, le famiglie stabiliscono legami più forti e acquisiscono competenza per affrontare sfide future: l'assunto di partenza è , ancora una volta, quello secondo il quale tutte le famiglie posseggono un potenziale adattivo, auto-rigenerativo e evolutivo che va attivato e rinforzato. Negli ultimi anni, molte sono state le esperienze significative sorte con e per le famiglie di bambini disabili: programmi family for family, gruppi di auto-mutuo aiuto attraverso la condivisione degli stessi problemi, gruppi di sostegno alla genitorialità. Questo per aiutare la famiglia ad evitare l'isolamento e la chiusura a cui naturalmente tenderebbe, centrato solo sul proprio figli e sul deficit. Tutti questi interventi a livello di relazioni sociali, secondo gli studi sulla resilienza costituiscono i fattori di protezione, che giocano un ruolo fondamentale nel contrastare gli effetti negativi delle 10 P. Donati, Colozzi I., La sussidiarietà. Che cos'è e come funziona, 2005, Carrocci, Roma circostanze di vita avverse, favorendo un adattamento positivo e potenziando quindi la resilienza. La “filosofia” di fondo del lavoro con le famiglie, alla luce degli studi compiuti dalla Walsh, si potrebbe così sintetizzare: – ridurre i processi di rischio che possono incidere negativamente sugli individui e sul sistema-famiglia; – rafforzare i processi protettivi per creare fattori di opportunità . Dalla crisi alla costruzione della resilienza Il termine crisi deriva dal greco krisis, che significa scelta, bivio, crocevia : nel momento della crisi ci si trova di fronte ad una scelta. Nell'ideogramma cinese la parola crisi è un simbolo composto da due segni: i simboli che indicano pericolo e opportunità: il paradosso della resilienza è che i nostri momenti peggiori possono rivelarsi vantaggiosi. Rimanere nel proprio dolore, chiudersi in sé stessi e stagnare nella propria situazione disperata, oppure fare in modo che gli elementi positivi predominino, trovare la forza che ci fa ricominciare sapendo che niente sarà più come prima, ma che , e che si prende una strada di cui non si conosce esattamente la direzione. E' qui che intervengono i fattori di protezione, siano essi genetici e costituzionali, dati dalla personalità e dalle personali predisposizioni, o dovuti al sostegno che la società in cui si vive offre , attraverso relazioni di aiuto, comprensione e accessibilità sociale. L'evento, il protrarsi dell'ospedalizzazione, la necessità di acquisire competenze infermieristiche per poter medicare, aspirare, togliere e mettere sondini, monitorare attrezzature sofisticate, sovvertono radicalmente i sentimenti dei genitori e l'organizzazione familiare pensata e preventivata, si rivela totalmente inadeguata. L'utilità di un modello centrato sulla resilienza familiare per i progetti e i servizi territoriali, mira a promuovere la capacità di queste famiglie di riprendersi dalla crisi e di gestire le difficoltà con maggiore vitalità e intraprendenza. L'approccio orientato alla resilienza familiare, considera indispensabile l'impegno congiunto nel superamento delle difficoltà della vita; in un particolare momento di crisi infatti, la reciprocità è la condizione che risulta più compromessa e interrotta, dal momento che i membri della famiglia si proteggono adottando strategie di coping auto-referenti e svincolate dagli altri, o assumendo posizioni oppositive. Come sostiene F. Walsh l’approccio alla famiglia resiliente mira a identificare e a fortificare processi interrelazionali che rendano capaci le famiglie a resistere, opporsi e “rimbalzare” dalle sfide distruttive della vita.