storia del pensiero economico
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STORIA DEL PENSIERO ECONOMICO 1) Il mercantilismo (549, 550) Premessa: non si tratta del pensiero di un singolo economista, quanto, piuttosto, di tentativi isolati (soprattutto da parte di mercanti e di consiglieri dei sovrani) di spiegare il funzionamento del sistema economico che poi gli storici hanno raccolto fino a farne una teoria dotata di una sua interna coerenza. Periodo storico: fine Cinquecento, Seicento, inizi Settecento Fattori che hanno portato alla nascita del mercantilismo: -> sviluppo stati nazionali (Francia 1461 Luigi XI, Spagna 1469 Ferdinando/Isabella, Inghilterra 1485 Enrico VII Tudor) -> le scoperte marittime e lo sviluppo del commercio estero -> la costituzione delle grandi compagnie mercantili -> l’ inizio del colonialismo Il concetto fondamentale del mercantilismo è che la ricchezza di uno stato dipende dalla quantità di oro accumulata e che questa, a sua volta, dipende dallo scambio commerciale I Governi dovranno, di conseguenza: -> attuare un capillare intervento in tutti i settori dell’economia -> adottare una politica protezionistica per ottenere una bilancia commerciale favorevole e accumulare moneta, oro e argento -> favorire la prevalenza delle esportazioni sulle importazioni -> favorire l’espansione coloniale per procurare materie prime. 2) La fisiocrazia (550..552) Si tratta soprattutto di illuministi francesi della seconda metà del Settecento; l’esponente principale fu F. Quesnay, medico di corte di Luigi XV, che nel 1758 pubblicò il Tableau Economique. I punti salienti del pensiero fisiocratico sono: la ricerca delle leggi naturali, ovvero le leggi esistenti nello stato di natura, precedente all’affermarsi di autorità e all’approvazione di leggi positive la particolare attenzione riservata all’agricoltura, considerato l’unico settore produttivo, a differenza degli altri settori economici (manifatturiero, commerciale, dei servizi), considerati sterili l’interdipendenza fra settori e classi Con riferimento al ruolo dello Stato, esso in una fase iniziale deve contribuire alla realizzazione dell’ordine economico naturale successivamente non deve intervenire direttamente sul sistema economico NB Si noti la sostanziale differenza al riguardo fra il pensiero dei Mercantilisti e quello dei Fisiocrati. Per quanto concerne le classi sociali, i Fisiocrati ne individuano 3: la classe dei proprietari terrieri; essi percepiscono redditi fondiari (rendite) che impiegano quasi interamente nel consumo (rammentare CONSUMO, RISPARMIO, INVESTIMENTO) la classe produttiva, costituita dagli imprenditori e dai lavoratori agricoli; questa classe, con la propria attività, remunera non solo se stessa, ma anche quella dei proprietari terrieri la classe sterile, formata dagli imprenditori e dai lavoratori degli altri settori (manifatturiero, commerciale e dei servizi); essi, secondo i F., non producono ricchezza, ma si limitano a trasformare il valore creato dall’agricoltura in merci manifatturate 3) La rivoluzione industriale, l’economia classica e il trionfo del liberismo: considerazioni introduttive Seconda metà Settecento, prima metà Ottocento Fattori che determinano la nascita dell’economia come scienza autonoma: incremento commerci incremento popolazione RIVOLUZIONE INDUSTRIALE Domande che si pone l’economista qual è il ruolo dello Stato nel sistema economico? come si distribuisce la ricchezza fra le classi sociali? qual è il valore dei beni e come si formano i relativi prezzi? 4) I classici: Adam Smith (552, 558) Smith pubblica nel 1776 l’opera “Indagine sulla natura e sulle cause della ricchezza delle nazioni”, nella quale sono poste le basi dell’economia classica. In essa è presentata una visione ottimistica del capitalismo, così schematizzabile: ➔ accumulazione capitale ➔ maggiore produttività, incremento occupazione e specializzazione del lavoro ➔ crescita ricchezza ➔ accumulazione capitale Smith pensa che le iniziative dei privati, pur se finalizzate alla ricerca del profitto, siano da questo indotte, come se sospinte da una mano invisibile, a realizzare nel contempo l’interesse dell’intera collettività. Per cui, con riferimento al ruolo dello stato, ritiene che l’intervento pubblico in ambito economico debba essere limitato al massimo, lasciando spazio all’iniziativa economica privata operante nell’ambito di un sistema di mercato (liberismo o dottrina del laissez faire). Per quanto concerne il problema del valore di un bene, egli opera una distinzione fra: valore d’uso, ovvero l’attitudine di un bene a soddisfare un bisogno valore di scambio, ovvero il suo prezzo per il quale secondo S. fondamentale è il lavoro necessario a produrlo 5) I classici: David Ricardo (558, 561) Ricardo (1772 – 1823 inglese di origine ebraica) prima fece fortuna speculando in borsa, poi si dedicò allo studio dell’economia e all’attività parlamentare. Nella sua opera principale “Principi dell'economia politica e delle imposte “(1817) presenta , a differenza di Smith, una visione pessimistica del capitalismo, almeno con riferimento alla distribuzione della ricchezza fra le classi sociali. Innanzi tutto egli distingue tre classi: lavoratori, imprenditori e redditieri. La quota di reddito nazionale spettante a redditieri e imprenditori è variabile; invece la quota spettante ai lavoratori tende, almeno nel lungo periodo, al salario di sussistenza; qualsiasi tentativo di elevare i salari al di sopra di tale livello comporta un incremento demografico dovuto alle migliori condizioni di vita; aumenta così l’offerta di lavoro (nel linguaggio economico sono i lavoratori ad offrire lavoro, non le imprese come nel linguaggio quotidiano) e conseguentemente i salari ritornano al primitivo livello. Con riferimento al ruolo dello Stato, in generale R. ritiene che l’intervento pubblico in ambito economico debba essere limitato al massimo, lasciando spazio all’iniziativa economica privata, operante nell’ambito di un sistema di mercato (liberismo o dottrina del laissez faire). Il liberismo economico è giustificato con la legge di Say, seconda la quale l’offerta (di beni e servizi) crea la propria domanda e con la tesi, logica derivazione di questa legge, che il sistema economico, lasciato a se stesso, tende al pieno impiego dei fattori produttivi. In particolare R. ritiene molto negativa l’imposizione di dazi doganali sulle importazioni (tipici di una politica economica protezionistica) e nelle sua attività parlamentare fu un fiero oppositore delle Corn Laws (leggi che imponevano dazi sulla importazione di cereali così come richiesto dai proprietari terrieri; furono abolite nel 1846) Per quanto concerne, infine, il problema del valore, egli ritiene che il prezzo dei beni sia dato dal lavoro in essi incorporato, nonché da una quota di profitti e di rendite. 6) Il socialismo utopistico (562) In generale il termine SOCIALISMO (che si diffuse in Inghilterra nei primi decenni dell’800 in opposizione a INDIVIDUALISMO) designa quelle teorie che prospettano una riorganizzazione della società su basi collettivistiche. NB In generale, un sistema collettivistico si contraddistingue per: proprietà statale dei mezzi di produzione pianificazione da parte dello Stato dell’attività economica eliminazione delle distinzioni di classe Si distingue al riguardo fra socialismo utopistico e socialismo scientifico i socialisti utopistici elaborano modelli di società ideale, senza preoccuparsi troppo delle vie o dei modi della loro concreta realizzazione (dal punto di vista etimologico utopia significa non luogo: dal gr u “non” e topos “luogo”) i socialisti scientifici, il cui pensiero esamineremo nella prossima unità, studiano attraverso una analisi storica ed economica come si giungerà alla concreta realizzazione della società socialista Rientrano fra i socialisti utopistici: Saint Simon (1760 – 1825): teorizzò un sistema politico – sociale caratterizzato dalla alleanza organica fra imprenditori e operai, considerati entrambi “industriali”, ovvero produttori. Significativo quanto egli afferma nell’Organizzatore: “Questo è in realtà il carattere meraviglioso della società dei produttori: tutti coloro che vi concorrono sono dei collaboratori, dei soci, dal più semplice manovale al più ricco industriale all’ingegnere più illuminato.” Interessante la posizione della scuola saint – simoniana riguardo alla proprietà : essa propugnava l’abolizione dell’eredità … Fourier (1772 1837): la sua idea centrale è che la correzione dei mali sociali deve essere attuata per mezzo dell’ASSOCIAZIONISMO VOLONTARIO. Auspicò, quindi, la creazione di una società basata su comunità di piccole dimensione e autosufficienti, i FALANSTERI; all’interno di questi non trovano spazio né la proprietà, né il matrimonio, ma la libera espressione delle potenzialità degli associati nella partecipazione di tutti a tutte le attività produttive e ricreative Proudhon (1809 1865): egli ritiene che la radice di tutti i mali della società, ed in particolare delle miserrime condizioni della classi lavoratrici, risieda nella proprietà (soprattutto nella proprietà capitalistica dei mezzi di produzione); celeberrima al riguardo la sua affermazione “La propriétè c’est le vol”. Dal punto di vista socio – economico egli ritiene che la vera organizzazione sociale del lavoro non possa che configurarsi come autogestione della produzione da parte di tutte la categorie che vi partecipano. Dal punto di vista politico, ne consegue la necessità di una società senza poteri istituzionali, di una società senza stato, di una società in cui si realizza con assoluta spontaneità l’autogoverno delle masse ovvero dell’ANARCHIA (dal greco anarchia “senza governo”) 7) Il socialismo scientifico e l’economia marxiana (564..566) I salari costituiscono il costo di produzione del lavoro e sono di sussistenza (vd. anche Ricardo) Si crea un PLUSVALORE in quanto i lavoratori producono più di quanto serve per la loro sussistenza Il plusvalore è accumulato dal capitalista I profitti accumulati sono investiti in nuovi macchinari I macchinari creano disoccupazione (esercito di riserva); i salari scendono sotto il livello di sussistenza; progressivo impoverimento della classe lavoratrice Caduta dei profitti (secondo Marx il profitto è generato dal lavoro e non dai macchinari) e concentrazione della ricchezza in un numero esiguo di capitalisti Crollo capitalismo; dittatura del proletariato; centralizzazione dei mezzi di produzione 8 – La tradizione neoclassica (567 ..571) Premessa storica: negli ultimi 3 decenni del XIX secolo e nei primi 2 del XX secolo si verificò una grandiosa trasformazione del sistema capitalistico (seconda rivoluzione industriale). In questo periodo, in netta contrapposizione alla visione conflittuale del sistema capitalistico proposta dall’analisi marxiana, fu formulata una nuova teoria economica, denominata neoclassica per la sua volontà di recuperare dalla scuola classica le parti ancora utilizzabili per la costruzione di una visione armonica e liberale della società. Nel ridefinire le principali grandezze dell’economia (il prodotto sociale, il salario, il profitto, la rendita, il consumo, l’investimento …) e le loro relazioni reciproche, questa scuola introdusse per la prima volta il calcolo differenziale (grande importanza era assegnata alle variazioni marginali delle grandezze economiche: il costo marginale, ad esempio, è il costo dell’ultima unità prodotta) acquisendo così il secondo nome di scuola marginalista. Premessa metodologica Il ragionamento neoclassico rifiuta l’impostazione dell’analisi economica sulla distinzione degli uomini in classi sociali, ma, rifacendosi all’INDIVIDUALISMO METODOLOGICO (microeconomia), parte dal comportamento dei singoli operatori. Costoro sono considerati RAZIONALI, nel senso che si presume che adottino strategie massimizzanti e che siano in gradi di rapportarsi al futuro in termini di probabilità oggettiva. E’ quindi possibile studiare i loro comportamenti mediante modelli matematici. Punti essenziali del ragionamento neoclassico Consideriamo in primo luogo il mercato del lavoro. Per la singola impresa fra saggio di salario (wage) e domanda di lavoro esiste una relazione inversa, graficamente rappresentabile da una funzione negativamente inclinata. Vd grafico 1 (w = salario q= quantità) Per l’operatore famiglie, invece, assunta una disutilità del lavoro crescente, fra saggio di salario e offerta di manodopera esiste una relazione diretta, rappresentabile graficamente da una funzione positivamente inclinata. Vd grafico 2 NB Nel linguaggio economico l’operatore famiglie, titolare del fattore lavoro, lo offre alle imprese (è il contrario che negli annunci). Estendendo tali considerazioni a tutte le imprese e a tutte la famiglie, sul mercato del lavoro si incontrano domanda globale e offerta globale in corrispondenza di un saggio di salario di equilibrio. Vd grafico 3 Supponiamo che in un certo istante la quantità di lavoro offerta ecceda quella domandata, ossia che si crei disoccupazione: se il mercato è in CONCORRENZA PERFETTA (flessibilità dei salari; assenza di barriere all’entrata e all’uscita; piena trasparenza) cala il saggio di salario perché i lavoratori più bisognosi sono disponibili ad accettare salari inferiori mentre i meno bisognosi escono dal mercato, aumenta la domanda delle imprese e si arriva ad un punto di equilibrio. Quindi, nel ragionamento neoclassico, se lo Stato garantisce condizioni di concorrenzialità la disoccupazione ha solo natura VOLONTARIA ed automaticamente si forma una situazione di PIENA OCCUPAZIONE. Vediamo ora se tutta la produzione effettuata sarà anche domandata; se così fosse avremmo una situazione di EQUILIBRIO GENERALE (senza disoccupazione e senza sovrapproduzione). Secondo i Neoclassici l’operatore famiglie decide come ripartire il proprio reddito fra consumo e risparmio in base al tasso di interesse: maggiore è il tasso di interesse, maggiore è l’offerta di risparmio effettuata (relazione diretta). Al contrario, gli imprenditori, che richiedono i capitali risparmiati dalle famiglie per investirli, ridurranno la loro domanda se il tasso di interesse cresce (relazione inversa). In una situazione concorrenziale la flessibilità dei tassi e la razionalità degli operatori garantiscono il raggiungimento di una situazione di equilibrio (Risparmio S = Investimenti I). Vd grafico 4 (i= tasso d'interesse; S = Risparmio; I = Investimento) Concludendo, dato che Prodotto globale -> offerta (prodotto globale come insieme di beni e servizi) -> Reddito (prodotto globale in senso monetario) = C + S = C + I (domanda) grazie al tasso di interesse (vd grafico 4) Ovvero dato che S = I C + S = C + I quindi Offerta = Domanda Si arriva così a dimostrare che l’offerta è uguale alla domanda e trova così conferma la legge di Say . NB Questa legge, detta anche legge degli sbocchi, fu elaborata dall’economista francese J.B.Say (1767 1832) e fu generalmente accettata fino a quando fu capovolta da Keynes nella prima metà del XX secolo. Da tutto ciò si comprende che per i Neoclassici lo Stato deve limitarsi a fornire la cornice legale minimale, ovvero garantire ➔ l’ordine pubblico e la difesa ➔ il rispetto coattivo dei patti (funzionamento della giustizia civile) ➔ la concorrenzialità dei mercati NB Non deve invece intervenire in ambito economico. 9 – La tradizione keynesiana (571, 578) Inquadramento storico I principi base della teoria neoclassica guidarono il modo di fare politica fino al terzo decennio del ventesimo secolo nei principali paesi del mondo (con alcune eccezioni quali l’Italia fascista e l’Unione Sovietica comunista). In generale, il principio del laissez faire fu rigorosamente rispettato, sia nelle leggi, sia nelle misure di politica economica e i governi credettero nella capacità dei liberi mercati di raggiungere spontaneamente l’equilibrio e di assicurare la piena occupazione della forza lavoro, fino a quando un evento imprevisto costrinse la scienza e la politica a cambiare opinione. L’evento fu quello della Grande Crisi del 1929, scoppiata negli Stati Uniti e trasmessasi rapidamente in Europa. Si affermarono così le teorie dell’economista inglese J.M.Keynes (1883 – 1946), che furono applicate con successo prima da Roosevelt (New Deal) negli USA e successivamente anche in Europa. Premessa metodologica Keynes, del modello neoclassico, non condivide né l’individualismo metodologico, né il presupposto dclla razionalità degli operatori. Seguiamo il suo agionamento: l’individuo non è in grado di considerare gli eventi futuri in termini di probabilità oggettiva, ma è prigioniero dell’incertezza. Quando egli effettua delle previsioni e delle scelte, oltre che dai calcoli è guidato anche e soprattutto dalle tendenze dell’animo ( animal spirits - aspettative). Tali tendenze saranno fortemente condizionate dal particolare momento storico in cui l’individuo opera, per cui il metodo di analisi dovrà essere globale (macroeconomico). Punti essenziali del ragionamento keynesiano Consideriamo in primo luogo la scelta fra consumo e risparmio: secondo Keynes essa non dipende soltanto dal tasso di interesse (come per i Neoclassici), ma soprattutto dal reddito disponibile. In particolare egli ritiene che l’incidenza del risparmio cresca all’aumentare del reddito (se il reddito è medio/basso sarà quasi interamente consumato; se è alto la quota percentuale di risparmio diventa significativa). Consideriamo ora le decisioni di investimento degli imprenditori: esse, secondo K., dipendono non soltanto dal tasso di interesse, ma anche dalle aspettative (più o meno ottimistiche). Può accadere, quindi, che le famiglie effettuino un risparmio (in base al reddito) maggiore degli investimenti decisi dalle imprese (in base al tasso di interesse e alle aspettative). Se ciò accade la domanda risulta inferiore all’offerta, vi sarà una accumulazione indesiderata di scorte (sovrapproduzione), le imprese ridurranno produzione ed offerta e nel mercato del lavoro si formerà disoccupazione. Quindi, con riferimento al ruolo dello Stato, K. ritiene che in periodi di recessione e di disoccupazione esso debba intervenire con politiche economiche espansive, finalizzate al sostegno della domanda globale, all’aumento della produzione e all’assorbimento della disoccupazione. (Roosevelt e New Deal)