Siamo maschere, personaggi, persone

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Siamo maschere, personaggi, persone
Siamo maschere, personaggi, persone
Sei come me: maschera, personaggio, persona. Ti porti dietro l’eredità di parole antiche e forse lo
ignori, rifugiandoti nella tua epoca, in un tempo in cui tutto si dà per scontato.
Sei una persona - parola etrusca e preziosa -, come me, come tutti, con le tue maschere cucite e
portate ed esibite quotidianamente. Un teatrante in bilico sotto i riflettori del palcoscenico.
Viviamo in un teatro di volti apparenti e noi stessi siamo personaggi nello spettacolo che è
l’esistenza. Abbiamo bisogno di essere visti perché è il “tu” a cui ci rivolgiamo che ci dà vita e che
ci permette di essere.
Appariamo perché siamo metamorfosi dei loro sguardi e solo così possiamo esistere ed essere. In
mancanza dell’altro saremmo soltanto maschere di cartapesta, corazze di cartongesso, scrigni vuoti.
Appariamo, scegliendo con cura il personaggio che vogliamo interpretare, cucendo su misura i
vestiti adatti, modellando il volto a piacimento. Invitiamo gli altri a guardarci, passando loro
davanti, ci affidiamo ai loro pregiudizi. Non fraintendermi, non intendo con “pregiudizio” una
valutazione negativa a priori, ma mi riferisco al senso più nobile del termine: giudicare prima,
suscitando nell’altro un’aspettativa iniziale, un’intuizione esterna che sollecita la ricerca e la
scoperta del nostro essere.
Appariamo, spingendo gli altri a vederci più in là di quella maschera da noi esibita come una sicura
protezione, fino a trovare il nostro essere per poi denudarlo delle vesti primordiali e talvolta
ingannevoli del nostro apparire.
Sai bene quanto me che sei il riflesso dei loro occhi e che loro sono il tuo specchio. Non obiettare,
non tentare di replicare, di farmi comprendere che tu non stai fingendo.
Lo so benissimo, sono conscia che non c’è nessuna simulazione: le maschere che ti poni addosso
sono state cucite da te ed assimilate come una seconda pelle; i tuoi personaggi sono i mille lati della
tua indole; le tue parole non sono mai artificiose, non hai un copione da seguire né un canovaccio a
cui ispirarti. Sei vero e reale. Sei esattamente ciò che stai cercando di mostrare a me e al mondo.
L’apparenza è il tentativo tuo e di ogni altro essere umano di liberare l’essere dalle catene e dalla
solitudine di un corpo e di un’anima interiore ed inutile se non vista da occhi estranei.
Sii tu il mio altro e scoprirai la veridicità delle mie parole: mostrati a me ed io sarò il tuo specchio;
il mio sguardo sarà la tua genesi. Diventeremo persone - non più personaggi – quando lo sguardo
dell’altro sarà capace di andare oltre alla maschera, sprofondando nel nostro essere e infondendo in
noi l’alito della vita.
E’ la nostra immagine a donarci la corporeità necessaria per entrare in contatto con quel “tu” capace
di vederci - filtrando l’apparenza con il suo sguardo - e renderci “essere”.
Non siamo, infatti, esili e fragili apparizioni, fantasmi del caso, inesistenti ombre di sogno. Noi
“siamo” proprio grazie alla corporeità dell’immagine, grazie all’apparire agli altri.
Potrai conoscere te stesso se ti guarderai nei miei occhi: rifletterò, come uno specchio fedele e
sincero, le tue caratteristiche, la tua fisionomia, i tuoi pregi visibili ed invisibili, le tue mancanze. Ti
conoscerò guardandoti , spiando il tuo essere dietro quella maschera consueta ma trasparente.
Non puoi vederti vivere ma attraverso il mio sguardo ti mostrerò come cammini, come guardi il
mondo, come reagisci alla vita nei giorni che mi sarà concesso accompagnarti con la mia vista
attenta e premurosa.
Sii te stesso, non rinunciare all’apparenza, non toglierti la maschera, non tradire il tuo personaggio.
Io ti vedrò ugualmente. La tua immagine, come ti ho detto, è per te - per tutti noi - necessaria ed
inevitabile ma essa non oscura né offusca il tuo essere: sarai per me trasparente, una pozza d’acqua
limpida e cristallina.
Ci specchieremo l’uno nell’altro, scambiandoci verità come segreti visibili solo a chi è capace di
trascendere il velo che ci poniamo addosso.
Lasciati guardare, permettimi di conoscerti attraverso una corrispondenza di sguardi ed io ti
restituirò, dono gratuito e garantito, te stesso.
Indossa il tuo personaggio quotidiano ed io farò lo stesso, reciteremo sulla stessa scena, ti porgerò la
mia presenza e tu saprai chi sono anche se dietro una maschera apparentemente impenetrabile.
Saprò riconoscere le risa silenti del tuo cuore anche se deciderai di nasconderlo e di imprigionarlo
dietro una corazza d’acciaio.
Non rinunciare, te ne prego, alla tua cortina di ferro, non svelarti prima che sia io a farlo. La mia
esortazione e preghiera nei tuoi confronti è di non abbandonare te stesso perché so bene che tu sei
anche quella maschera, quel velo con cui tenti di celarti il viso, quello scrigno dorato dentro cui ti
rifugi: tu sei anche apparenza.
Non temere, io ti vedrò. Il tuo essere è troppo luminoso e grande, non sarà la tua immagine a
reprimerlo e ad occultarlo ai miei occhi. Io ti vedrò, ne sono certa.
Dunque, prestami ascolto, preparati al nostro spettacolo. Indossa la tua maschera migliore, vesti il
tuo personaggio e sottoponi il tuo essere alla mia presenza.
Basterà il mio sguardo per renderti persona. Nasceremo insieme dai nostri reciproci sguardi, saremo
genesi di corrispondenze visive.
Ho riposto in te il mio più grande segreto, la mia piccola scoperta. Ti ho confidato che ho bisogno
di te e che, viceversa, anche tu hai bisogno di me: ogni uomo ha bisogno di un “tu” dinnanzi per
vivere ed essere. Ti ho rivelato l’importanza di questo sguardo esterno – ma non estraneo straordinariamente capace di vedere oltre al nostro apparire e così sensibile ed attento da cogliere
fino in fondo il nostro essere. Ti ho ammonito riguardo alla necessità e all’inevitabilità della nostra
immagine, ti ho pregato di non toglierti la maschera, ti ho spiegato quanto essa sia parte di te e di
tutti noi. Conserva con cura le parole che ho riposto in te.
Ti saluto, mio “tu” diletto,
con la speranza di poterti incontrare presto sul palcoscenico che è la vita.